“Non bisogna esagerare la portata della chiusura della rappresentanza russa a Bruxelles e, soprattutto, del fatto che l’Alleanza abbia espulso del personale russo in quanto il dialogo del NATO-Russia Council era già inattivo da un paio d’anni”. Intervista a Davide Borsani (ISPI)
(Non) c’eravamo tanto amati, è quello si potrebbe dire, parafrasando il titolo del noto film di Ettore Scola, per descrivere il rapporto NATO-Russia: pochi giorni fa, il Ministro degli Esteri russo,Serjei Lavrov, ha annunciato la sospensione, a partire dal primo novembre, di ogni attività della missione permanente di Mosca presso il quartiere generale dell’Alleanza dopo che Bruxelles aveva espulso otto ‘diplomatici’ russi per sospetta attività spionistica. «Come risultato delle deliberate azioni della NATO, non abbiamo praticamente più le condizioni per la più elementare attività diplomatica. Per questo sospendiamo il lavoro della nostra missione permanente e del suo capo. Il funzionamento dell’ufficio informazioni della Nato a Mosca, creato presso l’ambasciata del Regno del Belgio, sarà chiuso», ha reso noto Lavrov, sottolineando che gli alleati “non sono interessati a un dialogo paritario e a un lavoro congiunto per ridurre le tensioni politico-militari. La linea dell’alleanza verso il nostro Paese si fa sempre più aggressiva. La “minaccia russa” è gonfiata, anche per rafforzare l’unità interna dell’alleanza, per creare l’apparenza della sua ‘rilevanza’ nelle moderne condizioni geopolitiche”. “Se la NATO ha delle domande urgenti, può contattare il nostro ambasciatore in Belgio (Alexander Tokovinin)”, ha precisato Lavrov.
La portavoce della NATO Oana Lungescu ha dichiarato: “Abbiamo preso atto della decisione della Russia di sospendere il lavoro della sua missione diplomatica presso la NATO e della missione di collegamento militare della NATO a Mosca e di chiudere la missione di informazione della NATO a Mosca. La politica della NATO nei confronti della Russia rimane coerente. Abbiamo rafforzato la nostra deterrenza e difesa in risposta alle azioni aggressive della Russia, mentre allo stesso tempo rimaniamo aperti al dialogo, anche attraverso il Consiglio NATO-Russia”.
A detta di Heiko Maas, Ministro degli Esteri tedesco, la mossa russa, “più che riprovevole”, “rende tutto più difficile”. Uno stato di cose che è “tutt’altro che di aiuto e pesa sui rapporti” tra NATO e Russia. In questo contesto, ha aggiunto Maas, “la Germania rimane pronta al dialogo”.
L’espulsione degli otto diplomatici russi accreditati era stata decisa dall’Alleanza all’inizio del mese e, unitamente ai due posti non ancora coperti cancellati dall’organico, la missione russa era drasticamente stata ridotta da 20 a 10 membri. «Erano funzionari non dichiarati dei servizi segreti russi. Assistiamo negli ultimi tempi a una crescita dell’attivismo ostile da parte della Russia», ha spiegato il Segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg.
Qualcosa di simile era accaduto già nel caso dell’ex spia sovietica passata con i servizi segreti britannici, Sergej Skripal, che nel marzo del 2018 rischiò la morte dopo un tentativo di avvelenamento con il gas nervino Novichok nella cittadina inglese di Salisbury. A quell’episodio fece seguito un forte ridimensionamento della presenza ufficiale russa nella NATO, da 30 a 20 membri. Il Cremlino non ha mai inviato un sostituto per il suo più ultimo ambasciatore presso la NATO, Alexander Grushko, che è tornato a Mosca per assumere un incarico di vice ministro degli Esteri nel gennaio 2018.
Il deterioramento delle relazioni tra l’Alleanza e la Russia si è fatto più marcato dopo l’annessione russa della Crimea nel 2014. Non a caso, il portavoce di Putin Peskov è stato molto netto sull’avvicinamento occidentale all’Ucraina: l’ingresso di Kiev alla NATO «prefigurerebbe lo scenario peggiore, uno scenario che varcherebbe la linea rossa degli interessi nazionali russi». Per Peskov, «questo è uno scenario che potrebbe spingere la Russia ad attuare misure attive per assicurare la propria sicurezza».
Negli ultimi mesi, si è poi assistito ad una vera e propria escalation da entrambi le parti: aerei russi hanno più volte sconfinato negli spazi aerei di Paesi alleati o neutrali, come la Svezia. Successivamente, l’Alleanza ha denunciato lo schieramento di truppe russe alla frontiera con l’Ucraina che, però, seguiva l’annuncio di manovre congiunte della Nato ai confini Est dell’Europa, con 40 mila militari e 15 mila mezzi. Nono sono mancate le polemiche anche per l’ultima esercitazione di Russia e Bielorussia, Zapad 2021, che hanno destato preoccupazione soprattutto a Varsavia.
Non va dimenticato che è in via di attuazione pratica a livello NATO la dottrina ‘4 x 30’, ovvero lo sviluppo della capacità di mettere in campo entro trenta giorni trenta battaglioni, trenta unità aeronautiche e altrettante navi da guerra. Nel maggio scorso, il Ministro russo della difesa Shojgu ha risposto rivelando la creazione entro fine anno di 20 unità di risposta ai confini occidentali del Paese.
Nel corso della ministeriale della difesa tenutasi in questi giorni, l’Alleanza ha deciso di conservare “un pacchetto equilibrato di misure politiche e militari” di fronte “alla crescente minaccia dei sistemi missilistici della Russia”. Secondo Stoltenberg, vi si includono “miglioramenti significativi alle nostre difese aeree e missilistiche, il rafforzamento delle nostre capacità convenzionali con jet di quinta generazione, l’adattamento delle nostre esercitazioni e dell’intelligence, e il miglioramento della prontezza e dell’efficacia del nostro deterrente nucleare”. In più, “manterremo i nostri sforzi di promozione del controllo degli armamenti, del disarmo e della non proliferazione”.
Dalla ministeriale è arrivato un nuovo “piano complessivo per difendere l’Alleanza in crisi e conflitti”, così da disporre delle “forze giuste al posto giusto al tempo giusto”. Vengono stabiliti anche nuovi obiettivi capacitivi, parte del “Nato defence planning process” che troverà maggiore strutturazione con il nuovo Concetto Strategico. Da non tralasciare la luce verde al ‘fondo per l’innovazione’ con un miliardo di euro da investire sulle tecnologie emergenti e dirompenti. “Assicurerà che gli alleati non restano indietro sulle capacità e novità tecnologiche che saranno fondamentali per la nostra sicurezza”, ha evidenziato Stoltenberg. Al fondo hanno aderito per adesso 17 Paesi, tra cui Italia, Regno Unito, Germania, molti Paesi dell’Est, ma non USA, Francia, Canada e Spagna
All’insegna dell’agenda #Nato2030, già a giugno i capi di Stato e di governo avevano dato il primo via libera al fondo, insieme a quello per il “Defence innovation accelerator for the North Atlantic”, un hub civile-militare tecnologico targato NATO che sembra sempre più attenta anche all’intelligenza artificiale su cui i Ministri della difesa hanno trovato un accordo. “Stabilisce gli standard per un uso responsabile dell’intelligenza artificiale, in conformità con il diritto internazionale”, ha affermato Stoltenberg.
In questi giorni, poi, il Segretario alla Difesa USA, Lloyd Austin, è stato in Georgia dove ha firmato un nuovo memorandum per la difesa comune tra l’Occidente e l’ex repubblica sovietica. Un tassello in più della manovra di «accerchiamento» iniziata anni fa con la creazione di sistemi di difesa missilistica e di avvistamento in Romania e Polonia, è questa la percezione di Mosca che, tramite il vice ministro degli Esteri, Oleg Syromolotov, ha dichiarato che risponderà «in maniera adeguata» a tutti i tentativi occidentali di destabilizzare la situazione interna della Russia.
Inoltre, in un’intervista rilasciata al ‘Financial Times’, il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, ha dichiarato che Russia e Cina non dovrebbero essere viste come minacce separate. “Prima di tutto Cina e Russia lavorano a stretto contatto”, quindi non ha senso “distinguere così tanto tra Cina, Russia, Asia-Pacifico o Europa: è un grande ambiente di sicurezza e dobbiamo affrontarlo tutti insieme. Quello che facciamo sulla prontezza, sulla tecnologia, sul cyber, sulla resilienza è importante per tutte queste minacce. Non metti un’etichetta”.
Non da oggi, dunque, la collaborazione e i contatti tra i militari tra NATO e Russia si erano ridotti al minimo e quindi la «sospensione» non segna un cambio di passo sebbene rimanga aperta la ‘linea diretta’ tra il massimo comandante militare della NATO, il generale Tod Wolters, e il capo dello stato maggiore delle forze armate russe, il generale Valery Gerasimov. Tuttavia, l’ultima volta che la NATO ha riferito che i due uomini hanno parlato risale all’aprile 2020, con l’ultimo incontro faccia a faccia due mesi prima.
Quali conseguenze avrà questa rottura tra NATO e Russia? Cosa c’entra la Cina con la decisione di Mosca? Lo abbiamo chiesto a Davide Borsani, Associate Reaserch Fellow dell’ISPI specializzato in Relazioni Transatlantiche.
Come valuta la rottura tra NATO e Russia?
È l’ennesima dimostrazione di un rapporto che è in fase di deterioramento già da diversi anni, almeno 7 se vogliamo usare la Crimea come data di inizio di questo processo. in realtà, è vero che il NATO-Russia council era rimasto in funzione fino al 2019, ma i rapporti erano già peggiorati a partire dal 2014. Ed anche in merito alle ultime vicende, più che strettamente legate all’espulsione delle cosiddette ‘spie’ russe alla NATO, secondo me, la reazione russa ha molto più a che vedere con quanto avvenuto in Georgia, con il rinnovo dell’accordo di sicurezza. E non è un caso che il portavoce russo abbia ribadito che quella è l’ultimissima linea rossa disponibile. Anche perché la chiusura della rappresentanza – se consideriamo le vicende nella Repubblica Ceca che ha espulso un buon numero di diplomatici russi, ma dove l’ambasciata russa è rimasta aperta – ha molto più di strumentale delle vicende delle spie e, dal punto di vista contenutistico, da leggere in chiave di quello che avvenuto con il Segretario alla difesa USA, Lloyd Austin, in Georgia.
Perché non si riesce ad invertire questa tendenza di progressivo deterioramento delle relazione NATO-Russia?
Il punto è la Crimea, che è qualcosa di non risolvibile al momento perché tira in ballo dei principi su cui è impossibile passarci sopra né da una parte né dall’altra. Nel momento in cui la Crimea diventa irrisolvibile, tutto quello che avviene sono effetti a cascata che si porta dietro le relazioni tra Russia e Stati Uniti: le ingerenze russe nelle elezioni americane o le vicende del Nord Stream 2 o i rapporti tra Bielorussia e Paesi baltici sono tutti eventi che sono tamponabili, ma che senza la definitiva soluzione della crisi ucraina – che non è all’orizzonte – rischia di tenere congelati i rapporti tra Occidente inteso come NATO e Russia, benché alcuni Paesi europei abbiano naturalmente un occhio diverso in direzione di Mosca rispetto a quello di Washington.
Va detto che i contatti tra i singoli Paesi alleati e la Russia non vengono intaccati da questa rottura, ma potremmo dire che il NATO-Russia Council era un retaggio di un’altra fase geopolitica?
Sì, tra l’altro il NATO-Russia Council era già una riedizione di un’iniziativa collassata in seguito al Kosovo. Nel 1997, mentre si decide a Madrid di espandere la NATO ai Paesi del Gruppo di Visegrad, Clinton e Eltsin raggiungono un accordo sul Permanent NATO-Russia Council che è decaduto a causa di quella che Mosca ha considerato un’invasione dell’Alleanza nelle faccende interne della Serbia. Quello che ci insegnano gli ultimi trent’anni, sostanzialmente, è che i rapporti tra NATO e Stati Uniti, da una parte, e Russia, dall’altra, è che sono sempre stati caratterizzati da alti e bassi. Certo è che, in mezzo, non c’era mai stata una violazione come nel caso dell’Ucraina e non c’è mai stata un’annessione alla Russia, con o senza il consenso del Paese che più strettamente lo riguardava. Lo dice anche la National Security Strategy del 2015: era stata data per scontata in Europa l’integrità territoriale, la sicurezza. Con la crisi della Crimea, appunto, non si può più dare per scontato nulla e quindi la NATO deve scegliere un approccio diverso alle tematiche della sicurezza europea.
Pochi giorni fa, il Segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, ha rilasciato un’intervista al ‘Financial Times’ nella quale affermava che Cina e Russia costituiscono un unico ambiente di sicurezza e, come tale, deve essere affrontato tutto insieme. La Cina ha influito nella postura della NATO nei confronti di Mosca e, di conseguenza, nella scelta russa di chiudere la propria missione di rappresentanza a Bruxelles?
Quello che dice Stoltenberg è un preciso indirizzo che caratterizza l’Alleanza già a partire dal Dicembre 2019 ed è stato ribadito nel nuovo ‘rapporto dei saggi’ che precede il nuovo Concetto Strategico e che è stato impresso dallo stesso Trump. Diciamo che l’intervista a Stoltenberg ha a che fare con un orientamento ben più ampio della contingenza e della piccola crisi con la Russia. Tenderei a non esagerare la portata di questa chiusura e, soprattutto, del fatto che la NATO abbia espulso del personale russo in quanto il dialogo del NATO-Russia Council era già inattivo da un paio d’anni. E nel momento in cui è inattivo quello, la rappresentanza russa alla NATO ha tutta una valenza simbolica.
Siccome non è il primo caso di espulsione reciproca di personale diplomatica, può definirsi proporzionata la decisione russa di chiudere la propria missione a Bruxelles rispetto alla decisione della NATO di espellere 8 membri della rappresentanza russa?
Chiudere una rappresentanza in un’organizzazione è una mossa che implica un apporto simbolico non indifferente. Del tipo: ‘politicamente non vogliamo più avere niente a che fare con voi’. Da questo punto di vista, la NATO aveva detto solamente che quel personale non era gradito. Certamente, la reazione russa è stata di maggiore portata simbolica e politica rispetto alla decisione dell’Alleanza.
In questa rottura con Mosca, tutti gli alleati sono concordi o viene privilegiata la posizione di alcuni, come i Paesi dell’Est?
Potrei rispondere con le parole di Mario Draghi nel senso che, se da una parte dell’Alleanza Atlantica si dice che ci si deve concentrare maggiormente sulla minaccia costituita dalla Russia, il Premier italiano, invece, sostiene che, in realtà, la NATO si sta concentrando fin troppo sulle tematiche extra-europee, asiatiche. Quindi, il dibattito c’è all’interno della NATO e non è certo nuovo perché anche nel 2014, quando ci si tornò a focalizzare sulla minaccia russa, molti Paesi, inclusa l’Italia, chiesero di guardare anche al fianco Sud dove avevamo il problema dell’ISIS. Sostanzialmente, il dibattito su dove l’Alleanza deve concentrarsi è vivo e gli Stati Uniti, in questa fase, hanno un occhio particolare con la Cina. Lo stesso atteggiamento lo ha l’alleato inglese, come abbiamo visto con le vicende dell’AUKUS e con il dispiegamento della portaerei Queen Elizabeth. Il problema è, come sempre, quello di trovare una sintesi: la frattura sarà tra la nuova e la vecchia Europa, che aveva già iniziato ad esserci nel 2002, con gli avvenimenti più recenti e l’ascesa definitiva della Cina, che ha complicato molto il dibattito su cosa debba essere la NATO: un’organizzazione regionale (come spinge Draghi) o un’alleanza a vocazione globale? Essere un’alleanza a vocazione globale implica una trasformazione che richiede volontà politica, risorse economiche e lungimiranza strategica.
Alla base, come hanno dimostrato le vicende dell’Afghanistan e dell’AUKUS, c’è anche un problema di legame transatlantico e della differenza di priorità nelle agende americana ed europea che l’arrivo di Biden non ha scalfito.
Non ci si poteva aspettare niente di diverso. Senza tornare alla Guerra Fredda, quando mai un Presidente degli Stati Uniti non è andato a Bruxelles a chiedere agli europei di spendere di più per la difesa? Sostanzialmente, cambiano le forme, le modalità, ma se gli Stati Uniti stabiliscono una cosa, seguono sempre il proprio interesse.
La rottura tra Russia e NATO rende l’Europa più insicura?
Siamo in una situazione in cui le dinamiche sono in divenire e dove non abbiamo la cristallizzazione che si poteva avere durante la Guerra Fredda. Le dinamiche possono cambiare a seconda di avvenimenti che non è detto debbano essere solo europei, ma potrebbero essere anche asiatici. Quindi, abbiamo uno sguardo che arriva fino in Asia e, in secondo luogo, l’Europa, che ha una sua struttura di sicurezza chiara e definita, che, evidentemente, non è considerata sufficiente altrimenti non si spiegherebbero alcune mosse in termini di autonomia strategica europea. Abbiamo, allora, tutta una serie di punti di domanda che derivano da una situazione globale in continuo mutamento e gran parte delle risposte deriveranno dall’evoluzione dei rapporti tra Cina e Russia.
Negli ultimi mesi, come avviene annualmente, ci sono state esercitazioni effettuate da NATO e Russia e che, vicendevolmente, sono considerate delle provocazioni. Non sono mancati anche sconfinamenti aerei. La rottura tra NATO e Russia aumenta il rischio che incidenti possano degenerare in crisi più drammatiche?
Questo è un trend che si è affermato negli ultimi sette anni: pensiamo a tutto quello che sta succedendo nel caso bielorusso o dei migranti. La tensione c’è e si avverte sotto molti profili. Il rischio incidenti esiste ed è molto alto, più volte lo si è scongiurato. Pensiamo a quello che accade spesso nel Mare di Azov o in Crimea. Da tutte e due le parti, c’è del movimentismo, ma da qui a sfociare in un conflitto, credo che nessuna delle due parti lo voglia anche perché entrambi sanno che il punto cardine è che l’Europa è un’appendice di un teatro ben più ampio, non è più il cuore.
I canali militari tra NATO e Russia restano, comunque, aperti?
Sì, come quelli diplomatici, nonostante la chiusura della rappresentanza russa a Bruxelles che ha soprattutto un valore simbolico.
Perché esemplifica un clima di sfiducia reciproca.
Esatto, come dopo la crisi di Crimea quando erano state sospese le consultazioni del NATO-Russia Council, ma che proseguivano con altri canali.
Chi ci guadagna da questa rottura? Chi ne esce vincitore e chi sconfitto?
Non credo che la Russia ci guadagni nel senso che una mossa politica di questo tipo è la punta dell’iceberg. La Russia può guadagnare peso politico nel momento in cui gli Stati Uniti acconsentono alla realizzazione del Nord Stream 2 perché i tedeschi lo spingono. Quella attuale è una manifestazione di tensione che si rivolge alle orecchie di Washington avvertendo che il sostegno a Ucraina e Georgia potrebbe minare sul lungo periodo gli equilibri europei.
Per ricomporre questa frattura tra NATO e Russia, cosa sarebbe necessario fare?
Sarebbe necessario un accordo di ‘coesistenza pacifica’, per usare un’espressione da Guerra Fredda, che permette alle due parti di riconoscersi sullo stesso piano. Cosa che, all’inizio, aveva fatto anche Obama, per poi definire la Russia ‘potenza regionale’ dopo la crisi della Crimea. Sarebbe certamente necessario un accordo onnicomprensivo che tenga insieme anche il nucleare.