“Non è forse una vittoria su tutta la linea, ma di sicuro un passo in avanti”
Sull’immigrazione seppure poco e con molti limiti, l’Europa inizia a muoversi? Ieri, a La Valletta, i Ministri degli Interni di Italia, Germania, Francia, Malta e Finlandia(che occupa la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue nel corso di questo semestre) hanno raggiunto un accordo riguardante i richiedenti asilo. «Da oggi Italia e Malta non sono più sole, c’è la consapevolezza che i due Paesi rappresentano la porta d’Europa», ha dichiarato, riprendendo le parole pronunciate un anno fa dal Premier Giuseppe Conte, la titolare del Viminale, Luciana Lamorgese, dicendosi «molto soddisfatta» in quanto «il testo predisposto va nella giusta direzione ci sono contenuti concreti e abbiamo sciolto dei nodi politici complicati». Quello che è avvenuto a Malta, ha proseguito la Ministra, «è molto importante, un primo passo concreto per un approccio di vera azione comune europea»: del resto, ha aggiunto, «noi abbiamo sempre detto che chi arriva a Malta e in Italia arriva in Europa. E oggi questo concetto fa parte del comune sentire europeo».
Cosa prevede l’accordo definito inizialmente «una svolta storica» dal Presidente del Consiglio italiano? Innanzitutto la rotazione volontaria dei porti di sbarco stabilendo il principio, oggi enunciato dallo stesso Giuseppe Conte, che «il porto più sicuro non è per forza quello più vicino»; la redistribuzione riguarda tutti i richiedenti asilo e non solo coloro che hanno ottenuto lo status di rifugiato; tempi ‘molto rapidi‘ – non più di 4 settimane – per i ricollocamenti negli altri Paesi che si occuperanno delle procedure di verifica dei requisiti e degli eventuali rimpatri; la redistribuzione dei migranti su base obbligatoria con un sistema di quote che verrà determinato in base a quanti dei 28 Paesi membri dell’Unione Europea aderiranno all’intesa.
A detta di Horst Seehofer, Ministro dell’Interno tedesco, ieri sono stati «identificati alcuni regolamenti che aiutano Italia e Malta con procedure chiare e prevedibili per la riduzione dei rifugiati» e il «meccanismo di emergenza» impostato a grandi linee a Malta «aprirà la strada alla revisione della politica comune europea d’asilo», ossia del Trattato di Dublino che da sempre penalizza i Paesi di primo approdo come Italia e Malta.
Seehofer ha poi manifestato grande ottimismo affinché «in un breve futuro riusciremo a fare una politica comune europea». Auspicio condiviso dalla Ministra Lamorgese secondo la quale il «clima» del summit era «davvero positivo perché la politica migratoria va fatta insieme agli altri Stati». «Insieme», appunto, e non «contro» come, invece, nell’ultimo anno e mezzo, la ‘politica dei porti chiusi‘ dell’ex Ministro degli Interni e leader della Lega, Matteo Salvini, sembrava voler dimostrare: per ben 25 volte, è stato impedito a delle imbarcazioni, non solo di ONG, di entrare velocemente in Italia dopo avere prestato soccorso, imponendo loro di restare al largo delle coste italiane per una media di 9 giorni. Per raggiungere una soluzione, il governo italiano ha avviato delle trattative ad hoc con altri Stati europei, chiedendo la loro disponibilità a farsi carico di una quota dei migranti sbarcati. Nonostante la grande risonanza mediatica, piuttosto deludenti sono stati risultati: dei 1.346 migranti sulle cui imbarcazioni era stato iniziato un negoziato, solo 593 sono stati ricollocati in altri Paesi europei, ovvero il 4% del totale del totale degli sbarcati nel periodo che va da giugno 2018 ad agosto 2019 e che ammontano a 15.095 persone.
L’accordo di Malta testimonia che «un atteggiamento inutilmente litigioso, provocatorio, sterilmente fine a se stesso,non porta da nessuna parte; uno costruttivo, invece, porta risultati» ha affermato oggi Giuseppe Conte, evidenziando lo scarto tra quanto ottenuto nei quattordici mesi precedenti e quanto negli ultimi trenta giorni, da quando, cioè, si è insediato il nuovo esecutivo sostenuto da M5S e PD. Di parere opposto il leader della Lega al quale «sembra una sola, una fregatura. Gli unici contenti sono gli scafisti. Non so se il signor Conte se ne rende Conte». «Salvini non deve avere gelosia e invidia: abbiamo compiuto un passo avanti storico, che non era mai successo prima. Se si difende l’interesse italiano bisogna guardare al risultato, non bisogna guardare a chi lo ottiene e chi non lo ottiene» ha risposto il Presidente del Consiglio, rimandando le critiche al mittente che, a sua volta, in aperta polemica ha tenuto a puntualizzare: «In un anno di governo ho ridotto gli sbarchi del 75%, e in un solo mese di Pd-M5S gli arrivi sono aumentati. Questi sono fatti, mentre l’accordo di Malta è solo l’ennesima promessa dell’Europa. Tante parole ma fatti zero, come in passato» e poi «gli italiani non sono scemi: i numeri dicono che si stanno moltiplicando e poi li troveremo in giro per Roma, Milano, Palermo. Stanno partendo più migranti, stanno sbarcando di più e ne stanno morendo di più. Se i porti sono aperti, ne partono di più. Conte ha riaperto i porti sulla base di promesse dell’Europa che forse nei prossimi mesi il 10% che arrivano lasceranno l’Italia, che verranno distribuiti su base volontaria».
«Salvini di sole se ne intende, è un esperto in materia e va preso sul serio» ha sostenuto Marco Minniti, già Ministro degli Interni, convinto che si tratti di «un buon primo passo. Per esempio per la prima volta si parla di rotazione dei porti di sbarco. Segno che qualcosa incomincia a muoversi in Europa. Adesso le volontà espresse a Malta dovrebbero trasformarsi in Europa in cooperazione rafforzata. Primo passo verso il superamento del Trattato di Dublino».
Al di là della polemica politica, è innegabile che se l’Italia riesce ad incassare un primo, anche piccolo, risultato, sul fronte dell’immigrazione non è battendo i pugni sul tavolo, alzando la voce o disertando i tavoli negoziali bensì il contrario. E sebbene, come ha fatto notare il neo commissario europeo agli affari economici oltre che ex Premier Paolo Gentiloni «essere prudenti è d’obbligo, vedremo modalità e paesi disponibili, ma chi non vede la novità ignora la realtà dei fatti», è altresì fuor di dubbio che intraprendere tale sentiero virtuoso sarebbe impossibile senza Francia e Germania che però Roma, fino ad un mese fa, non faceva altro che insultare, raffreddando i rapporti. L’opposto, insomma, di quanto sarebbe necessario fare, come ha ben compreso il nuovo governo giallo-rosso.
Occorre ricordare, inoltre, che l’accordo non manca di punti problematici: ad esempio, l’intesa riguarda solo i migranti giunti con navi di ONG e della Marina Militare e non quelli che arrivano spontaneamente, ovvero i cosiddetti ‘sbarchi fantasma’, aumentati nel corso degli ultimi mesi; la rotazione dei porti su base volontaria potrebbe costituire una forzatura del diritto internazionale dato che lo sbarco dovrebbe avvenire nei porti sicuri più vicini; potrebbero nascere delle sperequazioni di trattamento tra le diverse rotte, suscitando eventuali contestazioni da parte di Paesi come la Grecia, tornata recentemente di nuovo
L’obiettivo è quello di allargare quanto più possibile il numero di Paesi volenterosi. Tuttavia, il convitato di pietra è costituito dai Paesi, come quelli del Gruppo di Visegrad, che non accetteranno di partecipare alla redistribuzione e per i quali è allo studio un meccanismo di sanzione in grado di penalizzarne, tra le altre cose, l’accesso ai fondi di coesione strutturali. Il governo di Budapest ha però già reso noto che «rifiuterà la pressione di qualsiasi Paese europeo che spinga l’Ungheria a consentire che gli immigrati clandestini attraversino i suoi confini» e Zoltan Kovacs, il segretario di Stato per le comunicazioni e le relazioni internazionali e portavoce del gabinetto di Viktor Orban, ha ribadito quanto già espresso a Roma dallo stesso Primo ministro ungherese durante l’intervento alla festa di Fratelli d’Italia di Atreju: «l’Ungheria è pronta ad aiutare l’Italia nella protezione dei confini, o persino a riportare i migranti da dove provengono. Ma non daremo assistenza al sistema delle quote di migranti né seguiremo ciecamente l’ideologia dei partiti a favore dell’immigrazione che predicano l’avvento di una ‘società di qualità più elevata’. L’ipotesi che l’Ungheria possa accogliere dei migranti è ‘assolutamente impraticabile’».
«Conto che altri Stati membri si uniscano quando discuteranno di questo al Consiglio Giustizia e Affari interni l′8 ottobre», ha scritto su Twitter il commissario europeo agli Affari interni Dimitris Avramopoulos. sottolineando che «i progressi sono possibili se c’è volontà politica». Intanto un primo concreto segnale è arrivato domenica sera quando l’ Ocean Viking ha ricevuto luce verde allo sbarco a Messina dei 182 migranti salvati e la cui ripartizione in 5 Paesi sarà coordinata dalla Commissione europea. Cosa cambia con l’accordo di Malta? Come risolvere i punti più critici? Lo abbiamo chiesto a Maurizio Ambrosini, Docente di Sociologia delle Migrazioni presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università degli Studi di Milano.
‘Rotazione volontaria’ dei porti di sbarco; ‘redistribuzione dei migranti su base obbligatoria’ con un sistema di quote che verrà determinato in base a quanti dei 28 paesi europei aderiranno all’intesa; tempi ‘molto rapidi’ – non più di 4 settimane – per i ricollocamenti negli altri Paesi che si occuperanno delle procedure di verifica dei requisiti e degli eventuali rimpatri;redistribuzione di tutti i richiedenti asilo e non solo di coloro che hanno ottenuto lo status di rifugiato: questi i punti principali dell’accordo di Malta. Con questa intesa, l’Italia «non è più sola» come ha dichiarato la Ministra degli Interni Luciana Lamorgese che ha poi sottolineato, usando le parole del Premier Giuseppe Conte di un anno fa, «chi sbarca in Italia sbarca in Europa»? In altre parole, si può parlare di svolta storica, come l’ha definita oggi il Presidente Conte?
Direi un passo avanti. Ci sono degli aspetti positivi: è vero che l’Italia è meno sola, è vero che gli Accordi di Dublino vengono in una certa misura rinegoziata e, forse, superati. Non è forse una vittoria su tutta la linea, non è una ‘svolta storica’ come enfatizzato da alcuni esponenti di governo. Intanto occorre rileggere alla fine il testo che, per ora, è una bozza. Ci saranno sicuramente altre trattative, ma, intanto, da quello che emerge, l’accordo dovrebbe riguardare i profughi salvati dalle navi delle ONG e della Marina militare e non quelli che arrivano spontaneamente, ovvero la maggioranza di quelli che arrivano ultimamente. ‘Chi sbarca in Italia sbarca in Europa’ vale, quindi, per tutti coloro che vengono salvati dalle navi di soccorsi, ma non vale per gli arrivi spontanei, che sono ormai noti con il nome di ‘sbarchi fantasma’.
E questo quali difficoltà può creare?
Bisogna dire che gli sbarchi sono diminuiti e non per la politica di Matteo Salvini, quanto piuttosto per gli accordi che sono stati fatti con altri Paesi tra cui il Niger e la Libia. Bisogna ricordare che i rifugiati, cioè i migranti in cerca di asilo, sono una piccola parte degli immigrati: abbiamo, per esempio, più di un milione e mezzo di immigrati provenienti dall’Est dell’Europa comunitaria, senza che nessuno vi ponga freni. C’è quindi una percezione distorta di questi fenomeni.
L’ex Ministro degli Interni e leader della Lega, Matteo Salvini, ha iniziato a parlare di «fumo negli occhi», di «sola», di «fregatura» da parte dell’Europa.
Salvini si prepara a misurare l’efficacia delle politiche migratorie in termini di qualche decina o centinaia di arrivi in più o in meno. E’ un ragionamento mal costruito e distorto che scambia i profughi con l’immigrazione. A fine 2018, abbiamo, tra rifugiati e richiedenti asilo, circa trecentomila persone su cinque milioni e mezzo di immigrati. Da questo punto di vista, ci prepariamo ad una stagione in cui ripartirà un dibattito su basi sbagliate, incentrate su percezioni non corrette dell’immigrazione.
I migranti economici e ambientali sono, quindi, contemplati nell’accordo?
Sì, ma ‘migranti economici’ è una categoria alquanto discutibile: vengono chiamati così gli immigrati irregolari. Rimane fuori più che altro il problema dei rimpatri nel senso che ogni Paese dovrebbe farsene carico. In questo senso, non si è andati in una direzione europea. Ma lì, in realtà, nessun grande Paese democratico ha mai avuto successi. Bisognerà lavorare molto di più sui rimpatri volontari assistiti, sugli accordi con i Paesi di origine, su misure sensate di legalizzazione di coloro che hanno fatto dei percorsi di integrazione. In realtà, tuttavia, la ridistribuzione è una soluzione intermedia, più che altro politica, che serve ad andare incontro ad opinioni pubbliche ipersensibili, ma bisognerebbe porsi il problema delle aspirazioni delle persone alle quali viene riconosciuto il diritto di asilo, cioè che vengono riconosciute degne della protezione internazionale. Se queste persone decidono di andare in Svezia o in Germania perché hanno dei parenti o perché sanno perfettamente che lì c’è più lavoro, ha senso spedirli in Romania o in posti dove non vogliono andare? Tra l’altro, già abbiamo questo fenomeno di rifugiati che, seppur protetti provvisoriamente in Paesi come il nostro, appena possono, decidono di andarsene. Un esempio sono gli eritrei. Pensare, dunque, di obbligare le persone a restare in posti dove non vogliono restare mi sembra un modo per tradire l’impegno alla protezione. Nella stessa logica, non si può chiudere gli occhi rispetto a coloro i quali sono rimasti in Libia, nei centri di detenzione, cioè quelli di cui i Paesi democratici dovrebbero farsi carico. Nei centri libici ci sono sette-ottomila persone e si potrebbe pensare ad un corridoio umanitario che li porti in salvo in territorio europeo, dato che per ora sono sotto il tiro delle opposte fazioni. Più difficile sarà bonificare i centri detenzione delle varie milizie, ma anche su quello l’Unione Europea potrebbe attivarsi coinvolgendo le agenzie internazionali come l’UNHCR o l’ONU stessa. Io penso che il nostro sguardo è ancora troppo rivolto agli interessi interni, al fatto di palleggiarsi un qualche migliaio di migranti senza mettere al centro i diritti dei più deboli.
Non c’è pericolo che rimangano fuori dall’accordo alcuni Paesi come la Grecia, dove ultimamente gli sbarchi sono tornati ad aumentare, e che, di conseguenza, si crei una sperequazione di trattamento tra rotte oltre che un sistema più frammentato?
Questo non è ancora chiaro. Da quello che si è capito l’accordo di Malta tra alcuni Paesi dovrebbe essere la base per un accordo più ampio, coinvolgendo un numero sempre maggiore nell’accoglienza. Penso che sia inevitabile farsi maggiormente carico della situazione della Grecia, dei migranti malamente accolti in questa fase: il caso dell’Isola di Lesbo. Il caso della Spagna è un po’ diverso perché ne arrivano relativamente pochi, anche se c’è stato un piccolo aumento. A mio avviso, però, finora, la Spagna ha giocato più un ruolo retorico di ‘Paese accogliente’ quando i numeri sono bassissimi: quindi dovrebbe essere esortata a fare di più.
Si parla di rotazione volontaria dei porti di sbarco. Il Premier Conte ha oggi affermato che con l’accordo di Malta viene stabilito che «il porto più sicuro non è per forza quello più vicino». E’ così e potrebbero nascere problemi dal punto di vista del diritto internazionale?
E’ una piccola forzatura perché in realtà le persone salvate in mare dovrebbero essere fatte scendere nel porto più vicino dove possono ricevere le cure del caso. Non si tratta quasi mai di persone in ottime condizioni, bensì di profughi che hanno già subito violenze e vessazioni di ogni tipo. E’ una forzatura e Conte, da buon avvocato, gioca un po’ con le parole in quanto il problema non è qual è il porto sicuro, ma che noi spingiamo le navi verso altri porti. Non saranno meno sicuri di quelli italiani, ma certamente richiederanno viaggi e permanenze in mare più lunghe per persone che, invece, andrebbero quanto più rapidamente possibile sbarcate. Speriamo che questa versione dei fatti regga rispetto ad eventuali ricorsi alle Corti di giustizia internazionali, alla Corte di Strasburgo.
Nella stessa intervista Giuseppe Conte afferma, alludendo alle politiche messe in campo dall’ex Ministro degli Interni Matteo Salvini da lui bollato come geloso di quanto ottenuto, che l’accordo di Malta dimostra come «un atteggiamento inutilmente litigioso, provocatorio, sterilmente fine a se stesso, non porta da nessuna parte; uno costruttivo, invece, porta risultati». Ha ragione il Premier oppure quanti sostengono che tale risultato è il frutto della linea dei ‘porti chiusi’ (se mai sono stati chiusi?) di Salvini?
In questo caso concordo con Conte perché non mi sembra che l’approccio urlato di Salvini abbia mai ottenuto dei risultati. Approccio, quello dell’ex Ministro degli Interni, condito dall’assenza dai tavoli negoziali: a Parigi l’Italia sarebbe dovuta essere presente visto che già all’epoca Macron aveva prospettato un’apertura simile a quella che si sta profilando adesso. Da questo punto di vista, penso che Salvini non avesse di mira accordi veri quanto piuttosto continuare ad agitare la questione per ragioni di bottega: per esempio, il fatto che lui abbia sempre sostenuto l’accordo con i Paesi di Visegrad che chiudevano sistematicamente la porta ad una ridistribuzione dimostra che non era in buona fede, o comunque non perseguiva un vero accordo con i partner europei per la gestione dei flussi di profughi dal mare. Per quanto riguarda i porti, anche questa è una riuscita operazione comunicativa nel senso che sono sempre rimasti aperti a tutte le imbarcazioni tanto che alcuni migranti l’hanno utilizzati, arrivando in barca a vela. In realtà, non c’è mai stato un decreto che dichiarasse la chiusura dei porti: sono stati impediti degli sbarchi con dei tweet.
Il Governo Conte Bis, anche con l’aiuto di una Ministra degli Interni ‘tecnica’ e molto preparata, ha impostato una vera discontinuità dal Governo precedente dei Decreti Sicurezza?
E’ oscillante: vedo che continuano a ribadire la lotta al traffico illecito di esseri umani quasi a voler ricalcitrare l’idea di rinnegare provvedimenti che hanno votato sotto la precedente esperienza governativa. Deve ancora affrontare la revisione dei Decreti Sicurezza e su una diversa politica migratoria intesa in senso ampio per esempio sul terreno di una nuova legge sulla cittadinanza e sulla riapertura a qualche forma di immigrazione per lavoro. Quindi non è ancora chiara la direzione che prenderà il governo, anche se probabilmente ha smussato alcune asperità ed oggi ha ottenuto questo risultato interessante a Malta.
Dal punto di vista delle politiche sull’immigrazione, qual è il vero Conte? Quello che ha firmato i Decreti Sicurezza o quello di oggi?
Io tendo a credere che il vero Conte sia quello di adesso. Dal punto di vista della sua formazione, rivendica di essere un ‘cattolico democratico’ e mi sembra credibile. Diciamo che, come del resto il M5S, si è dimostrato disponibile a fare anche il contrario rispetto a quello che lui intimamente crede. E questo, in politica, può essere in parte necessario, in parte può essere segno di una certa ambiguità. E questo vale anche per il M5S: ricordiamo la frase di Di Maio ‘ONG taxi del mare’.
I critici dell’accordo parlano di conseguente aumento dei flussi, di «incentivo agli scafisti»e, in riferimento alle ONG, di invito a non rispettare le leggi. E’ vero?
Io credo che faccia parte del gioco delle parti quello di caricare sull’accordo e sull’orientamento più morbido del governo italiano responsabilità nell’aumento dei flussi e delle persone sbarcate. In realtà si enfatizza un problema che ha dimensioni molto più ristrette: quindi anche se ci fosse un leggero aumento dei flussi sarebbe del tutto fisiologico e sopportabile pensando alla vicinanza tra l’Europa e l’Africa, in quel focolaio di tensioni di vario genere. Il paradosso era quello di non consentire alle persone minacciate nella loro integrità di arrivare a richiedere asilo. Oggi, il gesto di sopportare un leggero aumento sarebbe del tutto coerente della difesa dei diritti umani propria dei Paesi democratici.
Tuttavia, la missione europea ‘Sophia’ non è stata riattivata?
No e nemmeno il ruolo delle ONG non è stato sdoganato. Non ho visto chiarezza su questi punti o maggiore impegno sui salvataggi così come non ho visto chiarezza rispetto alla rinegoziazione dei rapporti con la Libia. Quindi mi sembra che non solo l’Italia, ma l’intera Unione Europea resti ambigua nel suo impegno umanitario.
E’ possibile, anche alla luce di questo accordo, che in Europa si inizi a pensare ad un meccanismo di sanzione per chi non accetta di fare la sua parte, anche se in questo caso si parla di redistribuzione volontaria?
Sono molto colpito dall’idea che l’Unione Europea sia così flessibile e così volontaristica sul tema del rispetto dei diritti umani. Questo è un tradimento dello stesso patto costitutivo dell’Unione Europea. Per questo i Paesi di Visegrad andrebbero colpiti in modo molto severo: con il taglio del 10% dei fondi il primo anno, del 20% il secondo anno, del 30% il terzo anno e così via. In breve tempo metterebbero i tappeti rossi ai rifugiati.
Possiamo dire che siamo sulla buona strada per una futura modifica degli accordi di Dublino?
Mi pare che di fatto questi accordi mettano in discussione quelli di Dublino. Può essere che non lo formalizzino, ma mostrano la volontà di andare verso un sistema diverso di gestione del sistema di asilo. Quindi, in realtà, ci stiamo già dirigendo verso una nuova configurazione del sistema europeo dell’asilo. Resta ancora molto lavoro da fare, invece, sul fronte ‘esterno’ per assicurare la tutela dei diritti umani di chi fugge da guerre e persecuzioni.
C’è la possibilità, dunque, che si arrivi ad un meccanismo che venga accettato e ratificato anche dagli altri Paesi europei?
Secondo me sì a patto che i numeri rimangano così bassi come adesso. Qui la tenuta dell’accordo si collega con una politica di contenimento dei richiedenti asilo, quella basata sui famigerati accordi con Turchia, Libia, Niger, Tunisia. Mentre temo che l’accordo salterebbe se i numeri dovessero crescere.
Se la strada intrapresa venisse percorsa senza incertezza e con continuità anche in futuro, è ipotizzabile che nel tempo i sovranisti inizino a temere la perdita di un cavallo di battaglia?