“L’ambizione nucleare potrebbe essere più utile se venisse utilizzata in maniera propagandistica piuttosto che se venisse effettivamente perseguita”

«Dicono che non possiamo avere missili con testate nucleari, anche se alcuni li hanno. Questo non posso accettarlo» ha affermato recentemente Recep Tayyip Erdoğan. Una nuova impuntatura del Presidente turco potrebbe, in realtà, aprire l’ennesima crepa nelle già complesse relazioni tra Ankara e l’Occidente, Stati Uniti e NATO in primis. Un assaggio si è avuto nelle ultime settimane, in occasione dell’operazione ‘Fonte di Pace’ che la Turchia ha condotto in Siria. Ma la domanda che molti si sono posti è: se gli Stati Uniti, che non sono riusciti (non hanno voluto?) ad impedire al leader turco di creare la safe zone in territorio siriano, come potranno impedirgli di costruire un’arma nucleare?

La rivendicazione fatta da Erdogan è apparsa del tutto nuova, quanto meno nei toni, visto che l’ambizione di una propria arma nucleare non l’aveva mai palesata in modo così esplicito. Fin dalla Guerra Fredda, la Turchia è sempre stata membro fedele dell’Alleanza Atlantica quale bastione orientale contro il nemico rosso, l’Unione Sovietica tanto che, negli anni ’50, nell’ottica del ‘nuclear sharing’ per rassicurare i Paesi europei dell’impegno americano in loro difesa e dissuadere un attacco da parte dell’URSS, fu scelta come uno degli Stati nei quali vennero schierate dei missili nucleari i quali, a loro, volta, sarebbero stati ritirati dopo la Crisi dei missili cubani del 1962, quando il presidente John F. Kennedyaccettò tale condizione in cambio della stessa azione di Mosca a Cuba. Al posto dei missili, in Turchia, sarebbero state schierati degli ordigni tattici B61 – circa 50 – che si trovano nella base aerea turca di Incirlik e per le quali, durante il tentativo di colpo di stato militare nel luglio 2016, l’amministrazione Obama aveva elaborato un ampio piano di emergenza per la loro rimozione. Piano che non fu mai messo in atto, in parte a causa dei timori che la rimozione delle armi americane avrebbe minato l’alleanza e forse avrebbe dato ad Erdogan un pretesto per iniziare a costruire un proprio arsenale.

Nelle ultime settimane queste bombe sono tornate alla ribalta, in particolare durante la crisi siriana. In molti , osservatori, specie americani, hanno espresso preoccupazione per la sicurezza delle armi nucleari statunitensi in Turchia, con la quale le relazioni sono andate peggiorando negli ultimi mesi: un ultimo esempio è stata l’approvazione bipartisan da parte della Camera americana di una risoluzione che riconosce il genocidio armeno e un’altra che chiede al Presidente Donald Trump di imporre sanzioni e altre restrizioni alla Turchia e ai dirigenti di quel Paese per l’offensiva nella Siria settentrionale. La reazione turca non si è fatta attendere con la convocazione di David Satterfield, ambasciatore Usa ad Ankara. La preoccupazione per le 50 testate ad Incirlik riguarda soprattutto la possibilità che, in caso di tensioni con Washington, possano venire sottratte dal controllo statunitense da parte dei turchi.

Centrale è dunque il tema dell’allentamento del legame transatlantico della Turchia con gli USA di cui  l’acquisto del sistema di difesa missilistico russo S400 con la conseguente esclusione turca dal programma F35 è un campanello d’allarme e che porta la Turchia a non fidarsi più dell’ombrello nucleare americano, spingendola a pensare ad un proprio deterrente.

Nel 1980 Ankara ha sottoscritto il Trattato di non proliferazione nucleare (TNP) che ha come obiettivo quello di impedire l’aumento del numero di possessori di armi nucleari oltre i cinque Paesi che l’avevano già conquistata prima del 1 gennaio 1967. In seguito ha siglato la messa al bando degli esperimenti nucleari. Sulla base di quanto stabilito dalla Corte Internazionale di Giustizia, se la partecipazione ai negoziati per il disarmo è un obbligo, il disarmo in sé non lo è. Quindi non si sarebbero conseguenze dal punto di vista del diritto internazionale, tuttavia risulterebbe impossibile utilizzare a mo’ di pretesto la critica dei ‘due pesi e due misure’ che la Turchia, come dieci anni fa, mosse contro quegli Stati (come Israele) che condannano altri Stati che vogliono l’arma nuclere anche se loro stessi già le possiedono: la differenza è sottile, ma sostanziale e riguarda il fatto che lo Stato Ebraico, a differenza dell’Iran e della stessa Turchia, non ha firmato il Trattato di non proliferazione.
Qualora decidesse di denunciare il TNP, la Turchia assumerebbe una posizione di fronte attrito con la NATO e con l’Alleanza Atlantica, cosa di cui potrebbe voler avvantaggiarsi Mosca alla quale, specie negli ultimi anni, il regime turco è parso guardare in diverse circostanze. Ed è proprio la Russia che costruirà, per 20 miliardi di dollari, la prima centrale nucleare civile su territorio turco destinata alla produzione di energia elettrica che dovrebbe essere attivata nel 2023.
Per molti osservatori, tale impianto potrebbe essere il primo passo verso l’avvio di un programma nucleare di natura militare, anche se, come vedremo, è impossibile sfuggire ai controlli dell’Aiea. Programma nucleare che, a detta di molti, Ankara avrebbe già avviato, in gran segreto, da anni, potendo contare su depositi di uranio e reattori di ricerca oltre che sui rapporti con il più noto trafficante di tecnologie nucleari, il pachistano Abdul Qadeer Khan. Ma oltre al mercato nero, niente esclude che ci possano essere anche altri Stati disposti ad aiutare Erdogan nell’obiettivo di dotarsi dell’arma nucleare, la quale potrebbe garantirgli una certa supremazia regionale, mettendo nel mirino Paesi come Israele, Arabia Saudita, Emirati, Iran, Egitto, ma anche la Grecia, quindi anche l’Europa, oltre alla stessa Russia che, pur di portare sotto la sua sfera di influenza Ankara, dovrebbe condividere il confine con una Turchia nuclearizzata. Un conto piuttosto salato da pagare.
Nel Medioriente, inoltre, la proliferazione nucleare sarebbe quasi scontata con tutti i rischi che questo comporta in una regione già fortemente critica. E’ solo propaganda quella di Erdogan, sempre più in affanno a livello interno? Oppure il legame della Turchia con gli Stati Uniti e la NATO potrebbe effettivamente sfilacciarsi? A queste domande ha risposto Stefano Silvestri, Direttore editoriale di ‘AffarInternazionali’ oltre che consigliere scientifico presso lo IAI (Istituto Affari Internazionali).
«Dicono che non possiamo avere missili con testate nucleari, anche se alcuni li hanno. Questo non posso accettarlo» ha dichiarato recentemente Erdogan. È la prima volta che la Turchia fa questo tipo di rivendicazioni? 
Che io ricordi sì. La Turchia ha sempre aderito alla politica nucleare dell’Alleanza Atlantica, tra l’altro ospitando testate nucleari a medio raggio, che ospita ancora oggi, e i missili a medio raggio schierati contro l’Unione Sovietica che sarebbero stati ritirati dopo la Crisi di Cuba. Ma restarono le testate nucleari tattiche, teoricamente anche destinate all’uso da parte degli aerei turchi, come del resto quelle presenti in Italia. Diciamo, però, che a differenza dell’Italia, la Turchia da molti anni non ha più aerei attrezzati per trasportare testate nucleari visto che devono avere particolari caratteristiche tecniche. E quindi le testate nucleari tattiche presenti in Turchia possono essere solo usate da aerei americani che possiedono questa capacità.
Tra l’altro, pochi mesi fa, in risposta all’acquisto turco del sistema di difesa S-400, gli Stati Uniti hanno escluso la Turchia dal programma F35. 
Sì, sebbene anche per gli F35, la Turchia avrebbe dovuto ordinare la versione specificamente attrezzata per il trasporto di armi nucleari, cosa che non aveva fatto. Perciò la Turchia non ha mai mostrato grande interesse, in realtà, a possedere le armi nucleari.
La Turchia, facendo parte della NATO, rientra nel ‘nuclear sharing’ che ha sempre contraddistinto l’Alleanza Atlantica fin dalla Guerra Fredda per assicurare i Paesi europei e, al contempo, per dissuadere il nemico sovietico. Quindi perché, in questo momento, la Turchia rivendica la possibilità di avere l’arma nucleare? Perché non si fida più dell’alleanza con gli Stati Uniti? 
Sì, la Turchia si sta in qualche modo allontanando dall’Alleanza Atlantica e, in particolare, dagli Stati Uniti e quindi in una visione più autonoma rischia di dover pensare alla possibilità di doversi assicurare una propria dissuasione autonoma e quindi le proprie armi nucleari, che però non è un processo né semplice né rapido.
Nel 1980 la Turchia ha firmato il Trattato di non proliferazione nucleare e successivamente la messa al bando degli esperimenti nucleari. Se anche  Erdogan volesse perseguire l’obiettivo dell’arma nucleare, la Turchia sarebbe il primo Paese della NATO ad uscire dal Trattato di non proliferazione. Quali conseguenze comporterebbe dal punto di vista internazionale questa mossa,  posto che, sebbene la partecipazione ai negoziati per il disarmo è un obbligo internazionale, il disarmo in sé non lo è?
Certo, la Turchia può denunciare, quindi può uscire da questi trattati: c’è un periodo di tempo di circa un anno in cui deve preannunciare la sua uscita e poi può uscire. Dopodiché non è più legata agli obblighi previsti da quei trattati. Dal punto di vista del diritto internazionale, questo non crea problemi quanto piuttosto fa emergere dei problemi politici gravi visto che sarebbe il primo Paese dell’Alleanza Atlantica che esce dal Trattato di non proliferazione nucleare e sarebbe una denuncia del Trattato in Medioriente che sicuramente non piacerebbe neanche alla Russia perché, ricordiamo, il Trattato di non proliferazione nucleare è un’iniziativa russo-americana.
Creerebbe, quindi, un enorme imbarazzo all’Alleanza Atlantica? 
Certo, sarebbe veramente difficile sapere come la Turchia resterebbe nella NATO dopo aver fatto una mossa di questo genere perché dovrebbe sviluppare un armamento nucleare in polemica sia con la Russia sia con gli Stati Uniti, ma anche con Francia e Gran Bretagna, altri due Paesi con armi nucleari membri dell’Alleanza, oltre che con i Paesi europei della NATO e firmatari dello stesso Trattato di non proliferazione. Sarebbe, io credo, una decisione comprensibile solo se la Turchia scegliesse una strada di auto-isolamento, nazionalista e cioè nel caso di un’uscita della NATO che però sarebbe sempre successiva alla denuncia del Trattato di non proliferazione.
Crede che Erdogan sia più interessato allo sviluppo di un armamento nucleare tattico o strategico?
A lui servirebbe un armamento nucleare se non altro a media gittata, per compensare sia le eventuali minacce dal Medioriente sia dalla Russia.
Per garantirsi una sorta di supremazia regionale?
Sì, di copertura regionale. Lui ha citato l’esempio di Israele che ha un armamento nucleare strategico regionale, visto che potrebbe attaccare tutti i Paesi della sua regione. Che è poi quello che gli interessa. Però non so neanche se veramente Erdogan pensi all’arma nucleare: penso che questa sia un po’ una provocazione perché ancora non seguono atti concreti volti ad implementare questo eventuale piano.
L’argomento che Erdogan usa, anche a fini propagandistici, riguarda in sostanza ‘i due pesi, due misure’ che vengono applicati alla Turchia rispetto ad altri Paesi come, appunto, Israele. È una tesi che regge?
No. Israele non è un firmatario del Trattato di non proliferazione, l’Iran sì. C’è una differenza sostanziale. Io, ad esempio, sono del parere che si debba arrivare ad una zona denuclearizzata in tutto il Medioriente, compresa Israele, però il processo non mi sembra ben partito.
Come ricordava poco fa, il processo di avviamento di un programma nucleare è tutt’altro che semplice. 
A meno che non si comprino armi nucleari già pronte.
La Russia, però, di recente, si è accordata con la Turchia per la costruzione del primo impianto nucleare civile per l’energia elettrica sul suolo turco. È dunque Mosca colei che potrebbe aiutare Erdogan a dotarsi dell’arma nucleare?
Io ne dubito molto perché Mosca è da sempre stat interessata al mantenimento del Trattato di non proliferazione nucleare. La centrale nucleare che i turchi costruiranno con l’apporto russo è sottoposta ai controlli dell’Aiea, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, secondo quanto disposto dal Trattato di non proliferazione e i protocolli addizionali, tutti sottoscritti e ratificati dalla Turchia. Quindi finora questo contratto russo non solo è perfettamente legale, ma è perfettamente in linea con il Trattato di non proliferazione. Se le cose dovessero cambiare, vedremo.
Alcuni analisti ritengono che la Russia, come nel caso del sistema di difesa missilistico S-400, possa utilizzare anche questa collaborazione per la costruzione della centrale nucleare come strumento per esacerbare le tensioni tra la Turchia, da una parte, e la NATO e gli Stati Uniti, dall’altra. Condivide?
Da un certo punto di vista forse sì, ma distinguerei i sistemi civili da quelli militari. La centrale nucleare prevista dovrebbe servire alla produzione di energia elettrica e non di plutonio o uranio arricchito, per cui non è direttamente collegata allo sviluppo di un armamento nucleare. Non è un primo passo verso l’arma nucleare visto che per farlo l’impianto civile dovrebbe essere distratto dalle sue funzioni: al momento l’impianto civile neanche c’è, ma comunque, per farlo, occorrerebbe uscire dal Trattato di non proliferazione. Se poi le cose cambiassero e la Russia decidesse di aiutare la Turchia per staccarla definitivamente dalla NATO e farla entrare nella sua sfera di influenza, sarebbe un pagamento molto alto di Mosca e non so quanto veramente sia disposta a farlo. Non dimentichiamoci che la Russia partecipa anche all’accordo che impedisce all’Iran di avere l’arma nucleare.
Dal punto di vista dell’interoperabilità della NATO, una Turchia con l’arma nucleare è fuori discussione?
Sarebbe un grosso problema soprattutto per quello che riguarda il processo di acquisizione dell’arma nucleare. La fase iniziale sarebbe estremamente complessa e litigiosa.
Anche perché la Turchia potrebbe dover dipendere da tecnologie straniere. C’è qualche altro Stato, oltre la Russia, che potrebbe aiutare la Turchia a sviluppare un programma nucleare?
Non credo che, per esempio, l’Iran possa farlo data la diversa linea politica. Mi sembra più facile che la Turchia possa trovare un sostegno dal Pakistan che, tra l’altro, ha già l’arma nucleare.
Il mercato nero potrebbe effettivamente costituire per la Turchia una fonte di approvvigionamento delle tecnologie necessarie per lo sviluppo del programma  nucleare?
Sì, in passato è successo e potrebbe accadere anche questa volta. Tuttavia, poi, bisognerebbe avere i materiali fissili, i missili, e tutta una serie di cose che servono visto che l’arma nucleare, di per sé, non basta.
E poi c’è il problema del combustibile. In che modo se lo può procurare la Turchia?
Lo può trovare sul mercato, ma ci sarebbe sia il problema del combustibile per continuare ad alimentare la centrale nucleare per le sue normali funzioni, anche se il tipo di combustibile non ‘weapons grade’ è al 2-3%, per essere ‘weapons grade’ dovrebbe arrivare a 70-80%, ma lo stesso Iran con il suo processo di arricchimento non era ancora arrivato a produrre un arricchimento ‘weapons grade’. È un processo molto lungo, ma anche per una centrale civile occorre comprare uranio arricchito, seppure a basso livello. È chiaro, però, che se c’è una polemica in corso, diventa più difficile, ma è comunque possibile come dimostrano Stati come la Corea del Nord.
Da questo punto di vista, al momento Erdogan è molto lontano dall’avere anche un discreto programma nucleare?
L’unico modo che Erdogan avrebbe per farsi una forza nucleare, al momento, sarebbe comprarla, non avendo né tecnologie né materiali.
Esclude che nel corso degli anni la Turchia possa aver avviato un programma nucleare, segreto anche agli alleati?
Non lo escludo pienamente però, in quel caso, sarebbe un programma di laboratorio, molto limitato perché i controlli dell’Aiea non hanno rilevato nulla.
Se la Turchia volesse dotarsi di un efficace strumento nucleare, quale componente della triade dovrebbe essere sviluppata in modo prioritario?
Posto che dovrebbe avere la possibilità di costruirsi o comunque la disponibilità di una bomba, dovrebbe decidere naturalmente la componente più utile, seguendo il modello israeliano, cioè quella missilistica.
E a questo riguardo, mancante di una propria tecnologia, la Turchia potrebbe acquisirla sul mercato nero o da altri Stati?
Certamente potrebbe acquistare la tecnologia missilistica come ha fatto, per esempio, l’Arabia Saudita che, a suo tempo, acquistò missili intercontinentali a lungo raggio dalla Cina.
Su quale componente della triade la Turchia ha qualche vantaggio?
Al momento nessuna componente è sviluppata. Certo ha gli aerei, ma, al momento non montano armi nucleari.
C’è poi la questione dei circa 50 ordigni nucleari americani nella base turca di Incirlik. Diversi osservatori hanno espresso preoccupazione paventando la possibilità per cui, in caso di compromissione delle relazioni tra Washington e Ankara, i turchi potrebbero prenderne il controllo. Condivide questi timori?
Attualmente quelle armi sono sotto il controllo americano, ma si trovano in basi turche. Quindi effettivamente potrebbero esser prese anche se la testata, di per sé, non è sufficiente. Dovrebbero comunque superare i sistemi di sicurezza delle testate stesse che impediscono agli ordigni di esplodere se non c’è anche la chiave elettronica presente nelle testate stesse. E poi dovrebbero avere dei vettori per trasportarle. Comunque un’operazione di questo genere sarebbe un’operazione di guerra contro gli Stati Uniti e francamente mi sembra un po’ azzardata.
Di certo gli Stati Uniti si trovano in una posizione piuttosto scomoda: quand’anche gli ordigni fossero in pericolo, un spostamento in un altro Paese della NATO, apparirebbe agli occhi turchi come un allontanamento dell’Alleanza, offrendo addirittura il pretesto ad Erdogan per avviare un suo programma nucleare. 
Sì, ma non credo che gli Stati Uniti pensino di ritirare queste testate che, tutto sommato, sono relativamente sicure. Non sarebbe un grandissimo danno per gli Stati Uniti se la Turchia si impadronisse di queste testate. Sarebbe soprattutto uno schiaffo politico rispetto al quale bisognerebbe reagire. Ma sarebbe un problema per tutto il Medioriente perché ci sarebbero delle testate che non si sa che mani sono e se possono essere usate, vista la presenza di alcuni sistemi di sicurezza. Tuttavia, non penso che gli americani abbiano intenzione di ritirarle: se Erdogan dovesse denunciare il Trattato di non proliferazione o dovesse dare qualche indicazione che non lo sta più rispettando, allora gli Stati Uniti avrebbero tutte le giustificazioni per riportarsele a casa.
Nel mirino di una Turchia dotata di armi nucleari, ci sarebbero Israele, Arabia Saudita, Iran, Emirati Arabi, Russia, Grecia. E’ corretto?
Certamente. Anche per la Russia sarebbe imbarazzante e fastidiosa a meno che la Turchia non diventi parte della sfera di influenza russa. Però dubito che questi siano i piani di Erdogan e che la Turchia abbia queste intenzioni.
Quindi anche l’Europa, in teoria, potrebbe esser minacciata da una Turchia con l’arma nucleare?
In teoria sì, in pratica faticherei a capirne il motivo anche perché l’Europa non solo è coperta dallo scudo nucleare americano, ma ha al suo interno due Stati con armi nucleari. Sarebbe politicamente molto minacciata perché questo crea un forte disturbo nel Mediterraneo orientale.
E qualora la Turchia si dotasse dell’arma nucleare, è plausibile l’inizio di una proliferazione nucleare a catena in Medioriente?
Certamente, credo sarebbe molto difficile impedirla.
E in Europa?
Non credo.
Gli Stati Uniti e la NATO dispongono di strumenti concreti per disincentivare Ankara dal perseguire un programma nucleare?
È molto difficile perché mi pare che Erdogan sta facendo un’operazione abbastanza a freddo di polemica con l’Occidente e che quindi è legata alla sua scelta di diventare un attore regionale determinante in Medioriente. Quindi, a parte il tentativo di mantenere un buon dialogo, mi sembra molto difficile riuscire a fare una politica che faccia cambiare idea ad Erdogan.
Lo strumento sanzionatorio potrebbe essere usato?
Sì certo e l’economia turca ne soffrirebbe. In questo senso credo piuttosto che sia una provocazione politica quella di Erdogan perché la Turchia ha molto, troppo da perdere da una lite di questo genere, sia dal punto di vista economico, che militare e di immagine politica.
La retorica ‘nucleare’ potrebbe essere utilizzata da Erdogan, negli ultimi mesi in affanno a livello interno, per rafforzare la sua leadership, il suo regime?
Certamente l’immagine del ‘campione nucleare’ potrebbe rafforzare la leadership politica di Erdogan, a mio avviso, però, più se viene utilizzata in maniera propagandistica che se viene effettivamente perseguita, considerate le forti controindicazioni.
Fino a quando gli Stati Uniti potranno resistere alle richieste turche? Quale sarebbe la linea rossa?
La linea rossa sarebbe se la Turchia facesse dei passi concreti in direzione di un suo armamento nucleare.
E l’amministrazione Trump, sempre più sotto una pressione bipartisan, da parte democratica e repubblicana?
Non so se Trump sarebbe preoccupato per una Turchia con l’arma nucleare. Dovrebbe reagire per ragioni politiche, ma non credo che veda questo come una minaccia per gli Stati Uniti. Le pressioni bipartisan lo imbarazzerebbero, imporrebbe delle sanzioni economiche, probabilmente vedrebbe la situazione come l’occasione per mettersi d’accordo con Putin contro Erdogan, ma non è la persona più preoccupata dal Trattato di non proliferazione nucleare.
Quindi per il momento, quella di Erdogan è solo propaganda?
Per il momento penso proprio di sì.