Dopo la cerimonia di insediamento del 20 gennaio e lunga serie di ordini esecutivi che l’ha seguita è possibile provare a tracciare un primo bilancio della nuova amministrazione Trump, delle figure che la compongono e di quelle che potranno essere le sue future linee di azione. Anche se quasi tutti i nomi indicati dal Presidente devono ancora ricevere la conferma da parte dell’aula del Senato, si può già osservare come il nuovo gabinetto Trump appaia molto diverso sia da quello che l’ha preceduto, sia da quello che – fra alti e bassi – ha accompagnato lo stesso Trump negli anni del suo primo mandato alla Casa Bianca. L’aspetto forse più evidente è l’eterogeneità del background delle figure scelte a guidare i vari dicasteri, eterogeneità che sembra trova il suo punto di composizione nella adesione comune all’‘idea di America’ proposta dal Presidente e nella fedeltà alla sua persona. In altre parole, rispetto a quella del 2017-21, l’amministrazione che si accinge a entrare in carica appare molto più chiaramente e compattamente espressione del movimento MAGA e della galassia politica che vi ruota intorno.

Da questo punto di vista, ci si può attendere, da parte della Casa Bianca, un’azione più decisa e coerente nel perseguimento delle sue politiche rispetto a otto anni fa. Nel discorso di insediamento, Donald Trump ha tracciato chiaramente le linee della sua azione, definendo da una parte le coordinate di Stati Uniti ‘neo-imperiali’, impegnati a estendere propria influenza a tutte le aree considerate strategiche, dall’altra quelle di un Paese che mette al centro del discorso intro i principi del law and order e un sostanziale conservatorismo sui temi etico-morali. Quanto queste linee programmatiche si tradurranno in politiche concrete è ancora di stabilire, anche alla luce delle reazioni che hanno prodotto le prime misure adottate dal Presidente. È, tuttavia, certo che questa visione si accorda bene alle dichiarazioni fatte in passato da diverse figure della nuova amministrazione, alcune delle quali — come la nuova Rappresentante permanente alle Nazioni Unite, Elise Stefanik, la nuova Direttrice della National Intelligence, la ex democratica, Tulsi Gabbrad, o lo stesso Vicepresidente J.D. Vance – hanno comunque aderito alle posizioni del movimento MAGA venendo da esperienze anche molto distanti.

È un’ulteriore dimostrazione di come, al di là dell’affinità ideologica, la dimensione della fedeltà abbia contato molto nella formazione della squadra di governo. È un atteggiamento che si riflette anche ai livelli inferiori della macchina governativa. La riclassificazione di numerose posizioni all’interno delle strutture federali come posizioni di nomina politica – e, come tali, revocabili ad nutum da parte del Presidente – si inserisce nella stessa logica. È probabile che anche questa decisione (che fa parte del pacchetto di ordini esecutivi che Trump ha firmato subito dopo l’insediamento) sia, nelle prossime settimane, oggetto di ricorso. Insieme alla scelta di revocare le politiche di diversità, equità e inclusione (DEI) introdotte dall’amministrazione Biden per l’accesso all’impiego federale e all’istituzione del nuovo Dipartimento per l’efficienza governativa (DOGE), la misura conferma, comunque, la volontà della Casa Bianca di incidere a fondo nel funzionamento della macchina pubblica, in linea con lo slogan della ‘lotta contro deep state’ che costituisce da sempre uno dei cavalli di battaglia di ‘The Donald’.

Non mancano nemmeno le figure ‘eterodosse’. Oltre alla ex democratica Gabbard, per esempio, il Segretario al Tesoro, Scott Bessent, è stato per tutti gli anni Novanta partner di Soros Fund Management, dirigendo fra l’altro la filiale di Londra nei giorni della speculazione ribassista ai danni della sterlina, sfociata nel ‘mercoledì nero’ del settembre 1992. In passato, è stato inoltre finanziatore delle campagne di figure di spicco del Partito democratico, come Al Gore, Hillary Clinton e Barack Obama. Tuttavia, anche le posizioni di Bessent, in tempi più recenti, hanno avuto unevoluzione in senso filo-trumpiano che l’ha fatto diventare un importante sostenitore del Presidente, sia all’epoca del primo insediamento, sia durante la sua ultima campagna elettorale. Non sono conversioni che stupiscono (come dimostra anche il compatto allineamento dei vertici delle big tech companies sulle posizioni di un’amministrazione dichiaratamente pro-business) ma che, anzi, da un lato confermano la trasversalità di molti aspetti del messaggio trumpiano, dall’altro mettono in luce la fluidità degli attuali posizionamenti politici e il carattere largamente opportunistico delle scelte compiute da molti dei protagonisti.

Di Gianluca Pastori

Gianluca Pastori è Professore associato nella Facoltà di Scienze politiche e sociali, Università Cattolica del Sacro Cuore. Nella sede di Milano dell’Ateneo, insegna Storia delle relazioni politiche fra il Nord America e l’Europa e International History; in quella di Brescia, Storia delle relazioni e delle istituzioni internazionali.