“Il Parlamento non solo deve essere legittimo, ma deve essere anche credibile. Se questo Parlamento non ha credibilità, il potere politico del governo ha delle basi di argilla. Ma sono vent’anni che c’è il Chavismo. E poi l’opposizione non riesce a trovare un accordo. La vittoria di Maduro alle elezioni parlamentari potrebbe essere l’occasione giusta”
Domenica prossima, 6 Dicembre, in Venezuela, 20,7 milioni di elettori saranno chiamati alle urne per eleggere i nuovi 277 membri del Parlamento, l’Assemblea legislativa, oggi in mano all’opposizione, confluita nella coalizione centrista Tavolo dell’Unità Democratica (MUD), che alle elezioni parlamentari del 2015 aveva conquistato 112 seggi su 167 mentre il Grande Polo Patriottico (GPP), la coalizione dei socialisti di Maduro, ne aveva invece ottenuti 55.
Un rito ‘democratico’ solo nell’aggettivo, ma non nella sostanza, tanto meno nella forma, quindi ‘inutile’ per molta parte dell’elettorato che, secondo i sondaggi, si asterrà nella più parte (70%). È diffusa l’opinione che quella di domenica sia l’ennesima farsa per annientare l’ultima traccia di democrazia che rimane nel Paese.
Nel corso di un evento elettorale in un teatro di Caracas, il Presidente del Venezuela, Nicolas Maduro, ha assicurato: “Consegno il mio destino nelle mani del popolo del Venezuela. Se l’opposizione torna a vincere all’Assemblea nazionale, lascio la presidenza, non rimango più qui”. “Se l’opposizione ottiene più voti di noi e ci batte alle elezioni di domenica, lo accetteremo e prenderemo un’altra strada”, ha rilanciato Maduro secondo cui, “dinanzi a questa sfida, il popolo si recherà a votare e avremo un trionfo della Rivoluzione bolivariana”.
Il nodo fondamentale di questa tornata elettorale risiede nell’assenza di una grande fetta delle opposizioni (27 partiti), che denunciano la mancanza di garanzie democratiche e di libera espressione del voto. Questo, inevitabilmente, favorirebbe la coalizione che sostiene l’attuale Presidente, il Gran polo patriottico di cui, appunto, il Partito Socialista Unito del Venezuela (di cui Maduro è leader) è perno centrale.
La decisione di non recarsi alle urne per un voto “truffaldino” perché privo delle condizioni necessarie per garantire la partecipazione “libera” e “trasparente” di tutti i soggetti politici risale ad Agosto ed affonda le sue radici nella mancanza di un’autorità elettorale indipendente ((a giugno, il Tribunale superiore di giustizia controllato da Maduro, arrogandosi una prerogativa attribuita al parlamento, ha nominato un nuovo Consiglio nazionale elettorale), nel ricambio deciso dal governo dei vertici di alcuni dei principali partiti di opposizione, nel rifiuto al rinnovo dei registri elettorali per includere anche gli elettori all’estero oltre che nel mantenimento in carcere di numerosi ‘prigionieri politici’ .
La legittimità delle elezioni di domenica è stata contestata da molti. L’Unione europea ha deciso di non inviare una propria missione di osservatori, ritenendo inesistenti le condizioni per un processo elettorale “libero” e trasparente”, nonostante, tramite il Gruppo internazionale di contatto (Gic) e tentando una triangolazione anche con altri esponenti del fronte antigovernativo, avesse cercato di trattare con Caracas un rinvio dell’appuntamento per negoziare condizioni di voto utili a riportare tutte le opposizione nella contesa elettorale. Il governo aveva rifiutato puntando sulla necessità di rispettare la Costituzione che impone il rinnovo della legislatura entro la fine dell’anno per poter inaugurare quella nuova, dal 5 gennaio.
Anche la Commissione interamericana per i diritti umani (Cidh) aveva denunciato la mancanza di condizioni per celebrare le elezioni generali che sarebbero peraltro “condizione essenziale per superare questa crisi”: “persistono circostanze che minano la fiducia nel processo elettorale e che devono essere corrette”. Critiche alle elezioni sono state rivolte dall’Organizzazione degli Stati americani (Osa), alla cui cinquantesima Assemblea generale, tenuta ad ottobre, l’ente panamericano ha approvato con con 21 voti favorevoli, quattro contrari e nove astensioni una risoluzione che definisce illegittimo il governo Maduro, chiede lo svolgimento di elezioni presidenziali libere ed eque e chiede il rispetto dei diritti umani nel paese. La risoluzione dal titolo “Mancanza di condizioni democratiche minime per garantire elezioni libere, eque e trasparenti nella Repubblica Bolivariana del Venezuela” è stata sostenuta di 21 dei 33 paesi presenti all’Assemblea Generale mentre il Venezuela rappresentato dal delegato dell’oppositore Juan Guaidò, ha condannato “nei termini più energici” le azioni del governo “illegittimo di Maduro” che attentano “al sistema democratico e alla separazione dei poteri”, con “usurpazioni” di potere che finiscono per compromettere “in maniera chiara le condizioni minime” necessarie per poter celebrare le elezioni parlamentari
La linea del boicottaggio fa capo a Guaidò, auto-proclamato presidente ad interim, che in una intervista al ‘Corriere della Sera’ ha espresso il suo parere su quanto accadrà questo fine settimana: “Si consumerà una frode annunciata, condannata dall’alternativa democratica venezuelana ma pure dall’Unione europea e dall’Organizzazione degli Stati americani. Non ci sono le condizioni per elezioni libere, giuste, verificabili. Se io volessi candidarmi non potrei, per volere della dittatura. Come me, altri 300 politici perseguitati dal regime. Si ripeterà la frode del 20 maggio 2018 (le ultime presidenziali). E non dimentichiamo che il comitato del Consiglio per i diritti umani dell’Onu considera Maduro responsabile di crimini contro l’umanità. Ciò rende il Venezuela ancor più vulnerabile a livello istituzionale“.
Maduro – secondo Guaidò – è “un assassino seriale che si dichiara innocente non smette di essere un criminale. La dittatura ha espropriato i partiti d’opposizione, designando direttamente candidati corrotti dal regime. Non è un vero processo elettorale”. E poi c’è la pandemia, una crisi sanitaria ed economica:”In Venezuela ci sono 9,1 milioni di persone sottoalimentate, secondo la Fao, e 5,1 milioni di rifugiati, cifra superata solo dalla Siria. Non siamo stanchi solo della persecuzione. Oggi un maestro guadagna 3 dollari al mese. Un infermiere 2. E la soglia della povertà per l’Onu è 1,90 dollari, ma al giorno. La soluzione passa per elezioni presidenziali e parlamentari democratiche. Come ottenerle? Attraverso la Consultazione popolare, per dimostrare che siamo maggioranza, anche se partiamo in svantaggio. Perché Maduro tortura, assassina, censura. Perché Maduro è un delinquente”, ha sentenziato Guaidò, annunciando una sorta di referendum, che si terrà dal 7 al 12 dicembre, per verificare la legittimità politica delle elezioni e del governo Maduro. In particolare, i tre quesiti reciteranno rispettivamente: “chiede la fine dell’usurpazione della presidenza da parte di Nicolas Maduro ed elezioni presidenziali e parlamentari libere, eque e verificabili?”; “rifiuta l’appuntamento del 6 dicembre organizzato dal regime di Nicolas Maduro e chiede alla comunità internazionale di ignorarlo?”; “esige che vengano avviate le procedute necessarie dinanzi alla comunità internazionale per attivare la cooperazione e l’assistenza che permettano di salvare la nostra democrazia, fare fronte alla crisi umanitaria e proteggere il popolo dai crimini di lesa umanità?”.
A fronte dell’accusa di manipolare le elezioni, Maduro ha rimarcato di essere “un guerriero” e che “non mi sono mai arreso e mai lo farò. Per questo mi rivolgo a Javier Bertucci, Henri Falcon, Bernabé Gutierrez (leader dei partiti minoritari di opposizione che si presentano alle urne sfidando la linea scelta dal leader Juan Guaidò) e gli dico accetto la sfida e vediamo chi vince, se vinciamo noi andiamo avanti”. Infatti non tutta l’opposizione vuole seguire la linea della non partecipazione di Guaidò, anche perché consapevole della posta in gioco: il Parlamento.
L’assemblea è il solo organo istituzionale ancora controllato dalle opposizioni, anche se le sue funzioni – grazie a ripetute sentenze della Corte suprema – sono considerate non valide dal governo. Per questo motivo, il regime, due anni fa, gli aveva opposto l’Assemblea nazionale costituente, un organismo ‘ombra’ di cui Maduro ha già preannunciato lo scioglimento e chiamato a elaborare una nuova Costituzione che non è stata mai neanche delineata, ma che, nel frattempo, legifera parallelamente all’Assemblea legislativa.
Gli antichavisti, così come molte diplomazie estere, ritengono che la Presidenza dell’Assemblea sia imprescindibile, ai sensi dell’articolo 233 della Costituzione, per poter rivendicare la Presidenza ad interim del Paese. Una interpretazione rigettata dal regime a detta del quale, peraltro, il presidente dell’Assemblea non è più Guaidò, bensì Luis Parra, deputato eletto al termine di una votazione ancora oggetto di contestazioni. Il parlamento è altresì cruciale per approvare accordi internazionali grazie ai quali Caracas può ricevere legittimamente aiuti dall’esteri, magari dalla Cina o dalla Russia.
Intanto, il Presidente Maduro ha fatto modificare alcune norme dell’Assemblea nazionale, aumentando il numero degli scranni e riservandone ben 40 al cosiddetto ‘voto di lista’, così da assicurarsi la maggioranza.
Ma i problemi, per lui, sono iniziati anche a sinistra. Nel 2018 il Partito Socialista Unito di Maduro aveva vinto le elezioni anche grazie al Partito Comunista Venezuelano (PCV) e di Patria Per Tutti (PPT), uniti nella coalizione Grande Polo Patriottico.
Negli ultimi mesi, tuttavia, questi due partiti hanno iniziato a criticare il sistema corrotto e clientelare del regime e hanno dato vita ad una nuova coalizione,l’Alternativa Popolare Rivoluzionaria (APR). Numerosi sono già stati gli attacchi ai candidati: José Pinto è stato accusato di omicidio vedendosi bloccata la candidatura. Attacchi anche al leader del PCV e ben 37 membri del PPT sono stati arrestati con l’accusa di aver fatto campagna contro il Governo.
Un episodio spartiacque risale al 17 agosto 2020: quattro uomini armati avevano picchiato davanti alla sua famiglia e poi rapito José Carmelo Bislick, conduttore di un popolare programma radiofonico, ‘El pueblo combate’ oltre che leader locale del partito di Maduro che, però, negli ultimi tempi aveva iniziato a criticare. Il cadavere era stato trovato il giorno dopo vicino a casa sua, a Güiria, nello stato venezuelano di Sucre. «Chiunque faccia una critica è assimilato all’opposizione», ha detto al New York Times Ares Di Fazio, ex guerrigliera e leader del partito di estrema sinistra dei Tupamaros, la cui direzione nazionale è stata sospesa ad agosto dalla Corte suprema del Venezuela. Molti sostenitori storici del governo che negli ultimi mesi sono scesi in piazza per denunciare il crollo dei servizi pubblici e sono stati repressi dalle forze di sicurezza. Chi ha scelto di candidarsi come indipendente viene sistematicamente estromesso, perseguitato dalla polizia o accusato di falsi crimini. Altrimenti fa una fine ben peggiore.
Rafael Uzcátegui, 73 anni, del partito di sinistra Patria Per Tutti, ha spiegato che «il governo non teme più la destra. Ha paura della sinistra perché sa che stiamo dicendo alla gente la verità». Ma il malcontento è sempre più trasversale e tangibile.
Il 2020 è stato un anno tragico per tutti i Paesi, ma per il Venezuela lo è stato in particolare modo: sarebbero solo 90.400 casi totali, con 84.907 guarigioni a fronte di oltre 6mila persone ancora in cura e 780 morti ufficiali per COVID-19, ma gli ospedali – con poche centinaia di terapie intensive, concentrate soprattutto nella capitale- sono al collasso e i dispositivi di protezione individuale così come la diagnostica sono a livelli irrisori. Altrettanto disastrosa è la condizione economica: il PIL del Paese dovrebbe calare del 15 per cento e, sulla base di una ricerca fatta da tre università venezuelane e riportata dall’Economist, il 79 per cento della popolazione si trova in stato di estrema povertà e il 30 per cento dei bambini sotto ai 5 anni soffre di malnutrizione cronica o di arresto della crescita. Inoltre, in cinque anni, dal 2015 a oggi, la crisi dei rifugiati è peggiorata tanto che un sesto dei venezuelani è fuggito dal Paese.Il Fondo monetario internazionale, a Marzo, ha rifiutato aiuti per 5 miliardi al Venezuela, che ha chiesto sostegno per fronteggiare l’emergenza del coronavirus: l’Fmi “non è in grado di prendere in considerazione questa richiesta perché non c’è chiarezza sul riconoscimento internazionale del Paese”. Crollo dell’industria petrolifera, carenza di benzina, sanzioni, crisi economica legata alla pandemia, «un capitalismo clientelare» stanno rendendo la situazione insostenibile.
La vittoria alle urne garantirebbe al Gpp – e al suo principale azionista, il Partito socialista unito del Venezuela – il controllo del Parlamento, unico organo istituzionale in mano alle opposizioni. Per Maduro il successo permetterebbe al governo di “sconfiggere l’embargo” proclamato dagli Stati Uniti “e tutte le conseguenze criminali”. Come cambierà la situazione con Biden? Cosa succederà se, come pare chiaro, Maduro conquisterà il Parlamento? E cosa farà l’opposizione? A queste domande ha risposto Mauro Bafile, Direttore responsabile dello storico quotidiano venezuelano in lingua italiana ‘La Voce d’Italia‘.
“Se perdo alle elezioni legislative di domenica, lascio la Presidenza” ha annunciato Nicolas Maduro, sottolineando che metterà il “suo destino nelle mani del popolo”. Secondo alcuni sondaggi solo un venezuelano su dieci sostiene il Partito Socialista Unito e la maggioranza dei venezuelani sarebbe favorevole alle dimissioni del governo oltre a nuove elezioni presidenziali. Maduro sente che inizia a mancargli il terreno sotto i piedi? O è un modo per mobilitare la partecipazione?
Bisogna tenere in considerazione che una grossa fetta dell’elettorato non andrà a votare perché, innanzitutto, non ci sono i partiti dell’opposizione in quanto alcuno partiti storici sono stati, per certi versi, sono stati commissariati, quindi non rappresentano la realtà di quello che è lo spirito del partito. Altri, non sono motivati a partecipare. In questo senso, anche facendo delle elezioni realmente ‘democratiche’, parte dell’elettorato non andrebbe a votare perché, in realtà, i partiti che partecipano sono filo-governativi o vicino all’area governativa. E quelli che sostengono essere dell’opposizione, in realtà, non rappresentano il grosso del partito.
L’assoluta mancanza di trasparenza, quindi, è un altra ragione della scarsa partecipazione che si attende, secondo i sondaggi, per queste elezioni?
Sì. Quando un governo ha in mano tutti i poteri e l’arbitro che dovrebbe decidere, come la Commissione Elettorale, è di parte, ovviamente cade quella che è la rappresentatività dell’organismo che dovrebbe dichiarare il vincitore. E quindi le elezioni non possono essere chiare e limpide come dovrebbero essere.
“Se l’opposizione ottiene più voti e ci batte, lo accetteremo”, ha rimarcato Maduro. È uno scenario possibile?
Quando si ha la certezza che l’opposizione non andrà a votare, non ha avversari. Ricordiamo che l’opposizione invita tutti i giorni a non andare a votare, si è ritirata sull’Aventino.
“Non mi sono mai arreso e mai lo farò. Per questo mi rivolgo a Javier Bertucci, Henri Falcon, Bernabé Gutierrez (leader dei partiti minoritari di opposizione che si presentano alle urne sfidando la linea scelta dal leader Juan Guaidò) e gli dico accetto la sfida e vediamo chi vince, se vinciamo noi andiamo avanti”, ha sostenuto Maduro. Perché parte dell’opposizione ha scelto di non partecipare a queste elezioni? Ricordiamo che sono ben 27 i partiti in questione e che in ballo c’è il Parlamento, l’ultima istituzione in mano all’opposizione e il cui Presidente, secondo un’interpretazione della Costituzione, può rivendicare la Presidenza ad interim del Paese. Perseguire la strada della non partecipazione, non è un autogol? Da cosa nasce questa scelta visto che, tra l’altro, ci sono delle posizioni opposte anche all’interno della stessa opposizione tali per cui l’ex candidato alla Presidenza, Henry Falcon, ma anche Bertuccia, Gutierrez, hanno optato per la linea della partecipazione.
Diciamo che nasce dall’esperienza. L’opposizione non ha avuto il tempo e gli strumenti per prepararsi e come si fa ad andare a votare quando ci sono leader politici in esilio, altri che si sono rifugiati in ambasciate, quando dei partiti dell’opposizione sono stati commissariati. E poi c’è una realtà di fondo che è la crisi economica: il cittadino, più che alle elezioni, sta badando alla quotidianità. L’opinione di chi vuole andare a votare è rispettabilissima quanto quella di chi la pensa diversamente. Ognuno fa un suo ragionamento e ognuno pensa di essere dalla parte della ragione.
In quest’ottica, è poi diffusa, nell’opposizione, l’idea che partecipare equivarrebbe a legittimare l’elezione.
Certo, però, c’è anche chi non lo pensa. È una questione di opinioni.
Al contempo, il leader dell’opposizione, Juan Guaidò, ha proposto una consultazione popolare per verificare la legittimità dell’elezione. È un’iniziativa importante? Non rischia di essere rischiosa per Guaidó se non riscuote abbastanza entusiasmo?
Lo sapremo una volta che ci saranno i risultati. Bisognerà vedere se il cittadino potrà andare ad esprimersi come desidera l’opposizione. Sulla base dei risultati, si farà un’analisi e si vedrà anche quanta forza ha il governo, quanta ne ha questa l’opposizione e quanta Guaidò. È una situazione molto difficile perché il clima politico ed economico del Paese non è certo focalizzato sulle elezioni.
Juan Guaidò, che gode di un buon gradimento, ma con percentuali modeste, rimane un leader di riferimento per l’opposizione antichavista?
Senz’altro. Non è il solo, ma molti leader sono all’estero o rifugiati in ambasciate. Anche Guaidò non va in giro tranquillamente come fanno gli esponenti del governo. È una situazione complessa quella che vive l’opposizione, resa ancora più difficile dalle divisioni interne.
Perché non si riesce a superarle?
Perché, come ho scritto più volte, non è ancora stato redatto un programma comune: una volta che i partiti dell’opposizione riusciranno a sedersi intorno ad un tavolo e a fare un programma su una base accettata da tutti come si fece nel 1958 contro la dittatura di Jiménez, su quella base si potranno scegliere anche i leaders. Però se non c’è una base comune, è ovvio che non si può arrivare ad un’opposizione unita.
Il Partito Socialista continua a sostenere solidamente Maduro?
Il Chavismo, come l’opposizione, è diviso. C’è uno zoccolo duro che sostiene ancora Maduro, ma ormai non ha più la forza che aveva anni addietro. C’è un’ampia fetta del Chavismo che è dissidente, non ha grosso potere e non riesce a trovare un accordo con l’opposizione anti-chavista. Ma anche questo è un elemento di cui l’opposizione dovrà tenere conto.
La coalizione che sostiene Maduro, il GPP (Gran Polo Patriottico), inizia infatti a perdere pezzi: più di un partito della sinistra ha iniziato a sfilarsi, soprattutto dopo il brutale assassinio del conduttore radiofonico, José Carmelo Bislink, che denunciava il clientelismo e la corruzione del regime. Questo complica la situazione per Maduro?
La realtà latinoamericana ci insegna che è una polveriera: qualunque cosa accada, può trasformarsi in un movimento spontaneo. Non so fino a che punto Maduro abbia il pieno controllo del Chavismo, ma senz’altro ha un grosso potere.
I militari, di cui è noto il forte legame economico oltre che politico che lì lega a Maduro, continuano a sostenere il regime? E le milizie?
Sì, d’altronde, in America Latina, senza i militari, non si governa. Fino a quando i militari, anche i dissidenti, non sanno quali sono le loro forze, non intervengono, evitando il rischio di una carneficina. E poi nessuno vuole una transizione con il sangue, ma pacifica, probabilmente con un governo di transizione, che consenta di tornare ad una democrazia e ad un’economia che funzioni. Per quanto riguarda le milizie, ormai tutti in Venezuela sono armati: ci sono bande armate che intervengono contro le manifestazioni dell’opposizione. Non dimentichiamoci le squadracce fasciste. Diciamo che queste cose, in regimi autoritari, avvengono. Ricordiamo, però, che non sono dittature tradizionali in cui il generale prendeva il comando, sono governi che, poco a poco, sono riusciti a conquistare tutti i poteri pubblici e, quindi, non hanno bisogno della violenza fisica se non in caso di manifestazioni che vengono represse.
Secondo alcuni sondaggi, la partecipazione alle imminenti parlamentari non supererebbe il 30% degli elettori. Lo ritiene un dato verosimile?
È quello che dicono i sondaggi che vanno però presi con le pinze.
Quanto e come il Covid-19 inciderà su queste elezioni? I numeri disponibili dell’epidemia in Venezuela ci dicono ben poco, ma le difficoltà del Paese erano evidenti ben prima del coronavirus.
Il Venezuela è un Paese sui generis: non si hanno cifre reali di morti e contagi. In Venezuela manca la benzina, quindi la popolazione non riesce a muoversi da città a città come c’era, magari, dieci anni fa. Anche tra quartiere e quartiere perché quelle città sono fatte a misura d’auto. Senza l’automobile, è difficile muoversi e, senza benzina, è impossibile usare il mezzo proprio o i mezzi pubblici. Manca l’elettricità, e in tante province, anche per ore o giornate intere così come Internet. Forse sono anche vere le cifre che dà il governo perché non c’è movimento della popolazione. E questo lockdown decretato da molti governi nel mondo, il Venezuela lo vive tutti i giorni, ci è costretto dalle circostanze, non certo dai decreti.
La risposta sanitaria è stata all’altezza?
Non ci sono cifre per valutarla. So che gli ospedali pubblici, ma anche quelli privati, sono in crisi. So che la tecnologia degli ospedali pubblici e privati è obsoleta. So che si fanno tanti sforzi da parte del personale sanitario, però non si hanno cifre veritiere. Quindi è difficile dare un giudizio. E poi il Venezuela è preoccupato dalla sopravvivenza quotidiana, quindi questo problema del COVID-19 lo vive in modo stringente, ma allo stesso tempo periferico: stringente perché sa che deve andare con la mascherina, ma non se la può comprare; però, allo stesso tempo, il suo problema è quello di vivere in un Paese in cui tutto si compra in dollari e, quindi, se hai una famiglia all’estero – ormai sono 5 milioni i venezuelani che stanno all’estero, secondo le cifre dell’ONU – tantissimi vivono delle rimesse.
Maduro ha dichiarato che, a Dicembre, inizieranno le vaccinazioni. Solo propaganda in vista delle elezioni o c’è effettivamente un vaccino, magari di provenienza cinese o russa?
Può averlo ricevuto dalla Cina o dalla Russia. Bisognerà attendere se effettivamente questa vaccinazione si farà o no. Certo è che Maduro può contare sull’aiuto di Paesi a lui vicini, come Russia e Cina.
Sono in corso in queste ore proteste dei dipendenti pubblici. L’inflazione è al 1800%. La benzina scarseggia. Quali provvedimenti economici il regime ha preso per affrontare la crisi che, per la verità, ben prima del COVID-19, affliggeva il Paese e che è andata solo peggiorando con l’epidemia?
Provvedimenti di carattere economico, in realtà, il governo non ne ha presi. Quello che sta cercando di fare è continuare con i sussidi e con gli ammortizzatori sociali, ci sono i generi alimentari che vengono distribuiti, ma che durano, per una media famiglia venezuelana, al massimo, una settimana. E poi i cittadini devono arrangiarsi da soli. Oltre ad aumentare i sussidi, non vedo altre misure. Ultimamente ha cercato di aumentare i tassi di interesse in modo da limitare la liquidità in circolazione per frenare l’inflazione, ma di fronte alla crisi e alla chiusura di fabbrica non ha preso provvedimenti che possono indicare un orientamento della politica economica.
Magari, chiede aiuti a Mosca o a Pechino.
Certo, chiedendo finanziamenti che stanno ipotecando il futuro del Paese. Ma, ormai, anche la Russia e la Cina sono molto prudenti a finanziare la politica di Maduro.
Il petrolio di certo non aiuta: l’industria petrolifera, nonostante la decisione della scorsa primavera del capo dello Stato di sostituire il Ministro del Petrolio e il Presidente della PDVSA, la compagnia petrolifera statale, con, rispettivamente, Tareck El Aissami e Asdrubal Chavez Jimenez (parente del defunto Presidente Hugo Chavez), è al collasso, ci sono le sanzioni americane e i maggiori asset all’estero, la CITGO, sono in mano all’opposizione.
La produzione petrolifera venezuelana, da quando c’è stata il crollo dei prezzi, ha cominciato a risentirne. È evidente che non si potevano più mantenere i ritmi di spesa del Presidente Chavez. Maduro si è trovato ad ereditare una situazione molto difficile creata proprio da Chavez, ma non è riuscito a prendere i provvedimenti necessari per dare una svolta all’economia. Se poi aggiungiamo una mancanza di manutenzione alle installazioni petrolifere e di capacità di amministrare un’industria che è complessa e che è ormai l’unica produttrice nel Paese (si è passati dalle 15mila che producevano al 70-80% della capacità, degli anni ‘90, alle 2mila che producono al 25% della capacità, di oggi). Il Venezuela è in recessione ormai da sette-otto anni e che, annualmente, registra una contrazione del 15-20%, ma che è arrivata anche al 25-30%. Quindi una contrazione accumulata del 100%.
Il capitalismo clientelare, legato all’élite vicina a Maduro, aggrava la situazione, non permettendo lo sviluppo di un mercato libero.
Certo, anche perché il mercato venezuelano, stando agli studi di tre università più autorevoli del Paese (Centrale, Catolica e Simon Bolivar), la povertà ha ormai raggiunto il 90% delle famiglie e la povertà assoluta ha superato il 60%. Stiamo parlando di cifre tragiche.
Questo spiega anche il ricorso presentato dallo staff legale del governo di Nicolás Maduro che ha rivendicato il diritto a farsi consegnare dalla Banca d’Inghilterra le 31 tonnellate di lingotti d’oro che da anni l’istituto custodisce nei suoi forzieri. Rimanendo all’estero, che bilancio si può fare della Presidenza Trump in relazione al Venezuela e della scelta di puntare su Guaidò?
La Presidenza di Trump è stata tragica sotto ogni punto di vista, dall’’America First’ al clima, dal rapporto con l’Europa alla guerra dei dazi. Ha creato dei forti squilibri interni e ha rinfocolato il razzismo tanto che gli ultimi mesi sono stati caratterizzati dalle proteste degli afroamericani. Quanto al Venezuela, ha sempre minacciato e non ha mai trasformato le minacce in realtà: un’invasione militare oggi sarebbe tragica e acuirebbe uno squilibrio in tutta l’America Latina, riportandoci indietro di secoli. Per quanto riguarda la scelta di puntare su Guaidò, c’era poco da scegliere: non che sia il migliore, ma in questo momento è il leader visibile dell’opposizione, oltretutto giovane, quindi rappresenta anche la rottura tra la classe politica tradizionale e una nuova generazione di politici che si stanno facendo avanti.
In queste ore, Washington ha rinnovato il sostegno a Guaidò. L’arrivo di Joe Biden potrebbe essere una svolta?
Io spero che con l’arrivo di Biden si riesca ad aprire uno spiraglio verso una relazione migliore, più in generale, con l’America Latina. Una relazione che Obama era riuscito a ricreare anche con la riapertura nei confronti di Cuba: far vedere, nei Paesi dove c’è una grossa recessione economica e dove c’è un governo autocratico, come negli altri altri Paesi democratici ci sia maggiore benessere, questo apre le porte a tentare di migliorare. Bisogna pensare che, dopo vent’anni di Chavismo, c’è una generazione che non conosce altro e non ha metri di paragone mentre, in passato, i venezuelani avevano le risorse economiche per attraversare la frontiera e vedere quello che c’era. Il fatto di un Biden che possa avere nei confronti del Venezuela un’apertura intelligente, cioè creando le condizioni per una transizione democratica, credo che sia interessante.
Lunedì gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni alla società cinese China National Electronics Import & Export Corporation (CEIEC), accusandola di sostenere gli sforzi del presidente venezuelano Nicolas Maduro per minare la democrazia.Il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha affermato in una dichiarazione che la società cinese ha sostenuto il governo di sinistra di Maduro nei suoi “sforzi per limitare il servizio Internet e condurre sorveglianza digitale e operazioni informatiche contro gli oppositori politici”. Cina e Russia come vedono in questo momento il Venezuela, considerando anche la successione alla Casa Bianca?
Cina e Russia fanno un discorso di geopolitica internazionale. Il Venezuela si trova a Nord del Sud, in una collocazione importante, a pochi chilometri dalle coste nordamericane, domina i Paesi andini e si affaccia sul Sud dell’America Latina. È strategicamente importante per una collocazione di dominio che vorrebbe la Russia, sia per una collocazione economica cui puntano i cinesi. Fin quando gli converrà, continueranno a sostenere Maduro.
“Senza un incontro, senza un riconoscimento reciproco e senza dialogo autentico non ci sarà soluzione che porti benessere e fratellanza”, ha messo in guardia la Conferenza episcopale venezuelana. Come guarda a queste elezioni il Vaticano? Del resto Papa Francesco ha sempre rivolto grande attenzione nei confronti dell’America Latina.
Il Vaticano è stato sempre in prima linea nel dialogo tra il governo e l’opposizione. Ma per il dialogo, c’è bisogno della volontà di dialogare. Da quando non c’è volontà, tutti gli sforzi sono inutili. Bisogna creare le condizioni perché questo dialogo prosegua e una delle condizioni è la volontà.
E l’Unione Europea sta seguendo una strategia efficace?
Mi sembra che la politica dell’Europa sia quella di cercare una transizione pacifica verso un ristabilimento delle libertà democratiche. Quindi, è senz’altro positiva. Poi non è che ci siano alternative in quanto queste rimanderebbero ad un’invasione del Venezuela, il che sarebbe drammatico. Bisogna cercare che l’opposizione si unisca, trovi un punto di incontro comune e poi che opposizione e governo si siedano serenamente senza minacce, ma nella ricerca del bene del Paese. Le sanzioni devono essere fatte in modo mirato ai singoli individui venezuelani che si macchiano di crimini contro l’umanità ed è quello che sta facendo l’Europa.
E l’Italia? Non bisogna dimenticare che il governo di Roma – il cui principale azionista, il M5S è stato travolto da uno scandalo circa un eventuale finanziamento da parte di Caracas – non si è accodata alle altre nazioni europee a riconoscere Guaidò. Potrebbe cambiare idea dopo queste elezioni?
Quello che ha dimostrato l’Italia è che, pur non sostenendo Guaidò e non essendo d’accordo con provvedimenti drastici, è il secondo Paese, ora si è aggiunta la Spagna, a non avere un ambasciatore, ma un incaricato d’affari: quindi, non riconosce totalmente la legittimità del governo. Stando alle affermazioni di vari esponenti del governo, l’Italia non riconosce la legittimità del governo Maduro, ma riconosce la legittimità di Guaidò quale Presidente del Parlamento: indirettamente, se si riconosce la legittimità del Presidente che è stato investito dal Parlamento della carica di Presidente ad interim del Paese, si riconosce Guaidò.
E all’interno dell’OAS, il Venezuela ha sempre meno alleati?
Ci sono tanti Paesi sudamericani che dipendono dal Venezuela e che continuano a sostenerlo. Non è più il sostegno che aveva in passato e non dimentichiamo che in Argentina c’è di nuovo un governo che, indirettamente, ha certe simpatie per il Chavismo. E questo si registra anche in altri Paesi.
Dopo le 5 petroliere inviate a Maggio da Teheran, secondo l’Ammiraglio Craig Foller del Southern Command statunitense, in Venezuela si troverebbero delle Forze iraniane Al Quds. È vero?
Non saprei. Si parla anche dell’influenza cubana o russa, ma sono speculazioni.
Sono comunque piuttosto solidi questi rapporti con regimi come Iran, Corea del Nord, Turchia?
Con questi governi ci sono affinità di carattere politico e dei contributi di carattere economico. Del resto, non si fa mai nulla gratuitamente. E quindi, se l’Iran manda petrolio, è perché riceve un compenso, che sia oro, cobalto o altri minerali. Il Venezuela è ricca di minerali che fanno gola a tutti e che per l’industria tecnologica sono indispensabili. Da questo punto di vista, tutto è possibile e, pur essendoci delle simpatie politiche, ci sono sempre interessi dietro.
Come si spiega l’incapacità, criticata da molti Paesi, del procuratore generale della Corte Penale Internazionale Fatau Bensauda di aprire un’indagine formale contro il Venezuela?
La giustizia hai i suoi tempi, bisogna lasciarla camminare con i suoi tempi.
È vero che il Parlamento è fondamentale anche per l’approvazione di accordi internazionali, magari per ricevere aiuti esteri?
Per sottoscrivere degli accordi internazionali, questi devono essere approvati dal Parlamento. Ma questo deve essere legittimo.
È possibile che Nicolas Ernesto Maduro, figlio del Presidente e candidato in queste elezioni, possa conquistare la Presidenza del Parlamento?
Non saprei.
In conclusione, cosa succede se, effettivamente, Maduro conquista il Parlamento? È un punto di non ritorno, il canto del cigno per la ‘democrazia’ venezuelana?
Il Parlamento non solo deve essere legittimo, ma deve essere anche credibile. Se questo Parlamento non ha credibilità, il potere politico del governo ha delle basi di argilla. Ma sono vent’anni che c’è il Chavismo. E poi l’opposizione non riesce a trovare un accordo. Quando, invece, si è presentata unita, ha conquistato il Parlamento. Quando c’è stato il referendum contro il Presidente Chavez, è stato vinto perché l’opposizione si è presentata unita. Bisognerebbe creare una coalizione che riesca a cementare questa opposizione.
La ‘vittoria’ di Maduro a queste elezioni parlamentari potrebbe essere l’occasione, lo stimolo giusto?
Speriamo perché il Paese ne ha bisogno. Ha bisogno di un’opposizione forte, di una transizione pacifica verso la democrazia e ha bisogno che in questo Paese futuro che noi sogniamo libero ed economicamente florido, possa convivere anche quel Chavismo razionale che non morirà, in quanto è una realtà con cui il Paese dovrà fare i conti anche in futuro, ma il suo protagonismo dovrà alternativamente lasciare il posto anche all’opposizione.
L’eventualità di un tentato golpe contro Maduro, dopo le elezioni di domenica, continuerà a rimanere remota?
Queste operazioni di forza sono sempre drammatiche. Bisogna avere l’intelligenza per una transizione pacifica, senza portare il Paese sull’orlo della guerra civile. Sarebbe drammatico per il Venezuela, per i Paesi limitrofi e per l’America Latina.