Sull’immigrazione, “Bergoglio parlava la lingua del Vangelo e, quindi, non si tirava indietro rispetto alle conseguenze sociali e politiche. Aveva il coraggio di parlar chiaro, non provando a schivare l’impopolarità”. Intervista a Maurizio Ambrosini (Università degli Studi di Milano)

 

 

In queste ore, a novendiali ancora in corso, sui muri esterni della sede della Caritas Ambrosiana a Milano, è comparso un murale firmato dall’artista contemporaneo aleXsandro Palombo e dedicato a Papa Francesco, scomparso pochi giorni fa.

L’opera, intitolata ‘Franciscus – The Hope’, raffigura il Pontefice che indossa un saio francescano, simbolo di povertà, con sopra un giubbotto di salvataggio arancione, richiamo diretto alla crisi migratoria nel Mediterraneo. Ai suoi piedi è rappresentato il corpo senza vita del piccolo Alan Kurdi, bambino siriano, divenuto simbolo della tragedia che da anni affligge le acque del Mare Nostrum.

In una nota diffusa, l’artista ha definito l’opera  “dura ma necessaria”, una sorta di “Pietà contemporanea“, in cui Papa Francesco accoglie il bambino “come Maria il Figlio”. L’opera intende rappresentare il Papa come “ponte tra l’umano e il sacro, protettore degli ultimie testimone silenzioso del dolore del mondo”.

L’opera si collega direttamente all’azione di Papa Francesco, ricordando la sua visita a Lampedusa e la sua denuncia della “globalizzazione dell’indifferenza” verso i migranti. Il murale, prosegue la nota, non ritrae un leader lontano, ma “un uomo immerso nel dolore del nostro tempo, che si china verso chi soffre, che accoglie, che protegge”.

‘Franciscus – The Hope’, conclude la nota, si propone come “una chiamata etica” e un “manifesto visivo”. Lo stesso si può dire della scena a cui hanno assistito milioni di fedeli sabato scorso, durante l’ultimo viaggio di Papa Francesco verso l’ultima dimora, Santa Maria Maggiore, ai gradini della quale lo attendevano per dargli l’ultimo saluto prima della tumulazione e dirgli ‘grazie’ gli ultimi: poveri, senza fissa dimora, detenuti, persone transgender e migranti.

Lo ha detto chiaramente il decano del collegio cardinalizio, il cardinale Giovanni Battista Re, nell’omelia dei funerali: Papa Francesco nel corso del suo pontificato ha realizzato innumerevoli gesti ed esortazioni «in favore dei rifugiati e dei profughi. Significativo che il primo viaggio di papa Francesco sia stato quello a Lampedusa, isola simbolo del dramma dell’emigrazione con migliaia di persone annegate in mare. Nella stessa linea è stato anche il viaggio a Lesbo, insieme con il Patriarca Ecumenico e con l’Arcivescovo di Atene».

Non si può negare il profondo impegno di Papa Francesco per i migranti fin dai primi giorni del suo pontificato: era l’8 luglio 2013, quando compie il suo primo viaggio apostolico a Lampedusa, isola alla frontiera dell’Italia e dell’Europa, accendendo i riflettori sul Mar Mediterraneo, divenuto un vero e proprio “cimitero”. “Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo?”, chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie?”, sono le domande che, in quell’occasione, Papa Bergoglio pose con forza alla folla e alle autorità presenti, aggiungendo: “Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del ‘patire con’: la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere”.

Più volte, negli anni, ha ripetuto le parole di Dio a Caino: “Dov’è tuo fratello?”. Nell’esortazione apostolica ‘Evangelii Gaudium’, del novembre 2013, Papa Francesco sottolineava che “Ogni straniero che bussa alla nostra porta è un’occasione per un incontro con Gesù Cristo” (n. 39) e “come sono belle le città che superano la sfiducia malsana e integrano i differenti, e che fanno di tale integrazione un nuovo fattore di sviluppo! Come sono belle le città che, anche nel loro disegno architettonico, sono piene di spazi che collegano, mettono in relazione, favoriscono il riconoscimento dell’altro!”. Di una “città affidabile” perché accogliente Papa Francesco parlava già nella prima enciclica ‘Lumen fidei’, scritta con Papa Benedetto XVI.

Nel novembre del 2014, il Papa visita il Parlamento europeo dove ribadisce: “Non si può tollerare che il Mar Mediterraneo diventi un grande cimitero […] L’Europa sarà in grado di affrontare i problemi legati all’immigrazione se saprà proporre con chiarezza la propria identità culturale”.

Nella sua seconda enciclica, ‘Laudato si’’, del 2015, Francesco evidenziava la connessione tra crisi ambientale e crisi sociale, esemplificata dai ‘migranti climatici’ o ‘rifugiati ambientali’, soprattutto mentre la protezione internazionale e il diritto di asilo vengono sempre più negati: “É tragico l’aumento dei migranti che fuggono la miseria aggravata dal degrado ambientale, i quali non sono riconosciuti come rifugiati nelle convenzioni internazionali e portano il peso della propria vita abbandonata senza alcuna tutela normativa» (n. 25). Nello stesso anno, esplodeva la grande crisi dei rifugiati in Europa, con oltre un milione di persone sbarcate sulle coste europee nel corso dell’anno, con il corpo del piccolo Aylan trascinato esanime su una spiaggia turca che ha commosso il mondo e i 1000 morti e dispersi in acque libiche del canale di Sicilia, il 18 aprile 2015, e i 71 migranti morti nel camion frigo sulla rotta balcanica, tra Austria e Ungheria.

Papa Francesco, il 16 aprile 2016, visitava il campo profughi di Moria, nell’isola greca di Lesbo, per incontrare quei migranti che vivono la realtà del respingimento, soprattutto a seguito della stipula dell’Accordo Europa-Turchia del 18 marzo 2016. In quel viaggio, avvicinò le due Chiese cristiane, cattolica e ortodossa, nella condivisione del dramma.

Nel frattempo, Papa Francesco istruisce la Sezione Migranti e Rifugiati, che sarebbe confluita, nel gennaio 2023, all’interno del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, istituito a sua volta, con la Lettera Apostolica del 17 agosto 2016 in forma di Motu Proprio, ‘Humanam Progressionem’, ha “il compito di promuovere la persona umana e la sua dignità donatale da Dio, i diritti umani, la salute, la giustizia e la pace”; si interessa “alle questioni relative all’economia e al lavoro, alla cura del creato e della terra come «casa comune», alle migrazioni e alle emergenze umanitarie”; approfondisce e diffonde la dottrina sociale della Chiesa sullo sviluppo umano integrale (Predicate Evangelium, n.163).

Nel 2016, Bergoglio celebra messa sul confine tra Messico e Stati Uniti, nella zona fieristica di Ciudad Juárez. Prima della celebrazione, Francesco prega davanti alla rete metallica che separa i due paesi. «Non possiamo negare la crisi umanitaria che negli ultimi anni ha significato la migrazione di migliaia di persone, sia in treno, sia in autostrada, sia anche a piedi attraversando centinaia di chilometri per montagne, deserti, strade inospitali. Questa tragedia umana che la migrazione forzata rappresenta, al giorno d’oggi è un fenomeno globale. Questa crisi, che si può misurare in cifre, noi vogliamo misurarla con nomi, storie, famiglie. Sono fratelli e sorelle che partono spinti dalla povertà e dalla violenza, dal narcotraffico e dal crimine organizzato».

Di ritorno dal Messico, commentò la promessa di Trump di costruire un muro al confine: “Una persona che pensa di fare muri non è cristiana”. Il tycoon replicò accusando il Papa di fare politica e definendo “vergognoso” metterne in dubbio la fede.

Nel Messaggio per la Gmmr 2018 indica le linee guida magisteriali nei confronti dei migranti: “accogliere, proteggere, promuovere e integrare”. Sempre nel 2018, visita le repubbliche Baltiche e, in un’omelia a Vilnius, il 22 settembre, afferma: “Come sarebbe bello se a questa facilità di muoversi da un posto all’altro si aggiungesse anche la facilità di stabilire punti d’incontro e solidarietà fra tutti, di far circolare i doni che gratuitamente abbiamo ricevuto, di uscire da noi stessi e donar ci agli altri, accogliendo a nostra volta la presenza e la diversità degli altri come un dono e una ricchezza nella nostra vita”.

Nel dicembre 2021, Bergoglio torna a visitare nuovamente l’isola greca di Lesbo, recandosi presso il campo profughi di Kara Tepe, che ha, in qualche modo sostituito, quello di Moira, incendiato, dove richiama alla necessità di non voltare le spalle a quello che non esita a definire un “naufragio di civiltà” perché “è triste sentir proporre, come soluzioni, l’impiego di fondi comuni per costruire muri, per costruire fili spinati”.

Qualche anno prima, nel 2019, aveva invitato 250 rifugiati a San Pietro nel sesto anniversario del suo viaggio a Lampedusa: «Il mio pensiero va agli ‘ultimi’ che ogni giorno gridano al Signore, chiedendo di essere liberati dai mali che li affliggono. Sono gli ultimi ingannati e abbandonati a morire nel deserto; sono gli ultimi torturati, abusati e violentati nei campi di detenzione; sono gli ultimi che sfidano le onde di un mare impietoso; sono gli ultimi lasciati in campi di un’accoglienza troppo lunga per essere chiamata temporanea».

Nel 2022 una sua presa di posizione particolarmente dura: «È scandalosa l’esclusione dei migranti! Anzi, l’esclusione dei migranti è criminale, li fa morire davanti a noi. E così, oggi abbiamo il Mediterraneo che è il cimitero più grande del mondo. L’esclusione dei migranti è schifosa, è peccaminosa, è criminale. Non aprire le porte a chi ha bisogno. ‘No, non li escludiamo, li mandiamo via’: ai lager, dove sono sfruttati e venduti come schiavi» aveva detto durante la messa.

“Permettetemi, fratelli e sorelle, di esprimere un mio sogno. Che voi migranti, dopo aver sperimentato un’accoglienza ricca di umanità e di fraternità, possiate diventare in prima persona testimoni e animatori di accoglienza e di fraternità”, auspicò il 3 aprile 2022.

Nel settembre 2023, a dieci anni dalla visita apostolica a Lampedusa, il Pontefice sceglieva di visitare la città di Marsiglia in occasione della conclusione dell’edizione 2023 dei Rencontres Méditerranéennes, sul tema “Mediterraneo mosaico di speranze”. Da Marsiglia, Padre Francesco ricordava che non possiamo continuare a leggere il fenomeno migratorio secondo quella logica emergenziale che trasforma un fenomeno strutturale in “problema” e condannava apertamente quelle narrazioni che fondano la retorica dell’invasione e alimentano “le paure della gente”, ribadendo con forza: “Chi rischia la vita in mare non invade, cerca accoglienza». Allo stesso modo, non esitava a qualificare come “gesti di odio contro i fratelli […] travestiti da equilibrio” quelle normative nazionali finalizzate a limitare le attività di soccorso delle ONG operanti nel Mar Mediterraneo, grazie a «l’impegno di tanti buoni samaritani, che si prodigano per soccorrere e salvare i migranti feriti e abbandonati sulle rotte di disperata speranza, nei cinque continenti». «Questi uomini e donne coraggiosi – ha sottolineato – sono segno di una umanità che non si lascia contagiare dalla cattiva cultura dell’indifferenza e dello scarto, che uccide i migranti. E chi non può stare come loro in prima linea”, ha aggiunto Francesco citando Mediterranea Saving Humans e tante altre associazioni, «non per questo è escluso da tale lotta di civiltà: non possiamo stare in prima linea ma non siamo esclusi. Ci sono tanti modi di dare il proprio contributo, primo fra tutti la preghiera. Voi pregate per i migranti? Per questi che vengono nella nostra terra per salvare la vita? E voi volete cacciarli via?»

«È stato il Papa anche dei migranti» – lo ha ricordato così Luca Casarini, fondatore dell’ONG Mediterranea – «perché è stato il Papa degli ultimi. In questo tempo, i migranti rappresentano il paradigma degli ultimi. Sono coloro che non hanno una casa, un luogo dove andare, e che chiedono aiuto, cercano di lasciare i loro luoghi d’origine per trovare una speranza. Sono proprio quelli che non possiedono nulla. In mezzo al mare, li incontriamo come vite nude, nel senso che le istituzioni negano loro persino il diritto di essere soccorsi. Pertanto, ai migranti viene negato anche lo status di naufraghi. Quasi tutti gli incontri che ho avuto con Papa Francesco sono stati occasioni per presentargli rifugiati e migranti, persone soccorse in mare che erano riuscite a raggiungere l’Italia e che lui desiderava conoscere personalmente. Voleva ascoltare le loro storie, le loro speranze e i loro sogni. Li ha aiutati in ogni modo possibile, anche personalmente, e ha sempre agito così. Voleva toccare con mano le loro ferite e farsi raccontare l’orrore che avevano vissuto dentro i lager libici. L’ho visto piangere davanti ai migranti». A detta di Casarini, «le sue parole sono state ignorate da una parte del mondo, quella dei potenti, ma non crediate che siano cadute nel vuoto. Molte persone si stanno mobilitando, creando reti di solidarietà, effettuando soccorsi in mare e costruendo e praticando l’accoglienza. Pensate solo alla Civil Fleet, la flotta delle navi civili. Quando abbiamo iniziato nel 2018, c’erano solo due navi. Oggi la flotta ha superato le venti, il che dimostra che le cose si stanno espandendo, non restringendo».

Le migrazioni come ‘benedizione’ e ‘segno dei tempi’ ribadisce nell’enciclica ‘Fratelli tutti’ (2020), dove, Papa Francesco approfondisce il rapporto tra la verità della fratellanza universale e il fenomeno migratorio, anche prendendo spunto dalla sua esperienza personale: “In Argentina, la forte immigrazione italiana ha segnato la cultura della società, e nello stile culturale di Buenos Aires si nota molto la presenza di circa duecentomila ebrei. Gli immigrati, se li si aiuta a integrarsi, sono una benedizione, una ricchezza e un nuovo dono che invita una società a crescere”.

Di forte condanna le parole pronunciate sul tragico naufragio di Cutro del 26 febbraio 2023: “I trafficanti di esseri umani siano fermati, non continuino a disporre della vita di tanti innocenti”. E ancora: “I viaggi della speranza non si trasformino mai più in viaggi della morte! Le limpide acque del Mediterraneo non siano più insanguinate da tali drammatici incidenti!”.

Nella Bolla d’indizione del Giubileo 2025, dove i migranti, gli esuli, i profughi e rifugiati chiedono che “la comunità cristiana sia sempre pronta a difendere i diritti dei deboli” e a spalancare “con generosità le porte dell’accoglienza, perché a nessuno venga mai a mancare la speranza di una vita migliore” (n.11). Un messaggio ripreso anche nella lettera di solidarietà ai vescovi degli Stati Uniti (10.2.2025), in cui il Papa condivide la condanna delle “deportazioni di massa” dei migranti latinoamericani da parte del nuovo Governo degli Stati Uniti, perché è un atto che “lede la dignità di molti uomini e donne, e di intere famiglie” e invita a “non cedere a narrative che discriminano e causano inutili sofferenze ai nostri fratelli e sorelle migranti e rifugiati”.

“Migranti, missionari di speranza”, è il tema scelto da Papa Francesco per la 111ª Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato (che non è riuscito a celebrare perché rinviata ad ottobre). Fino all’ultimo, dedica un pensiero per i migranti, per i quali purtroppo “quanto disprezzo si nutre ancora a volte”, come scritto nel messaggio pasquale ‘Urbi et Orbi’, il 20 aprile 2025, nel giorno di Pasqua, il giorno prima della sua morte, invitando tutti “a non cedere alla paura che chiude”.

Quale bilancio si può fare dell’approccio di Bergoglio al tema dell’immigrazione? Cosa resterà della sua sensibilità nella Chiesa del domani? Lo abbiamo chiesto a Maurizio Ambrosini, Docente di Sociologia delle Migrazioni presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università degli Studi di Milano.

Professor Ambrosini, perché Papa Francesco è considerato rivoluzionario nell’approccio al fenomeno migratorio? Non ha fatto altro che applicare il Vangelo: “Ero forestiero e mi avete accolto” (Mt 25,35)…

Papa Francesco non è stato il primo, in realtà, a parlare di migranti: ne parlava già Leone XIII nell’enciclica ‘Rerum Novarum’ (1891)e che è fondativa della dottrina della Chiesa. Era un’epoca in cui l’Italia era una nazione di migranti. La Giornata mondiale del Migrante fu istituita dalla Chiesa Cattolica nel 1914, oltre 100 anni fa. Un Papa solitamente definito quale conservatore come Pio XII, nel dopoguerra, ha rilanciato l’argomento con una esortazione apostolica, l’’Exul familia’. È un magistero di lungo corso quello in cui si inserisce quello di Papa Francesco. Credo che il suo apporto e anche il fatto che abbia suscitato eco e scalpore la sua posizione credo sia più legato ad un fattore esterno e ad uno interno: il fattore esterno è l’elevata politicizzazione e la risonanza dell’argomento. 50 anni fa l’argomento delle migrazioni era di modesta priorità nelle politiche pubbliche e per la Chiesa si trattava di suscitare attenzione per un argomento in gran parte trascurato mentre oggi è un tema su cui si vincono o si perdono le elezioni. Il fattore interno era la franchezza di Papa Francesco, il suo linguaggio non paludato e diretto, accompagnato da gesti eloquenti: il suo primo viaggio apostolico fuori dal Vaticano è stato a Lampedusa nel luglio 2013, poi è stato a Lesbo e a Cipro.

Senza dimenticare la famosa messa celebrata al confine tra Messico e Stati Uniti, come ricordato dal Cardinale Re durante il funerale.

Esatto. Quindi gesti forti, oltre che un messaggio diretto nel che è una colpa grave chiudere ai migranti.

«C’è chi opera sistematicamente e con ogni mezzo per respingere i migranti. E questo, quando è fatto con coscienza e responsabilità, è un peccato grave» disse Papa Francesco, precisando che «il Signore è con i migranti, non con quelli che li respingono».

Esatto. Quindi, mentre Papa Benedetto XVI si concentrava più sistematicamente sui valori tradizionali -famiglia e dintorni (coppie gay, matrimonio, …)- con Papa Francesco quei temi non sono scomparso -pensiamo alla critica alla cosiddetta ‘teoria gender’- tanto che un’intellettuale femminista lo ha definito ‘a tratti progressista’; tuttavia, la sua attenzione si è spostata verso le periferie, i poveri e l’accoglienza dei rifugiati.

Siccome, in questi giorni, si è spesso provato ad incasellare ideologicamente Papa Francesco provando a connotarlo come ‘di destra’ o ‘di sinistra’ a seconda delle posizioni da lui assunte su questo o quel tema, possiamo dire che, parlando di migranti, il suo unico parametro era il Vangelo, alla luce del quale ogni cattolico dovrebbe leggere il mondo, no? Non c’è stata dell’ipocrisia su questo punto da parte soprattutto dei populisti che si professano paladini dei valori cristiani?

Senz’altro vero, il Papa si riferiva al Vangelo e alla dottrina sociale che prima richiamavo. Tuttavia, non esitava a trarne delle conseguenze politiche, almeno latamente, perché parlava di chi chiude i confini, di chi alza i muri, di chi lascia morire in mare i migranti. Non si tirava indietro rispetto alle questioni problematiche: la lettera ai vescovi americani sulle politiche di Trump è stata forse l’ultimo documento importante e decisivo che, rimarrà, come suo lascito.

Come pensava, secondo Lei, Papa Francesco di far cadere il velo di ipocrisia dei populisti che, pur dichiarandosi difensori dei valori religiosi e del ‘Dio, Patria e Famiglia’, sono gli stessi che alzano i muri e chiudono i confini, proprio in un’epoca in cui le posizioni su questi temi determinano la vittoria o la sconfitta elettorale?

Papa Francesco, da questo punto di vista, mi è sembrato molto sereno, disinvolto, non incline a lasciarsi turbare dalla perdita di popolarità. Pensiamo al fatto che ha accolto al Sinodo Luca Casarini.

Il fondatore dell’ONG ‘Mediterranea’.

Personaggio obiettivamente discusso per il suo passato, ma Papa Francesco ha voluto riconoscere il suo impegno a favore dei migranti. E, quindi, proprio perché partiva da una visione evangelica dell’argomento, non si tirava indietro quando si trattava di prendere posizioni anche impopolari rispetto ad una fetta importante all’interno dell’opinione pubblica e della Chiesa.

Come venivano percepite le prese di posizione di Papa Francesco da parte dell’elettorato cattolico che, spesso, non resta immune alle sirene del populismo anti-immigrazione?
 
Non so se esistano dei sondaggi sul tema, ma ritengo che l’appoggio alle opinioni del Papa sull’argomento fosse discendente andando dai Cardinali, ai vescovi, al clero, ai praticanti e per finire con i cattolici più ‘tiepidi’. Scendendo e allargando, credo si perdesse il favore e, quindi, non si tratta di posizioni pacificamente accettate: qualcuno semplicemente non se ne curava, qualcun altro si è addirittura opposto. Tanto che i critici gli rimproverano un’eccessiva attenzione al sociale rispetto al lato spirituale della Chiesa, cosa non vero visto quello che ha predicato e scritto, ad esempio, sulla devozione al Sacro Cuore, a San Giuseppe, anche recuperando elementi tradizionali della Chiesa Cattolica.

All’interno della Chiesa e delle sue gerarchie, come venivano percepite queste posizioni? 

Dipende, se parliamo di Polonia o di Ungheria, direi che anche nella gerarchia prevalessero posizioni sfavorevoli; se parliamo degli Stati Uniti, su questo argomento c’era un prevalente appoggio, anche da parte di Vescovi e Cardinali conservatori su altre materie; in Europa occidentale, credo invece sia prevalso l’appoggio da parte di Vescovi e Cardinali, anche perché non è che Papa Giovanni Paolo II o Papa Benedetto XVI dicessero cose diverse: magari parlavano meno spesso o con meno enfasi, ma la logica era la medesima.

Quando parlava di ‘migranti’, spesso, non sempre tra le righe, sembrava temesse che l’Occidente, rinunciando all’accoglienza ed alzando muri, perdesse anche un po’ l’anima, se stesso. Non a caso, talvolta, ha fatto riferimento al “naufragio di civiltà”, come se ravvedesse, dietro alla chiusura dei confini, il declino della civiltà occidentale. Lei che ne pensa?

Sì, ho in mente il discorso di Lampedusa dove parla dell’indifferenza, della ‘globalizzazione dell’indifferenza’. Quindi, nella sua ottica, l’accoglienza dei migranti era un banco decisivo della qualità sociale ed antropologica delle società sviluppate. Non ha mai parlato in questi termini, ma se all’epoca di Benedetto e di Ruini, i valori non negoziabili afferivano alla famiglia, sotto Papa Francesco, uno dei valori non negoziabili era, invece, l’accoglienza dei migranti e dei rifugiati.

Papa Francesco parlava di “accogliere, proteggere, promuovere, integrare”. Ma, concretamente, qual’era la proposta di Bergoglio, alternativa ai muri?

Non credo abbia mai declinato in termini operativi questi quattro verbi, tuttavia, mi pare che un aspetto importante sia quello del riconoscimento della voce e del protagonismo dei migranti, non definendoli, credo, mai dei ‘disperati’, facendo appello alla vittimizzazione che rischia, invece, di privarli della voce. In questo senso, mi sembra che Papa Francesco abbia sottolineato di più la ‘speranza’ dei migranti, all’interno della quale penso ci fosse l’eco della sua storia familiare. Richiamava alla necessità che fossero resi protagonisti, soggetti attivi della loro accoglienza. Questo mi pare un aspetto importante così come quello dell’arricchimento reciproco quando si riferisce alla ricchezza di quelle città dove i diversi convivono e si arricchiscono reciprocamente. Era molto favorevole, dunque, ad una lettura positiva delle città multietniche, pur non negando le difficoltà, la paura del diverso ed evidenziando la necessità di una politica che sapesse conciliare i vari aspetti.

La visione di Papa Francesco, peraltro, prendeva atto anche dell’inverno demografico dell’Italia e, in parte dell’Occidente: “L’Italia non fa figli, faccia entrare i migranti”, ripeteva. Anche da questo punto di vista, vedeva l’immigrazione come fattore di sopravvivenza? 

Sì ed è qui che c’è l’accento sulla speranza che i migranti portano con sé e che introducono nelle società in cui arrivano.

I lager libici erano definiti da Bergoglio una “schifezza”. Questa critica era rivolta non solo a chi erige muri, ma anche a chi, pur di non vedere il problema, si affida a sanguinari ‘trafficanti di esseri umani’, anche questi avversati da Papa Francesco?

Il Papa parlava la lingua del Vangelo e, quindi, non si tirava indietro rispetto alle conseguenze sociali e politiche. Aveva il coraggio di parlar chiaro, non provando a schivare l’impopolarità.

Secondo Lei, è riuscito a smuovere le coscienze, almeno dei cattolici, in questi 12 anni di pontificato?

A me sembra che abbia rinforzato le convinzioni e l’impegno della parte più sensibile della Chiesa Cattolica e del popolo cattolico, favorendo un incremento delle collaborazioni tra cattolici e non cattolici su questo tema. Ha acquisito popolarità e ha fatto guadagnare popolarità alla Chiesa anche presso la parte non cattolica del mondo laico, che però è favorevole all’accoglienza e alla solidarietà, ponendo la Chiesa come amica e alleata. Un esempio è il giovane cappellano di Mediterranea e di Save Humans, don Andrea Ferrari. Questa strana alleanza tra cattolici ‘papafrancescani’ e solidali con una storia persino diversa, per non dire critica, è stato un lascito e un punto su cui Papa Francesco ha favorito una convergenza ed un’apertura reciproca.

A differenza delle destre populiste, Papa Francesco non faceva differenza tra migranti economici, migranti climatici, rifugiati di guerra… ai suoi occhi erano tutti uguali?

Sì, non mi sembra sia mai entrato nel merito di discussione un po’ tecniche sull’argomento e credo che la stessa distinzione tra ‘regolari’ e ‘irregolari’ non appartenesse alla sua visione. Erano tutte persone da salvare, da accogliere, da proteggere. Certamente sulla protezione delle categorie deboli come le donne sfruttate o la condanna dei trafficanti di esseri umani c’era una convergenza con le posizioni più conservatrici.

Facendo un bilancio, Papa Francesco avrebbe potuto fare di più sul tema dei migranti, anche nel tentativo di evitare strappi con la parte della Chiesa più conservatrice?

Secondo me, ha toccato un punto nevralgico quando ha esortato tutte le parrocchie e le congregazioni religiose ad accogliere qualche migrante. Era il picco della crisi dell’accoglienza dei rifugiati e in quell’occasione si è inimicato anche molti parroci e religiosi. Non so dire se avrebbe potuto fare di più, bisognerebbe conoscere quali sono i vincoli. Io ho avuto l’impressione che, su molti temi, si sia fermato per timore di uno scisma. E quindi, anche se questo non è un argomento così nevralgico dal punto di vista dogmatico come il matrimonio per i sacerdoti o il diaconato femminile, una spinta ancora maggiore avrebbe provocato tensioni ancora maggiori all’interno della Chiesa.

In conclusione, cosa resterà dell’approccio di Papa Francesco all’immigrazione nella Chiesa del futuro?

Come dicevo, il tema lo precede. E quindi, seguirà. Non dubito che la Chiesa Cattolica continuerà a battersi a favore dei migranti. Il problema sarà il grado, la forza, l’enfasi con cui verrà posto questo tema. Il tema ha radici molto profonde e, se anche non fosse più così evidente e prioritario, penso che continuerà ad essere un vissuto dalla Chiesa come una missione.