Poche settimane fa, verso la fine di giugno, il Custode delle due Città Sante, Re Salman bin Abdul-Aziz al-Saud ha nominato come nuovo Principe Ereditario il figlio prediletto, il trentunenne Mohammad Bin Salman al-Saud, attuale Ministro della Difesa e, da poco, vice Primo Ministro. Tale nomina ha sbaragliato la linea di successione al trono che prevedeva che a divenire Principe ereditario fosse il 57enne Mohammed bin Nayef, rimosso, tra l’ altro, dal vertice del Ministero dell’ Interno, nonostante i suoi successi nel mantenimento dell’ ordine pubblico.
Il giovane rampollo della dinastia al-Saud intrattiene buonissimi rapporti con l’ America e soprattutto con la nuova Amministrazione Trump. A dimostrazione del rinsaldato legame tra Washington e Ryad, il viaggio, primo all’ estero da Presidente, compiuto da Donald Trump in Arabia Saudita a maggio. In questa occasione, era stato firmato un accordo miliardario per la fornitura di armi al Regno da parte dell’ alleato d’ oltreoceano.
La nomina avviene, però, in un delicato momento storico per il Medioriente: la quasi disfatta dell’ IS in Siria e Iraq, le rinnovate tensioni tra il blocco sunnita, Arabia Saudita in testa, e il blocco sciita, guidato dalla Repubblica degli Ayatollah. Contrasto che si è riversato nella crisi diplomatica che ha riguardato il Qatar. La rottura, decisa dall’ Arabia Saudita appoggiata da Egitto, Emirati Arabi Uniti e Bahrein, sarebbe stata motivata dall’ accusa rivolta all’ Emirato di sostenere le organizzazioni terroristiche, oltreché di intrattenere rapporti con il nemico di sempre, l’ Iran, destabilizzando l’ intera regione.
A questo proposito, dopo il rifiuto qatarino di accettare le 13 richieste avanzate dai quattro paesi per la normalizzazione dei rapporti diplomatici, tra cui la chiusura dell’ emittente Al-jazeera, l’ interruzione dei rapporti con le organizzazioni terroristiche, come ad esempio i Fratelli Musulmani o Hezbollah, e con l’ Iran, nella giornata di ieri, il network americano CNN ha reso pubblici dei documenti segreti del Consiglio di Cooperazione del Golfo risalenti al 2013-2014 che mostrano come la frattura affondi le sue radici nell’ inadempimento del Qatar verso alcuni impegni presi con gli altri membri del Consiglio, in particolare con gli Emirati Arabi.
La crisi sembra dunque essere lontana da una risoluzione definitiva, nonostante il grande impegno profuso da molti attori regionali e internazionali: ieri, infatti, si è recato in Kuwait il Segretario di Stato americano Rex Tillerson, alla ricerca di un qualche margine di manovra, ma già la settimana scorsa il Presidente Trump aveva raccomandato, in una telefonata all’ omologo egiziano Al Sisi, a «tutte le parti coinvolte di negoziare in modo costruttivo per risolvere la questione». All’ impegno americano e kuwaitiano, si aggiunge quello tedesco, inglese, italiano ed europeo, ma, al momento, senza grandi risultati.
Dal canto suo, neo Principe ereditario, si è intestato l’ ideazione di un ambizioso progetto per il suo Paese: Vision 2030. Un rivoluzionario programma politico-economico che vorrebbe ridurre la dipendenza saudita dal petrolio, quotando in borsa una piccola quota dell’ impresa petrolifera nazionale, Saudi Aramco, e riutilizzando i ricavi di questa operazione per ammodernare il Paese, riconsiderare il ruolo delle donne nella società e dare lavoro ai giovani, trascurati fin dalla crisi economica mondiale del 2008.
Quale Ministro della difesa, Mohammad Bin Salman ha ingaggiato una guerra in Yemen contro i ribelli sciiti Houthi, conflitto che, fino ad ora, non ha ottenuto grandi risultati, se non il tragico bilancio di perdita di vite umane.
Per comprendere quale direzione prenderà l’ Arabia Saudita dopo la nomina del nuovo Principe ereditario, ci siamo rivolti a Silvia Colombo, Responsabile di ricerca per il Mediterraneo e il Medioriente dello IAI (Istituto Affari Internazionali).
A livello istituzionale, quale ruolo è affidato al Principe Ereditario?
Sicuramente, in primis, si tratta di una carica simbolica, di rappresentanza e che mira a dare un po’ la linea che il sovrano attuale vuole impostare per il futuro del Regno. Essendo una monarchia assoluta, di forte impostazione familiare, come si evince dal nome stesso del Paese, fin dai tempi del sovrano ibn Sa‘ud, il fondatore della dinastia, c’era questa idea di indicare il successore, appunto, il Principe ereditario, in modo da dare un ordine e una direzione di marcia. A livello, poi, di poteri concreti che questa figura detiene, dipende dal singolo caso perché ci sono stati Principi ereditari come quello che in fondo è stato appena detronizzato perché, di fondo, avevano poco potere all’ interno della gerarchia familiare dell’ Arabia Saudita e altri come quello attuale che, ancor prima di essere nominati, controllavano una serie importantissima di agenzie di poteri economico-culturali. Non è una figura che, di per sé, abbia delle funzioni proprie. E’ un po’ lo specchio di quello che avverrà nel futuro. La scelta del Principe ereditario non è casuale proprio in questi termini: perché definisce quale linea si porterà avanti nei prossimi anni, nei prossimi decenni potremmo dire, vista l’ età del nominato.
Potremmo dire, quindi, che l’ interpretazione del ruolo dipende poi dalla visione, dal carisma di ciascuno.
Esatto. E lo si vede sia dalla complessa distribuzione dei poteri a livello della famiglia, tra le varie generazioni di principi e sia, appunto, dal carisma, dalla capacità di questa figura di imporsi sempre di più sulla scena istituzionale politica, economica e culturale del Paese e quindi accumulare e accentrare sempre più potere nell’ ottica di diventare sovrano assoluto.
Attraverso questa nomina, è stato, per così dire, messo da parte Mohammed Bin Nayef, a cui si deve molta della pace sociale di cui gode il Paese. Perché la scelta del Re è ricaduta su Mohammad Bin Salman, estromettendo, di fatto, Mohammad Bin Nayef?
Penso ci siano diversi elementi da considerare. In primis, perché da tempo si parlava di aprire il futuro del Regno alla nuova generazione di Principi e questo avviene, in fondo, con Mohammad Bin Salman, figlio dell’ attuale sovrano, ottenendo, tra l’altro, una grande concentrazione di potere in questa linea della famiglia. Quindi, diciamo, una concentrazione di potere in questo ramo della famiglia perché sempre di più l’ ampliarsi del numero di Principi ha creato delle vere lotte di potere di cui poco si sa e su cui ancor meno si può speculare, ma che si vedono nel modo in cui l’ attuale sovrano ha cercato di favorire il proprio clan ristretto. L’ altro aspetto è che è vero che il Principe ereditario era considerata una figura, per così dire, abbastanza moderata, tale da poter andare bene a tante figure dello scacchiere della Famiglia Reale, ma allo stesso tempo l’impostazione del Re attuale e più in generale quello che l’ Arabia Saudita ha fatto, ad esempio, in politica estera negli ultimi anni trova nell’ attuale Principe ereditario l’ artefice.
Cosa significa questo per l’ Arabia Saudita in termini di politica interna: ci potrebbero essere dei contrasti anche all’ interno della famiglia reale?
Contrasti aperti penso sia difficile perché è vero che ci sono state lotte fratricide, deposizioni interne alla famiglia nel corso dei decenni precedenti, ma adesso, in una fase molto delicata in cui l’ Arabia Saudita è al centro dell’ attenzione per una serie di questioni importanti, non da ultimo perché è stata riportata sotto le ali protettrici degli Stati Uniti con Trump, è molto improbabile che ci possano essere degli scontri aperti che potrebbero indebolire e, soprattutto, gettare in una luce negativa, dal punto di vista della popolazione interna che vede, comunque, nella famiglia reale un punto di riferimento. Sappiamo, però, che, pur sotto questa superficie di apparente coesione, pur sotto questa idea della consultazione, della shura messa in campo nell’ ultimo decennio per cercare di aprire un poco questa monarchia assoluta, di fatto, ci sono delle lotte di potere molto forti e anche dei contrasti. Uno degli elementi che hanno portato all’ elezioni di Mohammad Bin Salman è sicuramente che il precedente Principe ereditario non fosse sufficientemente presente, né tantomeno in grado di collocare l’ Arabia Saudita in modo ‘aggressivo’ su alcuni dossier, tenendosi in disparte, ad esempio, rispetto al contrasto con Obama e si era rivelato troppo pacato nelle questioni come le Primavere arabe, Siria, Yemen, che erano passate direttamente sotto il controllo dell’ attuale Principe ereditario che ha gestito in toto la crisi in Yemen, l’ intervento militare e via dicendo.
La giovane età del Principe ha avuto qualche ruolo nella scelta, dovendo parlare anche alle generazioni, sempre più scontente?
Credo che fosse una scelta obbligata perché era giunto, come si diceva prima, il momento di aprire il potere alle nuove generazioni anche per parlare a concittadini che hanno un’ età molto giovane. L’ Arabia Saudita, in questo, ha dei problemi strutturali simili ad altri Paesi dell’area e quindi una popolazione molto giovane che non riesce a trovare degli sbocchi politici ed economici ai propri bisogni. Quindi Mohammad Bin Salman è l’ artefice di questa’ Vision 2030’, questo grosso programma economico di modernizzazione del Paese e quindi l’ idea credo sia quella di creare una nuova classe dirigente in grado di girare intorno a questo Principe, cosa che di fatto avviene già da anni, e quindi cambiare il volto del Paese.
Infatti Mohammad Bin Salman è colui che ha lanciato questo ambizioso programma di riforma economico-sociale, “Vision 2030”, che comprende, tra l’ altro, un progressiva diversificazione dell’ economia, ad oggi basata prettamente sul petrolio. Ha contato molto, nella sua nomina, questa sua volontà cambiamento?
Penso sia un progetto fuori dalla portata dell’ Arabia Saudita, nonostante i proclami e l’ attenzione mediatica. Tante cose sembrano più che altro slogan che non tengono conto di alcuni deficit strutturali del Paese che, negli ultimi cento anni, è andato nella direzione delle disuguaglianze anziché in quella di uno Stato moderno, in grado di gestire bene la sua ricchezza. Detto ciò, bisogna anche dire che Mohammad Bin Salman si è ritrovato a gestire questi dossier estremamente importanti, quasi simbolici per il futuro del Paese proprio perché da tempo era indicato e pensato come futuro leader e solo quando sono maturati i tempi si è verificato questo passaggio. Lui è l’ artefice nel senso che è la figura iconica di questo programma, ma è un progetto che deriva da qualcun altro, da tutta una serie di figure rimaste dietro le quinte, non da ultimi anche alcuni consulenti esterni che hanno preparato questo pacchetto di politiche e slogan che lui è riuscito a comunicare e diffondere, grazie anche a colleghi, ambasciatori, figure chiave del governo saudita quest’ idea di un Paese più giovane, più moderno, che riesce a rispondere alle necessità del ventunesimo secolo.
Il progetto in questione che prevedeva, tra le altre cose, la quotazione in borsa di una piccola parte di Saudi Aramco che aveva trovato delle resistenze all’ interno della Famiglia Reale, con questa nomina, ottiene definitivo impulso?
Sì, si mantiene questa direzione di rotta che assorbe molto di quella che è la propaganda americana, delle agenzie come il Fondo Monetario, che da tempo dicono che questa situazione dell’ Arabia Saudita non è sostenibile nel lungo periodo. I conflitti cui facevamo accenno poco fa si vedono sicuramente anche in questo perché chiaramente privatizzare o comunque quotare in borsa una parte dell’ azienda che fornisce alle casse dello Stato la possibilità di pagare questa pletora di Principi è molto problematico. Per questo non so quanto verrà fatto in questa direzione.
E’ stato determinante, per Re Salman, nel prendere questa decisione, anche i rapporti che il Neo Principe Ereditario Mohammad Bin Salman intrattiene con l’ America di Trump? E’ stata una conferma di quel rafforzamento di legame avvenuto un mese fa a Ryad tra l’ America di Trump e l’ Arabia Saudita?
Non c’è dubbio. Così come il cambiamento dell’ Ambasciatore dell’ Arabia Saudita negli Stati Uniti che è una figura giovane, molto vicina a Mohammad Bin Salman, un imprenditore che gravita intorno a questa ‘Vision 2030’. Poco dopo è avvenuta la nomina del nuovo Principe ereditario. Poi questo nuovo clima in cui l’ Arabia Saudita insieme ad altri Paesi ha cercato in qualche modo di inasprire il suo ruolo, isolando il Qatar.
B. Salman è colui che guida, ad esempio, la guerra in Yemen, finora povera di risultati tranne la perdita di molte vite umane. A questo riguardo in che direzione andrà l’ Arabia Saudita?
Penso che l’ Arabia Saudita questa decisione tanto quanto lo Yemen è andato incontro ad una catastrofe umanitaria gravissima. L’ Arabia Saudita subisce la decisione così come l’ impegno economico che grava sulle casse dello Stato, ma questo è il frutto di questa politica di cui il Regno si vanta, sponsorizzando questa guerra come una lotta contro il terrorismo, contro il tentativo dell’ Iran di estendere il proprio dominio sul Medioriente. Anzi, a maggior ragione, penso che piuttosto che si stia andando verso una direzione di normalizzazione di posizioni di politica estera molto aggressive in Yemen così come nel contesto della crisi con il Qatar, senza l’utilizzo della forza ovviamente, legate all’ ascesa della figura di Mohammad Bin Salman.
Ad esempio nei confronti dell’ Iran sciita, il Principe Mohammad Bin Salman che tipo di strategia potrebbe mettere in campo? Una strategia più aggressiva?
A livello di retorica sì perché la figura stessa è quella che ha maggiormente rappresentato, in questi anni, la posizione dei ‘falchi’ all’ interno dell’ establishment mentre il precedente Principe ereditario era visto non dico come una ‘colomba’, ma di certo come qualcuno che era un po’ più moderato e pragmatico. Ecco, il pragmatismo di Mohammad Bin Salman è, come dire, caratterizzato da una politica estera molto ‘aggressiva’.
E questo è quello che lo accomuna al Presidente americano Trump.
Assolutamente sì. Ed infatti, una volta avuto l’ avallo di Trump che è andato a dare il proprio sostegno all’ Amministrazione saudita con questo viaggio, rimettendola sotto l’ ala protettrice americana, a questo punto la politica estera di Mohammad Bin Salman può andare avanti senza alcun problema. Non penso che ci saranno più divergenze con l’ Amministrazione americana, con il Presidente; con il Pentagono, con i militari, magari le divergenze, ad esempio, su questa campagna in Yemen potrebbero continuare ad esserci, però dal punto di vista di quello che pensa Trump, penso ci sia un appoggio quasi incondizionato.
Questa politica così muscolare nei confronti dell’ Iran sta portando ad alcuni avvicinamenti impensabili fino a qualche tempo fa, come ad esempio quello nei confronti di Israele, legato anch’ esso all’ America.
Sì c’è una triangolazione quasi a dire che “il nemico del mio nemico è mio amico”. Ci si allea perché l’ obiettivo è ora quello di sterminare questo riposizionamento sulla scena internazionale dell’ Iran dopo la cancellazione di alcune sanzioni.
Dai primi di giugno l’ Arabia Saudita sta portando avanti un braccio di ferro con il Qatar. L’ influenza del nuovo Principe ereditario nella crisi diplomatica, tenendo conto il suo legame con l’ America che, proprio ieri, ha inviato in Kuwait il Segretario di Stato Tillerson alla ricerca di una mediazione, sarà improntata ad un approccio meno morbido?
Sì anche se ci sono altre interpretazioni secondo cui non sarebbe stata l’ Arabia Saudita a trainare questo attacco contro il Qatar che è diventato via via sempre più forte, ma sarebbero stati gli Emirati Arabi e quindi l’ Arabia Saudita per non essere messa da parte, per non farsi vedere in una posizione di debolezza, sia salita poi sul carro degli Emirati, per far valere questa posizione. Il contrasto tra Arabia Saudita e Qatar si trascina ormai da anni non solo durante le Primavere arabe, ma già da prima. Con le Primavere arabe, con l’ ascesa della Fratellanza Musulmana, il conflitto si è fortemente acutizzato. Penso che la politica aggressiva di Mohammad Bin Salman si manterrà soprattutto per quei conflitti, per così dire, strategici, in particolare, in questo momento lo Yemen, che è una ‘proxy war’ contro per colpire l’ Iran. Per quanto riguarda le crisi strettamente regionali interne al CCG, anche qui possiamo ipotizzare due scenari: il primo potrebbe essere quello in cui Arabia Saudita ed Emirati continuino ad isolare, a martellare il Qatar sino a quando non si arriva ad una rottura, di fatto, dell’ alleanza; il secondo scenario potrebbe vedere l’ Arabia Saudita che ha già cercato di utilizzare un certo multilateralismo regionale, al contrario, tenti di utilizzare di più il Consiglio di Cooperazione del Golfo per imporre il proprio ruolo all’ interno del Consiglio, non dando vita ad un contrasto bilaterale con il Qatar, ma aprirlo a tutto il consesso degli Stati membri e cercare di diventare il leader regionale in maniera, appunto, più multilaterale, passando attraverso queste organizzazioni che sono, di fondo, delle scatole vuote, perché il potere è dell’ Arabia Saudita.
La crisi diplomatica, secondo alcuni documenti segreti del CCG resi pubblici ieri dall’ emittente americana CNN, si sarebbe originata per l’ inadempienza del Qatar in merito ad alcuni impegni presi nel 2013-2014. E’ possibile affermare, dunque, che l’ Arabia Saudita abbia svolto un ruolo di risposta, di supporto alle posizioni degli altri Paesi del blocco?
Questa sembra una delle interpretazioni. La politica degli Emirati Arabi sarebbe ben più aggressiva di quella saudita. L’ Arabia Saudita avrebbe fatto da sponda agli Emirati anche per non rimanere, come ricordavo prima, tagliata fuori da questo gioco di potere. Nessuno si sarebbe interessato alla crisi tra Qatar e Arabia Saudita se non perché questi due Paesi partecipano attivamente a teatri di guerra, a conflitti, appartengono ad un’area incandescente come quella mediorientale e sono degli importanti partners economici.
Non è un caso che la nomina sia avvenuta in un momento in cui la lotta all’ Is sta avendo successo.
C’ è di sicuro anche un collegamento con la retrocessione dell’ Is in Iraq e in Siria, ma noi sappiamo che l’ Arabia Saudita così come altri attori della regione hanno lasciato correre riguardo al rafforzamento di alcune cellule più radicali che poi sono confluiti nello Stato Islamico. La vittoria contro l’ Is da parte di questa politica nasconde però il sostegno da parte di privati che possono essere ricondotti a figure chiavi della Monarchia.
Gli equilibri all’ interno del Consiglio di Cooperazione del Golfo si spostano, dunque, a favore dell’ Arabia Saudita?
Il tentativo di imporre questa visione aggressiva c’è già stato. Il Qatar era già stato preso di mira. Ricordiamo che nel 2014 c’era stata la crisi tra Arabia Saudita e Qatar, coinvolgendo anche altri paesi del GCC che avevano ritirato, in primavera, i propri ambasciatori dal Qatar. Il Qatar è sempre stato visto come un ostacolo, che cercava di giocare la propria parte in maniera autonoma. Ma l’ Arabia Saudita era stata stoppata da un altro attore, di cui ora si parla abbastanza poco, e cioè l’ Oman che segue una politica diversa tanto dal Qatar quanto dall’ Arabia Saudita. Già nel 2011 e poi anche successivamente e sappiamo come è andata a finire per l’Oman per avviare i negoziati sul nucleare iraniano, l’ Oman ha messo un freno molto forte alle pretese egemoniche dell’ Arabia Saudita all’ interno del CCG e quindi ha reso, nei fatti, il Consiglio ancora meno passibile di divenire uno strumento nelle mani dell’ Arabia Saudita.
In conclusione, il segnale che lancia alla regione mediorientale e al mondo intero la figura di Mohammad Bin Salman come Principe Ereditario al trono circa il futuro dell’ Arabia Saudita è quello di cambiamento?
Sì. Quello che mi viene da dire è che forse la direzione del cambiamento economico auspicato da Mohammad Bin Salman e la direzione della politica estera più aggressiva potrebbero cozzare l’una con l’altra e quindi bisognerebbe poi vedere quali delle due forze di fatto prevarrà, quali interessi di lungo termine prevarranno. Il sistema della monarchia saudita è molto complesso e quindi non è possibile pensare a Mohammad Bin Salman come una pedina che può giocare liberamente su uno scacchiere vuoto. E’ possibile che entri in rotta di collisione con poteri molto forti e quindi forse la politica estera aggressiva da un lato e dall’ altro una diversificazione economica, un tentativo di modernizzazione in grado di dare all’Arabia Saudita un volto diverso potrebbero scontrarsi. Io penso che la visione economica, alla fine, prevarrà perché sostenuta da un più ampio numero di forze. In realtà me lo auguro.
Ce lo auguriamo tutti perché un’ Arabia Saudita più moderna e più aperta dal punto di vista dei diritti sarebbe auspicabile. L’ ipotesi di una NATO araba, con l’ impostazione meno morbida della politica del nuovo Principe ereditario, rimane possibile?
Fin dall’ inizio mi è sembrata un tentativo di rendersi più autonomi rispetto a quelli che sono gli scacchieri multilaterali, quasi un retaggio dell’ era Obama, così da rendersi più indipendenti dagli USA, dalla NATO, quale simbolo dell’ egemonia occidentale. Proprio per come va la situazione all’ interno del Golfo nelle ultime settimane, non vedo come questa ipotesi possa trovare una realizzazione concreta.