“L’euroscetticismo non ha premiato il Primo Ministro uscente. Le coalizioni avversarie hanno già firmato un memorandum. Un governo Babiš si può presentare alla Camera, ma non otterrà la fiducia”. Intervista ad Angela Di Gregorio, Docente ordinaria di diritto pubblico comparato all’Università Statale di Milano
Sul finire della scorsa settimana, in Repubblica Ceca, si sono aperte le urne per le elezioni politiche che, con un’affluenza del 64,7%, hanno avuto per il Primo Ministro uscente, Andrej Babiš, un sapore dolce amaro visto che il suo partito ANO (‘Sì‘), pur rimanendo la singola forza politica più votata, si è attestato al 27,13% (nel 2017 era arrivato al 30%), superato dalla coalizione riformista SPOLU (‘Insieme‘) al 27,78%. Il terzo posto l’ha conquistato l’alleanza tra il Partito Pirata e Sindaci-indipendenti con il 15,6%, seguito dalla destra euroscettica di Libertà e Democrazia Diretta-Spd (9,56%).
In termini di seggi, SPOLU si è aggiudicata 71 deputati, ANO 72, Pirati e Sindaci Indipendenti 37, Spd 20. SPOLU, sotto la guida di Petr Fiala, ha visto alleati i Civici democratici ODS, con Top 09 e i Cristiano democratici KDU-ČSL, mentre Ivan Bartoš si è presentato a capo dell’alleanza PirStan che comprende Pirati e Sindaci-indipendenti. Nessun seggio per i socialdemocratici ČSSD (4,6%, non accadeva dal 2010) e i comunisti KSČM (3,6%), che non avendo superato lo sbarramento del 5%, si ritrovano fuori dal Parlamento per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Nell’immediato, Babiš si è detto ‘sorpreso’ dal risultato, ma ha anche sottolineato che i sondaggi diffusi prima delle elezioni assegnavano ad ANO una percentuale ancora minore, pari al 22%, e non ha mancato di dare parte della responsabilità ai voti di Praga, storicamente più progressista rispetto al resto del paese. Inoltre, ha rimarcato, «c’erano cinque partiti tutti contro di noi e avevano un solo programma: rimuovere Babis».
Il miliardario populista non sembra però aver rinunciato alla prospettiva di un nuovo mandato, dato che il Presidente della Repubblica, Milos Zeman, grande alleato del Primo Ministro, aveva annunciato, prima del voto e anche nel successivo incontro con Babiš, di voler partire con il partito che ha preso più voti, non con una alleanza. Quindi, il partito ANO di Babiš, arrivato secondo con il 27,13%. “Domenica, quando ho parlato con il Presidente, ha parlato del fatto che darà il mandato a me quando arriverà il momento”, ha chiarito il Primo Ministro il quale ha però anche ammesso che occorrerà attendere l’ufficializzazione di questa decisione e che “non ostacoleremo il processo democratico e noi siamo, io penso, molto costruttivi”.
Nel caso, il Premier uscente dovrebbe trovare cercare alleati: “Mi rivolgerò alla coalizione SPOLU e negozierò con loro”. Il premier uscente prima del voto guidava un governo di minoranza con i socialdemocratici. Tuttavia, la coalizione SPOLU ha già fatto sapere che non intende governare con Babiš e ha già avviato i contatti con la coalizione arrivata seconda e formata dal Partito Pirata e i suoi alleati del Partito dei Sindaci, insieme ai quali ci sono i numeri per una maggioranza più solida, controllando 108 dei 200 seggi del Parlamento di Praga. Del resto, «entrambi hanno una possibilità di costruire il governo – ha detto il leader di SPOLU, Petr Fiala – il cambiamento è qui, promesso».
Il secondo problema è che il Presidente della Repubblica Ceca, il 77enne Miloš Zeman, è in terapia intensiva all’ospedale militare centrale di Praga per alcune complicazioni. Il medico del presidente, Miroslav Zavoral, ha spiegato di non poter ancora rendere nota la sua diagnosi. Ex primo ministro fra il 1998 e il 2002, Zeman è Presidente della Repubblica ceca dal 2013, il primo ad essere eletto per un secondo mandato, grazie ad un emendamento della Costituzione. Soffre di diabete ed è confinato su una sedie a rotelle per un disordine del sistema nervoso e già a settembre era stato ricoverato otto giorni in ospedale. Da Costituzione, è prerogativa del Presidente ceco la nomina del Premier incaricato di formare il governo. Se malato viene sostituito dal presidente della Camera dei deputati. E per Babiš la situazione potrebbe complicarsi.
Non è un momento felice per il 67enne Babiš, magnate dell’alimentare, dei prodotti chimici e dei media, che oltre ad affrontare le accuse della polizia per presunte frodi sui sussidi dell’Ue, è uno dei politici al centro dell’inchiesta finanziaria Pandora Papers, che il Premier stesso non aveva esitato a bollare come una manovra per screditarlo. I documenti lo accusano di non aver rivelato una serie di società di comodo utilizzate nel 2009 per acquistare diverse proprietà tra cui una villa di lusso in Costa Azzurra, nota come ‘Chateau Bigaud’, per 22 milioni di dollari. Le società delle Isole Vergini e la proprietà in Francia non compaiono nelle dichiarazioni patrimoniali che il primo ministro è tenuto a presentare come pubblico ufficiale. Babiš aveva però negato di aver fatto qualcosa di sbagliato o illegale: «Ho pagato tutte le tasse. Questo è assurdo». Poche settimane prima, Andrej Babis junior, figlio non molto amato del Premier, aveva accusato il padre di essere bugiardo, violento è disonesto. “Sei malato, ti servono cure psichiatriche” era stata la risposta del padre che, già nel 2018, il giovane accusò di averlo fatto rapire per evitare che testimoniasse contro di lui.
In campagna elettorale, Babiš aveva tenuto una linea euroscettica tanto da proporre l’abolizione del Parlamento europeo oltre a quella del senato ceco. Un euroscetticismo alimentato anche dai comizi fatti in compagnia del leader ungherese Viktor Orbàn. Ha anche promesso di aumentare stipendi e pensioni dei dipendenti pubblici, ma il suo populismo, stando all’esito del voto, può dirsi effettivamente in scacco? Quali scenari si aprono per la guida del governo? A queste domande ha risposto Angela Di Gregorio, Docente ordinaria di diritto pubblico comparato all’Università Statale di Milano.
Come valuta l’esito elettorale per Babiš che con il suo partito ANO ha conquistato il 27,1%, neanche 3 punti percentuali in meno rispetto alle elezioni del 2017?
Tenendo presente il sistema istituzionale della Repubblica Ceca, è ovvio che è una sconfitta perché si aspettava di mantenere la sua forza mentre ha perso 6 seggi, neanche molto. Il tema è che Babiš era in un governo di coalizione con i socialdemocratici, che oggi sono totalmente fuori dal Parlamento. Per la prima volta dalla Rivoluzione di Velluto, né i socialdemocratici né i comunisti hanno superato la soglia di sbarramento. Questa è anche un’indicazione molto importante. Inoltre, per formare un governo che abbia la fiducia dalla Camera Bassa, è necessario avere almeno 108 seggi o comunque voti favorevoli. Da questo punto di vista, Babiš avrebbe una chance solo se riuscisse a scardinare la coalizione SPOLU, portando dalla sua parte l’ODS, i civici democratici che hanno conquistato 34 seggi, visto che gli mancano 28 voti favorevoli. Quelli delle due coalizioni che hanno già formato un memorandum d’intesa sono già 108. Per ottenere la fiducia ne basterebbero 101, il 50%+1 di 200.
Quanto hanno contato sull’esito in chiaroscuro di Babiš le recenti rivelazioni dei Pandora Papers e le accuse rivoltegli dal figlio?
Non è la prima che questa personalità politica è stata sotto la luce dei riflettori per tutte queste vicissitudini. C’è addirittura un’indagine europea per il suo pesantissimo conflitto d’interessi, di cui non c’è una legge neanche da loro. Babiš è un importante imprenditore e spesso ha avvantaggiato le sue aziende con importanti commesse governative. Tuttavia, ricordo che già in passato, alla vigilia delle elezioni, ci fossero rivelazioni di indagini nei suoi confronti oppure chiarimenti chiesti dalle istituzioni europee per le sue questioni personali, ma ciò nonostante – ed io mi meravigliavo già alle ultime elezioni – aveva vinto risultando il primo partito e facendo, poi, l’alleanza con i socialdemocratici. Si vede che questa volta la vittoria è stata proprio sul filo del rasoio. Sono stati abili a coalizzarsi i partiti di centro liberali e il Partito dei Pirati con quello dei Sindaci indipendenti.
La gestione della pandemia ha influito su questo voto?
Questo tipo di valutazioni non le farei perché la pandemia è stato un qualcosa che ha riguardato tutto il mondo e, in linea di massima, ha inciso in minima parte sui risultati elettorali un po’ ovunque. Essendo la differenza talmente limitata, non si può comunque addossare la responsabilità all’una o all’altra cosa. Il problema è un altro: il Presidente Zeman è il principale supporter di Babiš e potrebbe manovrare le cose – addirittura si specula sui giornali cechi, che si tratti di un ricovero fatto ad hoc – a Suo favore. Siccome prima del voto, aveva dichiarato che avrebbe conferito il mandato al leader del primo partito e non della prima coalizione, il partito di Babiš rimarrebbe il primo, ma mancante di alleati con cui coalizzarsi per formare il governo. Quindi, se mantenesse l’intenzione espressa prima del voto, il Presidente potrebbe incaricare Babiš che, però, poi sarebbe costretto a provare a fare dei patti con altri partiti o scardinare le due coalizioni.
Avrebbe qualche chance in tal senso?
No, perché il portavoce del partito, e non lui direttamente, ha dichiarato che rispetteranno la volontà degli elettori e che sono pronti ad andare all’opposizione, anche se, secondo me, il partito di Babiš è più vicino all’ODS che ai socialdemocratici con cui aveva formato una coalizione.
L’ha stupita il buon risultato conseguito dalla coalizione SPOLU e, in particolare, del partito civico democratico, che molti, soprattutto dopo gli scandali di corruzione di qualche anno fa, davano in grave difficoltà?
Hanno anzitutto rinnovato la leadership ed anche il candidato della coalizione è piuttosto credibile. Oltre alla qualità della leadership, da quello che si è visto nella Repubblica Ceca negli ultimi trent’anni, i due principali partiti, i socialdemocratici e i civico-democratici, si sono alternati nei vari governi e sono stati progressivamente erosi da scandali di malaffare. Poi c’è la caratteristica del sistema ceco che rende molto difficile per un solo partito avere la maggioranza necessaria per formare un governo, e questo costringe a formare delle coalizioni. Adesso, potrebbero diventare cinque i partiti mentre nell’ultima legislatura erano solo due.
Questo rende la maggioranza di governo più litigiosa e il governo più instabile?
A dir la verità, nel giro di poche ore dopo le elezioni, le due coalizioni hanno sottoscritto un memorandum, hanno già stabilito quanti ministeri spettano all’uno o all’altro partito. Quindi, si sono accordati in modo molto veloce e, forse, lo avevano fatto già prima delle elezioni, nel corso della campagna elettorale. Non vedo, in questo momento, grosse litigiosità.
Si aspettava il discreto risultato dell’alleanza tra il Partito Pirata e Sindaci-indipendenti?
Infatti, il Partito Pirata ha perso ben 18 seggi. Quelli che hanno guadagnato di più sono stati i Sindaci che hanno ottenuto 33 seggi, partendo da 6. L’elettorato ha premiato gli amministratori, l’indipendenza e una politica non schierata ai partiti tradizionali che mi sembrano non tutti in buonissima salute. Se non si fossero coalizzati o se non avessero dichiarato prima del voto che avrebbero governato insieme ad altri, tutti i partiti avrebbero avuto dei risultati piuttosto risicati, visto che quello che ha più voti rimane comunque ANO. Piuttosto, c’è il problema del Capo dello Stato: la prossima settimana, il Senato si riunirà per decidere se dichiararlo incapace. Il Capo dello Stato è eletto direttamente dai cittadini: può essere dichiarato, per un tempo limitato, ‘incapace’ in attesa che possa poi ristabilirsi oppure indire nuove elezioni per eleggere il successore. La Costituzione, però, aiuta perché stabilisce chi fa da supplente: per alcune questioni, il Premier in carica e, quindi, lo stesso Babiš, ma non per la nomina di un nuovo governo. In quel caso, toccherebbe allo speaker della Camera che dovrebbe andare ad uno dei partiti delle coalizioni vincenti che, in caso di decadenza temporanea o definitiva del Presidente, dovrebbero comunque riuscire a formare il nuovo governo. Il problema principale è costituito dai tempi perché il governo precedente venne formato addirittura 8 mesi dopo le elezioni. Finché non si forma il nuovo esecutivo, però, rimane in carica quello precedente, ma essendo privo della fiducia della nuova Camera, comunque, non potrebbe esercitare nel pieno le sue funzioni.
Si può escludere un governo di minoranza guidato da Babiš?
Da quello che sappiamo, le coalizioni hanno fatto un accordo. Un governo Babiš si può presentare alla Camera, ma non otterrà la fiducia.
In campagna elettorale, Babiš aveva promesso di aumentare stipendi e pensioni dei dipendenti pubblici, non tralasciando di agitare lo spettro dell’immigrazione. Sappiamo che buona parte degli ancora molti consensi di ANO provengono dall’elettorato più anziano e delle regioni del Paese più disagiate, Boemia occidentale e orientale oltre che Moravia settentrionale. Continuare a soffiare sul vento delle paure e delle difficoltà paga?
Quello che credo sia costato di più a Babiš è il suo euroscetticismo, pur essendo un pragmatico, molto più di Orbàn o Kacynsky. Ristabilire l’economia ed aiutare le fasce più disagiate sono obiettivi che possono essere raggiunti anche con i fondi europei del Recovery Plan. Avere un atteggiamento euroscettico non premia in questo periodo storico.
La sconfitta dei socialdemocratici e dei comunisti è figlia di questo tentativo di Babiš di attrarre l’elettorato più disagiato?
Secondo me, i socialdemocratici non hanno saputo rinnovarsi e tantomeno i comunisti. Il loro consenso proveniva dalle fasce più anziane e nostalgiche, non si sono mai rinnovati dal punto di vista della piattaforma programmatica, ma hanno avuto un grande consenso nella fase storica in cui molti perdenti dell’apertura al libero mercato avevano patito. I comunisti cechi, del resto, esistono dal 1921, quindi ben prima dell’imposizione del modello sovietico. Diciamo che i partiti di sinistra sono sempre esistiti perché è un Paese molto industrializzato ed è chiaro che ora che siamo in una fase ‘post-partitica’, i partiti rispondono ad esigenze del momento e non di lungo periodo.
Molti hanno visto nel risultato a tinte fosche di Babiš un esempio del populismo europeo messo alle strette dato che, negli stessi giorni, si è vista l’uscita di scena del Cancelliere austriaco Kurz e la sfida della Polonia all’Unione Europea. Lei è d’accordo?
No, quella di Babiš, è una sconfitta di stretta misura e direi anche quasi casuale perché, se vediamo ai risultati, ANO è comunque primo partito, anche se non ha potere di coalizione. La situazione polacca e ungherese sono completamente diverse ed anche all’interno di questo famoso ‘Gruppo di Visegrad’, Repubblica Ceca e Slovacchia l’ho sempre considerate differenti rispetto agli altri due Paesi. Quindi, Babiš non ha mai votato contro o opposto il veto al regolamento sulla condizionalità di bilancio, ovvero del rispetto dello Stato di diritto. È stato impugnato di fronte alla Corte di Giustizia europea da Polonia e Ungheria, non da Repubblica Ceca e Slovacchia. Inoltre, attualmente la Repubblica Ceca ha un forte contenzioso con la Polonia per via di una miniera al confine che è molto inquinante. I cechi sostengono che questa miniera inquini le loro acque ed hanno vinto una sentenza molto importante davanti alla Corte di Giustizia e i polacchi si rifiutano di chiudere la miniera. Non è che poi i rapporti siano così buoni.
Quindi, il Gruppo di Visegrad è più diviso di qualche anno fa?
Secondo me, il Gruppo di Visegrad è stato coeso solo quando c’è stata la questione migratoria del 2015. Prima di questa data, nessuno conosceva il Gruppo di Visegrad, pur esistendo dal 1991. Quindi, questa internazionale sovranista tra questi quattro Paesi non l’ho mai vista e dal punto di vista del rispetto dello Stato di diritto, la Repubblica Ceca non ha nessuna violazione mentre gli slovacchi hanno fatto molte dichiarazioni pro-europee negli ultimi tre anni. L’unica cosa che li teneva uniti era l’opposizione alla redistribuzione dei migranti.