E’ difficile che le visite di Sanchez e di Macron con Von der Leyen abbiano successo, nel senso di propiziare quanto meno un cessate il fuoco, ma l’iniziativa di Parigi (e di Madrid) di andare a vedere le carte di Xi Jinping è comunque positiva perché contribuisce a porre finalmente l’Europa al centro degli sforzi diplomatici per la soluzione di una crisi da tempo in corso sul suo stesso territorio

 

 

 

Tre importanti leader del Vecchio Continente si recheranno come noto a Pechino tra fine marzo e inizio aprile.

Il primo a presentarsi al cospetto di Xi Jinping sarà il Premier spagnolo Pedro Sànchez, il 30 e 31 marzo. Motivo ufficiale del viaggio sarà la celebrazione dei 50 anni dei rapporti diplomatici tra i due Paesi, oltre alla partecipazione al convegno ‘Boao Forum for Asia’, ospitato dall’omonima fondazione presieduta dall’ex Segretario Generale dell’ONU, Ban Ki-Moon. Ma è indubbio che fra i temi dell’incontro bilaterale spiccherà quello della guerra in Ucraina, per laquale già nello scorso novembre, in occasione del G20 di Bali, Sànchez– che assumerà il prossimo 1° luglio la carica di Presidente di turno dell’Unione Europea – aveva auspicato l’assunzione di un ruolo di mediazione da parte diPechino.

La settimana seguente, probabilmente il 4 aprile, si recherà invece in Cina il Presidente della Repubblica Francese, Emmanuel Macron. Da tempo preannunciata, tale visita assumeparticolare interesse anche perché, come comunicato dallo stesso Macron al termine del recente Consiglio Europeo, coinciderà in parte conquella della Presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen. “Ho chiesto a Madame von der Leyen di accompagnarmi in un pezzo della mia visita in Cina, per presentare una voce europea unita, ha detto Macron ai giornalisti, anticipazione poi confermata dal portavoce della Commissione.

Una comunicazione piuttosto irrituale, quella brussellese, ma non del tutto sorprendente se si tiene conto che a farla è stato il capo di uno Stato che si considera tuttora una potenza di prima grandezza, soprattutto nei confronti del resto d’Europa. Ma, al di là delle forme, il viaggio di Macron sarà ancora più importante di quello di Sànchez: non foss’altro, oltre che per l’oggettivo peso di Parigi, per il fatto che il presidentefrancese ha sempre cercato, fin dall’inizio della crisi, di tenere aperto un canale di contatto con la Federazione Russa.

In effetti, la presentazione del pur anodino ‘piano in dodici punti, con il quale Pechino aveva tentato di acquisire un ruolo più attivo nel possibile processo di pace, e soprattutto la recentissima visita di Xi Jinping a Mosca sono apparsi come un vero e proprio cambio di passo da parte dell’antico ‘Impero del Centro’. Pechino, dopo un periodo di sbandamento causato dalla pessima gestione della pandemia da Covid-19, dalla conseguente crisi economica e dall’imprevista invasione russa dell’Ucraina, sembra ora pronta a riprendersi quel ruolo geopolitico di primo piano che per dimensioni e forzaindubbiamente le spetta: anche per tutelare il progetto delle nuove vie della seta che da tempo segna il passo e, più in generale, per ridare forza a quel ‘soft power’ che, soprattutto con la presidenza Xi, era divenuto la sua cifra distintiva.

Diversamente da quella effettuata nello scorso novembre dal Cancelliere tedesco Olaf Scholz, di carattere prevalentemente economico-commerciale e comunque criticata a mezza bocca da varie capitali europee (oltre che ovviamente da Washington), la visita di Sànchez e, soprattutto, quella della ‘strana coppia’ Macron-von derLeyen dovrebbero dunque avere una valenza più strettamente politica. Si ritiene probabilmente a Parigi e a Madrid che, data la prolungata situazione bellica da cui la Russia fa molta fatica a districarsi, le possibilità cinesi di premere su Putin si siano incrementate; ciò, anche a causa della dipendenza economica di Mosca da Pechino, molto cresciuta in questo anno abbondante di guerra. Allo stesso tempo si fa forse affidamento sulle crescenti perplessità dell’opinione pubblica statunitense, e della nuova maggioranza repubblicana alla Camera dei Rappresentanti, riguardo alla prosecuzione di una ‘guerra per procura’ che rischia di distrarre Washington dalla sua principale mission, consistente proprio nel contenimento della Cinanell’Indo-Pacifico. Resta invece da decifrare l’atteggiamento della Commissione Europea, la cui presidente è stata, fin dall’invasione dell’Ucraina, una delle principali voci antirusse nel nostro continente: soprattutto in presenza di una sicura, anche se non esplicita, opposizione dell’Amministrazione Biden a eccessivi contattidegli alleati con Pechino.

E’ in realtà difficile che queste visite europee abbiano successo, nel senso di propiziare quanto meno un cessate il fuoco in Ucraina, anche perché Xi, reduce fra l’altro dal notevole successo diplomatico della riuscita mediazione fra Iran e Arabia Saudita, ha sì interesse a mostrarsi al mondo come nuovo ‘fornitore globale di sicurezza’, ma sembra anche averne allacontinuazione, più che all’interruzione, di un conflitto che, come detto più sopra, immobilizza il grande rivale americano e rende sempre più dipendente da Pechino l’’amico senza limiti’ russo. Crediamo però che si debba considerare positiva l’iniziativa di Parigi (e di Madrid) di andare a vedere le carte di Xi Jinping, contribuendo così a porre finalmente l’Europa al centro degli sforzi diplomatici per la soluzione di una crisi da tempo in corso sul suo stesso territorio.

E l’Italia? Il nostro Paese, pur teoricamente in grado di ritagliarsi – come fondatore dell’UE e terza potenza continentale – un ruolo importante nella soluzione della crisi ucraina, continua a scegliere di non rischiare, restando ‘allineato e coperto’ sotto l’ombrello euro-atlantico, ma lasciando così in mano ad altri le possibili chiavi di soluzione della crisi. Eppure, come principale Paese europeo parte della ‘Belt and Road Initiative’ cinese, potremmo forse avere con Pechino qualche voce in capitolo. Ma anche per Giorgia Meloni, come già per Mario Draghi, la principale priorità sembra quella di non scontentare in alcun modo l’amico americano: fra l’altro alla fine di quest’anno e cioè entro tre mesi dalla scadenza, prevista per marzo 2024 –potrebbe cordialmente promuovere il nostro ritiro dal relativo memorandum firmato nel 2019 con la Repubblica Popolare.

Di Massimo Lavezzo Cassinelli

Massimo Lavezzo Cassinelli ha fatto parte del servizio diplomatico italiano dal 1982 al 2016. Dopo un primo periodo alla Farnesina presso la Direzione Generale Affari Economici, ha iniziato nel 1985 la sua prima missione all’estero, all’Ambasciata d’Italia in Ecuador. Successivamente ha prestato servizio presso le Ambasciate in Giordania, in Perù e in Egitto, oltre che come capo del Consolato italiano a Berna. E’ stato poi Rappresentante Permanente Aggiunto presso la FAO, il PAM e l’IFAD. Ha infine ricoperto le cariche di Ambasciatore d’Italia in Armenia e nel Principato di Monaco. Ha concluso la carriera al Cerimoniale Diplomatico della Repubblica.