Domani il Presidente americano inizierà da Israele la visita in Medio Oriente. Al centro del viaggio un accordo di difesa contenente garanzie di sicurezza statunitensi per Abu Dhabi, in chiave pro-Israele e anti-Iran

 

Nell’ultimo mese la notizia è apparsa ripetutamente, ora, alla vigilia della partenza del Presidente degli Stati Uniti Joe Biden per il Medio Oriente, il tema sta occupando l’attenzione dei migliori analisti americani. Washington starebbe presentando agli Emirati Arabi Uniti un accordo formale di difesa contenente garanzie di sicurezza statunitensi per Abu Dhabi.
Il primo nel suo genere, un fatto politicamente molto pesante e, secondo alcuni, grave.
Nulla a che vedere con la NATO del Medio Oriente -argomento (suggestivo) che era riemerso nelle scorse settimane, e che molto probabilmente era anche servito a intorpidire le acque. Una somiglianza con la NATO, però, si può intravedere nel contesto in cui questo accordo si inserisce.
Ed è il contesto a rendere questo accordo particolarmente critico. Il contesto è quello di«un’alleanza di sicurezza con gli Stati arabi che collegherebbe i sistemi di difesa aerea per combattere gli attacchi di droni e missili iraniani in Medio Oriente» per la quale sono al lavoro Stati Uniti e Israele. Il tutto in un contesto internazionale incendiario.
Nelle ultime ore si è aggiunta la notizia del Consigliere alla sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, secondo la quale l’Iran si sta preparando a fornire alla Russia droni, tra i quali alcuni armati. «Le nostre informazioni indicano che il governo iraniano si sta preparando a fornire alla Russia fino a diverse centinaia di UAV, inclusi UAV con capacità di armi su una tempistica accelerata». Il che significherebbe che l’Iran starebbe quanto meno sostenendo la Russia nella sua guerra in Ucraina.
Andiamo per ordine.

L’accordo che Biden sarebbe pronto offrire agli Emirati Arabi Uniti viene definito ‘Accordo quadro strategico’, e, oltre a difesa e sicurezza, copre «questioni economiche, commerciali, scientifiche e tecnologiche», secondo quanto riferito da ‘Axios‘.
Abdulkhaleq Abdulla, un accademico degli Emirati ed ex consigliere della leadership degli Emirati Arabi Uniti, ha recentemente affermatoche i due Paesi sono vicini alla firma di una partnership «completa e vincolante» che «nessun Paese della regione ha ottenuto finora».
Quanto lascia molto perplessi gli esperti è il fatto che tale accordo violerebbe la legislazione americana almeno su due fronti. Il patto con gli Emirati Arabi Uniti sembra essere stato guidato unilateralmente dal Presidente degli Stati Uniti Joe Biden e dal suo team, lasciando all’oscuronon solo il popolo americano ma anche il Congresso. Solo il Congresso ha l’autorità di ratificare i trattati», afferma, dalle colonne di ‘Foreign Policy‘, Jon Hoffman, esperto in geopolitica mediorientale e islam politico. Inoltre, un «aumento degli impegni di sicurezza degli Stati Uniti in Medio Oriente violerebbe le leggi statunitensi esistenti progettate per impedire al Paese di fornire assistenza di sicurezza e garanzie a governi con precedenti terribili in materia di diritti umani».
Oltre alle violazioni, un tale accordo, afferma Hoffman, «sarebbe anche strategicamente privo di senso, in quanto farebbe avanzare gli interessi di attori contrari agli interessi di Washington».

L’analista ospitato da ‘Foreign Policy‘ ricostruisce il come si sarebbe arrivati a questo errore strategico.
«Il tema dell’impegno degli Stati Uniti in Medio Oriente ha ricevuto nuovo slancio dopo l’invasione russa dell’Ucraina. I partner regionali di Washington, tra cui l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti,hanno utilizzato il ritorno della competizione tra grandi potenze per far avanzare i loro imperativi strategici e ottenere concessioni dal loro principale garante della sicurezza, gli Stati Uniti. Questi attori hanno anche approfittato dell’ansia di Washington di perdere la sua posizione rispetto alla Russia o alla Cina, nonostante questi non fossero né in grado, né disposti a colmare il vuoto lasciato dagli Stati Uniti nella regione, risultando in una sorta di ‘reverse leverage’. Ciò ha incluso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti che si sono rifiutati di aumentareconsiderevolmente la produzione di petrolio per compensare i prezzi elevati, gli Emirati Arabi Uniti si sono astenuti da una bozza di risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che condanna l’invasione di Mosca dell’Ucraina, i leader sauditi ed emiratini avrebbero rifiutato le telefonateda Biden, con gli Emirati che fungono da rifugio sicuro per il denaro e i beni degli oligarchi russi che cercano di eludere le sanzioni.

Queste azioni sono state accompagnate da una litania di analisi secondo cui gli Stati Uniti devono ‘reimpegnarsi‘ in Medio Oriente. Ciò è culminatoa marzo con gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita che hanno richiesto un trattato di difesa formale con gli Stati Uniti. In quella fase, si diceche gli Emirati Arabi Uniti abbiano spinto per unimpegno di sicurezza istituzionalizzatodagli Stati Uniti. Israele stava anche spingendo la causa per un trattato formale di difesa degli Stati Uniti con gli Stati del Golfo Persico a Washington».

«Il risultato sembra essere un’emergente coalizione regionale formale sostenuta dalle garanzie di sicurezza statunitensi. Il Ministro della Difesa israeliano Benny Gantz ha recentemente confermato che Israele sta costruendo una rete di difesa aerea regionale sponsorizzata dagli Stati Uniti chiamata Middle East Air Defense Alliance(MEAD). Non si sa molto di MEAD, ma la notizia dell’alleanza arriva dopo riunioni di cooperazione ad alto livello tra Israele, Emirati Arabi Uniti, Bahrain ed Egitto per creare un tale meccanismo, e ci sono stati sforzi per coinvolgere anche l’Arabia Saudita», prosegue Hoffman. Riunione segreta, questa, convocata dagli Stati Uniti a Sharm el-Sheikh, che risale a marzo.
Il 27 giugno, poi, prosegue la ricostruzione Jon Hoffman, «funzionari di Stati Uniti, Israele, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Marocco e Bahrain si sono riuniti a Manama, in Bahrain, per portare avanti l’istituzione del Forum del Negev, progettato per integrare ulteriormente la cooperazione in materia di sicurezza nella regione. Funzionari israeliani hanno detto ad ‘Axios‘ che questo è l’inizio di un’alleanza regionale” e che l’obiettivo è aggiungere l’Arabia Saudita, che sarà una discussione primaria quando Biden visiterà la regione. Anche il tema dellapossibile normalizzazione saudita con Israele dovrebbe essere in prima linea nelle conversazioni».
«A Washington, è stata recentemente introdotta al Congresso una legislazione bipartisan che chiede al Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti di presentare una strategia per l’integrazione di una tale rete di difesa aerea in Medio Oriente che, secondo il rappresentante degli Stati Uniti Jimmy Panetta, “proteggerebbe i nostri partner nella regione mediante la partnership esistente degli Accordi di Abraham”».

Questa più ampia alleanza, definita in una nota ufficiale dell’Amministrazione Biden una ‘partnership regionale’ quasi certamente richiederà tempo per concretizzarsi, «la questione immediata che deve essere affrontata», afferma Jon Hoffman, «è l’accordo che secondo quanto riferito è stato presentato agli Emirati Arabi Uniti e potrebbe presto essere esteso all’Arabia Saudita», una sorta di primo velenoso mattone dell’edificio dell’alleanza.

Le motivazioni che mettono sotto accusa questo accordo USA-Emirati, che potrebbe presto essere firmato, sono sostanziali e legali. E, aggiunge Hoffman, «gli attuali livelli di assistenza alla sicurezza degli Stati Uniti sia agli Emirati Arabi Uniti che all’Arabia Saudita sono già in diretta contraddizione con una serie di leggi statunitensi».
Al governo degli Stati Uniti «è vietato fornire assistenza o garanzie di sicurezza ad attori coinvolti in gravi violazioni dei diritti umani. La sezione 502B del Foreign Assistance Actafferma che “nessuna assistenza alla sicurezza può essere fornita a nessun Paese il cui governo si impegni in un modello coerente di gravi violazioni dei diritti umani riconosciuti a livello internazionale” e sottolinea il dovere degli Stati Uniti di “promuovere e incoraggiare una maggiore rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali in tutto il mondo senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione”.
A ciò fa eco la legge Leahy, due disposizioni statutarie che, nella descrizione dello stesso Dipartimento di Stato, vietano “al governo degli Stati Uniti di utilizzare fondi per l’assistenza alle unità delle forze di sicurezza straniere laddove vi siano informazioni credibili che implicano tale unità nella commissione di gravi violazioni dei diritti umani”.

L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti sono tra i governi più autocratici al mondo, entrambi classificati al di sotto della Russia da Freedom House. Sia Riyadh che Abu Dhabi sono coinvolti in diffuse violazioni dei diritti umani a casa e supportano un’ampia gamma di attori autocraticiin tutta la regione coinvolti in abusi simili», afferma Jon Hoffman. «L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti hanno rifiutato di criticare la Cina per la persecuzione della sua minoranza musulmana uigura e rimangono coinvolti in un’offensiva militare in Yemen che ha provocato la peggiore crisi umanitaria del mondo. Una recente indagine che esamina i bombardamenti indiscriminati della coalizione saudita-Emirati Arabi Uniti ha rilevato che, dal 2015, più di 300 attacchi aerei hanno “violato o sembravano violare il diritto internazionale”». Altresì, soggetti sauditi hanno violato la legge statunitense all’interno degli stessi States per portare avanti i propri programmi criminali.
Tutto ciò è ben chiaro a governo e Congresso. Per esempio, il congressista democratico Tom Malinowski, ha inviato una «lettera al controllore generale Gene Dodaro, sostenendo che Washington non sta monitorando adeguatamente le violazioni dei suoi partner mediorientali ai sensi del titolo 22 della sezione 2756 del codice degli Stati Uniti, che impedisce a Washington di fornire assistenza per la sicurezza ai Paesi impegnati in un “modello coerente di atti di intimidazione o molestia diretti contro individui negli Stati Uniti”». In questo caso il riferimento era all’Arabia Saudita.
«Per quanto riguarda gli Emirati Arabi Uniti, nel 2021 Thomas Barrack, Presidente del comitato inaugurale dell’ex Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, è stato incriminato per aver agito come agente straniero non registrato che ha tentato di influenzare le posizioni di politica estera dell’amministrazione Trump». Non è un caso isolato, anzi, per esempio, spie informatiche per gli Emirati Arabi Uniti hanno violato varie reti di computer negli Stati Uniti e sono stati condannati. Molti altre violazioni ovviamente non sono nemmeno state rilevate.

Secondo Jon Hoffman «Una garanzia formale di sicurezza a tali attori servirebbe a cementare le illegalità esistenti già incorporate nella politica statunitense in Medio Oriente». Nè, secondo l’analista, si può sostenere, come altri fanno, «che le politiche che Biden sta perseguendo sono in definitiva radicate nel ‘pragmatismo‘ e nel ‘realismo‘, progettate per promuovere gli interessi nazionali degli Stati Uniti». Tutt’altro: «raddoppiare l’attuale approccio di Washington alla regione è strategicamente controproducente».

Il perchè risiede, tra l’altro, nel fatto che da un punto di vista strategico, «la mossa rischia di cementare l’impegno di Washington nei confronti del principale problema strutturale sottostante in Medio Orientelo status quo autoritario-, mentre produce zero benefici per gli Stati Uniti». Senza contare «che gli Stati autoritari costruiscono alleanze meno affidabili e durature. Regole, trattati e leggi non significano molto quando l’autorità dei governanti è assoluta».
Un tale accordo di garanzia statunitense di sicurezza «probabilmente incoraggerebbe Abu Dhabi, Riyadh e altri autocrati regionali, dimostrando che un cattivo comportamento contrario agli interessi e ai principi degli Stati Uniti è in realtà ricompensato da Washington, aprendo la strada ad altri attori regionali per fare pressione sugli Stati Uniti affinché forniscano di più impegni formali nei confronti della regione».

Trita Parsi, vicepresidente esecutivo del Quincy Institute, sostiene che «la politica di Biden sembra sempre una continuazione della strategia di Trump in Medio Oriente», e definisce l’accordo «sinistro» e «pericoloso».
Come Biden ha ammesso: «questo viaggio in Medio Oriente riguarda la sicurezza regionale, e quella di Israele in particolare. “Gli impegni dei sauditi non riguardano nulla che abbia a che fare con l’energia”, ha detto Biden ai giornalisti il 12 giugno. “Succede ad un incontro più ampio che si terrà in Arabia Saudita. Questo è il motivo per cui vado. E ha a che fare con la sicurezza nazionale per loro, per gli israeliani”». Secondo Parsi, Biden vuole portare l’Arabia Saudita negli Accordi di Abraham, «cercherà di convincere l’Arabia Saudita a compiere passi critici verso il riconoscimento di Israele».
Stabilire «relazioni diplomatiche piene con Israele è una concessione a Israele, non agli Stati Uniti. Non fa avanzare la sicurezza degli Stati Uniti di una virgola», afferma Trita Parsi. «Né porta pace a Israele e Palestina, né stabilità al Medio Oriente. Piuttosto, «secondo il documento strategico annuale dell’Abraham Accords Peace Institute di Jared Kushner dell’agosto 2021, l’obiettivo è ‘andare oltre il conflitto arabo-israeliano’.
In questo spirito, l’Amministrazione Biden non ha fatto pressioni su Israele per alcuna concessione ai palestinesi come parte di questo accordo. Biden ha invece chiesto a Israele di astenersi da qualsiasi azione provocatoria nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme che potrebbe infiammare le tensioni prima della sua visita. Una volta terminata la sua visita, Biden presumibilmente non avrà obiezioni alla continua repressione israeliana dei palestinesi. In effetti, l’annessione strisciante del territorio palestinese da parte di Israele è accelerata da quando sono stati firmati gli Accordi di Abraham», anche perchè di fatto, come scrivonoZaha Hassan e Marwan Muasher su ‘Foreign Affairs‘, «l’obiettivo di Israele nel firmare gli accordi era di dirottare l’attenzione mondiale lontano dalla sua occupazione militare, non di metterci fine».

Pericoloso questo accordo di Biden per la pace e la stabilità nell’area perchè, secondo Parsi, appunto implementa gli Accordi di Abraham, i quali, a loro volta, «continuano una strategia americana fallitalunga quattro decenni nella regione: quella di organizzare la regione attorno all’obiettivo di isolare e contenere l’Iran».
Si prenda il petrolio, la scusa addotta inizialmente per la tappa saudita di Biden. «Gli esperti sono scettici sul fatto che i sauditi abbiano una capacità inutilizzata sufficiente per abbassare in maniera sostanziale i prezzi del gas americano. La radice del problema è l’eccessiva dipendenza di Washington dall’Arabia Saudita, una dipendenza che diventerà sempre più dannosa per gli interessi degli Stati Uniti man mano che Biden si avvicina al regno wahhabita a scapito della diversificazione delle relazioni americane in Medio Oriente. Ad esempio, l’Iran ha circa 85 milioni di barili di petrolio immagazzinati a terra e in mare aperto che potrebbero essere immessi quasi istantaneamente sul mercato, presumendo,ovviamente, che Biden ritornasse sull’accordo nucleare iraniano», come aveva promesso in campagna elettorale. Praticamente impossibile a guardare ora la situazione.
Le trattative sul rientro degli USA nell’accordo sono di fatto ferme, bloccate sul rifiuto degli Stati Uniti di acconsentire alla rimozione del Corpo d’élite delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche dell’Iran (IRGC) dall’elenco statunitense delle organizzazioni terroristiche straniere. Intanto l’Iran prosegue nell’arricchimento dell’uranio e nell’implementazione delle sue alleanze.

Il ‘contenimento’ (leggasi: isolamento) dell’Iran è stata «una fonte di conflitto nella regione piuttosto che una forza di stabilità. La “maggior parte delle disfunzioni della regione hanno radici nell’esclusione dell’Iran”, ha dettol’inviato di Biden per l’Iran Rob Malley, alla fine del 2021. «Organizzare il resto della regione contro l’Iran sarà un vantaggio per i produttori di armi, ma non creerà sicurezza». «Di fronte a un fronte unito israelo-americano-saudita-emiratino, nel bel mezzo di un’escalation della campagna israeliana per assassinare funzionari iraniani, l’Iran potrebbe essere più propenso a prendere la decisione politica di costruire una bomba nucleare. I servizi di intelligence americani, europei e israeliani concordano tutti che l’Iran non ha preso questa decisione finora», afferma Trita Parsi.

«Dal momento stesso in cui l’allora Presidente Barack Obama ha concluso l’accordo nucleare con l’Iran, Israele, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti si sono opposti e hanno favorito un accordo che legherebbe ulteriormente gli Stati Uniti al Medio Oriente e ai propri interessi di sicurezza. Lasciando l’accordo con l’Iran e firmando gli Accordi di Abraham, Trump ha mosso i primi passi verso l’accettazione delle richieste di questi Stati. Biden sta ora completando ciò che Trump ha iniziato»

Michael Eisenstadt, Kahn Fellow e direttore del programma di studi militari e sulla sicurezza del Washington Institute, parla di ‘Prospects for an Iranian ‘July Surprise’ During Biden’s Gulf Trip‘.
La ‘sorpresa di luglio’ potrebbe essere un attacco iraniano mentre Biden è in viaggio in Medio Oriente. L’Iran «probabilmente vedrà il vertice del GCC+3 come una provocazione e come un’opportunità allettante per far affondare un possibile ‘ritorno’ nel Golfo degli Stati Uniti. Un attacco durante il vertice potrebbe avere diversi benefici per Teheran: umiliare i funzionari statunitensi e i loro ospiti sauditi; dimostrare che Washington non può proteggere i suoi amici neanche mentre il Presidente è in visita, minando così gli sforzi per creare una nuova architettura di sicurezza regionale; inducendo l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti a pensarci due volte prima di aderire alle richieste degli Stati Uniti per una maggiore produzione di petrolio, sottolineando invece che l’Iran è l’arbitro ultimo della sicurezza energetica del Golfo (e quindi globale)». Si potrebbe trattare di «un lancio simbolico di un missile in un’area disabitata alla vigilia del vertice», oppure di «un attacco informatico distruttivo contro le infrastrutture petrolifere del Golfo», oppure ancora, «Teheran potrebbe scegliere di attaccare il trasporto di petrolio o le infrastrutture in mare o a terra».

Quello che i funzionari della Casa Bianca nelle scorse ore hanno dichiarato essere «uno sforzo segreto di Teheran per fornire assistenza militare per l’invasione russa dell’Ucraina», cioè la decisione di consegnare droni alla Russia, sembrerebbe già di per se unsegnaledi Teheran. L’Iran, facendo trapelare questa informazione, ha certificato la decisione degli Stati Uniti di non avere alcuna intenzione di rientrare nell’accordo sul nucleare. L’Iran ne prende atto e dimostra, senza colpo ferire, di essere ben presente al tavolo internazionale.
Spiega ‘Washington Post‘: «Sebbene la Russia abbia un proprio vasto arsenale di droni, l’arrivo di aerei iraniani potrebbe aiutare Mosca a ricostituire un sistema d’arma chiave che ha subito pesanti perdite durante i quattro mesi di conflitto. Gli UAV di sorveglianza svolgono un ruolo cruciale nel prendere di mira le forze nemiche da parte dell’artiglieria e i droni armati possono librarsi sul campo di battaglia per ore,lanciando missili che possono distruggere carri armati e altri veicoli corazzati».

«La ricezione degli UAV è una ‘dichiarazione significativa’ sui limiti delle capacità russe, ha affermato Frederick Kagan, direttore del Critical Threats Project presso l’American Enterprise Institute. Ci sono varie indicazioni che le forze sostenute dalla Russia stanno finendo le armi di precisione, cosa che gli UAV dall’Iran cambierebbero, ha aggiunto. “È difficile valutare quale sarà l’effetto, ma darà chiaramente ai russi più capacità di condurre attacchi aerei, presumibilmente più in profondità nel territorio ucraino di quanto non abbiano ora”, ha detto Kagan.
Dall’inizio dell’invasione, l’Ucraina ha utilizzato gli UAV, molti dei quali forniti da Paesi della NATO come la Turchia, per distruggere centinaia di carri armati russi e mezzi corazzati per il trasporto di personale corazzato. Mosca, che ora si trova diplomaticamente isolata e sottoposta a pesanti sanzioni economiche, ha lottato per sostituire parte del suo equipaggiamento militare perduto, mentre l’Ucraina sta ricevendo armi per miliardi di dollari, inclusi sistemi di artiglieria all’avanguardia dagli Stati Uniti Stati».
Prosegue il a ‘Washington Post‘: «L’Iran è emerso negli ultimi anni come uno dei principali produttori di velivoli senza pilota. Tra i suoi modelli militari c’è lo Shahed-129, che ricorda da vicino l’UAV Predator di fabbricazione statunitense utilizzato nelle operazioni militari e antiterrorismo all’estero. Alcuni esperti militari ritengono che lo Shahed-129 sia un clone di Predator, un reverse engineering di un aereo spia statunitense precipitato in Iran diversi anni fa. I leader iraniani hanno condiviso liberamente i sistemi UAV con gruppi esterni, in particolare milizie filo-iraniane in Iraq, Siria e Yemen. Droni progettati dall’Iran sono stati utilizzati per attaccare le basi militari statunitensi e alleate in Medio Oriente, nonché obiettivi civili come le raffinerie di petrolio». «Nel corso degli anni, la Russia è stata un partner commerciale chiave e un alleato militare occasionale dell’Iran».
Questa commessa potrebbe parlare agli USA anche di altro, oltre che di non-accordo sul nucleare, per esempio potrebbe essere l’avvisaglia di un affiancamento di Teheran a Mosca, mettendo a disposizione della Russia, per esempio, i suoi gruppi proxy in giro in Medio Oriente, dove USA e Russia si contendono il potere.
L’infiammabilità della situazione è decisamente molto alta.