E’ uno degli effetti della guerra in Ucraina: mentre la NATO si è già ingrossata con l’ingresso di Svezia e Finlandia, in molti ripensano la neutralità (Svizzera e Austria) e i bassi livelli di militarizzazione e difesa (Svizzera e Giappone). Sullo sfondo, il Sud del mondo, che preferisce il non allineamento
Il 23 febbraio 2022 resterà nella storia dell’Europa e mondiale non solo per l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, ma anche e soprattutto per le conseguenze geopolitiche che ha determinato. In primis la fine della globalizzazione così come l’avevamo conosciuta fino a quel momento, ma con essa, anche e soprattutto, la svolta nel pensiero geopolitico e militare.
Da una parte si è rafforzato il pensiero del non-allineamento, dall’altra si è assistito all’ingresso(solo formalmente non ancora concluso) della Svezia e della Finlandia nella NATO, due Paesi che avevano fatto della neutralità il loro ferreo credo. Rapidamente il sentiment della popolazione di questi due Paesi ha virato in direzione NATO (fino a prima del 23 febbraio, fermamente ripudiata), in nome della sicurezza ha abbracciato convintamente la forza militare, e i politici ne hanno tratto le conseguenze.
Qualcosa sta accadendo anche nella neutralissima Svizzera, il Paese che ha fatto della neutralità il suo soft power, il suo stesso spirito, quello che qualcuno ha definito il suo ‘unique selling proposition’.
Le prime avvisaglie si erano avute a maggio, cioè poche settimane dopo l’invasione russa dell’Ucraina, e mentre in Svezia e Finlandia la svolta prendeva corpo. Oggi il tema ritorna protagonista.
Ai confini di Sua maestà la neutralità, anche l’Austria inizia a chiedersi se e come riuscirà restare neutrale.
Dall’altra parte del mondo, in Giappone, la vittoria dello scorso 10 luglio del partito Partito liberaldemocratico (Pld), al governo, e dei suoi alleati, alle elezioni per il rinnovo parziale della Camera alta, poche ore dopo la morte dell’ex premier Shinzo Abe, ha dato la stura alla riforma della Costituzione pacifista.
Il Pld ha vinto 63 seggi, più della metà dei 125 in palio, con il partner Komeito che ne ha ottenuti 13, la coalizione ha ottenuto 76 dei 125 seggi, arrivando così ora a controllarne 146 (su 248). Il che significa che, insieme alle altre forze favorevoli alla riforma costituzionale, ha la maggioranza dei due terzi che permette dispazzare via il pacifismo dalla Costituzione giapponese, un riorientamento a lungo inseguito da Abe.
Il Primo Ministro, Fumio Kishida, si muoverà perarchiviare il pacifismo costituzionale che dal 1947 regna nel Paese, imposto dagli Stati Uniti. La Cartainfatti prevede la rinuncia «alla guerra come diritto sovrano della Nazione». Il che vorrà dire spostare l’esercito giapponese da una posizione difensiva a una forza offensiva in un’era in cui l’equilibrio militare regionale sta cambiando rapidamente. Esignificherà rafforzare il ruolo militare di Tokyo sullo scacchiere internazionale per garantire la sicurezza del Giappone in un’Asia sempre più turbolenta. Una svolta che sarebbe in linea con i tempi e che potrebbe essere gradita, ma soprattutto utile, anche agli Stati Uniti e alla loro politica nel Pacifico.
Il Paese ha anche, recentemente, riscritto la strategia di sicurezza nazionale e adeguato il proprio piano decennale di difesa nazionale. Uno degli argomenti in discussione è l’acquisizione della capacità di attacco convenzionale che darebbe al Giappone la capacità di reagire in caso di attacco con missili balistici.
Nei prossimi mesi è questo che in Giappone dovrebbe accadere.
Shivshankar Menon, Presidente dell’Ashoka Center for China Studies e visiting professor presso l’Università di Ashoka, dal 2010 al 2014 già consigliere per la sicurezza nazionale del Primo Ministro indiano Manmohan Singh, è convinto invece che «Una nuova guerra fredda potrebbe richiedere un ritorno al non allineamento». Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, afferma Menon, «il non allineamento è diventato un’opzione interessante per i Paesi del sud del mondo. Diversi Stati in Asia, Africa e America Latina hanno mostrato ambiguità nei confronti della coalizione occidentale, riluttanza ad approvare sanzioni contro la Russia e disagio all’idea di una nuova guerra fredda. Per questi Paesi, l’ordine esistente non risponde alle loro esigenze di sicurezza, alle loro preoccupazioni esistenzialiriguardo al cibo e alle finanze, o alle minacce transnazionali come il cambiamento climatico». In questo contesto il non allineamento«attrae leader che vedono la polarizzazione globale lesiva dei loro interessi».
Il non allineamento ha preso forma quando il mondo si è diviso in due blocchi in competizione all’inizio della Guerra Fredda. Tre decenni dopo, «il mondo appare di nuovo diviso com’era all’inizio della Guerra Fredda, con gli equilibri di potere locali che si spostano rapidamente, in particolare in Asia». Per questi Paesi «l’attuale ordine mondiale -o la sua assenza- non sembra affrontare i loro interessi e cercano alternative». Il non allineamento di oggi sarà probabilmente «l’incarnazione delle idee, degli approcci e delle politiche sperimentate dai Paesi non allineati più di mezzo secolo fa», afferma Shivshankar Menon. E a quel punto la scelta del non allineamento sarà quasi obbligata per coloro che sono a disagio difronte alla nuova Guerra Fredda.
Non la pensano così, pur, probabilmente, non sentendosi anche loro, come i non-allineati presenti e futuri, a loro agio, soprattutto non sentendo sicuri, gli svizzeri e gli austriaci, anche se con sfumature diverse.
Un ripensamento se non tutto e subito sulla neutralità, ma un primo passo verso un rafforzamento militare è ciò a cui guarda, e si sta attrezzando per realizzarlo, la Svizzera.
Proprio oggi si è concluso, a Ginevra, il simposio della NATO sui partenariati, che una volta all’anno riunisce i rappresentanti politici e militari dei Paesi membri e dei Paesi partner dell’organizzazione.
I media della Confederazione sottolineano che «la Svizzera partecipa dal 1996 al Partenariato per la pace (Partnership for Peace -PfP) della NATO. Il PfP offre alla Svizzera un quadro istituzionale per condurre un dialogo sulla politica di sicurezza insieme alla NATO, ai suoi Paesi membri e ai Stati partner, compresi per esempio quelli del bacino del Mediterraneo o del Medio Oriente. Il PfP è interessante anche per l’esercito, che attraverso questo strumento può approfondire le proprie competenze in funzione delle esigenze e quindi migliorare le proprie capacità di difesa nonché la propria preparazione in vista di operazioni di sostegno della pace o di aiuto in caso di catastrofi». La Svizzera, però, non ha mai partecipato a esercitazioni militari complete con i Paesi della NATO, ritenendo che la rigida politica di neutralità militare sancita dalla costituzione svizzera lo vieti.
Recentemente la Svizzera ha deciso l’acquisto di nuovi aerei da combattimento, operazione per altro finita subito nell’occhio del ciclone, mentre alcune forze politiche richiamano la necessità di più cooperazione perchè solo così si potrà garantire la protezione della Svizzera. Thierry Burkart, Presidente del Partito Liberale Radicale, è tra i sostenitori di una implementazione di attività collaborativa. «Ci sono situazioni in cui bisogna difendersi militarmente. Dobbiamo impegnarci anche oltre i nostri confini». L’esercito svizzero deve essere pronto a intervenire. La Confederazione, in ogni caso, può essere protetta solo attraverso la cooperazione nella sorveglianza dello spazio aereo. Oltre all’acquisto di nuovi aerei da combattimento, il PLR secondo il suo presidente, deve impegnarsi per una collaborazione più serrata con la NATO.
Lavorare più strettamente con la NATO ma fermarsi prima dell’adesione è quanto sostiene il Presidente di una delle più grandi associazioni di soldati svizzeri, Stefan Holenstein.
Damien Cottier, un membro liberale del Parlamento svizzero, ha affermato che gli svizzeri hanno pensato per troppo tempo che essere circondati da Paesi della NATO significasse automaticamente che anche loro sarebbero stati protetti. «Il nostro Paese non può essere un free rider quando si tratta di sicurezza europea».
Il budget della difesa svizzera, attualmente è poco meno dell’1 per cento del PIL del Paese, sarà aumentato, come altrove in Europa. Berna ha anche appena ordinato caccia F-35 di fabbricazione statunitense.
«La Svizzera è geograficamente lontana dalla Russia e molto meno esposta rispetto ai Paesi nordici. Ma anch’essa sente la necessità di entrare più saldamente nel sistema occidentale di garanzie di sicurezza reciproca», affermaCaroline de Gruyter, editorialista di ‘Foreign Policy‘ e corrispondente per l’Europa e editorialista del quotidiano olandese ‘NRC Handelsblad‘.
«Questo è un altro esempio di come gli allineamenti strategici in Europa stiano cambiando a causa dell’aggressione russa. Sembra che la neutralità militare ereditata dall’Europa del XX secolo stia rapidamente diventando un ricordo del passato».
E contestualmente, sia a sinistra che a destra, si comincia a ragionare sulla sostenibilità della neutralità. Secondo la TV svizzera, un sondaggiodi qualche settimana fa, il 61% degli intervistati auspica un dibattito sulla neutralità. Un dato sicuramente inatteso.
«L’ adesione alla NATO rimane profondamente impopolare tra gli svizzeri; solo il 33% è favorevole. Ma il sostegno pubblico a una più stretta cooperazione con l’alleanza atlantica è cresciuto nelle ultime settimane» e il 56% degli svizzeri vuole cooperare più strettamente con la NATO in vari modi.
«La Svizzera non si spingerà così lontano da aderire alla NATO, almeno non subito, afferma Caroline de Gruyter, «non solo perché la neutralità è nella Costituzione svizzera, ma anche perché la neutralità è un elemento essenziale dell’autopercezione svizzera, che le impedisce di aderire a qualsiasi alleanza militare con una clausola di mutua difesa».
La « Svizzera ha quattro lingue nazionali, diverse religioni e una struttura di governo fortemente decentralizzata. (I suoi cantoni hanno festività, forze dell’ordine, politiche sanitarie e istruzione pubblica diverse.) Lì, l’identità nazionale è modellata dal federalismo, dalla neutralità edalla democrazia diretta». L’identità svizzera «è un’identità politica.Entrare a far parte di un’organizzazione internazionale distruggerebbe tutto questo. Per questo il dibattito in Svizzera sul perseguimento di un rapporto più stretto con la NATO è difficile e delicato».
«Negli ultimi decenni le relazioni tra la Svizzera e la NATO hanno oscillato tra convergenza e divergenza», ha affermato Henrik Larsen, ricercatore senior presso il Center for Security Studies presso il Politecnico federale di Zurigo. In un documento di ricerca, ha scritto che in un mondo sicuro e pacifico, in particolare durante gli anni ’90, i due tendono ad avvicinarsi. Quando il mondo diventa più brutto, tuttavia, la Svizzera e la NATO hanno trovato meno terreno per la cooperazione, come quando la NATO si è concentrata nuovamente sulla difesa collettiva dopo l’annessione della Crimea alla Russia nel 2014.
«Oggi, con la NATO che rafforza le difese territoriali sul suo fianco orientale, la Svizzera ha poco da offrire e la divergenza si sta allargando.
In passato, quando gli svizzeri pensavano alla loro sicurezza, avevano in mente la sicurezza del loro piccolo Paese. Oggi lo vedono sempre più in un contesto europeo più ampio. Ora, poiché la guerra in Ucraina potrebbe allargarsi in tutte le direzioni, ha detto, Stefan Holenstein, «si rendono finalmente conto che la sicurezza è il fondamento di tutto ciò che ci sta a cuore: la nostra libertà, la nostra democrazia, lo stato di diritto e la neutralità militare”. “Pertanto, la Svizzera deve armarsi per il futuro».
Finora, questo è solo un discorso nei circoli politici, diplomatici e militari. «Se la Svizzera comincerà davvero a collaborare con la NATO in modo operativo sarà probabilmente deciso in un referendum. Se viene approvato, il processo potrebbe richiedere due anni.
Tuttavia, che questa discussione abbia luogo è rivoluzionario per gli standard svizzeri. Se anche gli svizzeri devotamente neutrali si svegliano e si avvicinano al campo occidentale, significa che il mondo sta davvero cambiando», afferma Caroline de Gruyter.
Il dibattito sulla neutralità intanto è iniziato, possibile che ci voglia ancora tempo perchè il Paese decida di cambiare pelle, anche se con i ritmi della storia e della geopolitica in accelerazione sui tempi è meglio non scommettere.
Anche l’Austria si confronta con la sua identità neutrale. A maggio, 50 eminenti austriaci hanno pubblicato una lettera nella quale, definendo tra l’altro la neutralità come «mito apparentemente intoccabile», lanciano un «forte appello alla leadership politica e ai cittadini austriaci affinché smettano finalmente di cercare di essere un ponte tra Oriente e Occidente e pongano fine alla dipendenza del Paese dalla Russia in termini di energia e altri settori. La lettera invita a “una discussione seria a livello nazionale sul futuro della politica di sicurezza e di difesa dell’Austria” e infine solleva la questione centrale in un Paese che ha trasformato la neutralità in una religione laica dagli anni ’50: l’Austria può essere ancora neutrale nel mondo di oggi?».
Nel documento si rileva tra il resto «Siamo uniti nella convinzione che lo status quo della nostra politica di sicurezza non solo è insostenibile, ma sia pericoloso per il nostro Paese». La strategia di sicurezza dell’Austria, infatti, fa notare de Gruyter, ha dieci anni. Definisce le minacce e le sfide viste nel 2013. Ma il mondo del 2013 non esiste più.
«A due mesi dalla pubblicazione della lettera aperta, non c’è stata alcuna risposta ufficiale da parte del governo».
«Ne scriviamo editoriali, ne parliamo, ma siamo bloccati», ha detto a ‘Foreign Policy‘ Velina Tchakarova, direttrice dell’Istituto austriaco per la politica europea e di sicurezza (AIES) di Vienna e uno dei firmatari della lettera. «Nessuno dei partiti politici vede nel proprio interesse toccare la neutralità o addirittura avere un dibattito sulle conseguenze di un ambiente di sicurezza in profondo cambiamento».
Dopo due guerre mondiali e una sanguinosa guerra civile negli anni ’30, gli austriaci evitano ancora istintivamente i conflitti. È nel loro DNA, spiega Caroline de Gruyter, come questo tratto distintivo degli austriaci sia radicato nella storia.
«Dopo il 1945, gli alleati amministrarono il Paese e molti austriaci rimangono ferocemente antiamericani fino ad oggi, descrivendo spesso il Paese durante quel periodo come occupato sia dall’Unione Sovietica che dagli Stati Uniti. L’Armata Rossa sovietica rimase sul suolo austriaco fino al 1955. Poi, l’Armata Rossa si ritirò e l’Austria riguadagnò la sua indipendenza, ma a una condizione imposta dal Cremlino: che il Paese rimanesse rigorosamente neutrale.
Da allora, la ‘neutralità permanente‘ è stata sancita nella Costituzione del Paese e una profonda paura di ‘calpestare la coda dell’orso russo’ ha dominato la politica estera dell’Austria. Il Paese ha coltivato profondi legami commerciali e culturali con l’Unione Sovietica e, dopo la sua scomparsa, la Russia La Germania può essere oggi criticata per la sua dipendenza dalla Russia, ma i legami dell’Austria con Mosca sono più stretti. Molti russi vivono in Austria perché lì si sentono a casa.
È significativo che l’Austria, insieme a Svezia e Finlandia, sia diventata membro dell’UE solo nel 1995, dopo la caduta dell’Unione Sovietica e dopo aver ricevuto un cenno dell’ex leader sovietico Mikhail Gorbaciov. Ma l’Austria non ha mai aderito alla NATO. L’appartenenza alla NATO non è stata nemmeno discussa, mai. Un recente sondaggio indica che il 75 per cento degli austriaci rifiuta l’adesione all’alleanza».
A marzo, il cancelliere austriaco Karl Nehammer, membro del Partito popolare austriaco conservatore, ha annunciato che la spesa per la difesa dell’Austria sarebbe stata raddoppiata, dallo 0,7% del PIL all’1,5%. Si sottolinea che in quanto Stato membro dell’UE, l’Austria sarebbe stata comunque obbligata a farlo da tempo. «Inoltre, non è solo la NATO ad avere una clausola di mutua difesa. In quanto membro dell’UE e partecipante alla politica di sicurezza e di difesa comune del blocco, l’Austria è obbligata ad agire in solidarietà: c’è una clausola di difesa reciproca nel trattato europeo. Per anni l’Austria si è comportata come se questi obblighi non esistessero. La dottrina della sicurezza del Paese necessita di una revisione completa. Eppure il governo si rifiuta di discuterne, sostenendo che ci vuole troppo tempo».
Afferma Caroline de Gruyter: «la neutralità del 20° secolo non esiste più».