«Ancora una volta i membri del Consiglio di Sicurezza hanno parlato all’unisono nel condannare la Corea del Nord», ha affermato l’ambasciatrice americana all’ ONU, Nikki Haley, la quale ha aggiunto «E’ il momento che il regime di Pyongyang capisca il rischio che sta correndo con le sue azioni». Ieri, infatti, l’ ennesima provocazione di Kim Yong Un: un missile lanciato da Pyonyang alle 6.29 ora locale che ha sorvolato il Giappone in corrispondenza dell’isola di Hokkaido per poi finire nel Mar del Giappone frantumandosi in tre pezzi a circa 1.180 km dalla città di Cape Erimo.

«Il missile ha attraversato il nostro spazio aereo» ha dichiarato il premier di Tokyo Shinzo Abe. Il capo di gabinetto del governo di Tokyo Yoshihide Suga ha espresso parole di condanna nei confronti dell’ ennesimo lancio missilistico bollandolo come  «una grave minaccia senza precedenti alla sicurezza del Giappone».

«Auspichiamo che le parti coinvolte possano considerare di operare una de-escalation della situazione e raggiungere la pace e la stabilità nella penisola coreana. Le nuove sanzioni e pressioni nei confronti di Pyongyang non possono fondamentalmente risolvere le tensioni» è stato il commento della portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Hua Chunying,

A poche ore dal lancio da parte della Corea del Nord, l’aeronautica di Seoul ha risposto alla provocazione: quattro caccia F-15 hanno sganciato otto bombe Mk-84 su bersagli del campo di addestramento del Pilseung Firing Range nella parte orientale del Paese, quasi a voler dare una dimostrazione di forza.

Per capire meglio quanto accaduto in queste ore nella penisola coreana, abbiamo parlato con il Generale Vincenzo Camporini, vicepresidente dello IAI (Istituto Affari Internazionali) oltre che militare di lunga carriera, giungendo ad essere, fino a novembre 2011, consulente del Ministro degli Affari esteri Franco Frattini.

Come può essere considerata l’ azione della Corea del Sud?

L’ azione effettuata dalla Corea del Sud è stata un’ esercitazione a poligono a fuoco con quattro velivoli. Io eviterei a dire che questa è stata una risposta politica al lancio del missile perché sono state lanciate delle bombe su un poligono di tiro dove normalmente si fanno le esercitazioni. Non dico che sia stata una coincidenza, però non è stato nulla di così politicamente drammatico come è stato definito. In secondo luogo, è chiaro che la Corea del Sud ha un interesse particolare a che ci siano degli equilibri nell’ aria perché non dimentichiamoci che non è mai stato firmato un trattato di pace alla fine del conflitto coreano degli anni ’50 e quindi siamo in una situazione di armistizio che è certamente fragile.

Quindi si è trattato più che altro di un avvertimento?

E’ stato un ‘Guardate che abbiamo delle forze armate che sono pronte’. In particolare, se si analizza la qualità e le capacità dei due paesi, è evidente che, mentre dal punto di vista terrestre potrebbe esserci una preponderanza della Corea del Nord, dal punto di vista aereo non c’è partita: l’ aeronautica della Corea del Sud è anni luce avanti rispetto alle risorse della Corea del Nord e sarebbe in grado di dare il giusto supporto alle truppe di terra. Penso che questo sia stato uno dei messaggi che si è voluto mandare. Oltretutto c’è anche da considerare che in un conflitto conta moltissimo la resilienza dell’ opinione pubblica: il popolo della Corea del Nord ha dimostrato di essere assai resiliente se ha sopportato tutti questi decenni di dittatura, affamato, ma evidentemente può sopportare ancora; il popolo della Corea del Sud, in caso di conflitto, subirebbe sicuramente delle perdite significative.

In questo senso, è remota la possibilità di un intervento americano?

Dipende a quale tipo di intervento noi pensiamo. Se noi pensiamo ad un intervento di tipo chirurgico per distruggere le facilities di costruzione e di lancio di questi missili o le facilities di costruzione delle testate nucleari, dal punto di vista tecnico, la cosa è fattibile. Dal punto di vista delle conseguenze, immediatamente, posso ipotizzare una reazione violentissima da parte della Corea del Nord, sotto l’ aspetto convenzionale. Non dimentichiamo che Seoul è a 40 km dal confine, dalla linea dell’ armistizio ed è quindi pienamente nel raggio d’ azione dei lanci della Corea del Nord. Un fuoco di sbarramento della Corea del Nord contro Seoul immagino produrrebbe migliaia di morti. Quindi un attacco chirurgico di successo potrebbe trasformarsi in un problema politico e umanitario di proporzioni gigantesche.

Un attacco all’ isola di Guam potrebbe essere il pretesto?

Un attacco all’ isola di Guam è, al momento, qualcosa di politico, di immagine. I vettori della Corea del Nord non hanno dimostrato quell’ affidabilità e quella precisione che sono necessari per una cosa del generale. Sarebbe solamente un gesto dimostrativo quindi non credo che Guam sia minacciata realmente. E’ chiaro che sarebbe un gesto politico molto significativo che avrebbe delle conseguenze. Tutto questo per quanto riguarda l’ azione della Corea del Sud, della Corea del Nord e del Giappone. Ma bisognerebbe anche parlare dell’ atteggiamento della Cina, estremamente importante se non cruciale. La Cina, infatti, è il Paese che supporta e sopporta il dittatore nordcoreano: lo fa apparentemente malvolentieri, ma il governo cinese è molto preoccupato di un eventuale collasso del regime di Pyonyang perché questo lo esporrebbe, a detta dei cinesi stessi, avendo io parlato con alcuni esponenti di rilievo della nomenclatura, ad un rischio di un flusso di profughi dalla Corea del Nord verso la parte settentrionale della Cina che potrebbe essere destabilizzante. Questo è uno dei motivi per cui la Cina sarebbe costretta a supportare il regime di Pyonyang.

La Cina e la Russia sarebbero pronte ad intervenire militarmente in un conflitto regionale?

La Cina è sempre molto prudente sull’ uso della forza. La Russia usa la forza in modo molto strumentale. Non vedo al momento nessuna motivazione seria per cui Putin debba intervenire militarmente nell’ area. Farebbe più che altro un tentativo di ricucitura per poi apparire il deus ex machina della situazione. E’ chiaro che la Cina persegua la propria politica strategica di espansione della propria area di influenza. Per questo, credo che, oltre alle motivazioni del supporto alla Corea del Nord a cui accennavo prima, ci siano delle altre di ordine machiavellico: la Cina è perfettamente consapevole che in un futuro più o meno lontano ci sarà un confronto con gli Stati Uniti. In questo senso, è chiaro che tenere in piedi una Corea del Nord che rappresenta una spina nel fianco per questo futuro possibile contendente, politicamente è molto vantaggioso.

Risulta condivisibile quanto affermato dal Vice Ministro degli Esteri russo Serghei Ryabko, secondo cui «E’ chiaro a tutti che l’opzione delle sanzioni alla Corea del Nord si è ormai esaurita»?

Diciamo che si è rivelata fallimentare anche perché dubito fortemente che le sanzioni siano state applicate con il dovuto rigore da parte del governo cinese. In qualche modo, la Cina ha sempre continuato ad importare carbone dalla Corea del Nord, dando quel po’ di fiato all’ economia locale. Il supporto diretto/indiretto della Cina ha vanificato l’ ipotesi di efficacia delle sanzioni.

Qualora la tensione dovesse scatenare un conflitto, quest’ ultimo sarebbe di natura nucleare?

Su questo credo che sia ancora il caso di dubitarne. Dico ancora perché sono abbastanza scettico sul fatto che ad oggi la Corea del Nord disponga di testate nucleari effettivamente impiegabili, della giusta dimensione idonea ad esser trasportate da un vettore missilistico. La miniaturizzazione delle testate nucleari è un processo tecnologicamente molto avanzato e non è facile raggiungere tale livello. A questo punto, però, faccio un’ altra osservazione: il tempo gioca sicuramente a favore di Pyonyang nel senso che se oggi non hanno i vettori idonei a portare le bombe, se oggi ancora non hanno la bomba delle dimensioni adatte ad esser portate da vettori, è solo questione di tempo e prima o poi ce l’ avranno. E quando avverrà, il discorso sarà molto più complicato di quanto non possa esserlo oggi.

Rimane salda, secondo il suo punto di osservazione, quella sorta di triade formata da Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud?

Quello che noto che sta cambiando è l’ atteggiamento giapponese: diciamo che il Giappone ha sempre fatto della non-belligeranza il punto forte della propria politica estera, comprensibilmente dopo quanto era successo durante la Seconda Guerra Mondiale. Al momento attuale, sta cambiando atteggiamento. Sul discorso del rapporto tra Corea del Sud e Giappone, io sarei molto cauto perché sono due Paesi divisi da un’ ostilità secolare e quindi non so quanto si possa pensare ad una convergenza se non dal punto di vista tattico. Quell’ americana è una posizione piuttosto tradizionale, di supporto ad un Paese che hanno contribuito a rendere possibile. Negli anni ’50, nella guerra di Corea, che era una guerra delle Nazioni Unite contro la Corea del Nord, in realtà sapevano che lo sforzo maggiore lo facevano gli Stati Uniti. Quindi rientra nella tradizione politica americana essere presenti. Attualmente la loro presenza militare è intorno ai 60000 uomini. E’ una presenza significativa, ma non certo sufficiente a contrastare un’ invasione da parte delle armate di Pyonyang.