Le elezioni presidenziali statunitensi hanno un significato immenso, in particolare per il governo iraniano, le cui decisioni strategiche e politiche estere sono spesso modellate dalla leadership americana. L’esito di queste elezioni potrebbe stringere o allentare la complessa rete di sanzioni internazionali, vincoli economici e dinamiche geopolitiche che circondano l’Iran.
Per Teheran, non è solo un’altra elezione che si svolge all’estero, ma un momento decisivo che potrebbe definire il suo futuro economico, la sua posizione di sicurezza e l’influenza regionale. Ogni cambiamento nel potere di Washington potenzialmente riallinea la capacità dell’Iran di manovrare sulla scena globale e queste elezioni potrebbero benissimo impostare il corso per il prossimo capitolo cruciale nelle relazioni USA-Iran, soprattutto perché le tensioni tra Teheran e Israele hanno raggiunto un punto critico. Questa maggiore volatilità amplifica solo la posta in gioco delle elezioni statunitensi, rendendole un momento cruciale per la stabilità della regione.
Storicamente, l’Iran ha prestato particolare attenzione alle elezioni presidenziali statunitensi, molto più di quanto non faccia al processo elettorale di qualsiasi altra nazione. La ragione di ciò è profondamente radicata nei destini politici ed economici intrecciati di entrambi i paesi dall’istituzione della Repubblica islamica nel 1979. Nell’arco di più di quattro decenni, l’Iran ha assistito alle politiche di otto presidenti statunitensi, ognuno dei quali ha portato vari gradi di pressione, confronto o negoziazione. Mentre alcuni, come Jimmy Carter, hanno visto i ponti diplomatici iniziare a sgretolarsi con la crisi degli ostaggi, altri come Barack Obama hanno cercato di ripristinare i legami attraverso accordi come il piano d’azione congiunto e completo. Ora, con le prossime elezioni, la posta in gioco è più alta che mai. Il futuro dell’Iran è, in molti modi, intricatamente connesso alla decisione che gli elettori americani prenderanno il 5 novembre.
La divisione politica tra i due principali candidati in corsa per l’ufficio, in particolare per quanto riguarda l’Iran, è vasta e sorprendente. Da un lato, Donald Trump, il candidato repubblicano, ha costantemente spinto per un ritorno alla campagna di “massima pressione” che ha definito il suo primo mandato. Questa strategia prevedeva l’imposizione di dure sanzioni al settore energetico cruciale dell’Iran, con l’obiettivo di paralizzare l’economia del paese e forzare la sua mano su questioni come lo sviluppo nucleare e l’influenza regionale. La politica di Trump ha anche preso di mira i paesi e le società che hanno violato le sanzioni imposte dagli Stati Uniti all’Iran, isolando Teheran ancora di più sulla scena mondiale. Con questo approccio, la già fragile economia iraniana probabilmente soffrirebbe immensamente, creando una prospettiva desolata per il suo futuro.
D’altra parte, la vicepresidente Kamala Harris, come candidata presidenziale democratica, dovrebbe continuare le politiche dell’amministrazione Biden, che enfatizzano la diplomazia rispetto al confronto. L’amministrazione Biden ha mostrato moderazione, in particolare nei suoi rapporti con l’Iran, cercando di ricostruire ponti diplomatici, e Harris probabilmente seguirà l’esempio. Quando si tratta del programma nucleare iraniano, Harris probabilmente spingerebbe per un ritorno al JCPOA, l’accordo nucleare che Trump ha notoriamente abbandonato. Un’amministrazione Harris mirerebbe a riportare l’Iran in conformità con l’accordo nucleare, offrendo potenzialmente sollievo dalle sanzioni in cambio di una supervisione più rigorosa delle sue attività nucleari. Questo approccio è in netto contrasto con le politiche di confronto di Trump.
È anche importante sottolineare che la tempistica delle prossime elezioni statunitensi è cruciale, che si verifica in un momento in cui le tensioni tra Iran e Israele hanno raggiunto livelli senza precedenti. Nell’ultimo anno, le due nazioni si sono avvicinate al confronto militare diretto, attraversando numerose linee rosse lungo la strada. Sia le forze israeliane che quelle iraniane si sono impegnate in attacchi di rappresaglia, con il rischio di una guerra su vasta scala che incombe sulla regione. La posta in gioco di queste elezioni è quindi ancora più significativa, poiché le politiche del prossimo presidente degli Stati Uniti potrebbero alimentare o sedare questa situazione esplosiva. Un ritorno alla posizione più aggressiva di Trump potrebbe intensificare il conflitto, mentre un approccio più diplomatico potrebbe creare opportunità di de-escalation.
L’attuale amministrazione Biden-Harris ha adottato un approccio più misurato riguardo al conflitto Iran-Israele, tentando di prevenire un’ulteriore escalation. Ad esempio, la Casa Bianca ha esortato alla cautela quando si tratta delle azioni militari di Israele, specialmente in relazione ai siti nucleari iraniani. L’attuale amministrazione sembra concentrarsi sulla diplomazia come strumento chiave per risolvere questi problemi, in contrasto con la retorica falcata dell’era Trump. Tuttavia, se Trump dovesse tornare in carica, le possibilità di una posizione più dura sono alte. Recentemente ha espresso sostegno a Israele che lancia attacchi contro le strutture nucleari iraniane, segnalando che una seconda amministrazione Trump probabilmente aumenterebbe la pressione su Teheran, avvicinando la regione al conflitto aperto.
Vale la pena notare che il governo iraniano ha già sopportato quattro anni di politica di “massima pressione” dell’amministrazione Trump e le conseguenze sono state gravi. Le esportazioni di petrolio dell’Iran, un tempo una delle principali fonti di entrate, sono crollate a minimi storici. Le sanzioni hanno paralizzato l’economia, facendo perdere alla valuta iraniana gran parte del suo valore, il che a sua volta ha scatenato l’inflazione e diffuse difficoltà economiche. Il governo di Teheran ha lottato per gestire queste crisi, poiché le risorse finanziarie sono diminuite e i disordini sociali sono cresciuti. La guerra economica di Trump ha lasciato profonde cicatrici sull’economia iraniana e un ritorno a tali politiche probabilmente esacerberebbe queste sfide, lasciando il governo iraniano in una posizione ancora più precaria.
È anche fondamentale ricordare le azioni senza precedenti intraprese dall’amministrazione Trump, come l’uccisione mirata di Qassem Soleimani, il comandante della Forza d’élite Iraniana Quds. Questa mossa, che ha scioccato il mondo, ha aumentato le tensioni tra Stati Uniti e Iran a nuovi livelli. Per la prima volta nella memoria recente, le due nazioni erano sull’orlo della guerra. L’assassinio è stato un duro promemoria della natura imprevedibile della politica estera di Trump, che l’Iran non ha dimenticato. Lo spettro di ulteriori scontri simili incombe se Trump viene rieletto.
In conclusione, mentre il mondo guarda le elezioni presidenziali statunitensi, il governo iraniano è più investito nel risultato che mai. La posta in gioco per Teheran è incredibilmente alta, poiché il divario tra le politiche dei due candidati sull’Iran è vasto. Mentre un candidato può portare rinnovata pressione e confronto, l’altro offre la possibilità di diplomazia.