“Superata la crisi della pandemia di Covid-19, l’evidenza dell’interesse comune – che non è solo di tipo economico, ma anche di tipo valoriale – darà una spinta notevole alla solidarietà atlantica. E tutto sarà ‘favorito’ dagli atteggiamenti ‘non amichevoli’ della Russia di Putin o della Cina di Xi Jinping”. A colloquio con il Generale Vincenzo Camporini (IAI)
Lasciata la Cornovaglia a conclusione del G7, Joe Biden proseguirà il tour europeo – il cui obiettivo dichiarato è il rilancio del multilateralismo e delle relazioni transatlantiche – alla volta di Bruxelles dove lunedì 14 giugno prenderà parte, con gli altri leader dei Paesi alleati, al vertice della NATO, il primo da quando è stato eletto Presidente ed il primo fisico da quando la pandemia è scoppiata.
Al quartier generale dell’Alleanza Atlantica, è tutto pronto per un vertice che, a detta del Segretario Generale della NATO, Jens Stoltenberg, ha luogo in un “momento cruciale per la nostra Alleanza e per la nostra sicurezza collettiva. Al nostro vertice di lunedì, avremo discussioni di vasta portata e prenderemo decisioni sostanziali per rendere ancora più forte la nostra Alleanza e proteggere la sicurezza di un miliardo di cittadini”.
Infatti, in questa sede, i capi di Stato e di governo saranno chiamati a discutere l’iniziativa di riforma #NATO2030, approvando la quale, ha spiegato Stoltenberg, “apriremo un nuovo capitolo, con un’agenda ambiziosa per la sicurezza e la difesa”, con cui “rafforzeremo la nostra difesa collettiva”, con una “maggiore prontezza e un nuovo impegno per gli investimenti nella difesa”. “Rafforzeremo la nostra resilienza, le nostre infrastrutture critiche, le catene di approvvigionamento e le comunicazioni” – ha assicurato il Segretario Generale – e “miglioreremo il nostro vantaggio tecnologico” in quanto “Siamo in un’era di competizione globale. E dobbiamo rispondere a molte minacce e sfide allo stesso tempo: Russia e Cina che respingono l’ordine internazionale basato sulle regole; la continua minaccia del terrorismo; attacchi informatici sofisticati e tecnologie distruttive; e infine il cambiamento climatico”.
“Nessun Paese e nessun continente può affrontare da solo tutte queste sfide. Ma l’Europa e il Nord America non sono soli. Siamo uniti nella NATO“, ha chiarito Stoltenberg, presentando il summit che sancirà la ritrovata solidarietà tra le due sponde dell’Atlantico, dopo quattro anni di presidenza Trump che l’avevano messa sotto forte pressione.
Chiusa la parentesi dell’’America First’, quello che l’Amministrazione Biden vuole chiarire agli alleati è che ‘America is back’, rilanciando l’alleanza transatlantica soprattutto in opposizione alla Russia e alla Cina la cui alleanza “costituisce la principale minaccia per l’Occidente”, gli ha fatto eco Stoltenberg. Non a caso, anche in sede G7, il nuovo Presidente americano ha proposto la necessità di un ‘fronte democratico’ contrapposto ad un ‘fronte autoritario’ di cui Pechino e Mosca sarebbero le principali esponenti.
Ma, su questo fronte, anche la NATO dovrà guardarsi allo specchio, come suggerisce la riflessione strategica #NATO2030, ripartendo dai valori fondamentali – libertà e democrazia- che ne hanno promosso la nascita con il Patto Nord Atlantico, ma il cui rispetto sembra essersi ridotto negli ultimi anni, in particolare in Paesi come l’Ungheria, la Polonia o la Turchia. Rilanciare l’Alleanza, è questa l’idea, non può prescindere dal rimettere al centro la questione dell’unità, sempre più minata dagli episodi di violazione dei principi fondamentali e dal nazionalismo esasperato di alcuni Paesi membri. Questo vuol dire anche che dalle parole bisogna passare ai fatti, trovando dei meccanismi di persuasione efficaci, ma graduali per ridurre le ‘distrazioni’.
Un compito non facile, ma necessario se si vuole preservare la resilienza dell’Alleanza che, tuttavia, secondo una ricerca del Pew Research Center, è vista positivamente dalla maggior parte dei 10 Stati membri sondaggiati, con un livello di fiducia ai massimi storici o quasi in diversi Stati membri da quando questa rilevazione è stata compiuta per la prima volta. Le opinioni tra gli americani, che contribuiscono maggiormente al bilancio annuale della NATO, sono favorevoli al 61%, lo stesso della media complessiva tra gli Stati della NATO intervistati. In particolare, in nove delle nazioni intervistate nel 2021, circa la metà o più ha un’opinione favorevole dell’alleanza. Due terzi o più degli adulti in Italia, Paesi Bassi e Canada hanno un’opinione positiva della NATO, insieme a circa sei su dieci o più nel Regno Unito, negli Stati Uniti, nella base della NATO in Belgio e in Germania mentre, in Grecia, solo il 38% ne ha una visione favorevole. Nella Svezia (Paese non membro), il 70% ha un’opinione positiva dell’alleanza che ha più di 70 anni. Fatta eccezione per la Grecia, in nessun Paese intervistato più di un terzo ha una visione negativa della NATO, sebbene in molti Paesi circa uno su dieci non abbia alcuna opinione sull’organizzazione.
Le opinioni favorevoli sulla NATO si sono generalmente mantenute stabili nella maggior parte dei Paesi esaminati nell’ultimo anno e l’Italia è l’unico Paese della NATO intervistato in cui le opinioni positive sull’organizzazione sono aumentate in modo significativo dall’estate del 2020 (+13 punti percentuali).


In tutti i Paesi esaminati, quelli con una visione favorevole degli Stati Uniti hanno maggiori probabilità di vedere la NATO sotto una luce positiva rispetto a quelli con una visione sfavorevole degli Stati Uniti.
Mentre gli americani sono tendenzialmente più favorevoli che no alla NATO, le opinioni differiscono a seconda dell’appartenenza politica. Democratici e indipendenti di tendenza democratica hanno molte più probabilità rispetto alle loro controparti repubblicane di avere una valutazione positiva della NATO (rispettivamente 77% contro 44%). Ma anche all’interno dei due schieramenti negli Stati Uniti, ci sono poche differenze di ideologia. Inoltre, il 71% degli americani afferma che gli Stati Uniti beneficiano dell’essere membri della NATO, incluso il 55% dei repubblicani e l’85% dei democratici.

Al di fuori degli Stati Uniti, gli atteggiamenti politici sono legati alle opinioni sull’alleanza, ma nella direzione opposta. In diversi Paesi europei, coloro che si collocano nella destra ideologica sono più favorevoli alla NATO di quelli a sinistra ideologica. In Grecia, ad esempio, il 48% di quelli di destra ha una visione favorevole dell’organizzazione, contro il 23% di quelli di sinistra.

Tra i Paesi membri della NATO, una media del 75% ha fiducia in Biden per fare la cosa giusta per quanto riguarda gli affari mondiali, a fronte del 77% che ha fiducia nella Cancelliera tedesca Angela Merkel e del 63% che ha fiducia nel Presidente francese Emmanuel Macron. Nella maggior parte dei Paesi della NATO inclusi nel sondaggio, insieme alla Svezia, i cittadini hanno livelli di fiducia più o meno simili in Merkel e Biden, sebbene Macron raccolga meno in Italia. I greci sono entusiasti dei leader americano e francese: il 67% afferma di avere fiducia in Biden e l’81% ha fiducia in Macron. Tuttavia, solo il 30% in Grecia ha fiducia in Merkel. La fiducia nella capacità di questi tre leader di gestire gli affari mondiali è anche legata alle opinioni della NATO: nella maggior parte dei paesi inclusi, coloro che hanno fiducia in Biden, Merkel e Macron hanno maggiori probabilità di quelli che non hanno un’opinione favorevole della NATO.
Va detto, però, che quattro anni di Trump hanno lasciato il segno se è vero, come certifica l’indagine dei ‘Transatlantic Trends’ condotta dal German Marshall Fund in 11 Paesi europei, che solo un cittadino europeo su 5 vedrebbe Washington come un alleato capace di condividere i valori fondanti dell’Unione europea. Gli europei, quindi, vedono negli Stati Uniti un alleato per necessità strategica piuttosto che un partner con il quale condividere valori ed interessi.
L’Italia, secondo la ricerca, è il Paese in cui la percezione dell’America come principale leader globale è più bassa pari al 51%, contro il 55% dei tedeschi e il 56% dei francesi. Valori in linea con il 2020 e in calo di dieci punti sul 2019. Numeri positivi si registrano in Gran Bretagna col 58%, in Svezia col 63%, in Polonia col 62%, e in Spagna col 85%. Se cala il peso degli Stati Uniti, sale quello della Cina al 20% (ma al 32% in Italia), mentre resta piuttosto basso quello dell’UE al 14% (il 12% in Italia). La Russia non supera il 4%. Tranne che in Italia, Polonia e Turchia, la percezione della Cina è, però, più negativa che positiva.
“Mi aspetto” – ha affermato il Segretario Generale – “che gli alleati accettino di istituire un ‘acceleratore’ di innovazione per la difesa, un centro per la tecnologia, per promuovere la cooperazione tecnologica tra alleati e lavorare con imprese, industrie e università. Mi aspetto anche un accordo per istituire un Fondo per l’innovazione della NATO, con cui gli alleati potranno supportare le start-up legate alla difesa e alla sicurezza”.
“Questo lavoro” – ha rimarcato il Segretario Generale – “richiederà investimenti continui nella difesa. Come si vede dai nuovi dati diffusi oggi, siamo sulla strada giusta, con sette anni consecutivi di aumento della spesa per la difesa tra gli alleati europei e il Canada, che entro la fine di quest’anno avranno aggiunto 260 miliardi di dollari ai loro bilanci per la difesa, rispetto al 2014. Ma bisogna investire ancora di più, e meglio, e investire insieme, per raggiungere il nostro alto livello di ambizione”. Il vertice prenderà anche decisioni relative a cybersicurezza e spazio. “Mi aspetto” – ha detto il Segretario Generale – “che gli alleati concordino una nuova politica di difesa cibernetica per la NATO, e riconoscano che lo spazio cibernetico è sempre più conteso, assicurando forti capacità tecniche, consultazioni politiche, e pianificazione militare per mantenere i nostri sistemi sicuri”.Anche lo spazio “è essenziale per la NATO, soprattutto la nostra capacità di raccogliere informazioni, di navigare e di rilevare i lanci di missili. Al vertice invieremo un messaggio chiaro sulla determinazione della Nato a difendersi nello spazio con la stessa efficacia con cui lo facciamo in ogni altro campo: terra, mare, aria e spazio cibernetico”.
“Ci impegneremo” – ha aggiunto Stoltenberg – “nella salvaguardia dell’ordine internazionale basato sulle regole. Approfondiremo la nostra cooperazione con paesi e organizzazioni che condividono le nostre posizioni (‘like minded’, ndr), compreso il nostro partner strategico, l’Unione europea. Mi aspetto che accetteremo anche di rafforzare la capacità della NATO di addestrare le forze armate dei nostri partner e di costruire la loro capacità militari”. “Al vertice – ha aggiunto il segretario generale – affronteremo anche l’impatto sulla sicurezza dei cambiamenti climatici. Per la prima volta, questo diventa un compito importante per la NATO. La mia ambizione è ottenere un chiaro impegno degli alleati a ridurre significativamente le emissioni del settore militare, e che la NATO contribuisca all’obiettivo della neutralità climatica”.
Tutto questo troverà spazio nuovo ‘Concetto strategico’ della NATO, di cui la riflessione NATO2030 è prodromica e di cui si dibatterà al vertice di Bruxelles, nella speranza di un accordo tra i leader. Un aggiornamento, ha chiarito Stoltenberg, è necessario “per riaffermare i nostri valori, e per riflettere i cambiamenti significativi nel nostro ambiente di sicurezza negli ultimi dieci anni”. L’ultimo documento del 2010 rifletteva quel contesto internazionale, privilegiando difesa e deterrenza, controllo degli armamenti, sicurezza cooperativa e crisis management operations.
Il prossimo Concetto dovrà, dunque, rispecchiare la realtà attuale. Ecco perché, rispondendo ai giornalisti, il Segretario Generale ha tenuto a precisare di attendersi che “i leader trovino un accordo e decidano lunedì che è arrivato il momento per un aggiornamento, un nuovo Concetto Strategico per la NATO, semplicemente perché l’ultimo risale al 2010, al vertice di Lisbona, e da allora il mondo è cambiato, e sono cambiate sotto diversi aspetti le sfide e le minacce per la sicurezza: per esempio” – ha sottolineato Stoltenberg – “nel concetto strategico in vigore non c’è una sola parola sulla Cina, e il cambiamento climatico è a malapena menzionato; inoltre, dieci anni fa i nostri rapporti con la Russia erano molto diversi da ora. Oggi siamo al punto più basso, dai tempi della Guerra Fredda, nei nostri rapporti con la Russia”. Perciò, ha continuato Stoltenberg, “mi aspetto che gli alleati mi incarichino di organizzarne il processo e che poi potremo concordare sul prossimo, nuovo Concetto Strategico quando ci incontreremo per il successivo vertice NATO nel 2022”.
Al centro del dibattito a Bruxelles, dunque, “le implicazioni dell’ascesa della Cina per la sicurezza, il comportamento aggressivo della Russia, con il nostro duplice approccio di forte deterrenza, difesa e dialogo” con queste due potenze; verrà ribadito poi “il continuo sostegno della NATO ai nostri preziosi partner, l’Ucraina e la Georgia” che hanno subito le aggressioni della Russia. “Ci occuperemo anche dell’Afghanistan. La nostra presenza militare nel Paese sta esaurendosi, ma continuerà il nostro sostegno alle forze armate e al popolo afghani”, ha osservato Stoltenberg.
Quanto ai rapporti con Mosca, “siamo pronti a continuare un dialogo significativo, ma per noi” – ha reso noto Stoltenberg – “è importante che usiamo la piattaforma del Consiglio Nato-Russia che abbiamo concordato per questo dialogo, perché vogliamo assicurare che funzioni. Abbiamo preso l’iniziativa di convocare un nuovo incontro del Consiglio NATO-Russia, ma finora la Russia non ha risposto positivamente al nostro invito”. Ad ogni modo, ha evidenziato il Segretario Generale, “c’è un dialogo che continua, e spero davvero che in un futuro non troppo lontano riusciremo a convocare il Consiglio NATO-Russia“.
Ai leader verrà richiesto di sostenere anche la nuova politica della NATO contro la violenza sessuale correlata ai conflitti. “Ci assicureremo di fare tutto il possibile per rispondere a questi crimini efferati e per impedirli”, ha assicurato Stoltenberg.
Tanto premesso, come sarà l’esordio di Joe Biden da Presidente americano nel consesso dell’Alleanza Atlantica? E in quali aspetti si noterà il cambiamento rispetto al recente passato? Ne abbiamo parlato con Vincenzo Camporini, Consigliere Scientifico dello IAI (Istituto Affari Internazionali), già Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, poi della Difesa, e, fino a Novembre 2011, consulente del Ministro degli Affari esteri, Franco Frattini.

Concluso il G7 in Cornovaglia, Joe Biden, lunedì, prenderà parte al primo vertice della NATO da quando è stato eletto Presidente. Appena atterrato nel Vecchio Continente, ha tenuto a sottolineare che questo viaggio ha come obiettivo il rilancio delle relazioni e dell’alleanza transatlantiche. Ma cos’è la NATO secondo Joe Biden? Cosa aspettarsi dal suo esordio al quartier generale a Bruxelles?
La NATO per gli Stati Uniti, e per Biden in particolare, è sicuramente il pilastro della sicurezza in questa regione che comprende l’Atlantico, l’Artico, l’America settentrionale, l’Europa, il Mediterraneo. È uno strumento di sicurezza che è stato testato, che ha mostrato di essere efficace e di funzionare anche in situazioni di grandi difficoltà. Un pilastro fondamentale, dunque, già al tempo della Guerra Fredda, poi nella fase successiva degli anni ‘90 – ricordiamo cosa è successo nei Balcani – ma a maggior ragione lo deve essere oggi visto il confronto tra Stati Uniti e Cina. Ed in questo senso, la NATO diventa ancor di più indispensabile per gli Stati Uniti che – se la NATO, e in particolare il suo lato europeo, riescono a prendere in mano il proprio destino ed a farsi carico della sicurezza in quest’area – da soli o supportati dagli alleati, possono fronteggiare meglio quello che sta avvenendo nell’area indo-pacifica.
Chiusa la parentesi dell’’America First’ di Trump, la solidarietà transatlantica ‘is back’?
Non c’è dubbio che da parte americana questo elemento c’è. Ma ci dovrebbe essere da parte europea un’adegua risposta che, fino adesso, qualche cenno di incoerenza l’ha mostrato. Vorrei sottolineare l’enfasi con cui è stato dato il via al progetto di ‘autonomia strategica’ che oggi ha un significato abbastanza ampio, ma inizialmente era solo di carattere militare, che in alcune capitali come Parigi veniva considerato come uno strumento per l’indipendenza dagli Stati Uniti mentre da altre parti, in Germania o Italia, deve essere considerato come un modo per farsi carico, in modo sinergico con gli Stati Uniti, della sicurezza per assicurare il benessere della comunità euro-atlantica.
Con Biden, l’Alleanza Atlantica è dunque più unita? La questione dell’unità è, peraltro, al centro della riflessione #NATO2030 voluta dal Segretario Generale, Jens Stoltenberg, su come sarebbe opportuno ripensare l’Alleanza Atlantica e sui cui risultati dibatteranno a lungo i leaders lunedì a Bruxelles in funzione dell’elaborazione del nuovo Concetto Strategico.
I Paesi alleati devono sicuramente risolvere qualche problemino nei loro rapporti. Qualche progresso si vede: ad esempio, c’è una rinnovata intesa tra Roma e Parigi, grazie alla spinta politica di Mario Draghi che ha messo diversi cerotti su alcune recenti ferite. Se si ritrova questo tipo di solidarietà, diciamo che l’operazione in questo vertice sarà positiva. Ma ci sono dei problemi perché, per esempio, abbiamo la questione ungherese che certamente non possiamo dimenticare.
Due giorni fa, è stata pubblicata un’indagine riguardante i ‘Transatlantic Trends’ condotta in 11 Paesi europei che ha certificato la crescita, tra le opinioni pubbliche del Vecchio Continente, di una percezione degli Stati Uniti come non condividenti gli stessi valori. Al contempo, però, un’altra rilevazione del Pew Research Center afferma la grande popolarità della NATO tra i Paesi alleati. C’è una contraddizione oppure no?
Non credo ci sia una contraddizione anche perché i sondaggi risentono moltissimo del sentiment del momento. Quello che importa è l’analisi che i Paesi alleati devono fare e che i governanti devono condividere con i governati su quelle che sono le aree problematiche. Prima si accennava all’Ungheria, ma il problema più grosso si chiama Turchia.
A questo riguardo, la questione dei valori democratici è stata anche al centro della riflessione strategica #NATO2030 in funzione del rafforzamento dell’unità. Tra le priorità segnalate, appunto, quella dei valori. In questi giorni Biden ha parlato della necessità di formare una sorta di ‘fronte democratico’ contrapposto al ‘fronte autocratico’, riferendosi soprattutto a Cina e Russia, ma non si può fare a meno di osservare che, soprattutto negli ultimi anni, anche all’interno di alcuni Paesi membri della NATO, si è andato riducendo il tasso di rispetto dei valori della democrazia e della libertà. Partendo dal presupposto che questi principi sono alla base del Trattato Nord Atlantico, si può ancora rimandare un serio dibattito sul rispetto dei valori democratici, considerato che rispettarli costituisce un elemento fondante della resilienza e dell’unità dell’Alleanza?
Assolutamente no, e poi vorrei sottolineare il fatto che si parla tanto di valori, ma i valori non sono un qualcosa che viene calato dall’alto dai governi verso i popoli, bensì che va dai popoli verso i governi. Ora noi abbiamo delle situazioni in alcuni Paesi europei tali per cui la democrazia della legge, il rispetto dei diritti umani e dei principi democratici non dico che sono messi in discussione, ma certamente presentano delle ‘sbavature’. Abbiamo citato l’Ungheria, la Turchia, ma non si può tralasciare la Polonia. Tuttavia, osservo che in tutti questi Paesi dove i governanti hanno queste ‘distrazioni’, le opinioni pubbliche non sono così compatte dietro l’atteggiamento di chi li governa: in Turchia, per esempio, Erdogan si regge con una maggioranza abbastanza risicata, lo stesso dicasi in Polonia, quindi direi che i popoli dell’Unione questi valori li conoscono e li alimentano magari molto più e molto meglio del passato perché, ricordiamo, anche durante la Guerra Fredda, avevamo delle dittature nella NATO.
A questo proposito, nel 1971, l’allora Segretario Generale della NATO, l’italiano Manlio Brosio, a proposito delle critiche norvegesi ai regimi greco e portoghese, disse: “Se miniamo la nostra solidarietà, corriamo il rischio di danneggiare la sostanza dell’Alleanza”. Quindi le critiche c’erano anche allora, ma il timore era quello che causassero danni all’unità. Tuttavia essendo i valori democratici così fondanti per la NATO, si può continuare a tenere distinti il loro rispetto e l’alleanza militare?
Quello che importa è l’atteggiamento dei popoli piuttosto che quello dei governi.
L’Alleanza, allora, dovrebbe aumentare il costo politico della violazione di quei principi da parte dei governi, magari attraverso un meccanismo di incentivi e disincentivi?
È la cosiddetta ‘moral suasion’ in modo tale da mostrare a questi governi che sono un po’ ‘distratti’ che i loro Paesi hanno tutto guadagnare se cambiano rotta. Quindi è un’attività politica continua, che deve perdurare nel tempo, ma non esiste un atto che singolarmente possa modificare le situazioni anche perché gli atti rischiano di essere dirompenti.
C’è, quindi, bisogno di gradualità?
Sì, ma c’è anche bisogno della volontà degli altri Paesi di sostenere questi concetti. Con Trump questa volontà non c’era, con Biden, invece, c’è e tutto deve essere fatto con il dovuto ‘garbo’, tenendo conto che i governi vanno e vengono, non sono eterni.
Ponendo l’accento su questi aspetti, l’Alleanza rischia più di perdere o più di guadagnare?
Io, da questo punto di vista, sono abbastanza ottimista anche perché, superata la crisi della pandemia di Covid-19, l’evidenza dell’interesse comune – che non è solo di tipo economico, ma anche di tipo valoriale – darà una spinta notevole alla solidarietà atlantica. E tutto sarà ‘favorito’ dagli atteggiamenti ‘non amichevoli’ della Russia di Putin o della Cina di Xi Jinping. Se loro avranno l’intelligenza e la furbizia di ‘deporre le armi’ e presentarsi come ‘amici sostenitori’, allora davvero l’Alleanza Atlantica correrebbe qualche rischio, ma se loro continuano ad avere atteggiamenti di tipo ostile, ritorniamo nella vecchia equazione ‘abbiamo un nemico comune, dobbiamo stare tutti insieme’.
Come sappiamo, Biden incontrerà Putin a Ginevra due giorni dopo il summit a Bruxelles. Nei rapporti con la Russia “siamo al punto più basso dalla guerra fredda”, ha affermato il Segretario Generale Jens Stoltenberg. In che modo cambierà l’approccio della NATO nei confronti della Russia con Biden alla Casa Bianca?
Io Le dico come vorrei che cambiasse e cioè verso una prudente apertura di canali di comunicazione perché, se ci sono e sono aperti (a livello politico, diplomatico e militare), tante incomprensioni svaniscono e i rischi di un’escalation della tensione diminuiscono.
Come lo si può ottenere a fronte di ‘dossier’ come l’Ucraina o la Bielorussia?
Le posso dire quello che, nel corso di una conferenza online, ho sentito dal Generale Breedlove, SACEUR (Comandante supremo alleato in Europa) nel 2014 al tempo della crisi ucraina: in quel momento, ovviamente, aveva contatti molto intensi con l’establishment militare russo e cominciò ad avviare dei colloqui che gli vennero stoppati e proibiti dal quartier generale della NATO. Ancora oggi Breedlove è curioso di sapere cosa sarebbe successo se quei colloqui fossero proseguiti: probabilmente molte tensioni si sarebbero sciolte come neve al sole. Invece, tagliando tutti i rapporti, ogni atto viene percepito come ostile e, quindi, non fa altro che aumentare la tensione. Ad oggi, siamo in una situazione per cui, a livello militare, con estrema cautela, è accettato – ogni sei mesi, a volte ogni anno – un incontro di mezza giornata tra il SACEUR e il Comandante delle forze russe. In questi giorni sono circolate le fotografie dei nostri F35 molto vicini ai Sukhoi russi nel Baltico: sono situazioni che, al di là dell’aspetto fotografico molto bello, presentano dei rischi che, tuttavia, con canali aperti ai giusti livelli della catena militare, scompaiono o, comunque, vengono estremamente ridotti.

Quindi, dialogare, ma senza mai abbassare la guardia.
Esatto, ma parlare non vuol dire tornare al ‘business as usual’ che fa rabbrividire gli alleati polacchi.
Però la decisione di Joe Biden di non rientrare nel Trattato Open Skies da cui Trump aveva chiamato fuori gli Stati Uniti non aiuta.
Secondo me è un errore da parte americana, ma ha anche indotto in un errore ancora più grave la Russia la quale, a seguito del ritiro degli Stati Uniti, ha deciso anche lei di ritirarsi da ‘Open Skies’ mentre, invece, a mio avviso, Putin sarebbe stato molto più arguto se avesse deciso di continuare ad aderire al Trattato insieme agli europei: sarebbe stato un grande gesto. Putin, cadendo nella trappola, ha dimostrato che anche da parte sua c’è la volontà a non riaprire un dialogo.
Anche se, va ricordato, per rimanere in tema di trattati, che, nel Febbraio scorso, Stati Uniti e Russia hanno prorogato il Trattato New START.
Il Trattato START è un rapporto strettamente bilaterale, ma quello che, purtroppo, non è stato fatto rinascere in qualche forma è l’INF che, invece, secondo me, ha il potenziale per essere ripreso in mano in modo tale da creare in Europa, dagli Urali fino all’Atlantico, una zona priva di armi nucleari.
“L’alleanza tra Cina e Russia costituisce la principale minaccia per l’Occidente” ha dichiarato il Segretario Generale dell’Alleanza Stoltenberg, ma lo ha ripetuto più volte, in questi giorni, anche lo stesso Biden. Come si muoverà la NATO rispetto alla Cina?
La NATO ha un focus sostanzialmente regionale, già l’Afghanistan era addirittura oltre i confini della sua ambizione geografica. Quindi, non credo che la NATO abbia un ruolo in quanto tale, però è chiaro che i Paesi dell’Alleanza Atlantica hanno un duplice ruolo: da un lato, tramite la NATO, garantiscono la sicurezza in questo spicchio di globo e consentono agli americani di avere le mani più libere altrove; d’altro canto, i singoli Paesi alleati hanno l’opportunità di dare evidenza della loro linea politica e di questo sta approfittando, in modo plateale, Boris Johnson mettendo a disposizione le sue nuove portaerei, ancorché non adeguatamente armate, per il controllo dell’Indo-Pacifico.
Peraltro, Joe Biden e Boris Johnson hanno sottoscritto una nuova ‘Carta Atlantica’. Come vede il Regno Unito nella NATO dell’era Biden?
Diciamo che è un modo per rinvigorire elementi che sono già presenti. Non dimentichiamoci la comunità dei ‘Five Eyes’ nel campo dell’intelligence.
Come si sta ricollocando la Germania nell’Alleanza dopo la fine della Presidenza Trump che criticò Berlino per lo scarso contributo economico alla difesa atlantica, ma anche, ad esempio, per il famoso gasdotto Nord Stream 2 con la Russia?
La Germania, che sta iniziando a spendere di più per la difesa, deve spendere in modo ottimale perché, purtroppo, dal punto di vista meramente tecnico, le forze armate tedesche non stanno messe bene. Quindi, c’è da auspicare che Berlino dia nuovo vigore alle proprie capacità operative in modo tale da essere un partner su cui poter contare.
E la Francia il cui Presidente Macron arrivò a dire, due anni fa, che “la NATO è morta”?
La Francia deve sempre superare il problema, che è anzitutto culturale, legato al concetto della ‘Grandeur’ francese, con la sua superiorità morale e concettuale rispetto agli altri Paesi che, spesso, è puro velleitarismo. Se la Francia non cambia registro, è chiaro che le prospettive di un’Europa che sia in grado di dare un contributo sostanziale che non sia un ‘free rider’ come rimproverato da Obama negli ultimi mesi del suo mandato, non ci saranno.
Sulla questione del budget della NATO – che non ha inventato Trump, ma sulla quale egli ha molto insistito, anche duramente – Biden sarà molto meno rigoroso, visto il periodo economico difficile che i Paesi alleati stanno affrontando in conseguenza della pandemia?
Di burdern sharing si parla dagli anni ‘60, quindi non è un problema che dipende dai singoli Presidenti americani. È stato sempre sollevato, alcune volte con motivazioni ragionevoli, altre volte con motivazioni irragionevoli. Come facevo notare nel corso di una conferenza tra la fine degli anni ‘80 e l’inizio degli anni ‘90 agli amici statunitensi, bisogna tenere presente che, durante la Guerra Fredda, è vero che noi europei spendevamo meno, ma comprando ‘americano’ e quello era un contributo che andava a beneficio anche del loro budget. In secondo luogo, teniamo conto che noi eravamo il campo di battaglia e questo non vale nulla? È chiaro che il tema è storico, non è nato con Trump che, però, lo faceva presente con toni esasperati, a differenza del passato. E non sparirà con Biden. Non dimentichiamo che Obama, in un’intervista rilasciata negli ultimi mesi del mandato, accusòGran Bretagna e Francia, i due maggiori ‘spenditori’ europei, di ‘free riding’.
Pochi giorni fa, anche il contingente italiano ha lasciato definitivamente l’Afghanistan. Verso questo Paese, però, la NATO continuerà a mantenere un occhio vigile?
Come ho scritto, si sta parlando di un ritiro che, però, non deve essere un abbandono. Non è la NATO che, a questo punto, deve essere l’attore principale del sostegno alle fragili istituzioni afghane, ma deve essere qualcosa di più, uno sforzo comune, coerente e coordinato in modo tale da fornire al governo di Kabul gli argomenti e gli strumenti per poter incontrare il ritorno all’oscurantismo dei Talebani. Se questo non avvenisse, allora sì avremmo sprecato uomini, troppi, e soldi.
Dopo il ritiro dall’Afghanistan, la Libia e il Mediterraneo torneranno centrale nell’agenda NATO?
Ci sarà sicuramente una più grande attenzione rispetto a ciò che succede nella parte settentrionale dell’Africa, a Nord dell’Equatore, comprendendo Sahel, Sahara e tutte le regioni costiere, passando per Tunisia, Algeria, Libia.
Dove, tra l’altro, Russia e Turchia la stanno facendo da padroni. Questo, ovviamente, preoccupa l’Alleanza?
Certamente e questo sta spingendo ad una maggiore attenzione della NATO nell’area in modo tale da non consentire agli ‘invasori’ di mettere radici.
Come verrà gestito un alleato così problematico come la Turchia?
Considero la Turchia un grosso problema. Spero che ci sia un graduale cambio di atteggiamento. La maggioranza che regge il governo non è poi così dirompente e le tre più grandi città turche sono nelle mani dell’opposizione. Quindi c’è una ragionevole speranza che le dinamiche interne portino, nel modo più democratico possibile, ad un cambio di politica che, secondo me, è nell’interesse della Turchia perché sta percorrendo una strada molto pericolosa e la dimostrazione è la svalutazione della sua moneta nel corso degli ultimi mesi.
Due giorni fa, il Presidente del consiglio italiano, Mario Draghi, ha sentito telefonicamente il Segretario Generale Stoltenberg mentre in queste ore incontrerà, in via bilaterale, Biden, margine del G7. Draghi Premier fa bene all’Italia nella NATO?
Da sostenitore del governo Draghi, dico che abbiamo avuto lo ‘stellone italico’, in questa circostanza, di trovarci qualcuno che è considerato in Europa e nel mondo uno degli statisti di maggior spessore e con una visione più lungimirante. E, quindi, l’Italia può tornare protagonista a patto che ‘i cani e i gatti del nostro cortile’, facciano tacere le loro ambizioni.
Nelle ultime settimane gli Stati Uniti hanno subito diversi cyber-attacchi. Molti sospettano della Russia. Biden ha iniziato a porre rimedio a questo ‘tallone d’Achille’ e, probabilmente, sarà tema di discussione nel corso del bilaterale con Putin. Ma cosa sta facendo la NATO su questo delicato fronte?
La NATO si sta muovendo e, se si guarda alle dichiarazioni, c’è stato il pieno riconoscimento di questo nuovo campo di battaglia, dopo terra, cielo, mare e spazio. La consapevolezza c’è e l’alleanza ci sta lavorando.
Quindi, anche per quanto concerne lo spazio, in sede NATO si sta lavorando molto, pur senza dimenticare che entrambe le sponde dell’Atlantico, sebbene a livelli diversi, sono all’avanguardia in questo ambito.
Sì, la consapevolezza c’è anche qui, ma poi bisogna vedere se si tradurrà in fatti concreti o se rimarrà a livello declamatorio.
Il clima è una priorità dell’amministrazione di Joe Biden. Stoltenberg ha ribadito che anche la NATO è fortemente impegnata a riguardo. In che modo?
Non è certo un’alleanza militare che può affrontare questo problema, se non con qualche accorgimento per ridurre l’impatto sull’ambiente. Il problema del clima deve essere affrontato dai governi e nelle giuste sedi.
In conclusione, sappiamo che il terzo mandato dell’attuale Segretario Generale, Jens Stoltenberg, scadrà nel 2022. La corsa alla sua successione sembra già partita: il Regno Unito vorrebbe presentare un suo candidato (si parla dell’ex Premier Theresa May), ma anche l’Italia potrebbe concorrere. Del resto l’ultimo Segretario Generale italiano, Manlio Brosio, risale a più di cinquant’anni fa, e dopo più di vent’anni dall’ultimo Segretario espresso dal fianco Sud, il nostro Paese potrebbe aspirare ad aggiudicarsi quel posto, peraltro puntando su nomi di peso, circolati negli ultimi giorni, come Enrico Letta, Piero Fassino, Federica Mogherini o Matteo Renzi. Come e chi si giocherà questa partita?
Il punto fondamentale non è il diritto di un Paese ad avere quella posizione. È chiaro che noi abbiamo delle aspettative che derivano dal lungo digiuno che abbiamo avuto anche se, fino a qualche anno fa, molto tempo, l’Italia ha espresso il Vice-Segretario che, talvolta, ha dovuto agire da Segretario perché c’erano dei problemi: pensiamo al caso di Alessandro Minuto Rizzo. Noi possiamo fare leva sul fatto che, almeno dai tempi di Solana, non c’è più un esponente del fianco sud e l’Alleanza, oggi, ha bisogno di un uomo che abbia la piena consapevolezza dei problemi che nascono a Sud del Mediterraneo e la nostra ambizione ha ragioni sostanziali. L’importante è candidare la persona giusta
E forse sarebbe l’ora di una donna, non trova?
Ho partecipato a diversi vertici, ma i ministri più agguerriti erano tutte donne. Non avrei nessun problema ad avere un ricambio di genere al vertice della NATO, ma il problema per il Paese che vuole ambire ad esprimere quella carica è individuare il candidato giusto, che sappia parlare bene l’inglese.
Si è fatto anche il nome di Angela Merkel, che a settembre terminerà la sua lunga parabola da Cancelliera tedesca. È un’ipotesi remota?
Se fossi Merkel, avrei tutt’altra ambizione: magari un po’ di riposo, e poi credo che altre opportunità non mancheranno.