I vertici cinesi hanno celebrato oggi il centenario della fondazione del Partito Comunista Cinese. Xi Jinping è stato solenne, assertivo e celebrativo nel raccontare i successi. Tra gli studiosi c’è chi, come Chongyi Feng, si incarica di confutare la narrativa del regime

 

La Cina, la seconda potenza economica mondiale, grande potenza militare, potenza geopolitica in grado di gareggiare alla pari con gli Stati Uniti fino al punto di provare imporre un suo modello di ordine internazionale, ha celebrato oggi il centenario della fondazione del Partito Comunista Cinese(PCC), il partito-Stato.
Come ampiamente previsto, il Presidente Xi Jinping è stato solenne e assertivo nel tracciare il bilancio di questi primi 100 anni, celebrativo nel raccontare i successi, sia sociali che economici, e nel tratteggiare il futuro, mettendo ‘gentilmente’ in guardia qualsiasi potenza volesse provare ostacolare il suo cammino.

I 100 anni di comunismo non potevano essere celebrati diversamente. Eppure …

Eppure il Partito Comunista Cinese (PCC) «represents history’s most successful authoritarians», e se c’è qualcosa da celebrare è il fatto che «è riuscito a sopravvivere e rimanere al potere per così tanto tempo». La pensano così Frederick Kempe, Presidente e AD dell’Atlantic Council, e Chongyi Feng, docente di Studi sulla Cina all’University of Technology Sydney.

L’ascesa a livello internazionale della Cina è evidente, ma altrettanto evidenti sono le criticità. Si tratta di problemi inerenti alla crescita, derivanti dalla questione demografica, a «disuguaglianze sociali, transizione difficile ma necessaria verso un modello industriale più rispettoso dell’ambiente, fragilità della crescita economica, rivalità con gli Stati Uniti e l’Occidente in generale, debito molto alto, rischio di conflitti regionali…», affermano i francesi Emmanuel Veron, docente alla Scuola Navale dell’Institut national des langues et civilisations orientales, e Emmanuel Lincot, esperto in storia politica e culturale della Cina, dell’Institut Catholique de Paris.

Veron e Lincot puntano l’attenzione proprio sul partito. Con oltre 92 milioni di membri, «il PCC infiltra tutta la società, le imprese, le città e le campagne, gli eserciti, l’istruzione, la salute, i circoli economici… Il Partito è stato in grado di stabilire e mantenere relazioni con uno spettro molto diversificato di partiti politici in tutto il mondo» e relazioni con molti e diversi governi, conquistando pezzi importanti in tutti i continenti e una capacità di incidere che hanno fatto della Cina una potenza geopolitica nell’arco di pochi decenni.

«Senza realmente cambiare, il PCC ha vissuto diverse fasi di crisi, lotte intestine e intrighi che rimangono troppo poco conosciute in Occidente. Segrete per definizione, le decisioni, i ruoli e i rapporti di potere interni possono essere letti alla luce delle successive generazioni del Politburo, dei loro percorsi, ambizioni, personalità e, talvolta, dichiarazioni o atteggiamenti, al di fuori del quadro e spesso contro ogni previsione e prognosi politica attesa. I conflitti interni sono frequenti e spesso vengono risolti brutalmente o attraverso intrighi tortuosi».

«Il PCC si è mantenuto con un sistema di purghegovernato dalla ricerca instancabile di nemici, spesso invisibili, talvolta chiamati ‘neigui(‘traditori’ o ‘talpe’). Nemici di classe, secondo la fraseologia marxista, dall’interno come dall’esterno quando sono accusati di collusione con lo straniero. Tutte le accuse possono essere mosse contro l’imputato, il culmine del delirio è stato raggiunto durante la Rivoluzione Culturale, prima che, alla fine degli anni ’70, il regime iniziasse una svolta di 180 gradi nelle sue opzioni strategiche in questo campo di politica estera ed economica. Le riabilitazioni degli ex quadri avranno luogo dopo l’intronizzazione di Deng Xiaoping nel 1978 e gli artefici della Rivoluzione Culturale -tra cui Jiang Qing, moglie di Mao Zedong- saranno condannati».

Chongyi Feng si è incaricato di analizzare le rivendicazioni del PCC e provare a confutarle.
Si parte dalla sovranità cinese. «La prima affermazione della lista è che il PCC ha unificato il Paese e ne ha assicurato l’indipendenza attraverso la fondazione della Repubblica Popolare Cinese nel 1949. Il PCC aveva accusato il precedente governo, guidato dal Partito Nazionalista Cinese (KMT), di essere un fantoccio degli Stati Uniti imperialisti. Ma la Cina era un Paese completamente indipendente su tutti i fronti prima che il PCC prendesse il potere con la forza dai nazionalisti. Con la resa delle truppe di occupazione giapponesi alla fine della seconda guerra mondiale, la Cina era un Paese che godeva di piena sovranità. Aveva abolito i trattati ineguali firmati con le potenze occidentali nel secolo precedente e ripreso la maggior parte delle concessioni e dei territori rivendicati dalle potenze straniere (con l’eccezione di Hong Kong e Macao). La Cina esercitava anche diritti tariffari indipendenti.

Quando le Nazioni Unite furono istituite, nel 1945, la Cina divenne persino uno Stato membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’ONU ed è stata riconosciuta dalla comunità internazionale come una delle cinque grandi potenze globali».

Secondo importante capitolo, la prosperità economica. «Il PCC si vanta dei suoi successi economici, sostenendo di aver liberato il potenziale della Cina e di averla trasformata in una superpotenza economica. Ma l’industrializzazione e l’urbanizzazione erano ben avviate prima che il PCC prendesse il potere. Nonostante le guerre successive, le infrastrutture per le città moderne, i trasporti, le industrie, il commercio e la finanza venivano create in gran parte del Paese. Shanghai, ad esempio, era già una metropoli sofisticata negli anni ’30, conosciuta come la ‘Parigi d’Oriente’. I cittadini cinesi, compresi i contadini, godevano anche dei pieni diritti di proprietà secondo il moderno sistema legale creato dal governo della Repubblica di Cina, così come il diritto di stabilire e gestire libere imprese. Tutti questi risultati sono stati distrutti dal PCC, che ha confiscato la proprietà privata, eliminato intere classi di capitalisti urbani e proprietari terrieri rurali e ha sprecato opportunità di crescita economica per tre decenni perduti prima di riportare la Cina a un’economia di semi-mercato negli anni ’80».

Altro successo vantato, quello di aver sradicato la povertà. Il PCC sostiene che «ha ‘sollevato‘ centinaia di milioni di cinesi dalla povertà. All’inizio di quest’anno, infatti, il Presidente Xi Jinping ha strombazzato una ‘vittoria completa’ nell’obiettivo del PCC di sradicare la povertà rurale -un’iniziativa che, secondo alcuni analisti, non eraconveniente o sostenibile. Mentre è vero che la povertà assoluta è diminuita drasticamente negli ultimi decenni, va ricordato che le politiche fallite del PCC hanno condannato in primo luogo milioni di persone alla povertà. Il PCC non dovrebbe mai essere perdonato per il suo crimine di aver uccisofino a 45 milioni di persone attraverso la campagna del Grande Balzo in avanti, che ha portato alla peggiore carestia provocata dall’uomo nella storia cinese. E secondo diverse misurazioni della povertà ora utilizzate dalla Banca mondiale, ci sono ancora potenzialmente centinaia di milioni di cinesi che vivono ancora al di sotto della soglia di povertà».

Il PCC, poi, rivendica l’instaurazione di una democrazia popolare in Cina. E’ quella che Mao Zedong, prosegue Chongyi Feng, «una volta descrisse come ‘democrazia per il popolo’ e ‘dittatura per il nemico’. Ma in realtà, il partito ha istituito uno Stato totalitario che ha interrotto la marcia della Cina verso la democrazia costituzionale. La Repubblica di Cina è stata fondata nel 1912 ed è spesso indicata come la prima repubblica democratica in Asia. Aveva un sistema legale moderno, una vivace società civile, una stampa ampiamente libera e scuole e università autonome. Nel 1928, il KMT unì la Cina con la forza e sostituì l’instabile democrazia multipartitica con unademocrazia di tutela‘, in cui il KMT monopolizzò il potere politico con la promessa che avrebbe fornito una guida alla popolazione per stabilire una democrazia completa. Il partito-stato autoritario del KMT ha avviato il processo di democratizzazione dopo 1946. Una costituzione è stata emanata l’anno successivo, e le elezioni multipartitiche per il parlamento nazionale e la presidenza sono state effettuate nel 1947 e nel 1948. Il PCC ha posto fine a questi sviluppi politici. Sotto Xi, l’attuale leadership della linea dura mantiene la sua presa sul potere conducendo una guerra totale contro i valori universali, soffocando la società civile cinese ed eliminando ogni opportunità di una trasformazione pacifica verso la democrazia costituzionale. La recente repressione delle istituzioni democratiche a Hong Kong è un chiaro esempio di dove si sta dirigendo il Paese».

Il PCC sostiene di essere portatore di un socialismo che determina una maggiore uguaglianza in Cina. Il PCC, afferma Feng, «ha creato il sistema di caste più brutale contro le ‘Cinque Categorie Nere‘ durante la Rivoluzione Culturale, che ha portato alla più spaventosa disuguaglianza. Per tre decenni, dagli anni ’50 agli anni ’70, milioni di persone sono state classificate dal regime comunista come ‘proprietari terrieri’, ‘contadini ricchi’, ‘controrivoluzionari’, ‘cattivi elementi’ e ‘di destra’. Queste persone venivano regolarmente separate per sessioni di lotta (una forma di umiliazione pubblica), rieducazione attraverso il lavoro, percosse e persino l’esecuzione. A molti dei loro figli è stata negata l’istruzione e l’impiego statale. Inoltre, attraverso uno speciale sistema di registrazione delle famiglie durante gli anni di Mao, i contadini e i loro figli venivano registrati come residenti rurali. Sono stati permanentemente esclusi dal welfare statale, dal lavoro e dalle scuole nelle aree urbane. Questo sistema di registrazione delle famiglie e il divario rurale-urbano hanno ancora gravi conseguenze per i residenti rurali e per i migranti nelle principali città. Il regime comunista utilizza ancora oggi icampi di rieducazione’ nella regione dello Xinjiang come metodo per sradicare quelle che considera minacce al suo potere».

Infine, il PCC pretende di rappresentare la cultura cinese moderna, «ma ha sradicato la cultura tradizionale cinese molto tempo fa. Durante gli anni di Mao, la nobiltà rurale e l’intellighenzia urbana -i principali difensori della cultura tradizionale cinese- furono o eliminati o rimodellati secondo l’ideologia del partito-Stato comunista. Durante la Rivoluzione Culturale furono lanciate campagne per distruggere sistematicamente i ‘Quattro Vecchi‘ ritenuti indesiderabili, vale a dire vecchie idee, vecchia cultura, vecchie abitudini e vecchi costumi. L’attuale promozione della cultura cinese da parte del partito-Stato comunista non è altro che una mossa cinica per sfruttare ogni opportunità per promuovere il nazionalismo cinese come strumento per dare legittimità al regime».

La società cinese nel suo insieme non è al passo con il regime, affermano Veron e Lincot, «e si sente sempre più sopraffatta dal peso degli obblighi e delle frustrazioni». Il centenario è una celebrazione che riguarda i burocrati del regime che si crogiolano nella ambizione di fare della Cina la prima potenza mondiale.