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Dei quattro temi che Draghi ha ricordato e che sono i quattro temi fondamentali nell’agenda di questo vertice – pandemia, ripresa economica, ambiente, Afghanistan – è importante che per ognuno di questi ci siano, almeno, alcune decisioni concrete, magari minori, ma che diano il segnale di una cooperazione effettiva”. Intervista ad Alberto Martinelli, Professore Emerito di Scienza politica e Sociologia dell’Università degli Studi di Milano oltre che Presidente della Fondazione AEM-Gruppo a2a

 

 

‘Parole, parole, parole, soltanto parole …’ canta Mina, ma la domanda è se questo verso possa descrivere anche il G20 a guida italiana che prenderà avvio alla Nuvola di Roma. Uno straordinario dispositivo di sicurezza è già partito: l’Eur è diventato una zona di ‘massima sicurezza’ di 10 chilometri quadrati, tiratori scelti appostati nei punti strategici, chiusura dello spazio aereo e sistema anti-droni. Il Viminale non ha voluto rischiare un 9 ottobre bis ed ha deciso di schierare ben 5000 uomini.
La macchina del G20 è imponente. Secondo le stime di Palazzo Chigi, nel 2021 si sono svolti 175 eventi, 62 riunioni dei gruppi di lavoro, 60 riunioni del finance track, 20 riunioni ministeriali, 8 engagement group e due riunioni dei leader su Afghanistan e salute. Non poteva essere altrimenti visto che i 20 Grandi rappresentano 89% del Pil mondiale, il 75% del commercio globale e il 60% della popolazione del pianeta. Dovrebbero prender parte, infatti, i Capi di Stato o di governo (con i rispettivi Ministri dell’economia) di Arabia Saudita, Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, Corea del Sud, Francia, Germania, Giappone, India, Indonesia, Italia, Messico, Regno Unito, Russia, Stati Uniti, Sud Africa, Turchia e Unione Europea. A questi si aggiunge la Spagna che, insieme a Singapore, è un invitato permanente del G20, e i rappresentanti dell’UE (Presidenti di Commissione e del Consiglio europeo), oltre ai Presidenti di diversi organismi multilaterali (ONU, WTO, FMI, FAO, ILO, ASEAN …)
Come è noto, il G20 non ha un segretariato permanente: l’agenda del Gruppo e le sue attività vengono stabilite dalla Presidenza di turno. Per assicurare la continuità dei lavori è stata istituita una Troika, “composta dal Paese che detiene la Presidenza, il suo predecessore ed il suo successore” e che attualmente composta da Italia (presidenza 2021), Arabia Saudita (presidenza 2020) e Indonesia (presidenza 2022).
Quello di quest’anno si impernia sulle tre P e cioè su ‘persone, pianeta e prosperità’. La Presidenza italiana ha tutte le carte in regola per essere un valore aggiunto, anche per la Premiership di Mario Draghi, leader dall’autorevolezza riconosciuta a livello internazionale. Ciò nonostante, non è peregrino immaginare che a riscuotere maggiore successo siano più i bilaterali a margine che il forum in sé che, soprattutto su alcuni temi, parte tutto in salita: l’ambiente, che sarà anche oggetto della COP26della prossima settimana, si preannuncia come il dossier spinoso, anche perché Paesi come Cina, Russia e Arabia Saudita non saranno presenti fisicamente ad alto livello.
L’obiettivo più ambizioso sarebbe quello di strappare un’intesa sulle zero emissioni nette entro il 2050 con significative riduzioni entro il 2030 e l’impegno a rimanere sotto la quota di 1,5 gradi di aumento della temperatura: se gli Stati Uniti  hanno annunciato che dimezzeranno le proprie emissioni entro il 2030 rispetto ai livelli del 2005, l’UE si è impegnata ridurle del 55% entro il 2030 mentre la Cina avrebbe annunciato le zero emissioni entro il 2060, che è lo stesso della Russia, pur avendo presentato il ‘Libro bianco’ in queste ore, dove ci si assume, come ‘obiettivo vincolante’, il taglio del 18% dal 2020 al 2025 dell’intensità del carbonio. Poi c’è il caso Australia, tra i principali esportatori di carbone, che ha deciso di fissare al 2050 l’obiettivo di zero emissioni nette, ma senza impegni di riduzione intermedia entro il 2030.
Più ampi margini di successo si profilano sulla lotta alla pandemia e una più equa distribuzione dei vaccini. Draghi ha sottolineato come la situazione pandemica attuale sia “finalmente sotto controllo grazie in molte parti del mondo grazie a campagne di vaccinazione efficaci”. Tuttavia, “a fine settembre si contavano più di 50mila morti al giorno. Il messaggio ai concittadini deve essere chiaro. I vaccini salvano vite. I Parlamenti sostengano i governi nel loro impegno contro la disinformazione in materia di vaccini”.
C’è poi la questione della ‘prosperità’ e della ripresa economica che, a detta di Draghi, “è ancora fragile e disomogenea, anche a causa della diversa intensità nelle risposte di politica economica alla crisi … Dobbiamo impegnarci, tutti insieme, per una ripresa dell’economia globale sostenuta, durevole, e che non lasci indietro nessuno”.

Non ultimo l’Afghanistan (su cui, poche settimane fa, si è già riunito, in via straordinaria, il G20) che – ha sottolineato il Presidente del Consiglio italiano – tutti i 20 Grandi ritengono “una vera crisi, una colossale crisi umanitaria, quindi la necessità di agire è immediata”. Gli sforzi del G20, secondo Draghi, dovranno essere quelli di “ricostruire le istituzioni, perché il governo talebano non ha mostrato capacità amministrative straordinarie”.

Per capire meglio cosa aspettarsi dal G20 di Roma, ne abbiamo parlato con Alberto Martinelli, Professore Emerito di Scienza politica e Sociologia dell’Università degli Studi di Milano oltre che Presidente della Fondazione AEM-Gruppo a2a.
 “Il vertice di Roma di questa settimana segna il ritorno del multilateralismo, dopo gli anni bui dell’isolazionismo e dell’isolamento legato alla crisi sanitaria. Discuteremo dei temi più complessi del nostro tempo, con l’obiettivo di trovare soluzioni ambiziose e condivise” ha detto il Presidente del Consiglio, Mario Draghi. Come definirebbe queste parole del Premier italiano?
In parte, è un auspicio, in parte corrisponde a processi reali. Il multilateralismo non è che si fosse interrotto per la pandemia, o solo per la pandemia, ma anche perché negli anni precedenti c’erano state delle tendenze isolazioniste soprattutto negli Stati Uniti di Trump. Quella causa, almeno, è stata rimossa perché l’intenzione dichiarata dal suo successore, Joe Biden, è, invece, quella di riprendere la collaborazione multilaterale, anche se dobbiamo tenere conto che elementi di antagonismo e di competizione egemonica persistono e questo rende i processi di collaborazione multilaterale molto più complessi, molto più ardui.
Il Suo è un riferimento, in primis, alla competizione tra Stati Uniti e Cina?
Sì, ma anche ai rapporti tra Stati Uniti e Russia, che hanno avuto un netto peggioramento.
Peraltro, sia Cina che Russia, oltre all’Arabia Saudita, non parteciperanno fisicamente, a livello più alto, al vertice G20. 
Esatto. È vero che Putin ha avuto un colloquio telefonico con Draghi e la parteciperà al summit da remoto mentre la Cina è presente con il Ministro degli esteri e il Presidente in remoto. Un modo per attribuire meno importanza al vertice e per segnalare una posizione, per così dire, di attesa.
In molti sostengono che, per la seconda volta in tredici anni, tocchi proprio al G20 il compito di guidare il Pianeta fuori dalla tempesta. Condivide?
Sì, io credo che, innanzitutto, sia da apprezzare l’impegno di Mario Draghi, che mi sembra abbia preso molto sul serio il suo ruolo di coordinatore e promotore in quanto Presidente del Consiglio che ospita questa edizione del G20. È sicuramente apprezzabile anche perché attribuisce anche all’Italia la responsabilità di questa operazione multilaterale che è l’unico modo per affrontare i veri grandi problemi globali e sovranazionali. Inoltre, diciamo che l’agenda è, come al solito, abbastanza impegnativa, però è vero che il G20, con la crescita dei grandi Paesi extra-atlantici, ha assunto maggiore importanza rispetto al G7/G8 e, da questo punto di vista, è altrettanto vero che è diventato l’incontro informale – perché non è un’organizzazione – in cui si possono delineare degli obiettivi e delle strategie comuni, anche se, come sappiamo, nella sua storia ormai ultra-decennale, ha avuto dei momenti in cui ha effettivamente svolto un ruolo importante ed altri in cui non ha lasciato un gran segno. Sappiamo che nasce addirittura nel 1999 come riunione dei Ministri dell’Economia e dei Governatori delle Banche centrali, poi nel 2008, in effetti, durante l’apice della crisi finanziaria globale, con l’incontro di Washington (11/2008) e, successivamente, con l’ancora più importante summit di Londra nel 2009, diventa cruciale: è nella riunione G20 di Londra nel 2009, infatti, che vengono concordate strategie per far fronte alla crisi finanziaria globale e, di nuovo, anche di recente, gli ultimi due anni hanno reso il G20 il luogo dove cercare di reagire alla crisi globale della pandemia di COVID-19.
A questo riguardo, negli ultimi mesi si è discusso molto sulla distribuzione globale dei vaccini, elemento centrale per arginare realmente, data la globalizzazione, il virus. Non sono mancate critiche ai Paesi più ricchi che si preparano alla somministrazione della terza dose mentre quelli più poveri hanno a malapena iniziato la vaccinazione con la prima. Ciò premesso, l’obiettivo dei Paesi del G20 è quello di raggiungere una copertura vaccinale di almeno il 40 per cento della popolazione mondiale nel 2021 e del 70 per cento nel 2022. A Roma, si riuscirà a prendere un impegno deciso su questo fronte?
Spero di sì. Dei quattro temi che Draghi ha ricordato e che sono i quattro temi fondamentali nell’agenda di questo G20 – pandemia, ripresa economica, ambiente, Afghanistan – è importante che per ognuno di questi ci siano, almeno, alcune decisioni concrete, magari minori, ma che diano il segnale di una cooperazione effettiva, non solo di dichiarazioni di buona volontà. Allora, per quanto riguarda la pandemia, mi auguro ci sia un impegno maggiore per distribuzione di vaccini ai Paesi meno sviluppati. Come è noto, l’Unione Europea ha già dato parecchi milioni di vaccini, però anche gli Stati Uniti devono fare di più. Mi sembra difficile che si arrivi a qualche tipo di accordo per chiedere alle grandi case farmaceutiche di fornire vaccini o terapie anti-COVID-19 a prezzi accessibili. In questo senso, sarebbe necessario un impegno sottoscritto a fare di più per combattere la pandemia nei Paesi sottosviluppati, dove il tasso di vaccinazione è molto basso. Sarebbe un risultato importante e spero che ci possa arrivare.
Anche perché ne va della sicurezza anche dei Paesi che si avviano ad uscire dalla pandemia. Inoltre, come si è visto negli ultimi mesi, la liberalizzazione delle licenze dei vaccini da sola non basta. 
È tutto molto complicato anche perché lì, come sappiamo, ci sono dei grandi attori privati e i governi, in quanto tale, possono fare pressione, ma non possono decidere. Quello che possono decidere di fare è investire risorse per distribuire vaccini. Su questo lato, penso ci si possa attendere qualcosa di buono, ma non qualche progresso reale.
Uscire della pandemia è anche un problema sanitario, ma anche economico. Sulla ripresa economica globale post-pandemia, cosa deciderà di fare il G20?
Penso che, oltre alle consuete dichiarazioni in favore del libero scambio e del libero commercio, direi che la situazione è migliore rispetto ai tempi di Trump. Direi che in questo campo ci si possono aspettare dei risultati anche senza delle decisioni particolarmente innovative se non un rinnovato impegno ad evitare politiche protezionistiche.
In quest’ottica, quindi, avanti senza problemi con la global minimum tax sulle grandi multinazionali?
Sì, è stata decisa dai Paesi dell’OCSE e, quindi, spero proprio che venga estesa.
Rimanendo in ambito economico, all’ordine del giorno ci sarebbe anche la questione dei 650 miliardi di diritti speciali di prelievo del FMI per 190 Paesi, ma cruciale resta il dossier spinoso della riforma del WTO, cui sarà dedicata una Ministeriale a Novembre. 
Quest’ultimo punto credo ci possano essere dei progressi perché, per quanto concerne il WTO, il punto più basso è stato raggiunto con Trump. Adesso c’è una ripresa anche perché credo che sia Stati Uniti che Cina non vogliano esasperare ulteriormente il loro antagonismo e l’ambito commerciale potrebbe essere il terreno su cui ci potrebbero essere dei passi in avanti nella collaborazione che compensi quel sempre più aspro confronto sul piano militare e strategico.
Il vero nodo fondamentale di questo G20 è quello legato all’ambiente, che sarà oggetto anche della COP26 che si aprirà lunedì 1 Novembre, all’indomani della conclusione del vertice di Roma. Il cammino per trovare un accordo tra i 20 Grandi sembra tutto in salita, no?
L’Unione Europea si presenta con le carte in regola nel senso che ha conseguito gli obiettivi ‘20–20-20’ che si era prefissata, però sappiamo che altri Paesi sono in mora, ci sono addirittura Paesi in cui le emissioni di CO2 nell’atmosfera sono aumentate: pensiamo ad Arabia Saudita, Australia, Messico. Anche nell’UE, ci sono Paesi cole la Germania che non hanno ancora raggiunto gli obiettivi del ‘20-20-20’ e poi è noto che la Cina, nonostante abbia deciso di non finanziare più centrali a carbone all’estero, però le centrali a carbone restano molto utilizzate sul territorio cinese. La Cina è ormai diventata uno dei maggiori emettitori di CO2, il doppio degli Stati Uniti, dove con Biden sembrava ci fosse una svolta quantomai significativa, ma dove c’è il problema del Senato in cui quella maggioranza ridottissima che è data soltanto dal voto del Vicepresidente, potrebbe portare alla non approvazione del piano della Casa Bianca in quanto un senatore democratico che intende votare con i repubblicani. E questo è molto grave perché rischia di compromettere la Presidenza Biden nonostante ci siano continuamente appelli.
In quest’ottica, sia che Biden non riesca a trovare un accordo alla COP26 o, viceversa, non riesca a far approvare il suo piano Green al Congresso, in entrambi i casi vedrebbe indebolita la sua Presidenza?
Certo perché le due grandi linee strategiche della sua Presidenza sono: il grande piano di investimenti pubblici nell’economia e nel sociale; il piano per la transizione ambientale. Ma se quest’ultimo viene bloccato da un voto contrario del Senato sarebbe una dura sconfitta.
È opinione diffusa che la mancata partecipazione fisica ad alto livello di Cina, Russia ed Arabia Saudita costituisca un chiaro segnale della ritrosia a prendere degli impegni per la riduzione delle emissioni e, quindi, non lasci ben sperare per una decisa lotta al cambiamento climatico. Lei è dello stesso avviso?
Sì, certo perché si pongono degli obiettivi ambiziosi, ma non ci sono piani dettagliati con dei traguardi intermedi misurabili e quantificabili. Spero che Glasgow non sia un mezzo fallimento, ma le prospettive non sono rosee. Tuttavia, è possibile che, se dal G20 emergesse un forte impulso, allora sarebbe tutta un’altra storia perché in quel forum ci sono economie pari all’80% del PIL mondiale e al 75% delle emissioni.
Se Cina e Russia si sfilassero dal prendere impegni sul clima, quali altri Paesi potrebbero seguirli? 
Certo, ma sappiamo che l’Unione Europea, per dire, pesa solo per l’8% nelle emissioni mondiali. La Cina ha più volte dichiarato di voler raggiungere la decarbonizzazione, anche senza specificare una data, ma l’India, ad esempio, continua a non presentare degli obiettivi precisi.
Negli ultimi tempi, si ripete che il clima è una sfida talmente grande su cui Cina e Stati Uniti non possono fare a meno di collaborare, nonostante la competizione politico-militare. Se non si riuscisse a trovare un accordo sul clima, le tensioni sarebbero destinate ad aumentare?
Sì, però credo che, anche con un accordo, il problema rimarrebbe. Stati Uniti e Cina continueranno a sviluppare dei programmi per il contrasto al cambiamento climatico solo se raggiungono un accordo sovranazionale. Certo è vero che il clima è uno di quei settori, come l’economia, in cui la collaborazione potrebbe essere anche in grado di attenuare lo scontro che c’è in altri ambiti come la competizione in aree geopolitiche e militari.
A questo proposito, il controverso accordo AUKUS sottoscritto da USA, Gran Bretagna e Australia per la fornitura di sottomarini nuclearia Canberra, ha esacerbato le tensioni tra Washington e Pechino. Si può presumere che non sarà al G20 la sede in cui si ritenterà una ricucitura?
Certo che no, così come non si risolverà la disputa di Taiwan.
Oggi Biden ha incontrato Macron, a quasi due mesi dall’annuncio dell’AUKUS, che ha scatenato una vera e propria crisi diplomatica, poi rientrata, tra USA e Francia. Il secondo ‘sgarbo’ americano all’Europa dopo l’Afghanistan. Con il G20 di Roma, le due sponde dell’Atlantico si riavvicinano?
Credo proprio di sì, anche perché la protesta degli altri europei è stata abbastanza tiepida visto che la Francia aveva sottoscritto degli accordi (per la fornitura dei sottomarini) abbastanza disordinati.
Poche settimane fa, si è tenuta una riunione straordinaria dei 20 Grandi sull’Afghanistan, che, però, rimane un punto dell’agenda anche del summit di Roma. Cosa aspettarsi dalla due giorni?
Io credo ci potrebbe essere un accordo per risolvere i principali problemi che affliggono la popolazione afghana, senza entrare nel merito di un riconoscimento del governo talebano. Ci si accorderà, dunque, sulle quote del fondo da mettere a disposizione visto che c’è anche la questione dei rifugiati e, di conseguenza, dell’interesse europeo.
Se il G7, con Biden, ha assunto la veste di club delle democrazie che si contrappone alle ‘autocrazie’, e il G20?
Nel G20 c’è maggiore pluralismo, maggiore differenze tra i Paesi presenti. Nel G7 c’è un grado di omogeneità molto maggiore,  soprattutto dopo il passaggio da Trump a Biden. Nel G20 si dà per scontato che ci siano Paesi con regimi politici diversi che, tuttavia, devono collaborare per risolvere dei problemi che nessuno riesce ad affrontare da solo in modo efficace.
In questa aperta competizione tra Cina e Stati Uniti, l’Europa sembra recalcitrante a voler prendere una posizione netta. Nessuna novità al G20 di Roma?
L’Europa può cercare di svolgere un ruolo di moderazione di questo tipo di conflitti.
La Presidenza italiana del G20 potrebbe essere un valore aggiunto?
Assolutamente sì, anche perché Draghi conosce bene i problemi e i leaders, da cui è anche molto stimato.
Secondo diversi osservatori, con la Germania che sta dicendo addio ad Angela Merkel e la Francia impegnata nella corsa alle presidenziali del 2022, Draghi, considerata la sua autorevolezza, potrebbe rappresentare l’Europa. Lei è dello stesso avviso?
Io non ho molta simpatia per questa idea perché, anche se può dare una qualche soddisfazione al nostro orgoglio nazionale, non è il caso di presentarsi come leader dell’Europa. È sicuramente un’occasione per l’Italia di tornare a giocare un ruolo che, in passato, svolgeva. Nell’UE, Germania e Francia hanno un ruolo fondamentale e l’Unione ha fatto passi in avanti tutte le volte che c’era accordo tra questi due Paesi, ma spesso con l’Italia nel ruolo di mediatore. E questo, con un leader autorevole come Draghi, è un ruolo che l’Italia può tornare a ricoprire.
Questo è l’ultimo G20 per la Cancelliera Angela Merkel (l’unica ad aver partecipato a tutti i vertici di questo forum) che, durante il summit, presenterà al mondo il suo probabile successore, Olaf Scholz, che la accompagna quale Ministro delle Finanze del governo uscente. Cosa ha significato Merkel per la storia del G20?
Merkel ha sempre cercato di essere la voce di un’Europa ragionevole, che cercava di lavorare sinceramente per la cooperazione multilaterale. Gli interessi nazionali pesano sempre, ma non si può negare un giudizio positivo.
Al G20, parteciperà anche il Presidente turco Erdogan che, pochi giorni fa, minacciava la cacciata di ben 10 ambasciatori occidentali, accusati di aver preso le difese di un imprenditore dissidente, attualmente in carcere in Turchia. Al forum di Roma, Erdogan proverà a ricucire? 
Sono le classiche affermazioni di chi vuole distogliere l’attenzione dalla crisi economica che attanaglia il suo Paese.
Dovendo fare previsione, si può dire positivo sulla buona riuscita del vertice di Roma?
Non sono pessimista, però mi rendo conto che è abbastanza difficile. Vediamo i punti che verranno decisi.