Il governo Abe congela i piani per lo schieramento sul suo territorio nazionale di due sistemi di difesa antimissilistica americani mentre la Corea del Nord torna ad essere minacciosa. Possibili tensioni con USA. Cina e Russia, invece, tirano un sospiro di sollievo
Il Giappone ci ripensa. Ieri, il Ministro della Difesa giapponese, Taro Kono, ha confermato quanto già era stato da lui annunciato lo scorso 15 Giugno e cioè che il Paese ha congelato i piani per lo schieramento sul suo territorio nazionale di due sistemi di difesa antimissilistica Aegis Ashore, uno dei principali asset strategici contro le minacce della Corea del Nord, oltre alle potenziali rivali Cina e Russia che continuano a sviluppare i propri arsenali. “Dopo una serie di valutazioni in seno al Consiglio di Sicurezza Nazionale (NSC), siamo giunti alla decisione di cancellare lo spiegamento (del sistema di difesa) nelle prefetture di Yamaguchi e Akita”, ha rivelato il Ministro durante un incontro di parlamentari del Partito liberaldemocratico (Ldp) di cui fa parte il Premier Shinzo Abe che ha presieduto alla riunione a porte chiuse del Consiglio.
Sembra passato un decennio se non di più, ma la decisione di procedere con l’installazione di due sistemi Aegis Ashore risale alla fine del 2017, quando il regime di Pyongyang aveva impressionato il mondo con rapidi progressi qualitativi nella tecnologia dei missili balistici, messi in risalto da test e minacce. Tokyo alla fine di quell’anno si trovava ad un bivio, tra l’acquisto – con l’esempio della Corea del Sud – di sei batterie THAAD (Terminal High Altitude Area Defence) più costose e due siti Aegis a terra un po’ più economici. In quel momento, la scelta ricadde sulla seconda opzione e il Giappone siglò con gli Stati Uniti, all’insegna del ‘Buy american’ tanto decantato dal Presidente Donald Trump a sua volta molto attento al contributo alla difesa degli alleati, un accordo del valore di 180 miliardi di yen (1,7 miliardi di dollari) di cui Tokyo, stando alle parole di Taro Kono, avrebbe già pagato una parte (circa 12,5 miliardi di yen, più di 100 milioni di dollari), per due installazioni ordinate tramite il canale USA di vendite militari estere (FMS) da governo a governo degli Stati Uniti.
L’idea iniziale era che, una volta messi in servizio, i sistemi terrestri, più avanzati di quelli marittimi e dotati di missili intercettori IIA Standard Missile 3 Block – sviluppati congiuntamente da USA e Giappone – nonché missili Standard Missile 6 (nel costo di dispiegamento, ad insaputa giapponese secondo quanto emerso dalla stampa, non erano compresi i 500 milioni di dollari per i test dei vettori in un sito apposito americano alle Isole Hawaii), avrebbero ridotto la dipendenza dai sei cacciatorpediniere equipaggiati con Aegis della Japanese Maritime Self Defence Force (JMSDF), la Forza marittima di autodifesa del Giappone, e dai sistemi di missili terra-aria (SAM) Patriot Advanced Capability-3 (PAC-3) della Japan Air Self-Defence, la Forza areonautica di autodifesa del Giappone, dislocati nelle basi del JASDF a Narashino, Hamamatsu, Ashiya e Tsuiki. Se i primi sono usati per distruggere i missili balistici nel tratto più alto della traiettoria, i secondi possono entrare in funzione, qualora il sistema Aegis non riuscisse ad abbatterli, ad altitudini superiori a 10 chilometri.
Per proteggere l’intero territorio nazionale, i siti terrestri Aegis, che sarebbero dovuti essere gestiti dalla Japan Ground Self-Defense Force(JGSDF), la Forza di autodifesa terrestre, avrebbero dovuto essere collocati all’estremità sud-occidentale e settentrionale di Honshu, la più grande e popolosa isola del Giappone, nella prefettura di Akita (nel Nord dell’isola principale giapponese di Honshu) e nella prefettura di Yamaguchi (Sud-Ovest).
Prevista per il 2025 l’entrata in servizio, nel corso del tempo, i piani di implementazione dei due sistemi di difesa avevano già subito una serie di battute d’arresto, tra cui i ripetuti aumenti delle stime dei costi che sono lievitati a 450 miliardi di yen (4,1 miliardi di dollari) per i loro 30 anni di funzionamento e manutenzione; la farraginosa poi rivelatasi errata ricerca geologica per la selezione dei siti; i problemi di ordine tecnico riguardanti i booster dei missili intercettori, impiegati per far raggiungere velocità supersoniche ai vettori dopo il loro lancio, che dovrebbero ricadere, una volta separati dai missili, in zone dove la sicurezza di persone o proprietà sia fuori discussione, come ad esempio un’area di addestramento SDF o in mare, a meno che l’hardware non venga modificato (pagando 1,8 miliardi di dollari in più); i problemi di sicurezza che hanno portato alla ferrea opposizione locale, contraria al dispiegamento perché preoccupata tanto dagli eventuali detriti prodotti dai lanci di cui sopra quanto dalle conseguenze sulla salute per le onde prodotte dai radar a lungo raggio del sistema Lockhead Martin.
Inoltre, come emerso dalle consultazioni avvenute lo scorso fine settimana con i governatori delle prefetture di Yamaguchi e Akita, i siti candidati erano molto controversi per i cittadini, timorosi che l’installazione non avrebbe fatto altro che garantire che le loro case fossero obiettivi di alto valore per i missili nordcoreani in un eventuale conflitto.
“Sono sollevato dal fatto che l’ansia tra i residenti locali sia svanita”, ha detto ai giornalisti il Governatore dell’Akita, Norihisa Satake, chiedendosi, poi, “a cosa servissero questi due anni e mezzo (dall’approvazione del Governo per distribuire le batterie)” mente il Governatore dello Yamaguchi, Tsugumasa Muraoka, ha dichiarato di essere “grato” per la “decisione rapida” del governo.
Secondo il titolare del dicastero della Difesa, per il momento i sistemi per la difesa tattica Patriot Advanced Capability-3, dotati di missili terra-aria, restano sufficienti a proteggere la nazione da gran parte delle minacce, ma non da tutte. Ad esempio, qualora fosse stato schierato, il sistema Aegis avrebbe conferito a Tokyo una capacità di intercettazione esoatmosferica che per il momento rimarrà confinata ai sette cacciatorpedinieri missilistici a guida operativa dotati di sistema Aegis ed in servizio presso la Forza di autodifesa marittima giapponese.
A questo riguardo, Haguro, l’ultimo degli otto cacciatorpediniere giapponesi equipaggiati di sistema Aegis in grado di intercettare i missili balistici, ha lasciato il cantiere navale Japan Marine United Corporation a Isogo, vicino Yokohama e a sud di Tokyo, iniziando le prove in mare prima della sua messa in servizio, programmata per il 2021. La seconda nave di due cacciatorpediniere di classe Maya per la Forza di autodifesa marittima del Giappone è lunga 170 metri, sposta 8.200 tonnellate ed è dotata di celle del sistema di lancio verticale da 96 Mk 41 che possono sparare una varietà di missili, compresi quelli usati per la difesa dei missili balistici.
Tuttavia, il governo di Tokyo ha ammesso che non è raccomandabile per il Paese basare la propria strategia difensiva sui soli asset navali. In più, la difesa antimissile rimane importante per la rassicurazione dell’opinione pubblica e di questo Abe è ben consapevole. Tale stato di cose potrebbe spingere l’esecutivo ad intavolare con Washington una rinegoziazione sul sistema Aegis oppure a rivalutare l’opzione THAAD. Ma dato che il prezzo delle sei batterie THAAD era stato superiore a quello di due siti Aegis Ashore nelle valutazioni del 2017 e visto che anche per questo sistema è difficile evitare il problema dei detriti, è improbabile che Tokyo proceda in questo modo.
Negli ultimi giorni, il governo giapponese ha convocato funzionari del Ministero della Difesa e del Consiglio di sicurezza nazionale per cercare alternative. Allo studio ci sarebbe l’uso continuo dei cacciatorpediniere Aegis della Forza di autodifesa marittima, ma è improbabile che funzioni a lungo termine, dato che mantenere tre cacciatorpediniere in mare in ogni momento per fornire una difesa missilistica balistica 24 ore su 24 per tutto il Giappone è insostenibile, motivo che aveva spinto il governo ad installare il sistema a terra.
Un’altra opzione potrebbe essere quella di collocare il sistema terrestre Aegis ‘a galla’, su un cosiddetto ‘megafloat’, delle piattaforme galleggianti. Niente di assimilabile alla collocazione su un cacciatorpediniere, ma neanche a quella terrestre, eliminerebbe le preoccupazioni circa la possibilità che i booster missilistici intercettori cadano nelle aree residenziali, una paura che era uno dei fattori nella sospensione del piano Aegis a terra. Ciò nonostante, un megafloat è estremamente vulnerabile agli attacchi, come quelli dei terroristi, perché dispiegare abbastanza guardie per proteggerlo si rivelerebbe difficile.
Kono ha anche citato i piani di Cina e Corea del Nord per lo sviluppo di nuovi vettori balistici difficilmente intercettabili, che costringeranno Tokyo, per usare le parole del Ministro Taro Kono, a “considerare cosa faremo (per rispondere a tali minacce) nel medio e lungo termine”, cioè sviluppare soluzioni difensive innovative. Per farsi un’idea, occorrerebbe tenere presente gli investimenti previsti nelle Linee guida del programma di difesa nazionale del 2018. Nel quadro di una possibile revisione del Piano di difesa da parte del Consiglio di sicurezza nazionale, a detta di numerosi osservatori, il governo giapponese potrebbe impegnarsi nella prevenzione dell’autodifesa rilanciando l’attacco preventivo flessibile con sistemi come il missile congiunto aereo-superficie (JASSM) e il missile anti-nave a lungo raggio (LRASM).
In merito a queste ultime possibilità, non è peregrino ipotizzare una forte opposizione politica, non solo da parte dell’opposizione, ma anche da parte del partito con cui Abe ha formato la coalizione di governo, il Komeito. Sarebbe forte, difatti, il rischio di una violazione dell’articolo 9 della Costituzione risalente al post-Seconda guerra mondiale che sancisce: «Aspirando sinceramente ad una pace internazionale basata sulla giustizia e l’ordine, il popolo giapponese rinuncia per sempre alla guerra come diritto sovrano della nazione e alla minaccia o all’uso della forza come mezzi per risolvere le controversie internazionali. Per raggiungere lo scopo del paragrafo precedente, anche le forze terrestri, marittime e aeree come qualsiasi altro potenziale di guerra, non sarà mai perseguito. Il diritto di belligeranza dello stato non lo farà riconoscere». Servirebbe, come più volte ventilato dal Premier Abe, una revisione della Carta fondamentale, ma, al momento, la coalizione di governo non ha i numeri sufficienti, cioè i due terzi dei voti in entrambe le camere del Parlamento.
Il destino del sistema Aegis Ashore in Giappone è probabilmente segnato è questo potrebbe far tirare un grande sospiro sollievo a Pechino e a Mosca che continuano a sviluppare le proprie capacità missilistiche e che non vedrebbero di cattivo occhio un aumento di tensione tra Washington e Tokyo. Ma a ciò che verrà dopo non è ancora chiaro anche perché le acque del Mar Cinese sono sempre più calde: non più tardi dell’ultimo fine settimana, Il Ministero della Difesa pur non comunicandone la nazionalità (tutti i sospetti sono stati subito indirizzati sulla pista cinese), ha individuato un sottomarino, che viaggiava verso ovest attraversando la zona contigua immediatamente al di fuori del limite di 12 miglia nautiche delle acque territoriali del Giappone intorno all’isola di Amami-Oshima.
Anche perché la sfida dei missili balistici nordcoreani non è diminuita, anche se l’intensità dei test missilistici di Pyongyang è stata in qualche modo moderata passando dai sistemi a più lungo raggio a quelli a corto raggio. Ma le armi di cui il Giappone si è preoccupato nel 2017, compreso il missile balistico di medio raggio Pukguksong-2, non solo esistono ancora, ma sono state probabilmente prodotte in serie dalla Corea del Nord che è tornata ai ferri corti con la Corea del Sud.
Non è ancora certo, come invece afferma, forse auspicandolo, il ‘Global Times’ quali effetti avrà questa decisione sulla relazione tra Washington e Tokyo. È probabile che il governo dovrà avviare negoziati con gli Stati Uniti sulla riduzione dei costi per non rinunciare al sistema Aegis o, quantomeno, su cosa fare con i pagamenti e il contratto di acquisto già concluso. Non è da escludere anche che la conversazione tra i due alleati possa comprendere un eventuale dispiegamento di missili balistici americani, resi possibile con la fine del 2019 del Trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio del 1987.
Va detto, però, che il Governatore di Okinawa, Denny Tamaki, su cui il Pentagono starebbe ipotizzando l’installazione di missili da crociera – ad esempio, i Tomahawk – in grado di colpire la Cina, sarebbe assolutamente contrario in quanto, come sostenuto da diversi analisti, finirebbe per rivoluzionare l’equilibrio di potere nel Pacifico occidentale, sbilanciandolo a favore degli Stati Uniti.
Secondo il ‘Global Times, “ovviamente il Giappone non rinuncerà al costoso sistema acquistato dagli Stati Uniti, né alla costruzione di un sistema di difesa missilistica. L’attuale sospensione non sarà necessariamente permanente”. In quest’ottica, il rifiuto giapponese si configurerebbe come leva di pressione verso Washington, a pochi mesi dalla scadenza degli accordi per la condivisione dei costi per le truppe americane di stanza in Giappone e sul quale l’amministrazione Trump punta ad ottenere un significativo aumento dei contributi dalla controparte.
Certo è che la decisione giapponese pare inviare un chiaro messaggio agli Stati Uniti circa la sua posizione sulle future relazioni di alleanza e cioè che l’insistenza dell’amministrazione Trump nella richiesta di maggiori contributi avrà delle conseguenze. Dopo aver assistito ai tentativi americani di ottenere quanto richiesto con le minacce di ritiro ai suoi alleati sudcoreani e tedeschi, le ripetute richieste a fare di più da parte di Washington – data l’inefficacia del tentativo giapponese di sopire tali richieste tramite l’acquisto di costose attrezzature di difesa come Aegis Ashore o i caccia F-35 – potrebbero incentivare le nazioni alleate a rendersi più autonome nel settore della difesa.
Un’incognita rimane anche l’esito delle elezioni presidenziali americane di Novembre: la conferma di Trump non è più così scontata e, nell’ottica giapponese, iniziare delle nuove trattative potrebbe tornare utile per prendere tempo e, magari, risparmiare.
In un discorso online, il Direttore dell’Agenzia per la difesa antimissile statunitense, Jon Hill, ha dichiarato che chiunque sia stato coinvolto in progetti di costruzione militare comprende le sensibilità delle comunità locali, quindi che desidera rispettare la decisione del governo giapponese, in attesa dei colloqui con il capo dell’agenzia di acquisizione del Ministero della Difesa giapponese, Takeda Hirofumi. “Ci sono opzioni là fuori”, avrebbe comunque assicurato Jon Hill.
Con l’economia giapponese in recessione (-3,4% nel primo trimestre 2020) per le ricadute della disputa commerciale USA-Cina e per la pandemia di COVID-19, i costi esorbitanti relativi ad un sistema di difesa militare, seppur necessario, non appariranno meno onerosi agli occhi dell’opinione pubblica che si ritrova costretta a rivedere le sue priorità.