“Israele continuerà a cercare di mediare tra Russia e Ucraina anche se appare improbabile ottenere un successo. Anche se le probabilità non sono grandi tutte le volte che c’è una piccola fessura, nostro obbligo morale è di fare ogni tentativo” per far dialogare tutte le parti. A dirlo è stato il Premier israeliano Naftali Bennett che, nella riunione di governo di domenica a Gerusalemme, ha tenuto a precisare che “la situazione sul campo non è buona, la sofferenza umana è grande e può diventare ancora maggiore se le cose continuano così. Ci sono israeliani che sono lì e che hanno bisogno di tornare a casa e comunità ebraiche in difficoltà che hanno bisogno di aiuto. Finché la candela è accesa, dobbiamo provare, e forse possiamo ancora agire”.

La sera prima, una volta lasciata Mosca dove aveva avuto un colloquio con il Presidente russo, Vladimir Putin, Bennett si era recato a Berlino per conferire con il Cancelliere tedesco, Olaf Scholz, ed aveva parlato al telefono con il Presidente francese, Emmanuel Macron.

Un clima cordiale si è registrato anche nell’ultimo incontro in Lettonia tra il Segretario di Stato americano Antony Blinkene il ministro degli Esteri di Israele Yair Lapid, durante il quale si è discusso dell’attuale conflitto russo-ucraino e degli accordi sul nucleare con l’Iran.

«Apprezziamo molto gli sforzi che qualsiasi nostro partner, amico e alleato possa fare per cercare un’apertura per porre fine alla guerra, in coerenza – ovviamente – con i principi che abbiamo stabilito insieme al governo ucraino e al popolo ucraino, che deve avere la propria sovranità, indipendenza e integrità territoriale», ha sottolineato Blinken. Poi, Lapid ha chiarito che lo Stato ebraico non userà mezzi termini per condannare l’invasione russa dell’Ucraina.

A parte ciò, Lapid ha espresso preoccupazione per le condizioni del nuovo accordo nucleare tra USA e Iran. I timori di Israele stanno crescendo soprattutto “nel momento in cui l’ordine mondiale sta cambiando”.

«Non è un segreto che abbiamo le nostre divergenze su questo, ma è una conversazione tra alleati che hanno un obiettivo comune: impedire all’Iran di diventare un paese nucleare, fermando la sua capacità di diffondere terrore e instabilità in tutto il mondo», ha chiarito Lapid.

Il viaggio in Russia era stato coordinato in anticipo con i principati alleati di Israele oltre che attori fondamentali di questa tragica vicenda, ovvero Stati Uniti, Francia e Germania, ma anche la Turchia, che sta provando a giocare un ruolo di mediatore e il cui Presidente Erdogan ospiterà domani il Presidente israeliano Herzog sarà ad Ankara in una visita storica, alla vigilia del forum di Antalia dove sarebbe previsto il primo incontro di alto livello tra i ministri degli Esteri russo e ucraino.

Israele, che ambiziosamente vuole provare a ritagliarsi un più prestigioso ruolo internazionale, aveva molte frecce al suo arco: in Israele vive una enorme comunità di ebrei russi mentre anche in Ucraina si calcola che ci siano almeno 50.000 ebrei tra i quali c’è anche il Presidente Zelensky. A questo riguardo, il premier ha aggiunto che Israele si attende prossimamente una “grande Aliyah” ovvero una grande e massiccia immigrazione ebraica dall’Ucraina: “Momenti come questo, in cui il mondo sta affrontando uno sconvolgimento e gli ebrei non sono più al sicuro dove sono, ricordano a tutti noi quanto sia importante che ci sia una casa per gli ebrei, chiunque essi siano, e quanto sia importante per noi avere lo Stato di Israele”.

Durante il colloquio con Putin, si è dunque parlato anche del destino di quelle comunità e, non a caso, a fianco di Bennett era presente anche il ministro dell’edilizia e delle costruzioni Zeev Elkin, che ha fatto da traduttore, ma è nato a Kharkiv, ha un fratello in Ucraina e ha fatto l’interprete nelle diverse visite di stato tra Israele e Russia.

Più di un rumors avrebbe attribuito proprio a Kiev la richiesta a Israele di intervenire in campo come mediatore. Del resto, la sua posizione fino alla settimana scorsa, era stata estremamente cauta, al punto che il governo aveva condannato l’invasione russa dell’Ucraina attraverso il Ministro degli Esteri, Yair Lapid, ma evitando di far pronunciare al Premier parole dure. Dal Primo Ministro, infatti, era arrivato il sostegno al popolo ucraino, chiedendo negoziati, oltre ad accogliere oggi i profughi arrivati dall’Ucraina, ma niente di più: “La guerra è una cosa terribile… Le guerre sono facili da iniziare e difficili da finire”.

In una intervista televisiva di domenica, Zelensky ha detto di essere “grato a Israele per il suo sostegno all’Ucraina. Abbiamo bisogno del sostegno di tutti i Paesi e abbiamo parlato del supporto di cui abbiamo bisogno ora e di come coopereremo in futuro dopo la guerra”. È anche vero che lo Stato ebraico si sta mobilitando anche per dare aiuti concreti alle popolazioni ucraine: il Ministro degli Esteri israeliano, Yair Lapid, ha incaricato il ministero e il Mashav, l’agenzia israeliana per lo sviluppo e gli aiuti, di procedere con urgenza alla creazione di un centro di assistenza ai rifugiati che servirà tutti gli ucraini in fuga dalla guerra, ebrei o meno, fornendo anche generi di prima necessità. Nei prossimi giorni sarà eretto un ospedale da campo a Leopoli con il coordinamento dello Sheba Medical Center e della cassa mutua Clalit, una delle principali del paese. L’ospedale da campo comprenderà reparti di maternità e pediatria, un pronto soccorso e un’area di telemedicina che consentirà anche ai medici in Israele di aiutare i rifugiati a distanza.

Israele ha votato all’Assemblea generale delle Nazioni Unite per condannare Mosca, ma la percezione di ambiguità l’aveva già creata. Anche al dibattito dell’Assemblea generale, l’ambasciatore israeliano all’ONU, Gilad Erdan, si è assentato lasciando il posto al suo vice. In seguito, la CNN ha intervistato l’ex Segretario alla Difesa degli Stati Uniti, William Cohen, che ha espresso la sua profonda delusione per la posizione di Israele.“Ora si tratta di stare con i russi o con gli Stati Uniti e l’Occidente. Devono prendere una decisione”.

La posizione di Israele è delicata perché in ballo c’è anche la sua sicurezza nazionale, dato che la crisi ucraina potrebbe cambiare lo status quo mediorientale, in particolare in Siria e, più in generale, nella contrapposizione con l’Iran, ivi comprese le trattative sul nucleare iraniano in corso a Vienna.

Ecco perché gli israeliani hanno imposto sanzioni abbastanza limitate ai russi: i jet privati degli oligarchi non possono più atterrare a Tel Aviv, ma il rapporto con i grandi magnati russi è forte anche perché molti di loro hanno origine ebraica (o hanno acquisito la cittadinanza israeliana) o sono grandi donatori dello Stato ebraico. Ad esempio, lo Yad Vashem Holocaust Memorial Center israeliano aveva ricevuto, a metà febbraio, una donazione di decine di milioni di dollaridall’oligarca russo-israeliano Roman Abramovich. E questo spiegherebbe perché il Presidente del memoriale, Dani Dayan, ha firmato una lettera in cui chiedeva agli Stati Uniti di non sanzionare il miliardario russo e grande donatore Abramovich.

“Entrambe le parti stanno banalizzando e distorcendo l’Olocausto. Mi dispiace che entrambe le parti stiano usando i loro paragoni propagandistici con l’Olocausto che sono completamente imprecisi e completamente impropri”, ha sottolineato Dani Dayan.

Di peso anche l’intervento del rabbino capo di Russia, Berel Lazar, soprannominato ‘rabbi di Putin’, che, due giorni prima della missione del premier Bennett,è intervenuto, chiedendo la fine della guerra, e proponendosi come mediatore. Questo dopo che i rabbini ucraini si erano scagliati con durezza contro l’invasione.

Anche a livello interno, l’eccessiva cautela del governo israeliano era stata aspramente criticata: “Israele ha fallito la prova dell’umanità. Viene trascinato dalla parte giusta della storia, quasi contro la sua volontà”, attaccava poche ore prima del viaggio il quotidiano di centrosinistra Haaretz. Perciò, Bennett aveva bisogno di mandare un segnale all’opinione pubblica israeliana, come ha sostenuto il Jerusalem Post: “Nella guerra russo-ucraina, sembra che più che volere direttamente questo ruolo di mediatore, Israele vi sia stato spinto. Vi è stato spinto dall’Occidente, che a causa delle sue sanzioni ha perso la capacità di fungere da intermediario con Putin; ed è stato spinto dall’opinione pubblica, sia nazionale che internazionale, sconcertata dal fatto che Israele – con la sua storia unica – non avesse assunto un ruolo più deciso nella crisi”.

In questo senso, sono molti gli interessi che si intrecciano nella visione israeliana di questa crisi e il viaggio lampo del religioso Bennett, partito di sabato nonostante lo Shabbat, non fa che confermarlo, come sottolinea Giuseppe Dentice, Responsabile del desk MENA per il Centro Studi Internazionali (CeSI).

 

Dottor Dentice, come valuta la visita del Premier Israeliano Bennett a Mosca e il suo tentativo di mediazione?

Il viaggio era, ovviamente, programmato ed è stato utile per cercare di far capire che esistono margini di manovra per una de-escalation. Quindi, da un punto di vista simbolico è importante perché ci fa capire che non bisogna rinunciare ad una prospettiva di pace, quantomeno di negoziato. Tuttavia, l’incontro di Mosca è stato importante per Israele che voleva dare un segnale a varie persone: innanzitutto, a mia memoria, è la prima volta che si propone come mediatore di un conflitto e questo ci fa capire che sta provando a proporsi con uno status internazionale diverso rispetto al passato. Ed è un aspetto molto importante. In secondo luogo, occorre considerare perché Israele si sta muovendo: è uno storico partner degli Stati Uniti e, negli anni, è diventato un importante partner per la Russia. Quindi, ci sono già interessi confliggenti. È altresì vero che nessuno Stato mediorientale, tra cui anche Israele, è nelle condizioni, per lo stesso motivo di Israele, di prendere una posizione e di esprimersi pro o contro l’invasione russa in Ucraina, e preferisce una posizione di bilanciamento, di galleggiamento, così da non venire rosicchiati o compromessi da una guerra che, comunque, avrebbe  tantissimi effetti spillover. Se la guardiamo nell’ottica di Israele, il suo principale interesse è la questione Iran e le sue proxy war in Siria, Libano, Iraq. Questo perché per Israele la minaccia numero uno rimane sempre la Repubblica Islamica. Ed in questo discorso, influiscono le trattative sul nucleare iraniano che proseguono a Vienna e che, da più parti, si dà come prossimo il raggiungimento di un accordo. E quindi, qui, vediamo quanto effettivamente Israele, muovendosi in questo contesto fluido ed eterogeneo come quello mediorientale, in realtà, cerca di curare, soprattutto, quelli che sono i suoi interessi.

Quindi, tra le frecce all’arco di Israele, lo storico rapporto con Washington, la non appartenenza alla NATO, ma contemporaneamente avere delle relazioni molto forti anche con Mosca, anche perché in territorio russo e ucraino c’è una grande presenza di ebrei così come è notevole la quota di popolazione israeliana russofona. Anche l’aspetto culturale ha un peso, come ha testimoniato la presenza del Ministro dell’edilizia israeliano, Ze’ev Elkin, di origini ucraine?

Certamente, il punto è proprio questo: ci sono tanti motivi che spingono Israele ad avere un ruolo.

Va ricordato, tuttavia, che Israele si è mosso due giorni dopo il ‘rimbrotto’ da parte del Presidente ucraino, Volodimyr Zelensky, di origini ebraiche, che aveva criticato la posizione ambigua dello Stato ebraico rispetto all’invasione russa ed aveva invocato il sostegno della comunità ebraica mondiale contro i ‘nazisti’. La tirata d’orecchi ha spinto Bennett a muoversi?

Sì, ma non credo abbia inciso più di tanto nel senso che a pesare non sono i rimbrotti ucraini o eventuali rimbrotti russi, ma il fatto che il conflitto, a lungo andare, potrebbe essere logorante e potrebbe rischiare di non portare a nulla, se non addirittura logorare lo stesso Israele. Per questo, è più importante per Israele essere presente proponendo, magari, una mediazione, proponendosi come mediatore, ma con il chiaro intento di proteggere il suo interesse nazionale.

Perché inizialmente Israele era sembrato cauto e il Premier Bennett si era mantenuto molto vago nella ‘condanna’, lasciando al Ministro degli Esteri, Yair Lapid, i toni leggermente più duri? Voleva aspettare l’evoluzione degli eventi?

In realtà, c’è anche una logica dettata dalla non conoscenza completa dei fatti o, semplicemente, il voler attendere quanto accadeva in Ucraina per cercare di capire quale posizione assumere. Dobbiamo partire dal presupposto che questo tipo di contesto non era preventivato da nessuno, soprattutto nessuno avrebbe voluto trovarsi coinvolto in una situazione di crisi come questa. Da questo punto di vista, Israele non è esente o è un’eccezione rispetto agli altri Paesi della regione mediorientale, ma si muove in continuità, facendo notare quanto questo tipo di situazione possa essere pericoloso per il suo interesse, per le sue strategie, per il suo approccio alla regione in quanto una condizione di forte attrito tra Russia e America pone Israele di fronte ad una difficile scelta. E non si può mai dare per scontato quale potrebbe essere poi la scelta che viene fuori perché qualsiasi tipo di posizione si assuma, poi si deve essere pronti a subire un certo tipo di contraccolpi o ritorsioni. Per questo, è un discorso molto più articolato e molto più complesso e che deve tenere conto di tantissime variabili che non si riducono solo a quanto accade in Ucraina, anzi l’Ucraina è il punto di partenza rispetto ad un ragionamento che guarda molto anche all’intero Mediterraneo allargato. Diciamo che Israele fa gli stessi ragionamenti che fanno gli altri Stati.

Tuttavia, se pensiamo ai Paesi europei, la loro appartenenza ad organismi internazionali li vincola molto di più rispetto al grande spazio di manovra che ha Israele: anche sulle sanzioni, si è mantenuto molto cauto, considerati anche i noti intensi rapporti che intrattiene con alcuni oligarchi russi, tra cui Roman Abramovich, che ha peraltro ottenuto la cittadinanza israeliana.

Non solo Abramovich, ma ce ne sono anche altri. Sono diverse le questioni che si intrecciano. È un discorso molto complesso, che non può escludere nulla. Ci sono davvero tantissimi interessi: quanto sta accadendo, in ottica israeliana, può avere delle conseguenze sotto vari profili, anche dal punto di vista interno.

Primo interesse che Israele vuole preservare è il mantenimento dello status-quo in Siria dove, come sappiamo, la relazione con la Russia si è molto consolidata negli ultimi anni.

Esattamente. La Siria è un’architrave importante per la sicurezza israeliana: sappiamo bene come i russi abbiano consentito ad Israele di attaccare, senza grossi problemi, con raid mirati contro depositi di Hezbollah o contro le milizie iraniane o di Assad. Solo una settimana prima del conflitto, ci fu una durissima presa di posizione del Ministero degli Esteri in cui, però, condannava il raid israeliano perché avvenuto senza consultazioni. Però, anche qui, quel messaggio si può leggere in tanti modi: il punto è che se Israele ha potuto fare quel che gli pareva in Siria nel nome della sua sicurezza nazionale, se dovesse perdere l’appoggio russo, questo diventerebbe un grandissimo problema, che si lega alla minaccia principale costituita dall’Iran. Per loro, quindi, una maggiore attenzione o concentrazione di interessi in questa crisi ha dei problemi anche con le trattative di Vienna ed anche negli altri scenari in cui la Russia è presente in supporto o meno allo stesso Israele contro l’Iran. Da questo punto di vista, si capisce bene la loro logica: un cambio di scenario come quello attuale, avrebbe delle conseguenze importanti che potrebbero essere ancor di più se si ritorcessero contro Israele.

Da una parte potrebbe far aumentare il peso delle richieste israeliane nelle trattative di Vienna, dall’altra potrebbe avere difficoltà visto che Mosca ha già chiarito che, nel caso in cui le sanzioni colpissero il commercio tra Russia e Iran, la posizione russa sarebbe negativa a qualsiasi rinegoziazione.

I rischi sono proprio questi. Quindi, poi, è necessario distinguere i rischi e le opportunità da una situazione del genere. E non è detto che sia una situazione priva di problemi, anzi, in questo momento, l’attivismo israeliano ci spinge a osservare proprio questo, cioè il tentativo di evitare di conseguenze che gli si possano ritorcere contro.

Pensa che Israele possa temere conseguenze anche per la tenuta degli accordi di Abramo?

Questo dipende da come si pone Israele: se decidesse di sposare una posizione totalmente pro-Russia, allora potrebbe esserci un qualche tipo di riflessione strategica sugli accordi di Abramo. Però ricordiamo sempre che, nella storia di Israele, per quanto gli Stati Uniti sono fortemente legati alla sfera di Israele, è difficile ipotizzare che lo Stato ebraico possa essere totalmente spostato a favore della Russia: c’è già stato un avvicinamento, ma decidere di appoggiare delle posizioni come quelle russe potrebbe avere degli effetti controproducenti. Penso che Israele continuerà a mantenere questo tipo di atteggiamento, ondivago e, a tratti, ambiguo, ma necessario per impedire che questo tipo di situazioni possano giocare contro il suo stesso interesse nazionale perché, qualora dovesse arrivare a dover scegliere tra Russia e Stati Uniti, è improbabile che Israele possa scegliere la prima, per un’infinità di motivi.

L’ha colpita che in questo tentativo di mediazione, si stia consolidando un certo coordinamento con la Turchia di Erdogan, anch’essa fortemente impegnata nello stesso intento? Domani, peraltro, è prevista la visita ‘storica’ del Presidente israeliano Herzog a Istanbul, all’omologo Erdogan, alla vigilia del forum di Antalia dove sarebbe previsto il primo incontro di alto livello tra i ministri degli Esteri russo e ucraino.

Lo trovo coerente con la strategia israeliana e con l’interesse nazionale turco. Secondo me, in questo momento, quello che devono fare i Paesi mediorientali è non essere direttamente coinvolti nel conflitto, ma, allo stesso tempo, non neanche trovarsi esposti alle ripercussioni del conflitto. Quindi, è importante che Israele e Turchia siano pronti a tutto, ma con l’attenzione a non fare passi falsi.

L’ iniziale cautela era stata molto criticata sui giornali israeliani anche perché Israele si è sempre descritto, sulla scorta della sua storia, come il Paese che deve difendersi dai Paesi circostanti che vogliono annientarlo. A questo punto, Bennett si sta giocando anche un’importante partita interna?

Sicuramente sì, in queste situazioni ci sono sempre risvolti interni. È chiaro che Bennett si gioca la credibilità interna ed esterna. Quindi, è evidente che chi sta all’opposizione, come Netanyahu, sta guardando con molta attenzione ciò che sta accadendo.

Come vengono visti dall’opinione pubblica israeliana il rifiuto governativo ad inviare armi alla resistenza ucraina – prima dell’inizio della guerra si rifiutò anche di vendere il sistema di difesa anti-missile Iron Dome – e di sanzionare duramente gli oligarchi? Sono considerate misure adeguate o poco ‘coraggiose’?

L’opinione pubblica israeliana, per il momento, è vicina alla posizione del governo, quindi non ci sono fratture, anzi, vi è un’unanimità di interessi e, da questo punto di vista, non vedo come ci possa essere un cambio di registro, anche perché ci sono più situazioni che potrebbero essere colpite.

Quindi, la presenza ebraica in Ucraina e la distruzione, pochi giorni fa, del Memoriale ebraico ucraino Ben Yair non hanno ancora mobilitato l’opinione pubblica a fare pressioni sul governo per un intervento più assertivo?

Al momento no, mantiene la posizione del governo, però è evidente che con un’opinione pubblica in cui ci sono tantissimi ebrei ortodossi e russofoni, la questione viene considerata solo in minima parte nel conflitto perché c’è un forte sentimento a percepirsi come ebrei prima ancora che ucraini o russi.

Bennet è un Premier che non ha mai nascosto il suo essere un religioso osservante. Peraltro, sabato, in nome della mediazione, ha rinunciato anche al rispetto dello ‘shabbat’. Il Rabbino capo di Russia, soprannominato ‘Rabbi di Putin’, aveva criticato la posizione morbida di Israele mentre il Rabbino capo ucraino aveva duramente condannato l’offensiva russa. Per un religioso come Bennett, non sarebbe stato ancor più imbarazzante rimanere ambiguo, senza muoversi?

È un discorso che vale fino ad un certo punto. Sicuramente ha creato imbarazzo, però, secondo me, ci sono altre considerazioni, più politiche.

Israele, allora, continuerà a mediare nei prossimi giorni, come ha lasciato intendere Bennet?

Secondo me, sì. Non avrebbe nessun vantaggio dall’assumere una posizione netta, è meglio rimanere in questa posizione di relativa ambiguità che comunque le consente una maggiore capacità di azione.

E questo atteggiamento, alla lunga, potrebbe trasformarsi in un boomerang per Israele?

Tutto dipende da come evolve il conflitto: se dovesse prendere una piega favorevole alla Russia, allora anche Israele potrebbe decidere di assumere una posizione più contraria a Mosca. Ma se la Russia dovesse vincere il conflitto, Israele potrebbe decidere di esporsi, ma anche di non farlo. Dobbiamo aspettare le prossime giornate anche per capire lo stato dell’arte.

E poi scendendo in campo altri mediatori, Israele potrebbe essere messo un po’ in disparte?

Sì, è probabile anche questo.