La Russia ha bisogno di ottenere il controllo sul Kazakistan occidentale, sulle risorse energetiche, ma anche sull’intera regione. Solo allora Mosca potrebbe rendersi necessaria alle grandi multinazionali dell’energia che stanno sfruttando i giacimenti di petrolio e gas del Kazakistan, e quindi, il cosiddetto ‘Occidente’ avrà bisogno di un compromesso con la Federazione Russa

 

La Russia è intenzionata a riprendersi il Kazakistan e magari dividerlo in più Stati? E’ l’interrogativo che analisti e osservatori del Cremlino si stanno ponendo da quando, il 24 febbraio, la Russia ha invaso l’Ucraina. Akhas Tazhutov, analista politico kazako, su Eurasia Review, ha condotto una dettagliata analisi sulla situazione tra Nur-Sultan e Mosca, ricostruendo la storia degli ultimi decenni.

Le prospettive dell’Unione Economica Euroasiatica (EEU), dominata dalla Russia, le cui esportazioni di petrolio verso la maggior parte dei Paesi del mondo occidentale sono ora soggette a embargo, che dovrebbe essere completo al più tardi entro il 2023, e il cui governo non controlla la produzione di petrolio sul territorio del suo alleato, il Kazakistan e le esportazioni di quel Paese verso il mercato dell’UE, non sembrano promettenti.
In queste condizioni, «il Cremlino, deve avere voce in capitolo nella politica e nell’economia in Kazakistan». Così, secondo Akhas Tazhutov, la pensano a palazzo.
Secondo l’analista, Mosca può raggiungere questo obiettivo riprendendo le iniziative politiche ed economiche che aveva promosso a metà degli anni ’80, quando Mosca era l’URSS, e che aveva abbandonato pochi anni dopo a causa del crollo dell’URSS.
A quel tempo, Mosca e il Cremlino erano convinti che «il potere materiale e politico dello Stato russo-sovietico sarebbe cresciuto dal Kazakistan occidentale, così come le sue riserve di petrolio e gas, all’inizio degli anni ’80, dopo la scoperta del giacimento petrolifero di Tengiz e del Karachaganak». Dopo queste scoperte e aver visto le possibilità di fare altre vaste scoperte di petrolio sulla piattaforma continentale nord-orientale del Mar Caspio adiacente al Kazakistan, «Mosca iniziò a sviluppare il Kazakistan occidentale come nuova base per la sua industria petrolifera e del gas».

A metà degli anni ’80 venne adottato e messo in moto un piano statale appositamente elaborato per sostenere lo sviluppo del complesso petrolifero e del gas nel Kazakistan occidentale, con uno stanziamento di 3 miliardi di rubli. «Era un’enorme quantità di denaro a quei tempi».
Contestualmente, Mosca intraprese studi approfonditi sulla situazione in Kazakistan che hanno rivelato, tra l’altro, che la classe operaia prevalentemente etnica kazaka si era sviluppata in un solo settore dell’economia. Vale a dire, sulla base dell’industria petrolifera e del gas nel Kazakistan occidentale.
I risultati di questi studi attinenti alla componente etnica della regione, guidarono Mosca nella scelta dei dirigenti politici locali. Dunque, «tenendo presente la crescente importanza di quella regione nell’Unione Sovietica», «le élite Junior zhuz(occidentali)occuparono le posizioni più importanti. Quindi, tre dei cinque più alti incarichi vennero occupati da persone di Atyrau, la più importante regione produttrice di petrolio della repubblica, dove si trovano i giganteschi giacimenti di Kashagan e Tengizdel Kazakistan», e un posto venne riservato a un rappresentante dell’etnia Senior zhuz. Tutti i rappresentanti Junior zhuz (occidentale) appartenevano al Baiuly, il più popoloso dei tre gruppi tribali Junior zhuz.

All’inizio degli anni ’90, quando il Cremlino iniziava perdere rapidamente autorità e influenza politica nelle repubbliche etniche (non russe), questo gruppo di kazaki occidentali venne estromesso dagli incarichi chiave. Il Cremlino promosse Nursultan Nazarbayev alla posizione di leader supremo de facto del Kazakistan», Nazarbayev sarebbe poi diventato Presidente del Paese, governando dal 1990 al 2019. «Ciò significò restituire le redini del potere in Kazakistan alle élite Senior zhuz(meridionali)».

«Non molto tempo dopo, l’Unione Sovietica si disintegrò. E il Kazakistan divenne indipendente».
Mentre Mosca scopriva che «quegli enormi giacimenti di petrolio e gas che erano costati a Mosca molti sforzi e denaro, non erano più all’interno dei confini nazionali russi».

«Nel 1992, l’allora capo del governo russo, Egor Gaidar, parlando alla televisione, disse ai russi: “non abbiamo più quelle enormi opportunità che avevamo prima, perché il giacimento di Samotlor è considerato quasi esaurito. Si è scoperto che il Kazakistan occidentale è fuori dalla portata della Russia”».
«Mentre Mosca si stava riprendendo dall’ennesimo tumulto che aveva portato al crollo del potere sovietico, i più grandi giacimenti di idrocarburi del Kazakistan occidentale finivano rapidamente per essere utilizzati dalle compagnie petrolifere occidentali».
Mosca ora sembra essere disposta a riportare acasa‘ tutto quel ben di Dio.

Akhas Tazhutov spiega che questo ‘ritorno al passato‘ è iniziato «con il riconoscimento da parte della Russia dell’indipendenza del DNR e dell’LNRil 21 febbraio 2022, che si è rivelato poi essere solo un preludio all’invasione dell’Ucrainapochi giorni dopo, al fine di ‘denazificare’ e ‘smilitarizzare’ questo Stato sovrano. In altre parole, non si trattava del sostegno nascosto o esplicito dei russi a qualche regione separatista in una delle Nazioni post-sovietiche, bensì di una dichiarazione di guerra contro un Paese» ex sovietico. Così facendo, il Cremlino ha di fatto«ritirato la sua firma dai Protocolli Alma-Ata del 15 dicembre 1991, secondo cui i Paesi della CSI», ovvero la Comunità degli Stati Indipendenti, «si impegnano a “riconoscere e rispettare l’integrità territoriale e l’inviolabilità delle frontiere esistenti”». Il Kazakistan è membro della CSI.
Prosegue Akhas Tazhutov, «Così, i Paesi post-sovietici sono entrati in una nuova fase di sviluppo. Ma finora nessuno di loro, fatta eccezione per l’Ucraina, sembra aver avvertito ancora dei cambiamenti. Ciò, comunque, non cambia il fatto che, a seguito della guerra russo-ucraina, Mosca, tra le altre cose, ha rimosso il suo impegno a “riconoscere e rispettare l’integrità territoriale di altri Paesi e l’inviolabilità dei confini esistenti” all’interno dell’area post-sovietica».

«Ora c’è motivo di credere che Mosca possa fare molto per ottenere ciò che vuole. Nella situazione attuale, sempre più in deterioramento a causa della decisione di Bruxelles di vietare la maggior parte delle esportazioni di petrolio russo verso l’UE, l’interesse maggiore della Russia è ovviamente quello di stabilire, in un modo o nell’altro, il suo controllo sui crescenti flussi di petrolio che vanno da Kazakistan occidentale all’Europa».

«Di recente, esperti russi e occidentali si sono detti convinti che il «Kazakistan, per la Federazione russa, è molto più importante di Ucraina,Bielorussia e Moldova messe insieme, poichéè un po’ come l’Ucraina presentata in forma concentrata” e che il Paese dell’Asia centrale sia “l‘unico posto in cui la Russia potrebbe espandersi senza disastri”».
Questi ragionamenti e giudizi sono stati espressi in dialoghi di alcuni mesi fa. Ebbene, afferma l’analista kazako, «tale visione non ha perso il suo significato alla luce degli sviluppi che si sono registrati. Al contrario, ora sembra essere ancora più credibile.
Sebbene la questione non venga discussa molto attivamente, ora molti capiscono che nel contesto del conflitto aperto contro l’Occidente in cui la Russia è stata coinvolta, la Russia ha bisogno di ottenere il controllo, in qualche modo,sul Kazakistan occidentale. Ne ha bisogno per, se non vincere, almeno sopravvivere ed evitare un fiasco totale che potrebbe essere seguito dal crollo della stessa Federazione Russa. Deve ottenere tale controllo non solo sulle risorse energetiche, ma anche sull’intera regione. Solo allora Mosca potrebbe rendersi necessaria alle grandi multinazionali dell’energia che stanno sfruttando i giacimenti di petrolio e gas del Kazakistan, e quindi, il cosiddettoOccidenteavrà bisogno di un compromesso con la Federazione Russa. Non sembrano esserci altri assi nella manica del Cremlino con l’aiuto dei quali potrebbe sperare di ribaltare la situazione» in caso in Ucraina le cose volgano al peggio per Mosca.

C’è da dire che al momento in Ucraina, sul campo da gioco, la situazione è incerta. La Russia ha fatto progressi lenti ma costanti, vincendo diverse battaglie e ridimensionando l’arsenale ucraino. I suoi vantaggi in termini di armi e potenza di fuoco hanno iniziato a mostrarsi, sostengono gli analisti che studiano l’andamento della guerra. «Il primo round è stato un ko per l’Ucraina. Nel secondo round, i russi hanno vinto ai punti», ha detto, a ‘CNN‘, Max Bergmann, direttore del programma Europa presso il Center for Strategic and International Studies, nella sua valutazione delle fasi della guerra. Si prevede che le «forze russe continueranno probabilmente a limitarsi ad azioni offensive su piccola scala mentre ricostruiranno le forze e stabiliranno le condizioni per un’offensiva più significativa nelle prossime settimane o mesi», ha affermato in un suo rapporto l’Institute for the Study of War.
«L’Ucraina, nonostante la narrativa di Internet, sta perdendo terreno nella guerra, con la Russia che sta inghiottendo la maggior parte della provincia strategica di Luhansk, mentre si riorganizza per colpire più a fondo Donetsk», afferma, dalle colonne del ‘Foreign Policy‘, Jack Detsch, giornalista specializzato in Difesa e sicurezza nazionale. .

La domanda che si pone è come la Russia può ottenere il controllo del Kazakistan senza l’uso delle armi.
La «Russia ha due leve potenzialmente importantiper influenzare il suo vicino dell’Asia centrale a questo riguardo, sostiene Akhas Tazhutov. La prima e più rilevante è «la questione della scarsità d’acqua nel Kazakistan occidentale»; la seconda è attinente ai gruppi etnici: «secondo i media russi, “il Paese è comandato dal Senior zhuz (meridionale),mentre il popolo del Junior zhuz(occidentale) zhuz,lavora”. Entrambi questi fattori vengono ora enfatizzati dai russi».
La questione idrica ci obbliga ad un salto nel passato. «Il Kazakistan occidentale è la regione più arida del Paese. Nell’ambito dell’economia pianificata centralmente dell’Unione Sovietica, Mosca, fissandosi l’obiettivo di sviluppare il Kazakistan occidentale come nuova base per la sua industria petrolifera e del gas, e prevedendo un aumento significativo della domanda di acqua nell’area, ha previsto misure per affrontare i problemi che avrebbero potuto sorgere. In primo luogo, c’era un piano per costruire un oleodotto di 1.285 chilometri dal fiume Kigach(parte del delta del Volga) alle province ricche di petrolio di Atyrau e Mangystau nel Kazakistan occidentale. Aveva lo scopo di fornire acqua potabile dal fiume Volga alla popolazione di queste due province e acqua ad uso industriale ai giacimenti petroliferi situati nel territorio. E, in secondo luogo, c’erano piani per migliorare la situazione dell’approvvigionamento idrico nel Kazakistan occidentale attraverso i progetti di trasferimento interbacino delle acque del Volga nel bacino degli Urali.
La prima di queste idee divenne presto realtà. Il gasdotto principale di approvvigionamento idrico Astrakhan – Mangyshlak è stato completato e messo in servizio nel 1988, poco prima del crollo dell’Unione Sovietica». La seconda idea è rimasta sulla carta, perché dopo il crollo dell’Unione Sovietica, Mosca non aveva più alcun interesse alla sua attuazione».

La Russia ha contribuito e sta contribuendo notevolmente al peggioramento della crisi idrica nel Kazakistan occidentale, riducendo gli scarichi d’acqua negli Urali dai bacini idrici nella parte superiore del fiume. Non è noto con certezza se ciò sia dovuto a qualche intento. Ma ecco come Alexander Yalfimov, scrittore, ha illustrato la situazione:“Per quanto riguarda il fiume Ural, è un argomento molto doloroso. Cosa si potrebbe dire di ciò che sta accadendo? Perché, senza motivo, ha cominciato a diventare catastroficamente superficiale? Prendiamo questo problema molto sul serio. Gli Urali stanno morendo. Sul territorio della Bashkiria ci sono -in parole povere- tre strutture di ripartizione che non lasciano passare l’acqua. Di conseguenza, la Bashkiria affonda nell’acqua ogni primavera. Villaggi, insediamenti e così via… Intanto qui arriva la siccità”».
Secondo l’analista, chi è ai vertici dei processi decisionali del Cremlino punta a ricavare una fetta della torta rappresentata dal denaro derivato dal petrolio e dal gas di quella regione. «A Mosca, già molti anni fa si discuteva la questione, anche se in termini molto generali e ufficiosamente». Per esempio c’è stato chi, nel 2008, nella tv di Stato russa si domandava se il Kazakistan avrebbe accettato di pagare per l’acqua russa al prezzo proposto dalla Russia.

«Gli enormi giacimenti di risorse di idrocarburi nel bacino del Mar Caspio, accertati o scoperti già in epoca sovietica, sono stati sviluppati per decenni dalle multinazionali occidentali. Quasi tutto il greggio di quei giacimenti viene esportato in Occidente. Le entrate del Kazakistan alimentano il bilancio nazionale e vengono utilizzate per sostenere le province dipendenti dai sussidi, in Kazakistan centrale, orientale, settentrionale e meridionale.
Allo stesso tempo, le persone nella stessa regione produttrice di petrolio sono sempre più impantanate in problemi sociali, economici e ambientali, esacerbati dalla persistente siccità e dalla scarsità d’acqua».
A differenza di Kiev, Tbilisi e Baku, Nur-Sultan è un alleato politico e un partner economico di Mosca nella CSTO e nell’EEU. E’ così, il sistema di governo e l’opinione pubblica in Russia sono da tempo abituati all’idea che prima o poi Mosca possa decidere di rivedere il confine tra la Federazione Russa e il suo vicino centroasiatico, proprio come è successo con l’Ucraina. «Il Kazakistan non dovrebbe contare tanto sul suo status di partner e alleato della Federazione Russa nell’Eurasian Economic Union (EEU) e nella Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), considerandolo una sorta di assicurazione dalla ripetizione dell’esperienza ucraina. Mosca può sempre trovare un motivo per cambiare la sua posizione nei confronti di qualsiasi Paese nello spazio post-sovietico». E ciò è particolarmente vero per il Kazakistan, tanto che recentemente sono apparsi articolinel contesto dei quali si presentavano le stesse argomentazioni attinenti a etnia, lingua, cultura che hanno alimentato il clima favorevole all’invasione dell’Ucraina.

Le sanzioni, l’embargo sul petrolio, le difficoltà della guerra e quelle politiche sullo scenario internale, «in tali circostanze, il Kazakistan potrebbe essere l’unico elemento in mano a Mosca per provare a sbloccare lo stallo . La parte occidentale del Paese dell’Asia centrale è proprio l’area in cui si concentrano enormi quantità di investimenti occidentali. Gli americani e gli europei occidentali continuano a comportarsi come se non avessero molte ragioni per preoccuparsi del destino di tali risorse, mentre cercano di “mettere in ginocchio l’economia russa”. Ma difficilmente, chi tra loro, segue con attenzione gli ultimi sviluppi nei rapporti tra Mosca e Nur-Sultan, si sarà perso di annotare il fatto che, poco prima dell’inizio della guerra in Ucraina, alcuni media russi hanno iniziato a giocare la carta del bisogno di “proteggere… i kazaki del Medio zhuz, che sono storicamente e mentalmente vicini a noi[russi]”, in contrasto con «i kazaki del sud» e, soprattutto, della ‘privazione’ dei potenzialmente molto ricchi, ma in realtà ‘l’Occidente colpito dalla povertà’ (il Junior zhuz) di fronte al dominio delle élite Senior zhuz (meridionali)».