“La stagione di Angela Merkel è stata sicuramente positiva, ma non per merito suo. Quella franco-tedesca è una dialettica continua, fluida, favorita dall’impianto istituzionale creato dal Trattato dell’Eliseo del 1963”. Intervista a Jean-Pierre Darnis, consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali (IAI) e Professore associato di ‘Lingue e affari internazionali, relazioni franco-italiane’ all’Université Côte d’Azur
Nel fine settimana, in Germania si sono tenute leelezioni per il Bundestag che hanno visto prevalere l’SPD e il suo candidato Olaf Scholz. Questa tornata elettorale ha altresì segnato la fine dell-era di Angela Merkel, che ha deciso di non ricandidarsi dopo sedici anni di governo.
Un periodo lunghissimo conclusosi con la tragica pandemia di Covid-19 che, nel maggio 2020, ha portato Francia e Germania a proporre il Recovery Fund, cioè 750 miliardi di euro raccolti dalla Commissione sui mercati e suddivisi tra i diversi Paesi membri, tra prestiti e denaro a fondo perduto. Una soluzione inedita rispetto agli errori commessi nelle crisi precedenti, ma che non sarebbe stata possibile senza la trattativa e il compromesso tra Parigi e Berlino.
Compromesso franco-tedesco era stato anche quello raggiunto, nel luglio 2015, nel pieno della crisi greca, quando all’Eliseo c’era François Hollande, provando a fare la sintesi tra i ’falchi’ (come il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaüble) che pensavano a una Grexit, e le ‘colombe’ che erano favorevoli alla prosecuzione dei piani di aiuto alla Grecia allora guidati dal governo di sinistra radicale di Alexis Tsipras. Compromesso franco-tedesco si era raggiunto anche nell’ottobre 2011: nella notte del 27 ottobre, in una riunione straordinaria da lei convocata a Bruxelles, alla presenza di Herman Van Rompuy (allora presidente del Consiglio europeo) e Christine Lagarde (allora direttore del FMI), la Cancelliera si accordò con l’allora Presidente francese, Nicolas Sarkozy, su una cancellazione parziale del debito greco detenuto da creditori privati, principalmente banche. A questa intesa, sarebbe seguita la creazione di un fondo monetario europeo permanente (il MES, meccanismo europeo di stabilità) – voluto dalla Francia all’insegna di un debito pubblico europeo più flessibile e condiviso – e del Patto di Stabilità, voluto dai Paesi ‘frugali’ e da una parte della politica tedesca. In questo modo, i prestiti europei a tasso agevolato e garanzie bancarie vengono concessi solo in cambio di riforme strutturali nazionali e di una revisione condivisa a livello europeo di ciascun bilancio nazionale annuale. L’esempio della Grecia docet.
Fino al 2020, Merkel non ha proposto ai suoi quattro omologhi francesi piani visionari per la costruzione europea cosi come non ha accolto le proposte di questo tipo che gli hanno rivolto, siano essi gli Eurobond di Sarkozy poi Hollande, o l’ambizioso catalogo di nuovi iniziative di Emmanuel Macron. Ma con quest’ultimo, ha lasciato all’Europa Ursula von der Leyen Presidente della Commissione Europea. La commissione che, per affrontare la pandemia, oltre al Recovery Fund (un altro successo franco-tedesco), ha avviato il processo di sospensione dei criteri di Maastricht e della normativa sugli aiuti di Stato; ha mobilitato i fondi disponibili nel bilancio ordinario con la BEI; ha deviato il Fondo di Sicuro e Solidarietà per la lotta al coronavirus; ha lanciato bandi di gara europei senza precedenti per attrezzature mediche e poi vaccini; ha imposto la transizione energetica e digitale come pilastri della ripresa.
Come si può valutare la Cancelliera Angela Merkel dal punto di vista delle relazioni tra Francia e Germania? Quali sono i recenti maggiori successi dello speciale rapporto tra Berlino e Parigi? Lo abbiamo chiesto a Jean-Pierre Darnis, consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali (IAI), Professore associato di ‘Lingue e affari internazionali, relazioni franco-italiane’ all’Université Côte d’Azur, oltre che ricercatore associato alla Fondation pour la Recherche Stratégique (FRS).
Angela Merkel diviene Cancelliera quando all’Eliseo c’è Jacques Chirac. Da allora, sono trascorsi 16 anni e si sono succeduti altri tre Presidenti francesi. Quale valutazione si può dare di questi anni in relazione ai rapporti franco-tedeschi?
Darei una valutazione buona sulla durata delle varie presidenze (Jacques Chirac, Nicolas Sarkozy, François Hollande, Emmanuel Macron). In questo ambito, però, credo che il rapporto migliore lo abbia avuto con Nicolas Sarkozy. Potrebbe essere sorprendente, ma credo che da vari punti di vista sia stato così. Quelle franco-tedesche sono relazioni che funzionano molto bene, ben oliate, ma che sono anche molto frustranti. Difficilmente si passa a qualcosa che sia a livello dell’impianto istituzionale di queste relazioni. È veramente paradossale: la relazione politica c’è, anche se non c’è sempre convergenza.
La si potrebbe definire ‘dialettica’?
Esattamente, una dialettica costante, perpetua e funziona molto bene, al di là degli aspetti personali. Per esempio, quando Hollande nominò Primo Ministro Jean-Marc Ayrault, un finissimo germanista, per ricucire un po’ il rapporto con Berlino, non è che abbia avuto chissà quale grande risultato. Questo perché credo che la relazione franco-tedesca vada molto oltre questo. Il rapporto creato dal Trattato dell’Eliseo del 1963 è molto stabile, è molto intenso e poggia su meccanismi di convergenza anche fra alti dirigenti della pubblica amministrazione che, comunque, hanno un effetto strutturante molto forte. Questo, da un lato, crea delle attese per una politica che mai arriva veramente, anche se, talvolta, abbiamo avuto dei rapporti importanti come tra Giscard d’Estaing e Schmidt, molto più che tra Mitterand e Kohl che, comunque, hanno interpretato la simbologia della storia. La stagione di Angela Merkel è stata sicuramente positiva, ma non per merito suo.
Lei prima ricordava il rapporto con Sarkozy che, tuttavia, non inizia nel migliore dei modi nella misura in cui viene investito dalla crisi finanziaria del 2008, per fronteggiare la quale Merkel, a differenza del Presidente francese, sostiene la necessità di misure nazionali e non europee. Questo non ha raffreddato le relazioni tra Berlino e Parigi?
No, Sarkozy e Merkel continuano a vedersi, a lavorare insieme e, quando è uscito di scena, la Cancelliera ha reso noto il suo apprezzamento per il Presidente francese con uno stile molto irruente e molto diverso da quello tedesco. Le testimonianze incrociate di Merkel e Sarkozy lodano il lavoro fatto insieme. E credo che questo sia assolutamente significativo perché dimostra quanto l’impianto del Trattato dell’Eliseo funzioni bene e crei degli obblighi di incontri, di commissioni insieme che creano una consuetudine al di là del fatto che si tratti di due sistemi politici completamente diversi – il parlamentarismo con Cancellierato (molto simile al sistema italiano) per la Germania, il presidenzialismo per la Francia – con delle culture di politica internazionale molto diverse.
A questo riguardo, infatti, occorre ricordare che, sempre durante la Presidenza Sarkozy, la Germania di Angela Merkel si astenne dalla partecipazione all’intervento in Libia.
La Germania si astenne in quel momento come in altri momenti. Inoltre, bisogna tenere presenti che gli italiani sono ossessionati dalla Libia e questa ossessione italiana fa sì che si tenda a sovra-interpretare tutto quello che riguarda quel Paese. Ma la Merkel, del resto, ha a che fare con un Paese pacifista, dove l’uso della forza non viene ben visto. Ecco perché, in quell’episodio come in altri precedenti, l’impiego della forza in Germania non viene contemplato, anche se, successivamente, la Germania mostrerà grande solidarietà mandando, ad esempio, truppe per la formazione in Mali, dando sostegno concreto all’approccio in Africa, molto prima che altri Paesi lo facessero.
Contemporaneamente, scoppia la crisi dei debiti, la crisi dell’euro. Secondo l’ex Premier italiano, Mario Monti, “Merkel e Sarkozy pensavano di poter governare la situazione in due Quello fu il momento più alto dell’egemonia franco-tedesca in Europa. Invece innescarono una turbativa dei mercati che sarà ricomposta solo dal summit del giugno 2012, dopo che l’elezione di Hollande aveva messo fine al binomio esclusivo tra il presidente francese e la cancelliera tedesca”. Concorda con questa analisi?
No, perché il rapporto tra Francia e Germania è un meccanismo complicato di convergenze, ma non ha niente a che vedere con il termine ‘egemonia’ che è un termine imperialista. Il rapporto Franco-tedesco è un rapporto complicato, è una trattativa continua, una mediazione continua.
Una trattativa continua che permetterà alla Germania di imporre il Patto di Stabilità e alla Francia di veder creato il MES (Meccanismo Europeo di Stabilità).
Certamente. Non bisogna dimenticare due aspetti fondamentali: né la Francia né la Germania sono due sistemi perfetti e né la Francia né la Germania prendono delle decisioni tutte d’un pezzo perché hanno costituzioni politiche complicate e diverse. Il rapporto franco-tedesco media tra questi vari livelli e, mediando, ci sono cose contrastanti, ma alla fine le mediazioni creano delle situazioni un po’ insoddisfacenti, ma certamente di convergenza su cui poi molti in Europa si aggregano o si trovano nel Consiglio Europeo. Da questo punto di vista, la mediazione è ‘trainante’, ma non è un’’egemonia’ perché il progetto non è affatto egemone, ma soltanto di un rapporto a due necessario in Europa in cui è necessario iscrivere le mediazioni interne. Tra l’altro, anche per questo, un eventuale meccanismo allargato anche all’Italia tramite un meccanismo franco-italiano aumenterebbe la bontà di questo continuo gioco di mediazione. Non è un progetto egemone perché, sì la Francia ha una cultura bonapartista e potrebbe voler vedere il mondo con i suoi occhi, ma figuriamoci se la Germania, con la memoria dei disastri conseguenti al nazismo, vuole ricommettere quegli errori.
Si scatena, in quegli stessi anni, la crisi greca. All’Eliseo, è arrivato François Hollande che, a differenza di Chirac e Sarkozy, è un socialista.
La differenza, però, su queste politiche praticamente non esiste. Del resto, in Francia abbiamo una destra sociale, una destra conservatrice e sulla decisione di aiutare la Grecia c’è una convergenza totale.
È un fatto, però, che Hollande si schiera più apertamente per la linea dei Paesi mediterranei, quindi anti-austerity.
Sì, ma è una nuance. Alla fine, sia socialisti che repubblicani hanno sempre difeso le stesse cose. Di fronte alla Grecia, c’è un’enorme continuità.
L’arrivo di Hollande, un socialista che, tra l’altro, aveva forti contatti con l’SPD, era stato accolto con freddezza da Merkel, no?
Sì, ma anche perché Merkel era molto affezionata a Sarkozy. In un certo senso, secondo me, la Cancelliera sperava che Sarkozy proseguisse perché, in fondo, si era trovata molto bene umanamente. Ma, poi, riparte con Hollande che, sicuramente, ha posizioni molto diverse, per esempio, da Schauble. Va detto, però, che Hollande è stato molto criticato anche in Francia, non solo all’estero, ma ha dovuto anche affrontare situazioni difficili come il terrorismo.
Il famoso abbraccio tra Merkel e Hollande, nei giorni successivi agli attacchi di Charlie Hebdo.
Sicuramente c’erano delle opinioni divergenti tra Merkel e Hollande, ma non era molto diverso da quanto era successo molte altre volte tra Presidenti francesi e Cancellieri tedeschi. Sicuramente non era come con Sarkozy, ma, di fronte agli attentati, la Germania esprime una solidarietà vera, concretizzata successivamente con l’invio di truppe per aiutare la Francia in Africa, cosa che molti altri Paesi, tra cui l’Italia, si sono rifiutati di fare anche dopo esplicita richiesta francese.
Oltre alla lotta all’ISIS, anche Ucraina, Siria, nucleare iraniano sono altre crisi internazionali nelle quali questa forte cooperazione si esprime in modo molto deciso.
Sì, sull’essenziale si ritrovano perché non dipende da loro, ma dall’impianto istituzionale del Trattato dell’Eliseo che ha creato cinghie di trasmissione permanenti non solo tra governi, ma anche tra Parlamenti (c’è almeno una seduta l’anno) ed alti dirigenti dei ministeri. Quindi, anche quando le cose non vanno così bene, dietro c’è uno scambio continuo.
Che, con il Presidente Macron, si consolida grazie al Trattato di Aquisgrana.
Sì, ma il Trattato di Aquisgrana è stata, secondo me, un’operazione soprattutto mediatica per ridipingere il Trattato dell’Eliseo: se si va a guardare, infatti, l’impianto fondamentale è quello dell’Eliseo. Certamente esiste ed è in linea di continuità, ma è un’operazione mediatica di ammodernamento.
L’amministrazione americana di Donald Trump ha ancor di più rafforzato questa forte partnership tra Berlino e Parigi?
Essendoci ormai dal 1963, con il Trattato dell’Eliseo, una forte condivisione anche delle informazioni diplomatiche tra Francia e Germania, c’è sicuramente una consapevolezza di alcune cose e, per motivi diversi, la Presidenza Trump è stata problematica sia per la Francia che per la Germania. La cosa interessante è che, mentre la Francia ha sempre avuto quella posizione atlantista, ma guardando alla pari gli Stati Uniti – come per dire ‘siamo alleati, ma possiamo anche essere distanti’ – la Germania, in modo molto più lento, ma più strutturale, ha avuto una serie di problemi con il suo atlantismo. Da questo punto di vista, questa evoluzione ha avvicinato Parigi e Berlino e, tra l’altro, rappresenta l’ultima fattispecie, ma anche le ultime vicende di Biden inerenti all’AUKUS hanno presentato una convergenza.
Proprio nelle ultime settimane, dopo l’Afghanistan e dopo la vicenda dell’AUKUS, si è ricominciato a parlare di difesa europea, di autonomia strategica. Germania e Francia sono in sintonia su questo punto?
Non credo perché si vede chiaramente che, su questi argomenti, la visione francese e la visione tedesca sono diverse. Come dimostra il battibecco che pochi anni fa ci fu a riguardo tra il Presidente francese e la Ministra della difesa tedesca, c’è dialettica, ma non accordo. Dove c’è maggiore convergenza, invece, secondo me, è sulla tecnologia, sulla sovranità tecnologica. E questo è molto importante se si vede l’accelerazione tecnologica in Francia e l’occhio di riguardo che ha la Germania su questo.
Un esempio, l’entrata di Mercedes Benz come nuovo partner in Automotive Cells Company, la società nata dall’intesa tra Stellantis e TotalEnergies che punta a diventare il leader europeo delle batterie per veicoli elettrici con una capacità industriale a 120 GWh entro il 2030.
Sì, ma anche l’enorme consenso tedesco rispetto alle politiche di Thierry Breton in Europa. Breton che, tra l’altro, era dirigente di un’azienda franco-tedesca, Athos, e che, in modo intelligente, ma anche casualmente, è stato nominato Commissario europeo per l’industria e la tecnologia, spinge molto sull’acceleratore, consapevole di quello che vogliono i tedeschi e del loro accordo. Quindi, intorno alla Commissione e a Breton, c’è davvero un’accelerazione in corso, ma si era già visto anche perché i rapporti del tech francese con la Germania sono molto forti visto che ci sono tante generazioni che parlano entrambe le lingue. Sulla tecnologia, dunque, c’è un’accelerazione in corso, ma non sulla difesa europea dove rimangono dei problemi insuperabili come il nucleare che i francesi hanno, ma che i tedeschi rifuggono oppure il fatto che l’uso della forza in Francia viene deciso dal Presidente che manda le truppe all’estero mentre in Germania questo è costituzionalmente impossibile. Sono degli elementi fondamentali che non sono risolvibili nel contesto attuale.
Quindi, neanche nel prossimo semestre europeo presieduto dalla Francia?
No, ma le convergenze più importanti credo siano sul piano tecnologico che può essere anche strategico, considerate le sue possibili applicazioni.
Ursula Von der Leyen Presidente della Commissione europea e, successivamente, per far fronte alle disastrose conseguenze economiche della pandemia, il Recovery Fund (o Next Generation EU) possono essere entrambi definiti un emblema di successo della relazione franco-tedesca?
Assolutamente sì. Perché Macron sponsorizza Von der Leyen? Lui l’aveva solamente frequentata durante i consigli dei ministri congiunti, l’aveva apprezzata e la sponsorizza, creando un vincolo esterno alla Merkel ed aiutando la Cancelliera a sciogliere un rebus interno. Questo è un segno vero di questa ‘sociologia’. Si è creato un gioco politico che, tra l’altro, è fluido.
Come poi è stato per il Recovery Fund.
Esatto. Un gioco di mediazione. La cosa molto interessante del rapporto franco-tedesco, che si vede anche con Macron, è che funziona perché esiste davvero questo spazio politico comune creato dall’impianto dal Trattato dell’Eliseo. In quello spazio, a differenza di quello che si pensa in Italia, non decidono tutto loro, ma esprimono questa fluidità di posizioni e provano a trovare un compromesso che possa adattarsi ai loro interessi in Europa e, ovviamente, molto spesso riescono a trascinare altri Paesi, ‘mediterranei’ o ‘rigoristi’.
Si riescono a trovare mediazioni efficaci anche sui rapporti con Russia e Cina, Paesi con cui Berlino e Parigi hanno interessi diversi?
Sì, ma perché esiste un rapporto fluido, quotidiano, non sancito dai leaders. È una dialettica continua, si media, magari ci si oppone, ma prima dei Consigli europei. Il risultato di questa funzionante dialettica è una grandissima solidità, stabilità.
Secondo l’ex Primo Ministro francese, Manuel Valls, “durante transizione tedesca, Francia e Italia possono giocare un ruolo cruciale in Europa”. Lei è d’accordo?
No, anzitutto perché Manuel Valls ha dimostrato delle analisi politiche errate ultimamente, quindi, secondo me, non va tanto preso in considerazione. Inoltre, l’illusione di un rapporto italo-francese un po’ alternativo a quello tedesco è stata già praticata dai socialisti con pochi risultati. Detto questo, però, la creazione tramite un Trattato di un rapporto speciale tra Francia e Italia farebbe accedere l’Italia a quel tipo di meccanismo che c’è tra Francia e Germania. Non parliamo di alternativa, ma di ulteriore approfondimento politico europeo tra Paesi importanti che possono produrre delle cose convergenti, istituzionalizzando dei meccanismi che hanno già funzionato molto bene col Trattato dell’Eliseo. L’Italia potrebbe, quindi, accedere ad un’esigenza di dialettica.
E di esercitare un ruolo di mediazione, di ‘arbitro’ tra Parigi e Berlino, come sostiene l’ex Premier Romano Prodi?
Questo no perché non ce n’è bisogno. Il rapporto istituzionalizzato tra Francia e Germania funziona e dimostra che la mediazione esiste già. Non c’è bisogno di mediare, ma di aggiungere uno spazio politico nel quale gli italiani potranno dire la loro su alcuni dossier e significa che dovranno anche prendere una posizione, costruirla. Questo è fondamentale per l’Italia, per i rapporti tra Francia e Germania, per motivi economici, per motivi tecnologici, per un’accelerazione positiva della governance europea e trilaterale.
Come è stata da Parigi la vittoria di Scholz alle elezioni tedesche?
I francesi aspettano il risultato delle trattative e poi si regoleranno. Ma i rapporti sono stati sempre funzionanti, a prescindere dai leaders.
Questa linea di tendenza, quindi, continuerà anche dopo Merkel, anche se non si sa ancora come andranno le elezioni in Francia?
Credo di sì, poi se in Francia viene eletto un ultra-nazionalista potrebbe cambiare qualcosa, ma non più di tanto.