“Emissione di debito comune e reperimento di risorse proprie anche attraverso imposizioni fiscali comunitarie da parte della Commissione sono gli elementi che potrebbero promuovere una maggiore integrazione”. “È cruciale adesso avviare una vera e propria fase costituente a livello UE per rafforzare le istituzioni sovranazionali e il metodo comunitario“. Intervista a Nicoletta Pirozzi (IAI)

 

Dopo quasi 5 giorni di estenuanti trattative al Consiglio europeo, ieri mattina, alle 5:31, i 27 Paesi membri dell’UE hanno raggiunto l’accordo sul Recovery Fund, altrimenti noto come Next Generation EU, quarto pilastro dopo MES, SURE e BEI su cui poggia la risposta europea alla pandemia di COVID-19.

“E’ stato un vertice le cui conclusioni sono storiche”, ha detto il presidente francese Emmanuel Macron al termine del Consiglio europeo, aggiungendo che “in due mesi siamo riusciti a far diventare realtà un piano di rilancio. Questa lunga trattativa è stata caratterizzata da difficoltà, opposizioni e visioni diverse dell’Europa”.

Angela Merkel si è detta “molto contenta” dell’accordo raggiunto, affermando anche di essere “sollevata” del fatto che i leader europei siano arrivati ad una intesa,un “buon segnale” all’Europa.

 “Il vertice infinito è finito con un’intesa”. Quella sul piano NextGenerationEu “è la più importante decisione economica dall’introduzione dell’euro”, ha rimarcato in un tweet il commissario Ue per l’Economia Paolo Gentiloni. “Per la Commissione che ha proposto il piano, comincia la sfida più difficile. L’Europa è più forte delle proprie divisioni”.

“L’Europa ce l’ha fatta”, “sono stati giorni difficili per i cittadini europei, ma quello che abbiamo raggiunto è un ottimo accordo, solido ed è quello giusto e che serve l’Europa”,è stato invece il commento del Presidente del Consiglio europeo Charles Michel, secondo il quale “abbiamo dimostrato unità, solidarietà e che tutti noi crediamo nel nostro futuro comune e questo significa che l’Ue è forte”. “Abbiamo negoziato sui fondi ma non si è parlato di soldi, ma di famiglie, lavoratori, del loro benessere”, ha precisato Michel, sottolineando che l’accordo raggiunto “verrà visto come un momento di svolta nella storia dell’Europa, sarà la prima volta che il nostro bilancio sarà collegato agli obiettivi climatici, che lo stato di diritto diventa un criterio decisivo, e che tutti abbiamo deciso di rafforzare le nostre economie con un piano di rilancio”.
La Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha commentato l’esito positivo dei lunghi negoziati culminati oggi in un’intesa. “Abbiamo ancora molto lavoro di fronte a noi, ma questa notte ha segnato un grande passo verso la ripresa” economica dell’eurozona, ha dichiarato von der Leyen nel corso di una conferenza stampa, dopo l’annuncio dell’accordo tra i capi di Stato e di governo dell’Ue. La presidente della Commissione Ue ha affermato che “quattro lunghi giorni e notti, e oltre 90 ore di negoziati” sono stati “fruttuosi”,
Tuttavia sono stati molto faticosi, gravati dal forte scontro tra Paesi del Nord, cosiddetti ‘frugali, capitanati dall’Olanda, e i mediterranei, tra cui Italia e Spagna, sostenuti da Germania e Francia. Il Recovery Fund è rimasto del valore complessivo della proposta originaria della Commissione, ovvero 750 miliardi di euro, ma è stata modificata la suddivisione tra sovvenzione e prestiti a favore di questi ultimi: i sussidi (grants) saranno 390 miliardi di euro (da 500) e i prestiti (loans) 360 miliardi di euro (da 250). L’Italia, in questo nuovo assetto, ha guadagnato circa 36 miliardi di prestiti in più: si porta a casa, infatti, circa 208,8 miliardi di euro di cui 81,4 di contributi a fondo perduto (solo 400 milioni in meno rispetto alla proposta della Commissione) e 127,4 di prestiti (rispetto a 90,9). 
La gamba più importante del Recovery Fund è il Fondo per la ripresa e la resilienza con 672,5 miliardi. I soldi saranno distribuiti ai vari Paesi tra il 2021 e il 2023: stando al punto A15 delle conclusioni, il 70% dei soldi dovrà essere impegnato dall’Europa nel biennio 2021-2022, mentre il restante 30% deve essere impegnato entro la fine del 2023.

Per poter accedere ai fondi, gli altri Stati membri dovranno presentare ad ottobre alla Commissione un piano nazionale di ripresa e resilienza che nel dettaglio dovrà descrivere come ogni singolo Paese intende usare i fondi.

Ma cosa non può mancare nei piani di ricostruzione? Essi devono essere redatti tenendo presenti le Raccomandazioni Ue per ogni Paese pubblicate negli ultimi anni e puntare al rafforzamento della crescita, in modo coerente alla transizione verde e digitale dell’economia, come afferma Il punto A1 delle conclusioni.

I fondi saranno erogati solo al raggiungimento di obiettivi misurabili concordati anticipatamente nel piano. La valutazione del raggiungimento di tali obiettivi sarà affidata al Comitato economico e finanziario (Cef), gli sherpa dell’Ecofin. Toccherà al Consiglio, su indicazione della Commissione che ha tempo due mesi, decidere a maggioranza qualificata (55% dei Paesi pari al 65% della popolazione Ue) se approvare il piano.

Qui, «in via eccezionale», se qualche Paese riterrà che sussistano dei problemi, potrà chiedere che la questione finisca sul tavolo del Consiglio Europeo, attivando il cosiddetto ‘freno d’emergenza’ voluto dai ‘frugali’, prima che venga presa qualsiasi decisione. L’Italia, d’altro canto, ha ottenuto la rimozione delle decisioni all’unanimità e il rischio che un singolo Paese potesse mettere il veto il piano nazionale di un’altro Stato. Inoltre, per bloccare l’erogazione del Recovery Fund è necessari il  voto contrario di 13 su 27 Paesi, purché questi rappresentino almeno il 35% della popolazione europea. La parola finale spetta comunque alla Commissione e tutta la procedura non potrà superare i tre mesi di tempo.

Nella valutazione complessiva dei Piani, non saranno tralasciati i parametri della solidità di bilancio, ma, stando ai Trattati, non ci sono obblighi di riforme se non quelle coerenti con l’agenda UE. Ciò nonostante, per chi denuncia il rischio di nuova ‘austerity’, è opportuno sottolineare che le raccomandazioni non vogliono  imporre ‘rigore’, ma non possono non considerare, dato l’impegno comune, le criticità di ogni Paese e tentare di indirizzare ciascuno verso una loro risoluzione.

Condizionalità che doveva essere inclusa nell’accordo, ma che poi, sebbene non sia stata cancellata, è stata fortemente diluita, riguardava il rispetto dello Stato di diritto. Una vittoria per i Paesi del Blocco di Visegrad, in particolare per il Premier ungherese, Viktor Orbán, che era arrivato a criticare aspramente l’Olanda. Un alleato dell’Ungheria, la Polonia, ha potuto cantare vittoria per l’eliminazione della condizionalità ambientale, legata alla progressiva riduzione della dipendenza dal carbone.

Il criterio guida per l’assegnazione delle quote dei soldi che saranno erogati nel 2021 e nel 2022 è quello della disoccupazione relativa al periodo 2015-2019. Nel 2023 il parametro diventerà la perdita del PIL nel 2020 e quella cumulativa, sempre del Pil, nel 2020-2021.

Inoltre, la parte dei soldi presi a prestito dovrà essere  rimborsata a partire dal 2027 in modo graduale  fino al 31 dicembre 2058. Per quanto concerne la porzione di soldi a fondo perduto, tutti i  Paesi dovranno  partecipare al rimborso comunitario relativo al Fondo. Due i meccanismi: le tasse, come quella sul carbone o sulla plastica, e i contributi che ogni Paese dà al bilancio pluriennale 2021-2027 su cui è stato trovato l’accordo. Costituito da 1.074 miliardi di euro, esso garantisce i titoli di debito pubblico comune- per la prima volta nella storia dell’Europa- finalizzati a raccogliere le risorse sui mercati.

Nell’alveo di una trattativa doppia, il Recovery ha imposto la riduzione di alcuni programmi del bilancio. Programmi i cui budget, cumulativamente, arrivati a 77,5 miliardi di euro (rispetto ai 190 miliardi pensati dalla Commissione) con l’azzeramento della dotazione di Eu4Healt, il nuovo programma europeo per la sanità, il forte ridimensionamento del Just Transition Fund e del Fondo agricolo per lo sviluppo rurale.  Il nuovo bilancio Ue per entrare in vigore deve però essere prima approvato dal Parlamento europeo e serve la ratifica anche dei parlamenti nazionali. E su questo, probabilmente, ci si possono attendere sorprese.
Emissione di debito comune, primordiali sprazzi di fiscalità comunitaria attuata dalla Commissione per reperire risorse, sono chiaramente una novità nella direzione di una maggiore integrazione che neanche la ferrea opposizione dei ‘frugali’ ha potuto bloccare. Gli stessi ‘frugali, però, hanno potuto incassare un altro punto a loro favore, con il mantenimento e rafforzamento dei ‘rebates’ e degli sconti sul bilancio.
E l’Italia? “Siamo soddisfatti. Il risultato positivo però non appartiene a chi vi parla, e nemmeno alle forze di governo. Appartiene all’Italia intera“, sono state le parole del Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, in Senato per l’informativa post-Consiglio, definito “un vertice straordinario anche in termini di complessità. L’intesa raggiunta rappresenta senza dubbio un passaggio fondamentale che ci spinge ad affermare che l’Ue è stata all’altezza della sua storia. Il risultato raggiunto sul Recovery Fund, frutto di una decisione di portata storica, non era affatto scontato a marzo”,
Tutti i leader hanno rivendicato un proprio successo diplomatico, ma è veramente così che stanno le cose? Come valutare l’accordo sul Recovery Fund? E sul bilancio pluriennale? Come escono le istituzioni europee da queste trattative? Come cambia il futuro dell’Europa? Lo abbiamo chiesto a Nicoletta Pirozzi, Responsabile del programma ‘Ue, politica e istituzioni’ dell’Istituto Affari Internazionali (IAI)

 

Per pochi minuti, l’ultimo Consiglio europeo straordinario non ha battuto il record del Consiglio di Nizza del 2000. È probabilmente il pregio-difetto del multipolarismo, <<così sotto pressione negli ultimi tempi>>, come ha tenuto a sottolineare Angela Merkel. Era prevedibile oltre che previsto che le trattative per il Recovery Fund fossero così lunghe e faticose?

Sì, un po’ tutti gli analisti avevano previsto un vertice molto complicato e, di conseguenza, molto lungo anche perché ben prima del vertice erano chiare le opposte posizioni. Non ci si aspettava che si arrivasse alla mattina del quinto giorno. Ci sono stati ben pochi precedenti, come quello di Nizza del 2000, ma è chiaro che la posta in gioco era veramente alta ed anche la fase che l’UE sta vivendo.

Quello avvenuto negli ultimi giorni è stato il primo Consiglio ‘fisico’ dallo scoppio della pandemia di coronavirus. La vicinanza fisica ha aiutato i leaders nelle trattative?

Penso proprio di sì perché quando parliamo di consessi multilaterali e quando ci sono in ballo negoziati molto difficili, quello che si ottiene con il rapporto diretto, soprattutto con tutte le discussioni che vengono fatte a margine del vertice, davvero dà il valore aggiunto. Se si fosse tenuto online, non si sarebbero potuti organizzare incontri al latere, o comunque sarebbe stato molto più complicato farlo, non ci si sarebbe potuti sedere a cena per continuare la discussione e anche durante la notte sarebbe stato più complicato. Per questo penso abbia fatto la differenza.

Tutte le trattative in sede di Consiglio possono essere lette alla luce del braccio di ferro tra Paesi rigoristi del Nord e Paesi Mediterranei. L’accordo sul Recovery Fund, da questo punto di vista, è stato raggiunto dopo laboriosi negoziati su diversi capitoli del dossier: primo tra tutti, la consistenza del Next Generation EU. I Paesi ‘frugali’, Olanda in testa, si sono adoperati per ottenere una riduzione dei contributi a fondo perduto (passati da 500 della proposta della Commissione agli attuali 390 miliardi di euro) ed un aumento dei prestiti (passati da 250 a 360 miliardi di euro). Tale risultato è dunque una vittoria per i Paesi ‘frugali’?

Direi di sì perché eravamo partiti da quota 500 miliardi di euro di sussidi e 250 di prestiti. Questo era stato ridotto dalla proposta del Presidente del Consiglio europeo Michel e, durante il Consiglio, si è arrivati sotto quota 400, che era la linea rossa che molti Paesi – Germania, Francia, ma anche Italia – avevano tracciato per quanto riguarda il livello dei sussidi. Invece, grazie ad un negoziato molto duro, i Paesi ‘frugali’ come l’Olanda sono riusciti a passare a 390 miliardi di euro di sussidi, comunque una quota molto ridotta rispetto alle aspettative. Anche per l’Italia, stando alle cifre che circolano, non è andata così male perché si parla di 82 miliardi di euro di sussidi e un aumento dei prestiti che raggiungono quota 127 miliardi di euro. Dal nostro punto di vista nazionale, non è quindi andata così male però come pacchetto complessivo, soprattutto come significato del piano ‘Next Generation EU’ che avrebbe dovuto dare una percentuale molto più alta di contributi a fondo perduto, è stata sicuramente una vittoria dei ‘frugali’.

Per quanto concerne la governance del Recovery Fund, anche su questo capitolo, forse più che su altri, lo scontro, in particolare tra Italia e Olanda, si è fatto molto duro: il tentativo italiano di eliminare i veti contro quello opposto olandese di rendere molto stringente il controllo del Consiglio e quindi anche di un singolo Stato sull’erogazione verso un altro Stato membro. Molta polemica si è poi scatenata sull’avverbio ‘decisively’ che l’Olanda voleva fosse attribuito alle discussioni in sede di Consiglio. Il risultato ottenuto consente tanto all’Italia quanto all’Olanda di rivendicare un proprio successo. Tuttavia, chi è, se c’è, il vero vincitore di questo capitolo della più ampia trattativa sul Recovery Fund?

Sulla governance si è arrivati ad un compromesso, visto che si partiva da posizioni veramente molto lontane: da una parte l’Italia, ma anche la Germania e la Francia, che volevano il ruolo primario affidato alla Commissione europea e cioè che fosse questa a decidere l’allocazione degli stanziamenti; dall’altra parte l’Olanda che premeva addirittura per un voto all’unanimità all’interno del Consiglio. Alla fine è stato molto difficile incontrarsi proprio a metà strada, prevedendo un ruolo molto forte del Consiglio a cui viene assegnato il compito di decidere a maggioranza qualificata sulla proposta della Commissione. C’è poi il cosiddetto ‘freno di emergenza’ che è stato inserito nelle conclusioni e che prevede che uno Stato membro possa deferire la questione al