Pochi giorni fa, il ‘New York Times’ ha pubblicato un lungo e minuzioso articolo a firma di Adam Entous il quale, sulla base di oltre 300 interviste a militari, politici e persone a vario titolo coinvolte, ripercorre il rapporto tra Stati Uniti (fino a due mesi fa guidati da Joe Biden) e Ucraina in questi tre anni di guerra.

Infatti, corre l’obbligo di premettere che l’articolo, che indaga la «partnership straordinaria» tra Washington e Kiev, rimasta tale fino all’inizio del 2025, non racconta cosa sia successo dopo l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca. L’amministrazione Biden, peraltro, è stata più volte costretta, a fronte di grandi insuccessi della parte ucraina, a superare le ‘linee rosse’ che lei stessa si dava, nell’intento di sostenere nel modo più deciso lo sforzo di Kiev.

Altra premessa d’obbligo è che, sebbene siano stati intervistati sia comandanti militari americani sia ucraini, l’articolo descrive soprattutto il punto di vista statunitense, e non stupisce che da Kiev siano già arrivate alcune smentite. Certo è che il ‘New York Times’ rivela particolari su come sono state prese le decisioni, ma anche dei rapporti personali e gli scontri politici tra le due parti.

Una delle prime cose che si scopre è la strategia militare ucraina sarebbe stata concordata dalla Task Force Dragon, un gruppo segreto di generali ucraini e statunitensi, nella base americana di Wiesbaden, in Germania. La costituzione di questa Task Force risalirebbe ad alcuni mesi dopo il 24 febbraio 2022 dato che quando i russi cercarono di conquistare Kiev, la condivisione dell’intelligence tra americani e ucraini avvenne soprattutto al telefono.

Secondo i racconti di vari ufficiali, la task force funzionava così: «Tutte le mattine […] gli ucraini e gli statunitensi si riunivano per fare il punto sulle armi russe e sulla disposizione delle loro forze sul terreno, e per determinare l’obiettivo più accessibile e di maggior valore. Le liste delle priorità (da colpire) venivano poi inviate al centro dell’intelligence, dove i funzionari analizzavano i dati per localizzare con precisione la posizione degli obiettivi».

Nelle prime fasi della guerra, i due principali referenti USA erano il generale Christopher Donahue e il generale Christopher Cavoli mentre, da parte ucraina, c’erano il generale Mykhaylo Zabrodskyi, il generale Valery Zaluzhny, allora comandante in capo delle forze armate ucraine, e il rivale, il generale Oleksandr Syrskyi, il secondo in comando che poi lo avrebbe sostituito nel 2024. La rivalità tra Zaluzhny e Syrskyi ritorna più volte nel corso della ricostruzione.

Il ‘New York Times’ si sofferma poi, con dettagli inediti, su alcuni momenti iconici della guerra, come ad esempio l’affondamento dell’incrociatore russo Moskva nel Mar Nero, risalente all’aprile del 2022. Le cose sarebbero andate così: nel corso di un incontro di routine a Wiesbaden, ufficiali navali americani e ucraini videro apparire sui radar un incrociatore. Gli americani dissero: «Oh, quello è il Moskva». E gli ucraini: «Oddio, grazie mille, arrivederci». Gli ucraini avrebbero interrotto l’incontro e poco dopo il Moskva venne affondato, senza nemmeno che gli americani fossero stati avvisati.

In altri casi, però, il confronto tra le due parti su offensive e controffensive ci fu eccome. L’articolo non tralascia l’offensiva che nel settembre del 2022 portò alla liberazione della città di Kherson, nel sud dell’Ucraina. Considerata tra i più grandi successi di Kiev durante la guerra, la mossa ucraina prevedeva di fingere un’offensiva al nord-est, così da ingannare i russi e a colpire a sud. L’Ucraina non riuscì, tuttavia, a capitalizzare quel successo perché, anziché inseguire l’esercito russo che si stava ritirando, l’esercito di Kiev si fermò al fiume Dnipro. Se per alcuni la causa fu la scarsa capacità di reazione militare, secondo altri sarebbero stati proprio gli americani a frenare gli ucraini così da consentire la ritirata della Russia che, in caso contrario, avrebbe potuto far ricorso ad un’arma nucleare tattica.

Anche la controffensiva della primavera-estate del 2023, su cui Kiev aveva puntato facendo conto sul grande afflusso di aiuti occidentali e che prevedeva un assalto verso Melitopol, con l’intento di tagliare il collegamento via terra tra la Russia e la Crimea, si trasformò ben presto in un flop, dovuto al ritardo nell’arrivo degli aiuti, ma soprattutto ai dissidi interni al fronte ucraino, e in particolare tra i generali Zaluzhny (più giovane, più amato dalle truppe, ma spesso per niente d’accordo con gli USA) e Syrskyi (più anziano, con più esperienza, anche in Russia, più convincente nei confronti di Zelensky che, a febbraio 2024, lo ha nominato capo delle forze armate) che portarono al lento schieramento delle truppe a Melitopol, Mariupol e Bakhmut, diluendo le forze in tre territori diversi.