Le banche e le aziende occidentali stanno abbandonando il Paese, facendolo potrebbero perdere tutto. Il sistema delle assicurazioni potrebbe non coprire questo particolare ‘rischio politico’. E’ la concretizzazione di come sta cambiando la guerra
L’economia russa è sull’orlo del default. Il motivo è semplice: i costi militari della guerra hanno gravato su di una economia già in crisi e sono stati esacerbati da un livello senza precedenti di sanzioni internazionali.
Le sanzioni stanno funzionando nel loro obiettivo di mettere in ginocchio il Paese. E però, l’altro risvolto delle sanzioni è che colpiscono i Paesi sanzionatori.
Questione gas e petrolio a parte, merita lanciare uno sguardo all’immediato, alla fuga delle compagnie occidentali dalla Russia.
Le banche e le aziende stanno abbandonando il Paese, e ciò colpisce profondamente l’economia russa, ma contestualmente, le compagnie straniere,lasciando la Russia, potrebbero perdere tutto. L’ammontare della perdita è impossibile al momento da conteggiare, si può solo rilevare che sono già 59 le grandi multinazonali che hanno lasciato il Paese (tra queste: McDonald’s, BP, Shell, Ferrari, Ikea, Ford, Mercedes-Benz, Unilever, Volkswagen, Apple, IKEA, Microsoft, IBM, Porsche, Toyota, H&M e una miriade di altre società occidentali). In Russia restano stabilimenti, macchinari, attrezzature varie, ecc…., Mosca ha già avviato la nazionalizzazione degli asset e ha lanciato un piano per introdurre la ‘gestione esterna‘ di queste società. I marchi occidentali scompariranno dal mercato, la produzione cruciale semplicemente non esisterà più, sottolinea Elisabeth Braw, ricercatrice dell’American Enterprise Institute.
Allo stesso modo, anche le banche stanno lasciando il Paese. Le sanzioni occidentali, infatti, riguardano oramai la maggior parte del sistema finanziario russo, compresa la sua banca centrale e i principali istituti di credito commerciali -tra questi, i più importanti, VTB e Sberbank. Goldman Sachs e JPMorgan Chase sono le prime grandi banche occidentali ad essersene andate. La prima europea ad uscire è la Deutsche Bank, che nelle ore scorse ha annunciato la decisione. Saranno seguite a brevissimo da molte altre. Una fuga costosa, nessuno azzarda quanto, ma ‘CNN‘, parla di decine di miliardi di dollari.
Basta qualche numero per capire quanto sarà gigantesca la perdita che gli istituti finanziari subiranno. «Le banche internazionali hanno crediti per oltre 121 miliardi di dollari vantati nei confronti di entità russe, secondo la Bank for International Settlements, che giovedì ha sospeso l’adesione della Russia. Le banche europee hanno crediti totali per oltre 84 miliardi di dollari, con Francia, Italia e Austria le più esposte; e le banche statunitensi hanno crediti per 14,7 miliardi di dollari». La sola Goldman Sachs ha una esposizione creditizia verso la Russia di 650 milioni di dollari, secondo i dati del dicembre 2021.
Perdite che si trasformano in rischi per la tenuta delle stesse banche. Fitch Ratings aveva avvertito nei giorni scorsi che «la qualità degli asset delle grandi banche dell’Europa occidentale sarà messa sotto pressione dalle ricadute dell’invasione russa dell’Ucraina». La francese Société Générale ha dichiarato di avere un’esposizione di quasi 21 miliardi di dollari, ma di avere «una riserva più che sufficiente per assorbire le conseguenze di un potenziale scenario estremo, in cui il gruppo verrebbe privato dei diritti di proprietà sulle sue attività bancarie in Russia». L’italiana UniCredit, che opera in Russia dal 1989, ha dichiarato che la sua esposizione ammonta a circa 7,4 miliardi di euro, e però che il suo braccio russo è «molto liquido e autofinanziato» e che il franchising rappresenta solo il 3% delle entrate della banca.
Giovedì la Banca centrale europea ha affermato che il sistema finanziario europeo dispone di liquidità sufficiente e che vi sono stati segnali di stress limitati. «La Russia è importante in termini di mercati energetici, in termini di prezzi delle materie prime, ma in termini di esposizione del settore finanziario, del settore finanziario europeo, la Russia non è molto rilevante», ha affermato Luis de Guindos, vicepresidente della banca centrale. «Le tensioni che abbiamo visto non sono affatto paragonabili a quanto accaduto all’inizio della pandemia». Dichiarazioni, dunque, rassicuranti per quanto attiene alla tenuta degli istituti di credito, ma il costo che questi saranno chiamati a pagare sarà molto alto.
Dunque, le aziende che stanno lasciando la Russia perderanno somme molto ingenti. «Dato lo stato disastroso delle relazioni diplomatiche tra Russia e Occidente, le autorità russe hanno mano libera se decidono di sequestrare i beni delle imprese occidentali. Le società difficilmente possono fare causa contro di loro e i governi occidentali non possono invocare il Cremlino in loro nome, soprattutto perché hanno imposto alla Russia sanzioni tanto severe» da essere di fatto una guerra combattuta con le armi dell’economia e della finanza. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, giovedì ha affermato che la situazione economica in Russia «è assolutamente senza precedenti» e ha accusato l’Occidente di combattere contro la Russia una«guerra economica».
Governi e grandi multinazionali sono coperti solitamente da assicurazioni contro quelli che si definiscono rischi politici, ma qui il problema si fa complicato, innescando una questione di lana caprina.
Spiega Elisabeth Braw, «esiste un intero segmento assicurativo noto come rischio politico che copre perdite fisiche e danni ai beni derivanti da guerre, guerre civili, rivoluzioni, colpi di Stato e altri scontri violenti. L’assicurazione contro i rischi politici copre anche situazioni così pericolose che un’azienda non ha altra scelta che abbandonare la sua proprietà. E se un governo, in questo caso quello della Russia, si impossessasse semplicemente dei beni delle aziende per rappresaglia contro di loro e contro i governi occidentali? Anche questo potrebbe rientrare nell’assicurazione contro i rischi politici. Ma non è del tutto chiaro perché mai nella storia della globalizzazione c’è stata una situazione in cui un governo decide di vendicarsi dei suoi avversari sequestrando i beni delle aziende». Ma non è così semplice.
Nel corso degli anni numerosi governi hanno sequestrato i beni di investitori stranieri. «Quando i rivoluzionari hanno preso il potere in Cina, Cuba e Iran, le compagnie straniere non hanno potuto fare nulla in quanto i regimi hanno semplicemente nazionalizzato le proprietà delle compagnie. Secondo una stima accademica, durante il periodo postcoloniale 1956-1973, quasi un quinto di tutti gli investimenti esteri diretti all’estero è stato sequestrato dai governi ospitanti. Ma la maggior parte di questi sequestri erano motivati da ideologia o guadagno finanziario, o talvolta da entrambi. Un regime che sequestri attività estere come forma di ritorsione è una rarità assoluta». E così, afferma Braw, «Se un governo usa il sequestro come rappresaglia contro la guerra economica, si potrebbe sostenere che costituisce un atto di guerra. E non sorprende che gli atti di guerra non siano coperti da un’assicurazione regolare».
È probabile che i frequenti attacchi informatici della Russia contro l’Ucraina, ora combinati con la violenza militare, provochinomoltecontroversie legali di questo tipo. “Questa guerra metterà a fuoco le esclusioni di guerra legate alle cyber-perdite”, ha affermato Julian Enoizi, CEO del riassicuratore antiterrorismo Pool Re. “Nell’era di Internet, come possiamo fare riferimento a una nozione obsoleta di ‘forma tradizionale di guerra’ che non include gli attacchi informatici quando questi non sono solo una realtà ma una forma riconosciuta di guerra moderna?”».
«L’uscita delle aziende occidentali dalla Russia possono essere interpretate dal Cremlino come bombe dirette contro l’economia russa. In effetti, Laura Burns, esperta di rischio politico presso il broker assicurativo globale Willis Towers Watson, ha detto che le compagnie che ora lasciano la Russia potrebbero essere trattate dal Cremlino come attori bellicosi perché stanno partecipando a ciò che è stato descritto come una guerra economica dell’Occidente. E quando le aziende sono viste come partecipanti a una guerra economica, i governi, anche al di fuori della Russia, potrebbero essere più propensi a considerarle un gioco leale e cercare di danneggiarle. Il Cremlino guadagnerebbe persino dal sequestro, per esempio, di una fabbrica, poiché sarebbe vista dall’opinione pubblica russa come un salvataggio di posti di lavoro e una garanzia di un flusso costante di prodotti e servizi per la popolazione».
«La guerra sta cambiando. Mentre una battaglia di terra molto tradizionale viene combattuta sul suolo ucraino, la Russia e l’Occidente si stanno schierando» per combattere la guerra degli «affari globalizzati. Le guerre cinetiche hanno manuali; la guerra d’affari no. Stiamo per imparare come si combatte e chi soffre», conclude Elisabeth Braw. E l’Europa è destinata a soffrire molto.