Inizia il vertice organizzato dagli Stati Uniti in Polonia ‘per promuovere un futuro di pace e di sicurezza in Medio Oriente’

 

 

Prenderà avvio questa sera, intorno alle 19.30, con la cena ufficiale che si terrà presso il Castello reale di Varsavia, la Conferenza ministeriale di due giorni, intitolata ‘Ministeriale per promuovere un futuro di pace e di sicurezza in Medio Oriente‘, organizzata da Brian Hook, inviato speciale di Donald Trump sull’Iran, su iniziativa del governo degli Stati Uniti e ospitata dal governo polacco. La scelta della città non è casuale dato che, al momento, la Polonia, nonostante sostenga come molti in UE l’Accordo sul Nucleare Iraniano (JCPOA), figura tra i Paesi più allineati alla politica estera america: si veda, a questo proposito, la sintonia in materia di Russia e di NATO.

Nelle intenzioni, come annunciato dal capo della diplomazia americana nel gennaio scorso durante una visita in Bahrein, la ministeriale dovrebbe vertere sulla stabilità, la pace e la sicurezza in Medio Oriente, e tratterà anche le modalità per impedire all’Iran di proseguire la sua ‘influenza destabilizzante’ sulla regione. Questo aveva spinto l’Iran a convocare un alto diplomatico polacco per esprimere il proprio risentimento a Varsavia per aver accettato di ospitare un «circo anti-iraniano». Ciò detto, come vedremo, nel corso delle settimane l’aspetto anti-iraniano è andato opacizzandosi mentre è aumentata l’attesa per le anticipazioni dell’ ‘accordo del secolo’ tra israeliani e palestinesi pensato dalla Casa Bianca, che gli Stati Uniti si accingerebbero a rivelare nel corso della Conferenza, durante la quale sarebbero previste discussioni riguardanti anche la situazione in Siria e quella in Yemen, l’assistenza ai rifugiati, la sicurezza cibernetica, il contrasto al terrorismo e al suo finanziamento, la proliferazione missilistica.

Il momento cruciale della Conferenza sarà domani mattina, con la sessione plenaria quando prenderanno la parola, oltre al capo della diplomazia polacca, gli esponenti della delegazione statunitense guidata dal vice presidente, Mike Pence, comprendente il segretario di Stato questa settimana in tour diplomatico nell’Europa orientale, Mike Pompeo, e il consigliere, oltre che genero del presidente Trump per i temi mediorientali, Jared Kushner che, alla fine di febbraio, insieme a Jason Greenblatt, inviato USA nella regione ed altri due funzionari, si recherà in visita nel Golfo per presentare la proposta di pace degli Stati Uniti per il Medio Oriente e cercare il sostegno regionale. Il viaggio, programmato per gennaio, ma rinviato a causa dello shutdown, toccherà Arabia Saudita, Qatar, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Oman e forse altre due località ancora sconosciute. Il focus sarà l’aspetto economico della proposta di pace, quindi sugli aiuti, sugli investimenti soprattutto per i palestinesi. Il tour di Kushner dovrebbe sondare le reazioni dei leader regionali in vista di un’ipotetica presentazione della componente politica del piano di pace solo ad elezioni politiche israeliane avvenute, ovvero dopo il 9 aprile. Nell’ottica dell’amministrazione Trump, gli incentivi potrebbero superare l’ostilità dei palestinesi, che ormai più di un anno fa hanno interrotto il dialogo con gli Stati Uniti in seguito allo spostamento dell’ambasciata statunitense in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme, azione che, secondo il presidente dell’Autorità palestinese, Abu Mazen,  aveva dimostrato come gli USA fossero troppo ‘di parte’ per rivestire il ruolo di mediatore in modo credibile.

Per questa stessa motivazione, il governo palestinese diserterà il vertice, sebbene, con tutta probabilità, la questione israelo-palestinese sarà sul tavolo. Il segretario generale dell’Olp e capo negoziatore, Saeb Erekat, ha infatti definito la conferenza «un tentativo di eludere l’iniziativa di pace araba e distruggere il progetto nazionale palestinese», precisando, su Twitter, che «la nostra posizione rimane chiara: non parteciperemo a questa conferenza e ribadiamo che non abbiamo incaricato nessuno di parlare a nome della Palestina». Come se non bastasse, nelle ultime settimane, diversi funzionari dell’Autorità Palestinese hanno esortato i Paesi arabi a non prendere parte all’incontro di Varsavia, rimanendo fedeli all’iniziativa di pace araba del 2002, in base alla quale la normalizzazione dei rapporti tra Israele e i Paesi arabi dovrebbe avvenire solo a seguito di un completo ritiro israeliano dai confini precedenti al 1967.

A quanto pare, oltre ad Abu Mazen e all’Iran – nel pieno dei festeggiamenti per il 40esimo anniversario della rivoluzione islamica – il cui capo di stato maggiore Hossein Baqeri ha bollato l’evento come «inutile», dell’area mediorientale saranno assenti LibanoSiriaIraqKuwaitSudanAlgeriaLibiaQatar eTurchiail cui presidente Recep Tayyip Erdogan, invece, domani, in concomitanza con il summit di Varsavia, si riunirà invece a Sochi con i suoi omologhi di Russia IranVladimir PutinHassan Rohani, per parlare di Siria. Pesa anche l’assenza di Mosca che si è quindi schierata contro il piano di pace proposto dagli Stati Uniti che, a detta del ministro degli Esteri Serghei Lavrov, «distruggerebbe tutto il lavoro fatto finora».

A conti fatti, a giungere nella capitale polacca dovrebbero essere il Primo Ministro israeliano Benjamin  Netanyahu, unico capo di governo, e i ministri degli Esteri di Arabia Saudita, Emirati ArabiMarocco, Yemen, OmanGiordania e Bahrein mentre la Tunisia e l’Egitto saranno rappresentati dai Viceministri. A questi Paesi erano probabilmente riferite le parole del portavoce di Fatah, Osama Qawassmehche sabato aveva avvertito che ogni leader arabo che incontrerà il Premier Netanyahu alla conferenza in Polonia «pugnalerà Gerusalemme e il nostro popolo palestinese».

Ma l’assenza di esponenti di alto livello dei Paesi UE, causata dalla disapprovazione della decisione americana di ritirarsi dal JCPOA e di reintrodurre le sanzioni all’Iran, risalta agli occhi: non sarà presente l’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE, Federica Mogherini, mentre Francia e Germania invieranno semplici funzionari. Presenzieranno, invece, il Ministro degli esteri della Gran Bretagna, Jeremy Hunt. interessato soprattutto alla questione ‘Yemen’, e quello italiano, Enzo Moavero Milanesi. Circostanza che dovrebbe, ma, ormai forse neanche più di tanto, destare qualche stupore visto che se, nel primo caso, si tratta di un rappresentante di un Paese che, in modo affannoso si prepara ad uscire dall’Unione Europea, nel secondo si tratta di un Ministro di un governo che a parole sostiene di voler rimanere nell’UE – che sostiene l’accordo JCPOA – e nell’Euro, ma che, nei fatti, dimostra di agire, come testimoniato dalla vicenda venezuelana, in modo sempre più slegato dai vicini europei e sempre più attirato dalle sirene di Washington o Mosca.

Tornando alla Conferenza, come si accennava, il fine ‘anti-iraniano’ ha assunto un’importanza secondaria: sebbene il 10 febbraio Netanyahu,  durante una riunione del gabinetto di governo, abbia dichiarato che «il primo problema al’ordine del giorno sarà l’Iran» e la sua influenza negativa sulla regione, compresa la minaccia delle armi nucleari, il fronte anti-Teheran è apparso meno vasto di quanto si potesse immaginare.  Se l’obiettivo iniziale del summit era tentare di aggregare gli europei alla linea di Washington, le speranze sono ben presto naufragate.

L’Unione europea sta infatti cercando di sostenere il JCPOA, nonostante il ritiro americano: poche settimane fa, Francia, Germania, Gran Bretagna hanno annunciato la creazione di INSTEX, un canale di pagamento europeo per le transazioni con l’Iran per facilitare gli scambi e aggirare le sanzioni statunitensi,evitando l’utilizzo del sistema bancario americano e il dollaro nella speranza che le aziende europee si sentano sicuri di poter fare affari con l’Iran senza essere soggetti alle sanzioni. Inoltre, INSTEX avrà sede a Parigi e sarà gestito da un banchiere tedesco, mentre il Regno Unito dirigerà il consiglio di sorveglianza. Gli sforzi dei tre Paesi per salvaguardare le relazioni economiche con l’Iran «sonocondizionati dalla piena attuazione da parte dell’Iran dei suoi obblighi nel settore nucleare, compresa la piena cooperazione e tempestiva con l’AIEA. INSTEX sosterrà transazioni commerciali europee legittime con l’Iran, concentrandosi inizialmente sui settori più critici per la popolazione iraniana, come prodotti farmaceutici, dispositivi medici e prodotti agroalimentari. L’obiettivo a lungo termine di INSTEX è di aprire agli operatori economici di Paesi terzi disposti a commerciare con l’Iran».

L’implementazione operativa di INSTEX seguirà un approccio progressivo: «Il gruppo E3, con INSTEX, continuerà a lavorare su dettagli concreti e operativi per definire le procedure operative dell’entità; il gruppo E3 lavorerà anche con l’Iran per creare un’entità corrispondente efficiente e trasparente necessaria per rendere operativo INSTEX; INSTEX opererà secondo i più rigidi standard internazionali nella lotta contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo». Il Gruppo E3 ha anche sottolineato la sua «determinazione a continuare l’espansione di INSTEX nei Paesi europei interessati». Ma se, da una parte, il ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, invitando l’UE a mantenere pienamente gli impegni previsti dall’accordo del 2015, compreso l’acquisto del petrolio iraniano, che è fortemente rallentato negli ultimi mesi -anche in Italia e Grecia, malgrado siano esentati fino a maggio dalle sanzioni Usa -ha accolto con favore la creazione di questo strumento finanziario in quanto «prova la seria determinazione dell’Ue ad aggirare le sanzioni imposte dagli Usa», auspicando la sua estensione «anche a Paesi non europei», la reazione americana è stata decisamente indispettita: in una nota il Dipartimento di Stato Usa ha fatto sapere che l’iniziativa «non inciderà» sulla campagna di pressione economica lanciata da Washington contro Teheran.

Questa reazione stizzita da parte statunitense all’operazione europea preannunciava già in qualche modo il tenore dimesso della Conferenza polacca, ma le recenti sanzioni contro due cittadini e appartenenti ai servizi di intelligence iraniani – tra cui il capo della Direzione della Sicurezza Interna, Saeid Hashemi Moghadam – autorizzate dai 28 Paesi dell’Unione Europea come ritorsione per gli omicidi di due cittadini olandesi di origini iraniane (il 56enne Ali Motamed e il 52enne Ahmad Molla Nissi) e per due attentati sventati lo scorso lo scorso anno in Francia e Danimarca, unitamente ai test di missili balistici effettuati da Teheran pochi giorni fa, potrebbero aver suscitato diversi interrogativi nei Paesi europei. Il che potrebbe alimentare, in mancanza di una politica estera comune, le divergenze di alcuni Stati membri rispetto all’E3 formato da Germania, Regno Unito e Francia. Divergenze che, come fanno notare diversi esperti, potrebbero diventare terreno fertile per le manovre degli Stati Uniti atte a minare la linea dialogante europea. Al momento, però, il rifiuto di un coinvolgimento ad alto livello da parte di molti Paesi del Vecchio Continente non lascia adito a dubbi circa la volontà di sostenere l’accordo del 2015.

Certo è che la Conferenza in Polonia sarà comunque un’occasione di incontro tra il Premier israeliano Netanyahu e i leader arabi: e non sarebbe cosa nuova dato che da ormai qualche settimana – in alcuni casi, come l’Arabia Saudita, anche mesi – il capo del governo dello Stato ebraico ha intrapreso un’intensa attività diplomatica nei Paesi musulmani sunniti, visitando l’Oman,il Ciad e accingendosi a recarsi in Marocco a fine marzo. Anche se pare improbabile la creazione della cosiddetta ‘NATO araba’, ovvero l’Alleanza strategica del Medio Oriente (MESA), a Varsavia verrebbe sancito pubblicamente l’asse tra Israele, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, risultato peraltro non di poco conto da poter esibire per un Premier che vede avvicinarsi la data delle elezioni. L’obiettivo? Mettere all’angolo Teheran. Del resto, come ammesso dallo stesso Netanyahu la notte scorsa, «operiamo ogni giorno, anche ieri contro l’Iran e i suoi tentativi di stabilire la sua presenza nell’area». Secondo l’agenzia ufficiale siriana Sana, Israele ha colpito un ospedale abbandonato e una postazione militare nella città di Quneitra e, come si evince dalle parole del capo del governo, a differenza di quanto avveniva fino a pochi mesi fa, non nasconde i suoi attacchi contro obiettivi iraniani o di Hezbollah.

Non si può tralasciare che la Conferenza ha luogo a meno di due mesi dall’annuncio da parte del Presidente Trump del progressivo disimpegno dalla regione, in particolare dalla Siria e fors’anche dall’Afghanistan. Il summit di Varsavia potrebbe rappresentare un primo tentativo da parte dell’amministrazione americana di costruire una coalizione regionale che possa riempire il vuoto lasciato da Washington ed in molti scommettono che il vertice polacco possa essere il primo di una lunga serie. E’ dunque veramente difficile che gli Stati Uniti possano riuscire nell’obiettivo di espandere la coalizione anti-iraniana oltre Gerusalemme, Ryad ed Abu Dhabi, ma ci proveranno. Dal canto loro, gli Stati europei potrebbero sfruttare questa opportunità per esercitare pressioni sull’Iran nel rispetto del JCPOA e mitigare, in una certa misura, la posizione di Washington.