All’ indomani dell’ approvazione da parte del Parlamento della terza proroga dello ‘stato d’emergenza’ che entrerà in vigore da domani, mercoledì 19 luglio, la Turchia procede spedita in una direzione che, almeno in apparenza, non sembra di assoluta democrazia.
Nella notte tra sabato 15 e domenica 16 luglio appena trascorsi, la Turchia ha celebrato la prima ricorrenza dal fallito colpo di Stato ai danni di Erdogan, il quale aveva denunciato, proprio un anno fa, in diretta televisiva, attraverso lo schermo di uno smartphone collegato a Skype, il golpe in atto. Una moltitudine di persone era scesa in piazza e i ribelli erano rimasti con un pugno di mosche in mano, incapaci di reagire, nonostante avessero, poco prima, addirittura, bombardato la sede del Parlamento.
La reazione del Presidente turco non si è fatta attendere. Infatti fin dal 20 luglio 2016, è in vigore lo ‘stato di emergenza’ che già in tre occasioni, l’11 ottobre, il 3 gennaio e il 16 aprile scorsi, aveva ottenuto una proroga. Il provvedimento ha permesso, peraltro, alle autorità turche di arrestare decine di migliaia di persone sospettate di essere legate all’organizzazione di Fethullah Gulen, esule negli Stati Uniti, ostile all’ AKP e sospettato di essere la mente del golpe.
Durante le celebrazioni tenutesi nel week-end, Erdogan ha partecipato alla ‘Marcia nazionale per l’ unità’ ed ha inaugurato un monumento, posto davanti al palazzo presidenziale, in onore degli «eroi» caduti per difendere la nazione, ribadendo, con fierezza, che «la gente di quella notte non aveva pistole, avevano una bandiera e, cosa più importante, avevano la loro fede» e che «il popolo ha mostrato al mondo che grande nazione siamo. Non c’è altro esempio del genere nel mondo».
Ritorna, inoltre, ad essere centrale agli occhi di Erdogan la questione curda, soprattutto ora che l’ Isis batte in ritirata e parte dei territori liberati dalla minaccia dello Stato islamico, potrebbero costituire, in virtù della continuità fisica, l’ embrione di un vero e proprio Stato autonomo curdo. Su questo tema, non sono mancate e non manco tuttora delle divergenze con gli Stati Uniti, primi finanziatori ed alleati dei curdi.
«Taglieremo le teste» dei traditori, ha aggiunto il Presidente turco, dichiarandosi, addirittura, pronto a firmare una legge approvata in Parlamento per l’ introduzione della pena di morte. A queste parole, ha risposto, a distanza, il Presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker, il quale ha invitato la Turchia «a rispettare i valori democratici se vuole unirsi all’Ue» perché «chiunque voglia unirsi all’Ue deve aderire ai suoi valori. Le braccia dell’Europa rimangono aperte ma ci aspettiamo che la Turchia mostri chiaramente i suoi colori europei e che porti nel cuore i valori europei».
Dichiarazioni che volevano rispondere, anche, a quanto Erdogan aveva dichiarato in un’ intervista, qualche giorno prima, alla BBC: la Turchia, aveva detto il Capo di Stato, «è capace di reggersi sui suoi piedi da sola» e «molti turchi non desiderano entrare nell’Ue», aggiungendo, poi, che «noi siamo fedeli alla parola data. Se l’Ue dicesse francamente ‘non possiamo accettare la Turchia nell’Unione europea’ sarebbe confortante per noi. Inizieremmo il nostro piano B e il C. L’Unione europea non è indispensabile per noi … siamo sereni».
La discussione sull’ adesione o meno all’ Unione Europea si è posta in rima baciata rispetto alle tensioni degli ultimi con la Germania di Angela Merkel. Tensioni che sono scaturite dal rifiuto turco di autorizzare la visita di parlamentari tedeschi alle basi NATO presenti sul territorio, oltreché nel sospetto che Erdogan nutre nei confronti della Germania, accusata di dare asilo ad alcuni militari ‘traditori e gulenisti’.
Tensioni che certamente si sono riverberate nell’ Alleanza Atlantica, tanto che il segretario Generale della Nato, Jens Stoltenberg, aveva definito auspicabile «che la Germania e la Turchia possano trovare una data reciprocamente accettabile per la visita». Nel fine settimana si sono incontrati i ministri degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, e l’omologo tedesco Sigmar Gabriel, ma la Turchia ha comunque rinviato la visita a tempo indeterminato. Dal canto suo, il portavoce della Difesa tedesco, Henning Otte, ha definito la politica di Erdogan ‘miope e pericolosa’.
In questa schermaglia, non va tralasciato il ‘piacere retribuito’ che la Turchia fa all’ Occidente ed in particolare all’ Unione Europea, accogliendo i migranti ed impedendo la loro partenza per raggiungere il nord, la Germania, in piena campagna elettorale.
Dove si sta dirigendo la Turchia di Erdogan? Quali le ambizioni del Presidente? Quali gli ostacoli che gli si pongono dinnanzi? Per rispondere a queste domande, abbiamo chiesto a Valeria Talbot, ricercatrice senior e responsabile del Programma Mediterraneo e Medio Oriente dell’ ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale).
Nel fine settimana si è celebrata la prima ricorrenza dal tentativo fallito di colpo di stato ai danni di Erdogan. Tenendo conto della vittoria al referendum di aprile, il Presidente turco ne è uscito rafforzato?
Il Presidente turco, dopo il colpo di Stato dello scorso anno, anche grazie allo stato di emergenza che è entrato in vigore subito dopo il golpe, e che è ancora in vigore, ha avuto mano libera per portare avanti tutta una serie di epurazioni. Queste purghe sono andate a colpire il circolo dei gulenisti, vicini, appunto, a Fethullah Gulen, considerato il responsabile del golpe, ma sono andate anche al di là dei presunti colpevoli per colpire tutte le voci critiche o di dissenso. Sappiamo che sono molti, credo più di un centinaio, i giornalisti in prigione così come molti accademici ed intellettuali. In questo clima, il Presidente Erdogan, grazie anche al sostegno del leader del movimento nazionalista, è riuscito a far approvare in Parlamento, in cui, comunque, la rappresentanza, ad esempio, del partito curdo è stata dimezzata, gli emendamenti alla Costituzione, che poi sono stati sottoposti al referendum. Quindi una situazione politica interna con un’ instabilità e una confusione di cui il Partito di governo si è avvalso per poi portare al referendum la riforma costituzionale. Riforma che è stata votata con una maggioranza risicata, poco più del 51% e che apporta importanti cambiamenti al sistema politico turco: innanzitutto la Turchia non sarà più una repubblica parlamentare, ma una repubblica presidenziale e il Presidente avrà, dunque, ampi poteri esecutivi. Poteri che rafforzano la figura del Capo dello Stato in un sistema di pesi e contrappesi che si è andato indebolendo. Ora, la riforma costituzionale non è ancora in atto, lo sarà dopo le elezioni presidenziali e legislative del 2019, ma prospetta una Turchia dell’ uomo solo al comando.
E’ stata approvata ieri la terza proroga dello stato d’ emergenza che entrerà in vigore domani. Quale significato ha questa ulteriore consecutiva proroga? Una sempre maggiore centralità di Erdogan nella politica turca?
Sì e dà il senso del rafforzamento della figura del Presidente, in questo caso della figura di Erdogan che, comunque, al di là delle attribuzioni che gli verranno dalla nuova Costituzione, è un leader che è riuscito ad ottenere in Parlamento un ampio consenso da più della metà della popolazione turca, è una figura molto carismatica, ma, allo stesso tempo, fortemente divisiva perché negli ultimi anni la polarizzazione politica, all’ interno del Paese, si è acuita tra sostenitori dell’ AKP e coloro che, invece, non sono favorevoli al governo come i laici, la minoranza curda, i liberali.
Gulen rimane il nemico da abbattere?
Sì in Turchia c’è un’ ampia e diffusa convinzione, non soltanto tra i sostenitori dell’ AKP, ma in tutto il Paese che Fethullah Gulen sia dietro il golpe dello scorso anno e questo non solo funge da elemento unificatore, ma rafforza, inoltre, il nazionalismo del popolo turco.
Il golpe ha segnato uno spartiacque dal punto di vista economico: infatti ha inaugurato un periodo di recessione per la Turchia. Risente di questo “insuccesso” l’ AKP?
Diciamo che senz’altro l’ instabilità politica dovuta non solo al golpe, ma anche agli attentati terroristici che hanno colpito il Paese a partire dall’ estate del 2015 hanno influito sulla situazione di stabilità e sicurezza del Paese, ma hanno avuto anche degli effetti in campo economico. A questo si aggiungono delle problematiche tipiche del sistema economico turco. Un sistema che è andato rafforzandosi nel corso dei governi dell’ AKP grazie a tutta una serie di riforme economiche e di liberalizzazioni, ma che soffre, ad esempio, di un deficit cronico delle partite correnti. Quindi, sicuramente, di fondo, ci sono sì delle cause politiche, ma anche delle problematiche economiche da tenere in considerazione sul rallentamento della crescita. Ricordiamo che la Turchia, dal 2002 al 2012, è cresciuta in media del 5%, con un tasso di crescita medio simile a quello dei BRICS, della Cina in primis.
Per quanto riguarda la questione curda, Erdogan ha dichiarato: «Non tollereremo un Kurdistan alle porte di casa», affermando il suo rifiuto rispetto ad un referendum sull’ indipendenza curda e annunciando un’ imminente offensiva militare contro il Nord della Siria, nel tentativo di spazzare via la continuità territoriale che i curdi sono riusciti a conquistare nell’ area. Quale prospettiva si dipana per il rapporto tra Erdogan e i Curdi?
Il governo dell’ AKP, dalla fine del 2012 fino all’ estate del 2015, aveva portato avanti dei negoziati per la risoluzione della questione curda che comprendeva anche l’ ala terroristica, in riferimento al PKK. Negoziati che comprendevano anche il leader storico dei curdi, che si trovava in prigione, Abdullah Öcalan. Questo processo è venuto meno nell’ estate del 2015, quando, da parte curda si è posto fine alla tregua per il cessate il fuoco e da parte del governo di Ankara è stata aumentata la retorica anti-curda e quindi si è arrivati alla ripresa dello scontro armato tra le forze di sicurezza e i militanti del PKK. Scontro che in due anni ha portato a migliaia di vittime, tra civili, militanti curdi, forze di sicurezza e ha trasformato le province dell’ Anatolia meridionale, di Diyarbakir, il cuore del Kurdistan turco, in un vero e proprio teatro di guerra. La questione curda ha dei riflessi a livello regionale e contribuisce a spiegare il ruolo della Turchia nel conflitto siriano. In Siria, sappiamo che le forze curde sono quelle più impegnate sul terreno della lotta allo Stato Islamico e sono quelle che hanno avuto un forte sostegno militare, logistico e finanziario da parte degli Stati Uniti. E questo è un punto molto critico nelle relazioni tra Ankara e Washington. In Siria, l’ obiettivo della Turchia è non soltanto porre fine al regime di Bashar al-Assad, ma anche e soprattutto evitare che si formi una fascia di autonomie curde nel nord del Paese. Un’ autonomia che potrebbe, in una prospettiva di riconoscimento internazionale, fungere da forza di attrazione per i curdi in Turchia. Quindi attraverso un prisma di sicurezza interna, nazionale va letto il coinvolgimento della Turchia in Siria così come anche l’invio di truppe, ricordando l’ ‘Operazione Scudo dell’ Eufrate’, che si è conclusa pochi mesi fa, ma che non ha posto fine all’ invio di contingenti militari turchi nel nord della Siria per poter limitare, appunto, la continuità territoriale delle zone occupate dai curdi siriani considerati stretti alleati del PKK.
Come può essere definito, al momento, il rapporto tra la Turchia e la NATO, considerando anche le epurazioni dei militari dissidenti?
Il rapporto tra Turchia e NATO è altalenante in questo momento. La Turchia è un importante Paese all’ interno della NATO, fornisce il secondo esercito rispetto al numero di effettivi, è fondamentale nella lotta al terrorismo internazionale, chiave nell’ area mediorientale e nella lotta allo Stato Islamico. Tuttavia, l’ evoluzione delle dinamiche degli ultimi tempi, come i disaccordi con Washington sul sostegno ai curdi, hanno portato a delle tensioni con gli Stati Uniti e con altri Paesi della NATO come la Germania. La Turchia, proprio in risposta alla mancata estradizione di militari turchi che hanno chiesto asilo in Germania, ha vietato l’ accesso alle autorità tedesche nella base di Incirlik, nella base di Konya, dove ci sono dei contingenti tedeschi della NATO. Tanto che nel caso delle truppe tedesche stanziate a Incirlik, questo ha fatto sì che fossero spostate in Giordania. Quindi si tratta di rapporti non privi di tensioni in questa fase.
In questa ambiguità nei rapporti con la NATO, influisce un rinnovato legame con la Russia di Putin?
Con la Russia di Putin ci sono degli stretti legami, soprattutto, economici. Stretti legami dovuti al fatto che la Russia rappresenta il più importante fornitore energetico della Turchia. La Turchia è un importatore netto di idrocarburi. Inoltre il gasdotto Blue Stream fornisce il 60% del gas consumato in Turchia. Quindi legami energetici ed economici. Non credo che ci sia uno stretto rapporto tra le tensioni all’ interno della NATO e il riavvicinamento della Turchia alla Russia nell’ ultimo anno, anche se la collaborazione tra i due Paesi riguarda anche altri ambiti come la lotta al terrorismo ed ultimamente c’è stata da parte turca l’ interesse ad acquistare un sistema missilistico dalla Russia.
Da tempo si registra un attrito tra Erdogan e la Cancelliera tedesca Merkel. Quali sono i contorni di questa divergenza?
Anche per quanto riguarda la Germania, i rapporti sono altalenanti. Storicamente la Merkel non è stata la prima sostenitrice dell’ adesione della Turchia all’ Unione Europea, anzi, fin dall’ inizio, la Cancelliera ha parlato di partnership strategica in alternativa alla membership. Oggi, la posta in gioco è l’ accordo sui migranti siglato nel marzo del 2016 voluto proprio dalla Germania. La Turchia sta giocando un ruolo importante nella gestione dei flussi di migranti del corridoio del Mediterraneo orientale. Per la Cancelliera Merkel, anche a fini elettorali, è importante che questo accordo tenga. Ricordiamo che in Germania si svolgeranno le elezioni legislative nel prossimo autunno. E questo spiega perché, al di là delle tensioni sull’ ingresso dei parlamentari tedeschi nelle basi turche, al di là della questione dei militari sospettati di far parte dell’ organizzazione di Gulen ospitati dalla Germania, è necessario che l’ accordo sui migranti tenga e che la Turchia continui a giocare la sua parte.
Quindi, dal suo punto di vista, fin dove si possono spingere, nel fare pressione, la Germania e più in generale l’ Unione Europea rispetto alla Turchia di Erdogan?
In questo momento, non molte nel senso che c’è in ballo l’ accordo sui migranti, c’è in ballo la cooperazione della Turchia nella lotta al terrorismo e allo Stato Islamico. Al di là di questo, i negoziati di adesione della Turchia all’ Unione Europea sono bloccati, soprattutto a causa dell’ evoluzione politica interna dell’ ultimo anno, con l’ erosione dello Stato di diritto, con l’ erosione del processo democratico, uno stato di emergenza che consente ad Erdogan di compiere arresti sommari ed epurazioni nel Paese sulla base di semplici sospetti. Quindi l’ Unione Europea in varie situazioni ha espresso la profonda preoccupazione per la situazione politica interna in Turchia: non da ultimo, ad inizio luglio, il Parlamento europeo ha votato con una grande maggioranza una risoluzione a favore della sospensione dei negoziati di adesione nel caso in cui le riforme costituzionali fossero, di fatto, implementate e che trasformerebbero il regime turco in senso autoritario. La risoluzione del Parlamento non è vincolante, ma è esemplificativa e sintomatica di profonde percezioni che ci sono nei Paesi europei nei confronti della Turchia e del processo di adesione all’ Unione Europea.
Secondo Erdogan, «l’ Europa ci fa perdere tempo» e si è detto pronto a firmare una legge approvata dal Parlamento per l’ introduzione della pena di morte. Il Presidente della Commissione europea ha ribadito la necessità che la Turchia rispetti le libertà democratiche. Il Presidente turco ha ancora interesse a far aderire la Turchia all’ UE?
Devo dire che da parte turca, nel corso degli anni, l’ interesse è diminuito, anche per responsabilità dell’ Unione Europea che ha tenuto una posizione ambigua. Però anche da parte turca c’è una grande ambiguità, soprattutto da parte dei vertici turchi perché nei momenti critici il Presidente Erdogan non esita ad esprimere che la Turchia ha altre opzioni, ha altre possibilità e che quindi l’ Unione Europea non è più un obiettivo come lo era una volta. Subito dopo la vittoria al referendum costituzionale, il governo turco ha fatto un passo indietro, riaffermando un interesse al processo di adesione, come obiettivo prioritario di politica estera. Quindi da parte turca c’è un uso strumentale dell’ obiettivo europeo.
Anche perché l’ Unione Europea costituisce anche un mercato verso cui la Turchia guarda.
Assolutamente sì, ci sono dei legami economici molto forti perché l’ Unione Europea rappresenta il primo partner commerciale un’ importante fonte di investimenti per la Turchia. Ricordiamo che la Turchia è legata all’ Unione Europea dall’ Unione doganale quindi ci sono dei legami economici molto stretti.
Rispetto alla crisi diplomatica che vede al centro il Qatar, dove sta andando la Turchia di Erdogan?
Inizialmente la Turchia, nella crisi diplomatica che coinvolge le monarchie del Golfo, ha cercato di svolgere un ruolo di mediatore, considerato che ha buoni rapporti con l’ Arabia Saudita, con gli Emirati e soprattutto con il Qatar. La scelta, poi, di sostenere il Qatar è stata importante perché con l’ Emirato ci sono degli stretti legami economici, finanziari e militari, nel senso che era stato siglato un accordo, la cui entrata in vigore è stata accelerata in occasione della crisi. Quindi l’accordo militare era precedente alla crisi diplomatica, però è servito per dare un segnale forte del sostegno turco al piccolo Emirato. Un altro elemento importante da tenere in considerazione è che tanto la Turchia quanto il Qatar sostengono i Fratelli Musulmani, la cui ascesa è stata massima subito dopo le rivolte arabe e con l’ elezione alla presidenza egiziana di Mohammed Morsi, ma che poi hanno avuto una fase di declino molto forte. Fratellanza Musulmana che viene, invece, osteggiata, per motivazioni religiose e politiche, da Arabia Saudita ed Emirati. Questo rappresenta un altro punto importante di convergenza tra Turchia e Qatar.
Qual’ è l’ ambizione di Erdogan rispetto alla Turchia dei prossimi mesi, dei prossimi anni?
L’ obiettivo di Erdogan è quello di fare della Turchia una potenza regionale, aumentando il prestigio della nazione anche sul piano internazionale. Diciamo che in una prima fase, nella fase di attuazione della politica ‘zero problemi’ con i vicini, prima dello scoppio delle rivolte arabe e prima dello scoppio della crisi siriana, la Turchia veniva considerata una potenza regionale emergente, grazie allo sviluppo economico, grazie all’ identità di democrazia islamica, al suo soft power, al fatto che si considerasse mediatore delle crisi regionali. Tutto questo oggi non c’è più, ma l’ ambizione rimane quella di essere una potenza regionale.