Mentre la tensione sale tra Stati Uniti e Cina, Washington prova a disintossicarsi dalle terre rare lavorate in Cina e si affida a una industria australiana per provarci. Ecco perchè
In considerazione del fatto che le tensioni sino-americane continuano a crescere nell’Indo-Pacifico, gli Stati Uniti stanno tenendo d’occhio con particolare preoccupazione i metalli critici, in primo luogo le terre rare.
Il motivo è che le terre rare sono utilizzate, e sono assolutamente indispensabili, nel settore delle tecnologie strategiche: industria della difesa, industria medica, strumenti digitali e transizione energetica.
Nella transizione, le terre rare sono decisamente dirimenti: o si hanno a disposizione (e non in quantità trascurabile) oppure la transizione energetica sarà impossibile.
La Cina monopolizza la raffinazione delle terre rare. Ecco perchè il Pentagono, così come il grande sistema industriale americano, ma non solo, occidentale in generale, è in allerta (se non proprio in allarme) e sta lavorando per individuare vie possibili per non dover dipendere dalle forniture di Pechino, che potrebbe chiudere i rubinetti delle terre rare. Quasi l’altra opzione nucleare’. Così come gli stati Uniti hanno messo in campo la loro ‘opzione nucleare’ -esclusione dal sistema internazionale di pagamenti- contro la Russia, la Cina può mettere in campo questa arma in forma di ritorsione a nome e per conto di Mosca bloccando le esportazioni di terre rare o per se stessa nel caso i dissidi con Washington diventassero più gravi.
Eventualità, quella del blocco delle esportazioni, che pare Pechino questa primavera stesse studiando per capire quanto danno avrebbe potuto infliggere agli USA -al sistema di difesa, piuttosto che dal punto di vista finanziario. In effetti la possibilità di un blocco delle esportazioni da parte della Cina, l’uso delle terre rare come arma, non sarebbe una misura mai attuata. «Nel 2010, l’embargo sulle terre rare imposto al Giappone dalla Cina a causa di una disputa nelle isole Senkakou/Diayou ha reso le terre rare altamente visibili e geopolitiche. Sono stati infatti armati ai fini della pressione diplomatica dal Partito Comunista Cinese (PCC), incontrando le reazioni da parte delle democrazie occidentali e asiatiche, dipendenti dalle catene del valore cinesi», come ricostruisce Sophie Hamel, ingegnere ricercatore presso GEODE (Geopolitics of the datasphere) ‘Diploweb.com‘, dell’Institut français de géopolitique, Université de Paris VIII.
Hamel fa notare che «gli Stati Uniti esportano tutta la loro produzione di terre rare grezze in Cina per la lavorazione, mentre un aereo da combattimento americano F-35 contiene 400 kg di terre rare e la Cina ha già brandito la minaccia di interromperne l’esportazione nel caso di controversia. Di fronte ai timori di penuria, alla strumentalizzazione di questi metalli e alla rivalità sino-americana, i «’Paesi che la pensano allo stesso modo‘», insomma l’Occidente, «stanno attuando politiche nazionali e cooperazione internazionale per incoraggiare la resilienza e la diversificazione delle catene del valore delle terre rare e riguadagnare maggiore sovranità nei confronti della Cina.» «»
Al momento, nulla di questo è accaduto, ma Washington ha messo in campo, ieri, un colpo importante al monopolio detenuto da Pechino. La società australiana Lynas Rare Earths ha dichiarato di aver firmato un contratto da 120 milioni di dollari con il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti per costruire un impianto commerciale di raffinazione delle terre rare pesanti in Texas.
Ciò ridurrà la dipendenza dell’America dalla Cina per i minerali strategici utilizzati per produrre missili e altre apparecchiature ad alta tecnologia.
Il contratto, che è stato assegnato alla filiale statunitense di Lynas, fa seguito al finanziamento della ‘Fase 1‘ per un impianto di separazione delle terre rare pesante annunciato nel luglio 2020. Il progetto, per il quale il Pentagono ha fornito finanziamenti iniziali, dovrebbe essere costruito in una regione industriale esistente sulla costa del Golfo del Texas e sarà operativo nell’anno fiscale 2025, secondo quanto dichiarato dalla società stessa.
Lynas, è l’unico trasformatore di terre rare al mondo al di fuori della Cina, e annovera il governo giapponese tra i suoi maggiori sostenitori.
La società ha dichiarato che intende combinare l’impianto di separazione delle terre rare pesanti con il suo proposto impianto di separazione delle terre rare leggere, che è finanziato per metà dall’Office of Defense Production Act del Dipartimento di Difesa.
L’Amministratore delegato di Lynas, Amanda Lacaze, ha affermato che l’accordo dimostra la priorità che gli Stati Uniti attribuiscono a«garantire che le catene di approvvigionamento di questi materiali critici siano resilienti e responsabili dal punto di vista ambientale». Aggiungendo che «lo sviluppo di un impianto di separazione delle terre rare pesanti negli Stati Uniti è una parte importante del nostro piano di crescita accelerata».
L’azienda sta lavorando per sviluppare il settore posizionandosi come il fornitore preferito per i suoi stretti alleati.
Come abbiamo detto, «la Cina domina l’intera catena del valore dell’industria delle terre rare, dall’estrazione mineraria alla raffinazione, alle leghe e persino alla produzione di prodotti finiti. La messa in sicurezza di questi canali rappresenta quindi una sfida importante per le democrazie occidentali e asiatiche afflitte dalle tensioni con la Cina, oggetto di politiche nazionali e regionali. È il caso dell’Australia, dove il governo mette in evidenza le capacità delle sue aziende e dei suoi territori di sviluppare catene del valore alternative per le terre rare», sostiene …..
Il contesto internazionale è favorevole allo sviluppo di un’industria australiana delle terre rare, tuttavia rimane fragile, in particolare a causa della sua dipendenza strutturale dagli attori cinesi. «Dalla fine degli anni ’80 le aziende cinesi, incoraggiate dalle politiche del PCC, hanno investito nella massiccia estrazione ed esportazione di terre rare. Si sono poi concentrati nella fase di raffinazione e lega di questi metalli dagli anni ’90, fino alla loro trasformazione in prodotti finiti. Allo stesso tempo, il PCC ha inasprito le tasse e le restrizioni all’importazione dagli anni 2000, portando a prezzi più alti, mentre la Cina si è affermata come il più grande produttore mondiale. L’attuale contesto geopolitico fa apparire come un pericolo il quasi monopolio della Cina, anche se la situazione non è nuova. Nel 2020 la Cina possedeva il 38% delle riserve mondiali di terre rare, ne estrae il 58%, ma soprattutto ne raffina l’85%. Questo passaggio, estremamente inquinante, spiega in parte perché i Paesi occidentali hanno abbandonato queste attività negli anni 90. La Cina è quindi l’unico Paese ad avere il controllo di tutti i passaggi della catena del valore delle terre rare sul proprio territorio, come mostrato nel diagramma sotto. La perdita di know-how al di fuori della Cina aumenta la dipendenza dal resto del mondo e rende difficile il recupero.»
Sempre nel 2020, a settembre, l’allora Presidente americano Donald Trump, firma un ordine esecutivo volto a d affrontare la minaccia alla catena di approvvigionamento nazionale dalla dipendenza dai minerali critici provenienti da avversari stranieri».
Inoltre, su questi temi stanno collaborando anche i Paesi Quad (India, Giappone, Australia e Stati Uniti).
L’Australia occupa quindi un posto importante come alternativa al fornitore cinese. Il territorio australiano, nel cuore della regione indo-pacifica, e anche interessato dalle politiche ostili cinesi dal 2019 – spionaggio, influenza, sanzioni economiche – vede il suo governo e le sue aziende sviluppare un discorso favorevole alla diversificazione delle catene del valore fondiario. E l’aumento delle capacità di produzione e trattamento. Gli istituti geologici australiani (Geoscience Australia) e americano (USGS) hanno così firmato nel 2019 un accordo di partenariato sulla ricerca, la mappatura, la valutazione e lo sviluppo delle capacità di analisi dei dati dei minerali critici, citando esplicitamente le terre rare . A seguito di un incontro tra il Primo Ministro australiano Scott Morrison e il suo omologo indiano Narendra Modi nel giugno 2020, «è stato anche firmato un accordo di principio tra i due governi per concentrarsi su “modi per aumentare il commercio, gli investimenti, la ricerca e lo sviluppo di minerali critici in entrambi i Paesi».
Questa dinamica è tanto più assunta a causa del deterioramento delle relazioni sino-australiane, aggravate dalla pandemia di covid-19. L’Australia ha scelto un forte riavvicinamento con il suo alleato americano per questioni di sicurezza e politica estera. Ne è espressione la scelta dei sottomarini, così come il divieto di chiamare Huawei per la realizzazione di infrastrutture 5G in Australia a partire dal 2018. In tutto quanto detto è evidente a correlazione tra le alleanze legate ai minerali critici e legati ad alleanze militari e diplomatiche».