Il Norwegian Refugee Council avverte che la crisi siriana potrebbe arrivare a contare almeno altri 6 milioni di sfollati in un altro decennio. E le condizioni perché la previsione si concretizzi ci sono tutte
Parole a catinelle, come in ogni anniversario ‘tondo’; numeri da orrore; fatti zero. Ieri i media hanno celebrato i 10 anni di guerra in Siria e le parole si sono sprecate.
I numeri esprimono chiaramente la tragedia di questi 10 anni. In Siria, in 10 anni, quasi mezzo milione di civili sono stati uccisi, compreso 470 operatori umanitari. Sono sfollati circa 12 milioni di persone in tutto – metà della popolazione prebellica. Sono sfollati dentro i confini del Paese6,7 milioni di persone -e circa il 70% di loro sono sfollati da oltre cinque anni e quasi un quarto è stato sfollato almeno quattro volte- e 12,4 milioni di persone soffrono la mancanza di cibo, il 60% dell’intera popolazione. Quasi 9 siriani su 10 vivono sotto la soglia di povertà. Nel 2020, solo 467.000 sono tornati a casa, mentre 1,8 milioni sono stati recentemente sfollati all’interno della Siria. Ciò significa che per ogni persona che è riuscita a tornare a casa, quasi altre quattro persone sono state sfollate. 5.5 milioni di siriani sono sfollati e rifugiati in oltre 130 Paesi del mondo; il 70% di loro vive in condizioni di totale povertà, 1.6 milioni sono bambini minori di 10 anni.
Il conflitto ha distrutto un terzo di tutte le case all’interno della Siria, ha lasciato più di 7.000 scuole danneggiate o distrutte e solo il 50% degli ospedali è in grado di funzionare.
L’Unhcr, Agenzia Onu per i rifugiati, dichiara che nel 2020 ha sostenuto quasi 800.000 rifugiati siriani in più attraverso l’assistenza economica diretta, per far fronte ai loro bisogni essenziali, ma serve un’azione urgente e decisiva, perché nel 2020 solo il 53% dei bisogni sono stati soddisfatti.
Le parole ieri si sono ammassate.
Nel ‘mucchio’ spicca la Dichiarazione congiunta dei ministri Esteri di Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Stati Uniti. «Noi, i ministri degli Esteri di Francia, Germania, Italia, Regno Unitoe Stati Uniti, non abbandoneremo il popolo siriano. I nostri Paesi si impegnano a intensificare la ricerca di una soluzione pacifica che protegga i diritti e la futura prosperità di tutti i siriani, basata sulla risoluzione Onu 2254», recita tra il resto la nota congiunta firmata dal segretario di Stato Usa Antony J. Blinken, dai ministri degli Esteri di Francia Jean-Yves Le Drian, Germania Heiko Maas, Italia Luigi Di Maio e Gb Dominic Raab.
Il fatto (non-fatto) di ieri arriva dal Palazzo di Vetro.
Nelle stesse ore nelle quali veniva rilasciata questa solenne dichiarazione, il Consiglio di Sicurezza Onu, nel quale siedono tra gli altri con potere di veto Stati Uniti (che in questa fase ha la presidenza), Francia, Regno Unito, non ha deciso nessuna nuova iniziativa per cercare di rilanciare un processo di soluzione politica al conflitto, ammettendo l’impasse in cui si trovano i tentativi di un percorso verso la pace.
Gli Stati Uniti hanno in particolare avvertito la comunità internazionale che le elezioni presidenziali «non saranno libere ne’ eque e non serviranno a legittimare il regime di Assad», ha detto l’ambasciatrice Usa all’Onu Linda Thomas-Greenfield, presidente di turno del Consiglio di Sicurezza, che ha voluto far coincidere con l’anniversario della guerra la riunione.
Il processo a favore di una soluzione politica che apra la strada della pace in Siria è bloccato in una situazione di «profonda crisi economica», secondo quanto sottolineato dal rappresentante a Damasco della Croce Rossa internazionale, Philip Spoerri. L’inviato speciale dell’Onu, il norvegese Geir Pedersen, ha chiesto la creazione di un nuovo formato internazionale che cerchi la soluzione politica al conflitto, con la partecipazione di «attori internazionali chiave»: Stati Uniti, Russia, Iran, Turchia, Unione europea e alcuni Paesi arabi che vorrebbero il ritorno della Siria nella Lega araba, un auspicio condiviso da Mosca.
Nel loro comunicato congiunto, i 5 Paesi occidentali hanno ribadito il sostegno a Pederesen e concluso che «non possiamo lasciare che questa tragedia duri un altro decennio».
Un altro decennio di guerra è esattamente quanto prevede il Norwegian Refugee Council (NRC).
Il Consiglio Norvegese per i Rifugiati, infatti, in un ampio report sulla situazione della crisi avverte che la crisi siriana potrebbe arrivare a contare almeno altri 6 milioni di sfollati in un altro decennio se il conflitto, l’insicurezza e il deterioramento economico dovessero continuare. Ovviamente non si prevedono i morti e l’aggiunta di distruzione materiale e umana che il perdurare del conflitto si porterebbe dietro. E le condizioni perchè la previsione si concretizzi ci sono tutte.
La Siria è economicamente devastata e divisa in tre parti: un gruppo legato ad al-Qaeda domina la provincia nordoccidentale di Idlib, con ribelli sostenuti dalla Turchia che controllano tratti lungo il confine turco; le forze curde siriane appoggiate dagli Stati Uniti controllano un quarto del Paese nel nordest; il Presidente Bashar Assad controlla le zone restanti.
Nel 2020, la pandemia di Covid-19 ha aggravato le esigenze dei siriani, sia all’interno che all’esterno del Paese, su tutta la linea. L‘ONU richiede oltre 10 miliardi di dollari per i bisogni del 2021. Anno nel corso del quale, le agenzie umanitarie stimano che un totale di 13,4 milioni
di persone avranno bisogno di assistenza all’interno della Siria e altri 10 milioni sono i bisognosi nei Paesi vicini che accolgono rifugiati. Questo, afferma NRC, è il numero più alto mai registrato di persone bisognose di assistenza nella regione in un decennio di conflitto. E all’orizzontesi profila una crisi negli aiuti finanziari internazionali. Il finanziamento dei donatori non tiene il passo con il ritmo dei bisogni. Infatti, afferma NRC, ci sono chiari segni che la stanchezza dei donatori si sta manifestando e i fondi si stanno prosciugando.
I siriani sfollati in tutto il Medio Oriente affermano in modo schiacciante di aver perso la speranza di tornare a casa nei prossimi 5-10 anni, anche se devono affrontare il deterioramento delle condizioni di vita mentre sono sfollati all’interno e all’esterno del Paese. I pochi che hanno espresso il desiderio di tornare a casa hanno detto a NRC che lo avrebbero fatto solo se ci fosse stato un accordo politico e la loro sicurezza fosse garantita. In generale, «i siriani erano più preoccupati di come mettere in tavola il cibo per le loro famiglie, pagare l’affitto o prendersi cura delle spese mediche piuttosto che immaginare un futuro a casa», si legge nel report del Consiglio Norvegese dei Rifugiati.
Sono passati 10 anni da quando, nel marzo 2011, in Siria scoppiarono le proteste pacifiche contro il governo del presidente Bashar Assad. Una rivolta popolare che si trasformò rapidamente in guerra civile. Nonostante un decennio di combattimenti e un Paese distrutto, Assad rimane saldamente al potere. Il conflitto ha ucciso circa mezzo milione di persone e ha provocato lo sfollamento di metà della popolazione prebellica (che era di 23 milioni di persone), con oltre 5 milioni di rifugiati, per lo più nei Paesi vicini.
2011: GIOVANI IN PIAZZA PER RIFORME DEMOCRATICHE – Ispirati dalle rivolte della Primavera araba in Medioriente, gruppi di giovani siriani manifestano a Daraa per chiedere riforme democratiche e scrivono slogan sui muri della loro scuola. Il 15 marzo, una protesta avviene nella Città vecchia. Seguono arresti, uccisioni, detenzioni e torture, cui la popolazione risponde con nuove manifestazioni. Le proteste si allargano a tutto il Paese e l’obiettivo diventa il governo del presidente Bashar Assad. Nasce il Libero esercito siriano, formato da persone che disertano i ranghi dell’esercito governativo. Il regime risponde con repressione sempre maggiore.
2012: È GUERRA CIVILE – Lo scontro s’intensifica sempre di più e diventa una guerra civile, con un crescente numero di morti, feriti e sfollati. Si formano numerosi gruppi armati e brigate ribelli, molte armate dall’estero, che prendono il controllo di alcune città, tra cui zone di Aleppo. Violenti bombardamenti a Homs, bastione ribelle: vengono uccisi anche i giornalisti Marie Colvin e Remo Oclik. Il presidente statunitense Barack Obama definisce l’uso di armi chimiche “linea rossa” che se superata innescherà l’intervento.
2013: RAID CHIMICI E INTERVENTI DALL’ESTERO – Governo e ribelli si accusano a vicenda di un attacco chimico che uccide almeno 26 persone: l’Onu rileva l’uso di gas nervino sarin, ma non individua i responsabili. Mentre il regime perde territori, diventa palese il dispiegamento di forze dall’estero, tra cui combattenti del gruppo sciita libanese Hezbollah e di agenti legati ai Pasdaran iraniani a sostegno del governo. Centinaia di migliaia di siriani continuano a fuggire dalle violenze, rifugiandosi nei Paesi vicini. Alla fine dell’anno, circa 1,5 milioni di siriani sono rifugiati. Un attacco chimico del governo di Assad uccide oltre mille civili: secondo gli Usa, nel corso della guerra l’esercito usa per almeno 50 volte armi chimiche come il gas sarin, agente nervino vietato dalla legge internazionale, o cloro. Obama minaccia raid punitivi, poi arretra. L’Onu ordina ad Assad di dichiarare e distruggere tutte le scorte di armi chimiche. Damasco firma la Convenzione sulle armi chimiche.
2014: L’ISIS SI RAFFORZA, NASCE IL ‘CALIFFATO’ – L’Opac afferma che Damasco ha eliminato tutte le armi chimiche, mentre l’opposizione denuncia scorte non dichiarate. Il gruppo estremista dello Stato islamico si rafforza e proclama il cosiddetto Califfato, che si estende in parte sul territorio siriano con Raqqa come sua capitale e in Iraq. Le fazioni ribelli moderate sono sempre più messe in disparte, mentre tentano di contrastare l’Isis accusandolo di gravi abusi. Gli Usa intervengono militarmente con raid aerei su obiettivi dell’Isis in Siria. Idlib cade nelle mani del Fronte Nusra, legato ad al-Qaeda. Le Nazioni unite stimano che gli sfollati all’interno del Paese siano ormai più di 6,5 milioni, quelli fuggiti dal Paese 3 milioni. Colloqui a Ginevra tra governo di Damasco e opposizione si concludono in un nulla di fatto.
2015: IL PESO DELLA RUSSIA E LA CRISI DEI RIFUGIATI – Inizia l’intervento militare della Russia, con attacchi aerei pro-Assad. Aumentano il coinvolgimento di Hezbollah e Iran. I rifugiati fuggiti negli Stati confinanti sono oltre 4 milioni. Migliaia di persone tentano anche di raggiungere l’Unione europea compiendo il pericoloso viaggio attraverso il Mediterraneo, nell’anno della cosiddetta ‘crisi dei migranti’. Il cadavere del bambino di 3 anni Aylan Kurdi è trovato su una spiaggia turca: diventa un simbolo della disperazione delle famiglie siriane in fuga. Numerose le denunce di attacchi chimici. Almeno 1,5 milioni di persone sono intrappolate in aree assediate, senza aiuti umanitari, assistenza sanitaria o medica.
2016: DAMASCO RIPRENDE ALEPPO – Forze turche entrano nel nord della Siria e sottraggono zone all’Isis. Assedio delle forze del regime a varie zone. Damasco riprende il controllo di vaste zone di territorio e consolida il proprio controllo su di esso. Entro fine anno ha di nuovo in mano le principali città, tra cui Aleppo e zone strategiche a occidente. Aleppo è teatro di drammatiche atrocità contro la popolazione civile.
2017: GAS NERVINO E RAID USA – Almeno 58 morti in un attacco con gas nervino a Khan Sheikhoun, nella Idlib controllata dai ribelli. Testimoni accusano Siria e Russia, che negano. Gli Usa sparano missili in Siria in risposta all’attacco, nel primo attacco diretto statunitense al governo. I ribelli si ritirano dall’ultimo quartiere che controllavano a Homs, un tempo considerata capitale della rivoluzione.
2018: ASSAD RIPRENDE ZONE DAMASCO, ANCORA RAID CHIMICI – Il governo di Assad riprende il controllo di sobborghi strategici attorno a Damasco, per la prima volta da cinque anni. La Turchia inizia una massiccia operazione militare contro i combattenti curdi nell’enclave di Afrin. Usa, Regno Unito e Francia lanciano raid in risposta all’attacco chimico attribuito alle forze di Assad sul sobborgo di Douma nella capitale, dove muoiono 40 persone.
2019: TURCHIA CONTRO LE FORZE CURDE – Offensiva turca contro i curdi nel nord, dopo il ritiro Usa dall’area. Il conflitto prosegue soprattutto nel nord della Siria. Le ultime roccaforti dell’Isis sono nel governatorato di Deir Ez-Zor.
2020: CESSATE IL FUOCO E SANZIONI USA – I presidenti di Russia e Turchia annunciano un accordo per un cessate il fuoco nel nordovest della Siria, dove un’escalation ha fatto rischiare lo scontro diretto tra le loro forze. La tregua ferma anche l’offensiva sostenuta da Mosca su Idlib, ultima roccaforte dell’opposizione. Nuove sanzioni dagli Usa contro chi sostiene le attività militari di Damasco. La pandemia del Covid-19 peggiora la situazione, con il primo caso il 9 luglio a Idlib.
MARZO 2021 – Dopo 10 anni di guerra civile, secondo Medici senza frontiere, la situazione resta drammatica per i siriani: quasi 12 milioni di persone, metà della popolazione prebellica, sono sfollati dentro o fuori i confini; 5,6 milioni di rifugiati sono sparsi in tutto il mondo, la maggioranza in Turchia, Libano, Giordania, Iraq ed Egitto; più di 6 milioni di persone, il numero più alto del mondo, sono sfollate internamente. Sono 12,4 milioni i siriani (il 60% della popolazione) che soffrono di insicurezza alimentare, secondo l’Onu. La Siria è economicamente devastata e divisa in tre parti: un gruppo legato ad al-Qaeda domina la provincia nordoccidentale di Idlib, con ribelli sostenuti dalla Turchia che controllano tratti lungo il confine turco; le forze curde siriane appoggiate dagli Stati Uniti controllano un quarto del Paese nel nordest; Assad controlla le zone restanti. Il Regno Unito indaga Asma Assad per possibili crimini di guerra, Londra annuncia nuove sanzioni sul regime.