Ecco perchè il concetto di ‘civismo applicato’ rende sempre più difficoltoso il ‘washing’
Il concetto di ‘civismo applicato’ rende sempre più difficoltoso il ‘washing’ perché le vie d’inganno sono sempre più strette. Non solo il ‘greenwashing’, ma anche altri tipi di ‘washing’ sono in affanno: dal ‘socialwashing’ millantando risultati sociali in modo esornativo e per eccesso al ‘pinkwashing’ quando si sviluppano politiche aziendali ‘general generiche’ per la diminuzione della disparità fra generi e del ‘gender gap’ non suffragate da dati reali (per esempio parità di stipendio), dal ‘rainbowashing’ quando una impresa dichiara di essere commitment alla comunità Lgbtqia+ senza sviluppare servizi a loro favore al ‘wokewashing’ ed al ‘blue washing’ quando si dichiara, per esempio di essere coerenti con i principi del Global Compact delle Nazioni Unite senza azioni concrete. E poi ancora il ‘blackwashing’.
Da queste definizioni e considerazioni si nota che il tema critico, comunque, è la comunicazione ingannevole e il set di azioni aziendali che mistificano la realtà del prodotto/servizio fatta percepire. Si potrebbe dire che il ‘vulnus’ non è l’oggetto della comunicazione salvo che addirittura non si usino, per esempio, prodotti nocivi all’uomo ed agli animali, non si faccia violenza, ecc. (tutti questi sono reati ‘in re ipsa’, non di comunicazione).
L’impresa dice il falso rispetto al suo status di sostenibilità reale che comunque è percepito dall’impresa come un dover essere di gestione pena il fatto che si può incorrere anche in sanzioni pecuniarie e reputazionali.
Il ‘civismo applicato’ è l’insieme operativo delle Imprese Sociali Civiche (pubbliche e private) che non dicono il falso perché il loro ‘purpose’ -scopo è la sostenibilità declinata in ambiente, clima, aspetto sociale e governance partecipata ed è parte costituente della sua affidabilità nei confronti dei cittadini-clienti e del mondo finanziario.
Se così non fosse, il rischio di avere il blocco dei flussi finanziari a debito sarebbe elevato perché le banche, i fondi ecc. hanno verificato che le imprese ESG oriented sono più affidabili e solvibili. Queste tesi non si basano sull’immaginario auspicabile e moralistico, ma sull’evoluzione del contesto giuridico, imprenditoriale e finanziario.
Ormai da quando sono state pubblicate le direttive europee CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive), la CSDDD (Corporate Sustainability Due Diligence Directive) ed in clima di verifica tramite gli indici ESRS (European Sustainability Reporting Standards) si è aperta una via di non ritorno.
Il clima di ‘Stop the clock Directive’ che si articola nel rinvio di 2 anni dell’entrata in vigore della rendicontazione per le grandi imprese che non hanno ancora iniziato a rendicontare e nel dibattito sulla proposta di far scattare le adempienze informative sulla sostenibilità solo per le imprese con mille dipendenti, con 50 milioni di fatturato ecc. (si dovrà vedere nelle prossime settimane, nei prossimi mesi, quelle che saranno le soglie definitive di applicazioni, in quanto alcuni chiedono di alzare il livello di applicazione a 3.000 dipendenti, altre invece chiedono di abbassare sotto i mille dipendenti) è momento di affinamento operativo aziendale per mantenere ‘il percepito sociale’ di alcuni segmenti degli stakeholder (per esempio la generazione Z rappresenta il 15% dei clienti della finanza sostenibile).
Altro aspetto importante è la proposta di semplificazione degli ESRS e per questo il mandato all’EFRAG (European Financial Reporting Advisory Group) che è ente tecnico consulenziale che fa parte della UE, e quindi non esterno, è quello di intervenire sugli standard pubblicati e proporre delle semplificazioni alla commissione. Comunque anche il rapporto con l’ESG sembra essere una via di non ritorno.In questo contesto per esempio il ruolo della banca e delle istituzioni finanziarie è quello di attore intermediario e anche diretto interessato sui temi della sostenibilità.
Anche perché la banca proprio come intermediario finanziario, ha a che fare con una serie di stakeholders e con una value chain di cui essa è responsabile funzionale per la diffusione della cultura di sostenibilità finanziaria. Infatti, trasmetterla e selezionare i soggetti coinvolti sulla base di determinate caratteristiche i sostenibilità rende più solvibile il mercato finanziario.
La Banca ormai valuta e giudica i propri clienti che chiedono finanziamenti anche dal punto di vista della loro veridicità e dal comportamento trasparente senza ‘washing’. In caso contrario si entra in un rapporto ad alto rischio di ‘sofferenza’ e si rischia di non ottemperare al dettato del GAR (Green Asset Ratio) che indica e misura la quota di attività finanziarie verdi del ‘portfolio clienti green’. È chiaro che questo indicatore è strumento di controllo anti ‘greenwashing’.