«Senza progressi nella denuclearizzazione, non sarebbe realistico discutere modi per stabilire la pace»
Domani mattina, al confine tra le due Coree, si incontreranno il leader del Nord, Kim Jong-un, e il presidente sud-coreano, Moon Jae-in. A renderlo noto, oggi, il capo dello staff del Presidente sudcoreano, Im Jong-seok, che guida anche il comitato inter-coreano per la preparazione del summit, nel corso della conferenza stampa di presentazione del vertice di domani tra i capi delle due Coree, il terzo dopo quelli del 2000 e del 2007. Già qualche giorno fa, il portavoce della Casa Blu, Kwun Hyuk-ki, citato dall’agenzia di stampa sud-coreana, Yonhap, aveva reso noto che «il Sud e il Nord hanno avuto tre round di colloqui di lavoro sul protocollo, sulle misure di sicurezza e sulla copertura mediatica. Hanno raggiunto un accordo finale».
Molte bandiere dell’unificazione sono tornate a sventolare in diverse localita’ della Corea del Sud, alla vigilia dell’ incontro a Panmunjom. Secondo quanto si è appreso, Moon accoglierà Kim alle 9,30 (ora di Seoul, 2:30 ora italiana), in corrispondenza della linea di demarcazione militare nella zona demilitarizzata tra le due Coree. Sarà, senza dubbio, una data storica perché segnerà il primo attraversamento del confine in territorio sud-coreano di un leader della Corea del Nord dal 1953, anno in cui venne firmato l’armistizio che concluse la Guerra di Corea: Kim attraverserà il confine a piedi, andando incontro a Moon il quale gli si rivolgerà attribuendogli la carica ufficiale, ovvero quella di presidente della Commissione per gli Affari Statali della Repubblica Democratica di Corea. Dopodiché si dirigeranno alla Peace House dove si terranno i colloqui ufficiali, prima del cui inizio è prevista la passata in rassegna da parte di Moon e Kim di un picchetto onore delle forze armate sudcoreane. Quest’ ultimo, una volta giunti all’ingresso della Peace House, firmerà il registro degli ospiti e poserà con Moon per una foto. L’ inizio dei veri e propri colloqui sarebbe per le 10.30 (ora di Seoul, 3:30 ora italiana).
I due leader pranzeranno separatamente e, per giunta, la delegazione nord-coreana attraverserà di nuovo il confine per mangiare nel crinale settentrionale di Panmunjom. Dopo un momento di intervallo e, forse, anche una passeggiata, Moon e Kim pianteranno insieme un albero, probabilmente un pino, per celebrare il loro primo incontro, utilizzando terra e acqua provenienti da entrambi i Paesi. Al termine di questa cerimonia, poseranno una pietra recante l’iscrizione: ‘Qui piantiamo pace e prosperità’.
Ancora non si conosce se l’ annuncio dei risultati del vertice avverrà in maniera congiunta oppure no. Quel che è certo è che molto dipenderà dal grado di intesa che saranno riusciti a raggiungere i due leader. In conclusione del meeting avente come slogan “Pace, un nuovo inizio“, sarebbe in programma una cena congiunta per le 18.30, ora locale, in una sala al terzo piano della Peace House, e durante la quale verra’ trasmesso un video dal titolo “Spring of One“. Secondo alcune indiscrezioni fornite da agenzie internazionali, in tavola saranno serviti i cold noodles tipici della cucina del Nord, e un piatto tipico della cucina svizzera, il Swiss Rosti, in omaggio, forse al passato di Kim nel Paese sotto falsa identità, dettaglio non confermato dalla leadership nordcoreana. Il pesce San Pietro al forno, invece, costituirà l’omaggio per Moon, che ha trascorso l’infanzia a Busan, nel sud-est della Corea del Sud. Da bere, potrebbe esser mesciato del vino prodotto dalle azalee tipico della Corea del Sud, e il munbaeju, liquore molto in voga sia a Seoul che a Pyongyang.
Un particolare che, sembra, ancora dubbio riguarda la presenza delle mogli dei due leader. E’ stata invece diffusa la composizione delle due delegazioni che prenderanno parte all’ incontro: per quella nordcoreana, ci saranno nove alti funzionari, tra cui la sorella minore, Kim Yo-jong, a capo del dipartimento di Propaganda del Partito dei Lavorator guidato da Kim, e il capo nominale dello Stato, Kim Yong-nam, entrambi, peraltro, sono già stati in Corea del Sud, in occasione della partecipazione alla cerimonia inaugurale delle Olimpiadi Invernali di Pyeongchang, a febbraio scorso, durante quella che è stata soprannominata ‘la tregua olimpica’. A questi si dovrebbe aggiungere il generale Kim Yong-chol, uno dei vice presidenti del Partito dei Lavoratori nord-coreano, che aveva presenziato alla cerimonia di chiusura dei Giochi di Pyeongchang, altri due vice presidenti del partito, Choe Hwi, il più alto funzionario per lo sport e raggiunto dalle sanzioni dell’Onu, e Ri Su-yong, alla testa del dipartimento degli Affari Internazionali del Partito dei Lavoratori, il ministro degli Esteri del regime, Ri Yong-ho, il presidente del Comitato per la Riunificazione Pacifica delle Coree, Ri Son-gwon. Per quella sudcoreana, ci saranno, tra gli altri, il ministro della Riunificazione delle due Coree, Cho Myoung-gyon, la ministra degli Esteri, Kang Kyun-hwa, il ministro della Difesa, Song Young-moo, e il consigliere per la Sicurezza Nazionale, Chung Eui-yong, che aveva incontrato Kim già qualche settimana fa, per una visita di due giorni nella capitale nordcoreana.
Il vertice tra, da un lato, l’ ultimo erede della famiglia Kim e, dall’ altro, [Moon] un avvocato a lungo impegnato sui temi dei diritti umani, figlio di una coppia di nord-coreani rifugiatisi al Sud durante la guerra di Corea, giunge a pochi giorni dall’assemblea plenaria del Partito dei Lavoratori di Pyongyang, guidato dallo stesso dittatore nordcoreano, che aveva decretato l’ interruzione dei test missilistici e nucleari e la chiusura del sito di Punggye-ri, nel quale, tempo a dietro, erano stati compiuti ben sei esperimenti. Contenuta in un documento di sei punti, tale decisione, con l’ assicurazione che il regime non «trasferirà la propria tecnologia nucleare a terzi», era stata definita dal presidente sudcoreano Moon «importante», capace di aumentare «la possibilità di successo dei summit Sud-Nord e tra il Nord e gli Stati Uniti», previsto tra la fine di maggio e l’ inizio di giugno.
E questo è stato solo l’ ultimo tassello di un processo di distensione che ha avuto inizio con le Olimpiadi invernali. Non più tardi di una settimana fa, e’ stata aperta la linea di comunicazione diretta tra l’Ufficio della Commissione per gli Affari Statali, diretto da Kim, e la Casa Blu, l’ufficio presidenziale sud-coreano. Lunedi’ la Corea del Sud ha spento le postazioni di altoparlanti al confine con il Nord, sospendendo i messaggi propagandistici che venivano trasmessi da più di 50 anni. Nel corso delle ultime settimane, si erano poi susseguiti gli incontri con il nuovo Segretario di Stato statunitense, Mike Pompeo, e il viaggio del leader nordcoreano a Pechino, eventi che possono, sicuramente, esercitato una certa influenza sul venir meno di alcune rigidità.
«Ritengo che l’incontro sia cruciale ed estremamente più rilevante rispetto all’eventuale summit con Trump perché il vertice con il Presidente sudcoreano non soltanto darà il tono al successivo incontro con il Presidente statunitense, ma ne definirà anche l’agenda: dal successo di venerdì, dipenderà la stessa scelta statunitense di incontrare il leader nordcoreano. …… Il summit di Panmunjom è estremamente rilevante, anzitutto, perché è il primo incontro tra i leader delle due Coree in undici anni e avviene dopo un periodo, i nove anni di governo conservatore in Corea del Sud, durante il quale la Corea del Sud aveva adottato un atteggiamento estremamente intransigente nei confronti di Pyongyang e, di fatto, il dialogo Inter coreano era stato totalmente sospeso» ha affermato sulle pagine di questo quotidiano Francesca Frassineti, analista dell’ ISPI ed esperta della regione asiatica
In quest’ ottica, ancor prima della questione della ‘pace’ e di una ipotetica riunificazione, il dossier fondamentale, al centro delle trattative, rimane quello della denuclearizzazione della Corea del Nord. Se, da una parte, è vero che, sul nucleare, Pyongyang ricerchi un dialogo solo ed esclusivamente con gli Stati Uniti, dai quali vorrebbe ottenere il riconoscimento di ‘potenza nucleare’, è anche vero che lo stesso deterrente può costituire un intralcio al dialogo con la Corea del Sud: «Senza progressi nella denuclearizzazione, non sarebbe realistico discutere modi per stabilire la pace» ha dichiarato in queste un funzionario di alto grado del Ministero dell’Unificazione delle due Coree di Seoul.
Peraltro, l’ annunciata interruzione dei test, non fa scomparire l’ arsenale ora nelle mani del regime nordcoreano. Arsenale che, a detta di diverse stime, potrebbe comprendere un numero di testate nucleari che oscilla tra le venti e le sessanta. Nel corso degli ultimi anni, la guida di Kim Yong Un ha impresso una notevole accelerazione nello sviluppo dell’ arma nucleare, anche perché dotata del know-how per produrne oltre un ingente quantitativo di uranio e plutonio necessari per fabbricare materiale fissile, aumentando ad ogni test la forza delle esplosioni: la prima, nel 2006, è stata una bomba atomica alimentata con plutonio con una resa equivalente a due kilotoni di tritolo; i test del 2013 e di gennaio 2016 hanno raggiunto entrambi rendimenti di circa diciassette chilotoni. Il test effettuato il 3 settembre 2017 è stato significativamente più deflagrante: 100 chilotoni la potenza dell’ ordigno. Proprio oggi che, per coincidenza, ricorre il 32esimo anniversario dal tragico incidente di Chernobyl, analisti cinesi hanno lanciato l’ allarme per cui sussisterebbe un rischio di radiazioni nucleari per molti Paesi limitrofi alla Corea del Nord (tra i quali Corea del Sud, Cina, Russia) a seguito della gigantesca frana nella montagna Mantap, dove sarebbero stati condotti cinque test nucleari. Per il team dell’ Universita’ della Scienza e della Tecnologia della Cina della citta’ di Hefei, guidata dal geologo Wen Lianxing, e, precedentemente per la China Earthquake Administration, il crollo si sarebbe verificato dopo l’esplosione di una bomba termonucleare in un tunnel scavato a 700 metri di profondità al di sotto della montagna. Secondo gli esperti cinesi ci sarebbe smottamento della montagna dietro alla volontà di Kim Yong Un di bloccare gli esperimenti.
Peraltro, la chiusura del sito di Punggye-ri, dove sono stati eseguiti tutti i test nucleari sotterranei nordcoreani, non elimina tutti le perplessità: «rimane aperta» – aveva rammentato Francesca Frassineti – «la questione dei reattori in particolare quello di Yongbyon, che è stato centrale per lo sviluppo del programma nucleare nordcoreano. La chiusura del sito di Punggye-ri sarebbe più un’iniziativa di facciata priva di un reale impatto sulle capacità nucleari nordcoreane. Un’ulteriore aspetto centrale è rappresentato dalla necessità di verificare in maniera credibile e indipendente questi impegni».
Anche perchè, va detto, la Corea del Nord è riuscita, negli ultimi mesi, a testare con successo anche i missili balistici intercontinentali (ICBM), in grado di trasportare una testata nucleare, forse anche miniaturizzata. Diversi sono stati, infatti, i lanci di prova di missili balistici a corto, a medio, e ad intermedio raggio. Solo nel 2017, due sono state le principali novità: il missile Hwasong-12, avente una gittata pari a 4.500 km) e il missile Hwasong-14, con una gittata di oltre i 10.000 km, senza contare il nuovo Hwasong-15 che raggiunto un’altitudine di 4.475 chilometri ( 2.780 miglia), molto al di sopra della Stazione Spaziale Internazionale, e che, secondo gli analisti, ha una portata potenziale di 13.000 chilometri (8.100 miglia). I test «non sono più necessari»: questa è la motivazione addotta da Pyongyang e ciò potrebbe significare che gli obiettivi missilistici del regime sono stati raggiunti, compresa la mai ben accertata capacità di colpire il territorio statunitense. Va altresì tenuto in considerazione l’ enorme valore che il deterrente nucleare ha nella stabilità del regime e questo certo non aiuta: «E’ difficile credere che un regime, che ha investito così tanto in un’arma che considera essere l’unica garanzia per la sua sopravvivenza, sia disposto a rinunciarci» aveva ribadito Francesca Frassineti.
A questo punto occorre chiedersi: «Kim smantellerà tutte le sue armi nucleari e le sue installazioni di armi nucleari in cambio di garanzie di sicurezza e di eventuali relazioni normali, o insisterà a conservare alcune armi nucleari? Kim accetterà un regime di verifica intrusivo per garantire la conformità tempestiva con un accordo di smantellamento nucleare? Queste e altre domande saranno portate avanti negli storici prossimi incontri con Kim Jung Un. Il summit del 27 aprile tra il leader nordcoreano e quello sudcoreano potrebbe essere un successo. Sembra che Kim impegnerà pubblicamente la Corea del Nord a una eventuale denuclearizzazione della penisola coreana, abbracciando gli sforzi di Moon per migliorare le relazioni inter-coreane: un trattato di pace per porre fine alla guerra di Corea; riunire famiglie separate; riprendere il turismo al Nord e fornire al Nord un significativo aiuto allo sviluppo economico» auspica l’ Ambasciatore Joseph Detrani, ex direttore del Centro di contro proliferazione nucleare statunitense.
«Sebbene la recente decisione di Kim di fermare tutti i lanci di missili intermedi e a lungo raggio e test nucleari contribuirà a garantire che il pubblico in Corea del Sud sostenga gli sforzi di Moon per normalizzare le relazioni con il Nord» – scrive Detrani – «ci sarà la pressione su Moon per portare la Corea del Nord anche a fermare tutti i missili a corto e medio raggio che rappresentano una minaccia per la Corea del Sud e il Giappone. Un vertice nord-sud di successo aiuterà a garantire che l’imminente incontro di Trump con Kim sarà un successo. Kim accetterà una denuclearizzazione verificabile della penisola coreana, in cambio di garanzie di sicurezza, uffici di collegamento nelle rispettive capitali e l’istituzione di relazioni diplomatiche formali con gli Stati Uniti».
L’ esperta dell’ ISPI aveva poi chiarito: «A Panmunjom, dunque, si discuteranno alcune questioni molto importanti per il destino della penisola coreana, a cominciare dalla sostituzione dell’armistizio con un trattato di pace che ponga definitivamente fine allo stato di guerra che formalmente vige dal 1953 tra le due Coree. Occorre, però, ricordare che all’epoca la Corea del Sud si era rifiutata di firmare quell’armistizio, che era stato sottoscritto solamente dalla Cina, dagli Stati Uniti (in rappresentanza del contingente Onu) e dalla Corea del Nord. Allorché si possa sostituire questo documento con un trattato di pace, sarà necessario il coinvolgimento delle altre potenze firmatarie …».
Del resto, i vertici della sicurezza di Corea del Sud e USA si sono a lungo confrontati circa una pace nella Penisola coreana, che sostituisca l’armistizio in vigore dal 1953, quando si è conclusa la Guerra di corea. Come riferito giovedì scorso dal capo del Consiglio di sicurezza nazionale sudcoreano, Chung Eui-yong, di questo ha parlato con John Bolton, a Washington: «Abbiamo discusso approfonditamente un’ampia serie di questioni, come la fine delle ostilità nella Penisola, la definizione di un quadro durevole per la pace, come rassicurare la Corea del Nord e garantirle un futuro radioso se farà la decisione giusta», ponendo fine alle proprie ambizioni nucleari.
«Kim Jung Un» – ha ricordato Detrani – «passerà anche un po’ di tempo a spiegare che le sue armi nucleari sono a scopo difensivo, il suo cosiddetto deterrente nucleare, data la precedente politica ostile degli Stati Uniti…. La principale sfida sarà far capire alla Corea del Nord che la loro probabile richiesta di conservare alcune armi nucleari non sarà mai accettabile. La Corea del Nord, che manterrà anche poche armi nucleari, inciterà a una corsa agli armamenti nucleari nella regione, con la sfida della proliferazione di garantire che armi nucleari e materiali fissili non vengano forniti agli Stati canaglia e agli attori terroristi non statali. Questo è stato spiegato ai funzionari nordcoreani dal 2003, quando è stato istituito il processo dei Sei Parlamenti. Il mio primo incontro nel 2003, in qualità di negoziatore, ha affrontato questo problema. La mia controparte nordcoreana ha detto che la Corea del Nord voleva una relazione normale con gli Stati Uniti e dovrebbe essere accettata come uno stato di armi nucleari, come abbiamo fatto con il Pakistan. Come il Pakistan, ha detto che la Corea del Nord sarebbe un buon amico degli Stati Uniti.Gli fu detto che questo non sarebbe mai accaduto; lo smantellamento completo, verificabile e irreversibile delle sue armi nucleari e degli impianti nucleari è stata la nostra incrollabile politica. La Corea del Nord probabilmente continuerà a cercare di convincere gli Stati Uniti ad autorizzare la Corea del Nord a conservare “poche” armi nucleari,anche dopo la normalizzazione delle relazioni. Sarebbe un errore».
E su questo Trump non pare voler transigere: ha già avvertito che «voglio che la Corea del Nord si liberi delle armi nucleari» e che alla Corea del Nord non saranno fatte «concessioni». A proposito del possibile incontro con Kim, il presidente statunitense ha sostenuto: «Potrei uscirne velocemente con rispetto o potrebbe addirittura essere che l’incontro non avvenga, chi lo sa?». E, forse, la strategia della “massima pressione”, corroborata dalle sanzioni economiche internazionali, ha già iniziato a dare i suoi frutti.
L’ obiettivo della denuclearizzazione della penisola è stato perseguito diverse volte nel corso degli ultimi decenni. Ma, come ci insegna la storia, si sono fatti passi avanti e altrettanti indietro. Quel che appare chiaro è che – come ha dichiarato il ministro dell’Unificazione sudcoreano Cho Myoung-gyon – «il summit di aprile sarà l’inizio di un grande viaggio per denuclearizzare la Penisola coreana, portare pace nella Penisola e sviluppare i legami inter-coreani». Di conseguenza, però, il suo successo di questo incontro ( e, forse, quello di giugno con Trump) deriverà in larga parte da quale sarà il grado di sintonia che Kim e Moon riusciranno a raggiungere proprio sul dossier nucleare domani.