L’effettiva portata del problema che il vertice dovrà affrontare è sintetizzata in 4 report che arrivano dagli US e da una ‘considerazione’: élite che sono nate in un contesto storico e per affrontare una serie di sfide storiche, sono per natura inadatte ad affrontare una nuova era storica e una nuova serie di compiti

 

A pochi giorni dall’avvio, a Glasgow, questo fine settimana, della Cop26, appuntamento considerato cruciale per il futuro del pianeta e della razza umana,l’effettiva portata del problema che il vertice dovrà affrontare è sintetizzata in 4 report che arrivano dagli Stati Uniti e da una considerazione che alcuni osservatori stanno evidenziando in queste ore.
I quattro report sono stati emessi dalla Casa Bianca, dal Pentagono, dal Department of Homeland Security, e dall’Office of the Director of National Intelligence.Gli effetti del cambiamento climatico, sostengono i quattro documenti, saranno di vasta portata e nessun Paese sarà risparmiato dalle sfide direttamente legate ai cambiamenti climatici.
La ‘considerazione’ è che la maggior parte dell’establishment della politica estera e di sicurezza degli Stati non è all’altezza dell’emergenza, o meglio -ovvero peggio- per dirla con le parole di Anatol Lieven del Quincy Institute for Responsible Statecraft, l’establishment «continua a dare la priorità alla tradizionale minaccia della competizione tra grandi potenze rispetto alla minaccia reale e urgente del cambiamento climatico». Lieven, in realtà, si concentra sugli Stati Uniti, ma è evidente che il discorso è valido a livello planetario. Bastino due ‘assenze’ che ben esprimono lainconsapevolezza a livello globale, quella certa di Vladimir Putin e quella probabile di Xi Jinping.

Il 21 settembre, l’Amministrazione Biden hapubblicato 4 diversi rapporti sui cambiamenti climatici e la sicurezza nazionale, esponendo in termini crudi i modi in cui il riscaldamento sta mettendo a rischio in modo significativo la stabilità in tutto il mondo. E’ la prima volta che le agenzie di sicurezza della Nazione comunicano collettivamente i rischi climatici.
Nelle stesse ore, il Financial Stability Oversight Council pubblicava un suo rapporto in cui sostiene che il cambiamento climatico è unaminaccia emergenteper la stabilità del sistema finanziariodegli Stati Uniti.
Il ‘New York Times‘ annota come i «rischi che l’aumento delle temperature e dei mari comportano per l’economia, potrebbero annunciare cambiamenti radicali al tipo di investimenti effettuati da banche e altre istituzioni finanziarie». «Disastri più frequenti e distruttivi, come uragani, inondazioni e incendi, provocano danni alle proprietà, mancato guadagno e interruzioni dell’attività che minacciano di cambiare il modo in cui vengono valutati gli immobili e altri beni».

I rapporti delle agenzie di sicurezza USA «includono avvertimenti della comunità dell’intelligence su come il cambiamento climatico può agire su numerosi livelli per indebolire la forza di una Nazione. Ad esempio, Paesi come l’Iraq e l’Algeria potrebbero essere colpiti dalla perdita di entrate dai combustibili fossili, e la regione dovrà affrontare un aumento del caldo e della siccità. Il Pentagono ha avvertito che lascarsità di cibo potrebbe portare a disordini, insieme a guerre tra Paesi per l’acqua. Il Department of Homeland Security, che comprende la US Coast Guard, ha avvertito che con lo scioglimento del ghiaccio nell’Oceano Artico, la concorrenza per pesci, minerali e altre risorse aumenterà. Un altro rapportoha avvertito che decine di milioni di persone rischiano di essere sfollate entro il 2050 a causa del cambiamento climatico, tra cui ben 143 milioni di persone in Asia meridionale, Africa subsahariana e America Latina».
Il Pentagono avverte che
il grande pericolo del cambiamento climatico nel breve-medio termine èla sua capacità di agire come unmoltiplicatore di minacce, esacerbando tutta una serie di problemi esistenti».
Una
stima dell’intelligence nazionale, afferma che i rischi per la sicurezza nazionale americana non potranno che aumentare negli anni a venire. «Le tensioni globali aumenteranno mentre i Paesi discutono su come accelerare la riduzione delle emissioni di gas serra. Il cambiamento climatico aggraverà i punti infiammabili transfrontalieri e amplificherà la competizione strategica nell’Artico. E gli effetti del cambiamento climatico si faranno sentire più acutamente nei Paesi in via di sviluppo che sono meno attrezzati per adattarsi». «La Cina e l’India, con grandi popolazioni e un uso massiccio di combustibili fossili, determineranno pesantemente la rapidità con cui le temperature globali aumenteranno, afferma lastima».
E
l’intelligence americana è decisamente pessimista: «Date le attuali politiche governative e le tendenze nello sviluppo tecnologico, giudichiamo improbabile che i Paesi collettivamente raggiungano gli obiettivi di Parigi». E il motivo è presto detto: «i Paesi ad alta emissione dovrebbero fare rapidi progressi verso la decarbonizzazione dei loro sistemi energetici abbandonando i combustibili fossili entro il prossimo decennio, mentre i Paesi in via di sviluppo dovrebbero fare affidamento su fonti di energia a basse emissioni di carbonio per il loro sviluppo economico». All’orizzonte, nulla di tutto questo si riesce intravedere.
Il rapporto di intelligence ha identificato
11 Paesi come particolarmente vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico e particolarmente incapaci di far fronte ai suoi effetti». Tra questi: Guatemala e Haiti, Corea del Nord, Pakistan e India, Afghanistan e l’Iraq.

«La corsa per rispondere ai cambiamenti climatici potrebbe avvantaggiare altri Paesi, hanno aggiunto le agenzie di intelligence, in particolare quelli che diventano leader nelle tecnologie emergenti di energia rinnovabile o nelle materie prime necessarie per produrle. La Cina controlla gran parte della capacità di elaborazione mondiale di cobalto, litio e altri minerali necessari per le batterie dei veicoli elettrici, nonché i minerali delle terre rare utilizzati nelle turbine eoliche e nei motori dei veicoli elettrici.

Altri Paesi, come la Norvegia e il Regno Unito, hanno un vantaggio nel soddisfare la crescente domanda di rimuovere l’anidride carbonica dall’aria, afferma il rapporto, a causa delle politiche governative -come un prezzo sul carbonio- che supportano lo sviluppo di tale tecnologia.

Funzionari federali hanno notato come il cambiamento climatico stia sciogliendo il ghiaccio artico, aprendo il passaggio a nord-ovest tra gli oceani Atlantico e Pacifico e ponendo le basi per la competizione per le risorse e le rotte marittime per il trasporto commerciale tra Russia, Cina, Canada e Stati Uniti, tra gli altri».

Ed ecco l’ostacolo nell’affrontare il problema prioritario, come salvare la razza umana. L’ostacolo è espresso dai rapporti stessi: la crisi climatica èlettaesclusivamente in funzione della competizione tra Paesi o blocchi di Paesi -Usa-Occidente VS Cina, Russia, Iran.


«Il cambiamento climatico presenta minacce per gli Stati Uniti e il benessere dei suoi cittadini che fanno impallidire quelli provenienti da Russia,Cina o Iran», eppure «la politica estera e di sicurezza degli Stati Uniti continua a dare priorità alle minaccetradizionalidelle grandi potenze provenienti da Cina, Russia e Iran; minacce che sono di fatto minori rispetto a quelle del cambiamento climatico», afferma Lieven, anche qui riferendosi agli USA, ma è molto evidentemente una constatazione valida a livello globale. Insomma, a parole sono tutti consapevoli che l’emergenza climatica supera tutti gli altri rischi, ma i neuroni non riescono a mettere in moto i muscoli per farli muovere in quella direzione.
Lieven avanza una motivazione per questoatteggiamento «deriva da culture, tradizioni e interessi profondamente radicati all’interno dell’establishment statunitense nel suo insieme. L’America oggi soffre di un grave problema diélite residue‘ – élite che sono nate in un contesto storico e per affrontare una serie di sfide storiche, e sono per natura inadatte ad affrontare una nuova era storica e una nuova serie di compiti».

«L’ossessione dell’establishment americano per larivalità dei grandi poteri ostacola la lotta contro il cambiamento climatico principalmente in due modi. In primo luogo, continua a deviare somme immense in un budget militare statunitense (orribilmente incompetente e dispendioso), somme che sarebbero spese molto meglio per lo sviluppo di tecnologie per ridurre le emissioni di carbonio. Negli ultimi anni, gli Stati Uniti hanno speso circa trenta volte l’importo in ricerca e sviluppo militare di quanto hanno speso per lo sviluppo di energie rinnovabili, estrazione di carbonio o fusione nucleare. Anche se il pacchetto infrastrutturale dell’Amministrazione Biden andrà in porto (cosa che ora sembra molto discutibile), spenderà comunque più di dieci volte tanto su base annua. In secondo luogo, come ha chiarito un simposio del Quincy Institute nel 2020, le sanzioni statunitensi contro l’energia rinnovabile cinese rafforzeranno la dipendenza della Cina dal carboneecologicamente disastroso e qualsiasi rifiuto di cooperare con la Cina nel campo della tecnologia verde, priverà l’industria statunitense di input per le sue urgenti esigenze per il passaggio alle energie alternative e ai veicoli elettrici.

Più in generale, maggiori restrizioni sui trasferimenti di tecnologia e sugli scambi intellettuali tra Stati Uniti e Cina ostacoleranno ladiffusione della cooperazione intellettuale sull’energia rinnovabile e sullo sviluppo della cattura del carbonio in tutto il mondo».

E la conclusione è drastica: «Storicamente, le élite che sono rimaste troppo a lungo e sono cambiate troppo poco hanno finito per trascinare i loro Paesi verso il fallimento o la rivoluzione. Ci sono ancora molte opportunità per gli Stati Uniti di evitare questo destino finale, ma se gli Stati Uniti e altri Paesi leader non riescono a ridurre radicalmente e rapidamente le emissioni di carbonio e se Washington non riesce a costruire la resilienza contro gli effetti del cambiamento climatico in patria e all’estero, allora lademocrazia americana fallirà davvero ad un certo punto nelle generazioni a venire. La stessa sopravvivenza degli Stati Uniti come società repubblicana e organizzata può essere messa in discussione».

Secondo il ‘New York Times‘, «con la sua agenda climatica bloccata al Congresso, Biden rischia di avere pochi progressi da pubblicizzare a Glasgow,dove l’Amministrazione aveva sperato di ristabilire la leadership degli Stati Uniti nell’affrontare il riscaldamento».
«La strategia degli Stati Uniti nei confronti della Cina dovrebbe essere elaborata e focalizzata al fine di garantire che le tensioni tra i due Paesi non impediscano l’azione internazionale contro il cambiamento climatico», afferma Anatol Lieven. «Una relazione a somma zero tra le grandi potenze garantirà una continua priorità delle minacce militari gestibili rispetto ai pericoli climatici esistenziali. Questo è precisamente il quadro politico che deve essere superato». «La spesa per gli sforzi per limitare il cambiamento climatico e mitigarne gli effetti dovrebbe avere la precedenza sulla spesa militare, specialmente su programmi nuovi, vasti e non essenziali come il potenziamento delle forze nucleari americane, che sono già molto più grandi di quanto richiesto dalla deterrenza nucleare». «Gli aiuti internazionali dovrebbero essere aumentati e indirizzati verso la costruzione della resilienza contro il cambiamento climatico nei Paesi a rischio», mentre gli Stati Uniti «dovrebbero cercare opportunità per lavorare con la Belt and Road Initiative cinese, per migliorare la resilienza climatica nei Paesi asiatici e africani», e «dovrebbero mantenere la cooperazione e il commercio con laCina nel campo della tecnologia delle energie rinnovabili».


La Cina, il grande punto di riferimento per lamessa in cantiere di qualsiasi serio programma per invertire la rotta in tempo prima dello schianto. Al momento la presenza della Cina a Glasgow è ancora in forse, non è confermata la partecipazione del Presidente Xi Jinping, secondo alcune fonti il Paese potrebbe inviare il vice Ministro dell’Ambiente, Zhao Yingmin, insieme all’inviato per il clima Xie Zhenhua. Una presenza delegata alle seconde file che la dice lunga sulla volontà della Cina di non impegnarsi su piani che possano bloccare il suo sviluppo incentrato sul carbone. Per altro, oggi a Londra, l’inviato statunitense per il clima John Kerry incontra il suo omologo cinese Xie Zhenhua nel tentativo di trovare una via di cooperazione.
L’alternativa tra svolta e fallimento del vertice passa, secondo ‘Foreign Policy‘, da Washington: «Il più grande incentivo per la Cina, e per il mondo, a impegnarsi in tagli più profondi delle emissioni sarebbe che gli Stati Uniti dimostrassero che anche loro hanno la pelle in gioco. Il disegno di legge di spesa firmato da Biden, che include disposizioni cruciali per l’obiettivo degli Stati Uniti di azzerare le emissioni di carbonio entro il 2050, sta attualmente languendo nei negoziati tra i legislatori democratici mentre Joe Manchin, senatore della fazione conservatrice del partito, cerca di proteggere l’industria dei combustibili fossili del suo Stato. Martedì, gli aiutanti della Casa Bianca erano ancora fiduciosi di poter raggiungere un accordo prima che Biden parta per l’Europa giovedì». Nè sono pessimisti gli addetti ai lavori ascoltati da ‘Foreign Policy‘.
Dall’incontro di oggi tra John Kerry e Xie Zhenhua, potrebbero emergere indizi circa lacollaborazione (o non collaborazione) tra i due Paesi. Altresì è possibile che Xi attenda proprio l’esito di questo incontro, e magari novità dal Congresso USA, per sciogliere la sua riserva su Glasgow. Su una sua decisione per la partecipazione al vertice sono in pochi a scommettere, ma si sottolinea come il fatto che venga inviato a trattare Xie Zhenhua potrebbe essere positivo. Xie è descritto come ‘un credentenella missione per il cambiamento climatico, una figura cruciale nel passaggio della politica climatica cinese verso l’assunzione di impegni vincolanti, senza i quali lo sforzo globale per il clima sarebbe inutile.