La chiamata della Lega Araba è una scommessa che potrebbe rimodellare il conflitto israelo-palestinese o dissolversi in irrilevanza. Il suo successo dipende da un’unità sostenuta, da un’azione concreta e dalla volontà di affrontare realtà scomode, sia l’intransigenza di Hamas che l’ostruzionismo di Israele
A Gaza, dove la fame tormenta i bambini e le macerie seppellissero la speranza, la Lega Araba ha emesso una rara dichiarazione unificata alla fine di luglio 2025: “Hamas deve porre fine al suo governo a Gaza”. Si tratta di un punto di svolta storico o di un grido fugace in una regione soffocata dal conflitto?
Questo appello senza precedenti, co-firmato in una conferenza delle Nazioni Unite dall’Unione europea e da altri 17 paesi, chiede che Hamas disarmi e ceda il potere all’Autorità palestinese (AP) per aprire la strada a una soluzione a due stati. Questa mossa audace potrebbe rompere il ciclo di violenza a Gaza o dissolversi in un altro gesto vuoto in una regione segnata da promesse non mantenute. Mentre il conflitto israelo-palestinese si protrascina, con oltre 61.000 morti palestinesi segnalati dall’ottobre 2023, la dichiarazione della Lega richiede un controllo rigoroso. Si tratta di un coraggioso perno verso la pace o di un miraggio diplomatico che maschera le rivalità regionali e le pressioni esterne?
La dichiarazione segna un cambiamento sismico nella retorica araba. Per la prima volta, attori chiave come il Qatar, l’Arabia Saudita e l’Egitto hanno condannato pubblicamente l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 a Israele, che ha ucciso 1.200 persone e preso 250 ostaggi, e ha chiesto l’esclusione del gruppo dal governo di Gaza. Non è una cosa da poco. La Lega Araba ha storicamente criticato le fazioni palestinesi, diffidendo nell’aliare le circoscrizioni elettorali che vedono Hamas come un simbolo di resistenza. L’invito ad Hamas a consegnare le sue armi all’AP, insieme a una proposta per una “missione temporanea di stabilizzazione internazionale” sotto gli auspici delle Nazioni Unite, segnala una svolta pragmatica, dando priorità alla stabilità rispetto alla lealtà ideologica. Il ministro degli Esteri francese Jean-Noel Barrot lo ha salutato come “storico e senza precedenti”, osservando che esprime anche l’intento arabo di normalizzare le relazioni con Israele, una prospettiva che sembrava impensabile un decennio fa.
I critici, tuttavia, sostengono che la dichiarazione si allinea troppo strettamente con gli interessi statunitensi e israeliani, in particolare dato il rifiuto del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu di una soluzione a due stati e la sua insistenza a sradicare Hamas come minaccia militare. Sia Israele che gli Stati Uniti hanno boicottato la conferenza delle Nazioni Unite, con l’ambasciatore israeliano delle Nazioni Unite Danny Danon che l’ha liquidata come appeasement di “terroristi e forze estremiste”.
La posizione della Lega Araba, quindi, rafforza inavvertitamente la narrazione di Israele, rischiando l’alienazione dei sostenitori palestinesi che vedono Hamas come un baluardo contro l’occupazione? La condanna della Lega delle tattiche di “assedio e fame” di Israele a Gaza, che hanno portato a una catastrofe umanitaria, suggerisce un tentativo di camminare sul filo del rasoio. Le osservazioni del presidente Trump – “Quei bambini sembrano molto affamati” – hanno reso questo atto di equilibrio più difficile, esponendo i doppi standard occidentali e intensificando le richieste di responsabilità. Ma la retorica da sola non guarirà le ferite di Gaza.
L’unità della Lega è un mosaico cucito insieme da programmi concorrenti.L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, difficianti nei contro Hamas sostenuto dall’Iran, con entusiasmo la chiamata, vedendola come un’opportunità per frenare l’influenza di Teheran. Qatar e Algeria, tuttavia, sono più reticenti, sottolineando l’autodeterminazione palestinese. I legami di lunga data del Qatar con Hamas, come mediatore e ospite della sua leadership politica, complicano la sua posizione. Anche l’Egitto affronta un dilemma: il suo piano del marzo 2025 per la ricostruzione di Gaza ha escluso Hamas dalla governance, ma ha evitato richieste esplicite di disarmo, riflettendo il delicato equilibrio del Cairo. Un rapporto RAND del 2024 sottolinea come le divisioni intra-arabe abbiano storicamente affondato gli sforzi di pace e questa dichiarazione rischia di vacillare senza impegni esecutivi. Il precedente comunicato della Lega Araba del 2025, che ha evitato completamente il ruolo di Hamas, rivela la difficoltà di forgiare consenso.
La risposta di Hamas è stata prevedibilmente provocatoria. Pur accogliendo le elezioni e il sostegno internazionale allo stato palestinese, ha respinto la richiesta di disarmo, insistendo sul fatto che “la situazione palestinese è un affare interno”. L’alto funzionario Mahmoud Mardawi ha detto ai media che i negoziati sono inutili mentre persiste la crisi della fame di Gaza, un sentimento riecheggiato dal ritiro di Hamas dai colloqui di cessate il fuoco a Doha la scorsa settimana. Il rifiuto del gruppo di muoversi, insieme alla recente approvazione del gabinetto israeliana di un piano per prendere il controllo di Gaza City e alla continua insistenza di Netanyahu nel controllare “tutta Gaza”, getta una lunga ombra sulle ambizioni della Lega. La crisi umanitaria, esacerbata dal blocco israeliano, con oltre 100 organizzazioni umanitarie che avvertono della “fame di massa” – complica ulteriormente il quadro
Per la dichiarazione della Lega Araba di trascendere la postura diplomatica, deve essere abbinata all’azione. In primo luogo, la Lega deve sfruttare la sua influenza finanziaria, in particolare dagli stati del Golfo, per finanziare la ricostruzione di Gaza, stimata dalla Banca Mondiale in miliardi. In secondo luogo, deve mediare una transizione di potere credibile, assicurando che l’AP possa governare efficacemente senza essere vista come un proxy occidentale. Ciò può richiedere l’esplorazione di modelli di governance di transizione, come un comitato tecnocratico o un governo di unità. Ciò richiede una diplomazia delicata, data la crisi di legittimità dell’AP sotto Mahmoud Abbas. In terzo luogo, la Lega deve fare pressione diplomatica su Hamas, forse attraverso il Qatar e l’Egitto, per rinunciare al suo arsenale, possibilmente offrendo fondi per la ricostruzione come leva. La proposta missione di stabilizzazione delle Nazioni Unite, sostenuta dai contributi delle truppe di alcuni Stati membri, potrebbe fornire un quadro neutrale, ma l’alleato di Hamas nella Jihad islamica l’ha già respinta.
Anche l’Occidente ha un ruolo da svolgere. Gli Stati Uniti, nonostante la loro assenza alla conferenza delle Nazioni Unite, devono andare oltre la retorica sulla “malafede” di Hamas e offrire incentivi, come pacchetti di aiuti o incentivi, per rafforzare le voci palestinesi moderate. Il ruolo dell’Europa è fondamentale. Francia, Germania, Italia e Regno Unito, che riconosceranno uno stato palestinese nel settembre 2025 (con il sostegno del Regno Unito subordinato a un cessate il fuoco), hanno approvato il piano di ricostruzione della Lega araba da 53 miliardi di dollari. Questa incombente scadenza di riconoscimento aggiunge urgenza agli sforzi della Lega e potrebbe servire come leva diplomatica per fare pressione sia su Hamas che su Israele. Tuttavia, l’indignazione selettiva dell’Occidente – che condanna Hamas mentre pedala dolcemente le azioni di Israele – mina la sua credibilità.
La chiamata della Lega Araba è una scommessa che potrebbe rimodellare il conflitto Israele-Palestinese o dissolversi in irrilevanza. Il suo successo dipende da un’unità sostenuta, da un’azione concreta e dalla volontà di affrontare realtà scomode, sia l’intransigenza di Hamas che l’ostruzionismo di Israele. Il popolo di Gaza, intrappolato in un ciclo di violenza e fame, merita più di dichiarazioni. Con la scadenza del riconoscimento di settembre che si avvicina rapidamente, il mondo sta guardando e la storia non giudicherà con le parole, ma con i atti.