Tra Venerdì 7 e Sabato 8 si è tenuto, ad Amburgo, il G20, al quale hanno partecipato i presidenti e i capi di governo delle 20 nazioni più potenti del globo. A fare la padrona di casa, la Cancelliera Angela Merkel che ha accolto, tra gli altri, il Presidente americano Donald Trump e il Presidente russo Vladimir Putin. Il G20 si è trasformato, dunque, nello sfondo di un incontro atteso da mesi: è stato infatti il primo faccia-a-faccia tra il nuovo inquilino della Casa Bianca e il capo del Cremlino.
A rendere l’incontro ancor più delicato vi erano le tante e importanti questioni sul tavolo, molte delle quali oggetto di discussione del G20. Tra le altre, sicuramente la crisi mediorientale: il caos che domina la Siria di Assad, dopo i 59 missili Tomahawk lanciati dalle navi americane in aprile e sulla quale è stato raggiunto, in occasione dell’incontro tra Trump e Putin, l’accordo per una tregua; l’Iraq, dopo la riconquista di Mosul e l’indebolimento sul campo dell’IS che rimane, però, pur sempre una minaccia a cui bisogna far fronte, anche considerando i possibili attacchi terroristici da parte dei ‘lupi solitari’. Senza tralasciare la frattura diplomatica tra Qatar e Arabia Saudita che certamente ha contribuito a rendere più instabili i già precari equilibri del medioriente, inasprendo il contrasto tra il mondo sunnita e quello sciita e rendendo sempre più essenziale il dialogo tra coloro, ossia Stati Uniti e Russia che, tra gli interessi propri e quei dei propri alleati regionali, tirano le fila di uno scenario così complesso.
Ma, altrettanto centrale nel confronto, la questione della Crimea con tutti i suoi risvolti politico-militari: risale a qualche settimana fa, infatti, l’escalation delle ostilità tra la NATO e la Russia in corrispondenza dell’area baltica, al confine est dell’Europa. Molto duro era stato, a tal proposito, Donald Trump nel suo discorso a Varsavia, il giorno prima del vertice di Amburgo, rispetto al comportamento della Russia nella regione, definendolo «destabilizzante». «Noi sapremo risponderle» aveva aggiunto il Presidente Trump, ribadendo l’attenzione che tanto gli Usa quanto la NATO rivolgono all’area orientale dell’Europa, a partire dalla Polonia e dalle Repubbliche baltiche fino all’Ucraina, dove la situazione è ancora lontana da una pacificazione definitiva.
A questo riguardo, il Segretario di Stato americano Rex Tillerson, ha affermato: «Sono stato molto chiaro nella mia discussione con il Governo russo, in più di un’occasione, riguardo alla necessità per la Russia di fare i primi passi verso la normalizzazione della situazione nell’Ucraina orientale, in particolar modo riguardo al rispetto del ‘cessate il fuoco’».
Si tenga conto, inoltre, che sono ancora in vigore, tra l’altro prorogate dall’Unione Europea fino a gennaio 2018, le sanzioni economiche contro la Russia e sulle quali, ha detto Trump, «nulla sarà fatto fino a che i problemi di Ucraina e Siria non saranno risolti»
Proprio dai suoi rapporti con la Russia, si sono originati i primi guai giudiziari del nuovo inquilino della Casa Bianca. L’accusa rivolta alla Russia di intromissioni nello svolgimento delle elezioni presidenziali, l’esplosione del Russia-gate, la defenestrazione del capo dell’FBI, James Comeydopo quella del Consigliere per la Sicurezza Nazionale Flynn, il coinvolgimento del genero Jared Kushner e del figlio influenzano, certamente, la modalità con cui Trump affronta il tema Russia e i rapporti con Mosca.
Come ha riconosciuto Vladimir Putin, in una conferenza stampa a seguito del colloquio con il suo omologo americano, «penso che la posizione [americana]sia diventata più pragmatica». L’intento di Trump sembra quindi quello di discutere nel merito le singole questioni, calibrando il grado di cooperazione con il Cremlino, a seconda dei contesti.
A tutto quanto detto finora, va aggiunto il contesto internazionale che vede un rafforzamento dell’asse Berlino-Mosca, dopo l’appoggio di Putin incassato da Angela Merkel sul dossier commerciale e su quello climatico-ambientale, temi su cui la sintonia tra Europa e Stati Uniti non è più così scontata e un rinsaldamento del rapporto Mosca-Pechino, rendendo entrambi sempre più protagonisti dell’Asia e non solo.
Circostanze queste che non lasciano indifferente l’Amministrazione Trump. Ma fino a che punto? Quale strategia viene applicata da Washington nei confronti di Mosca? Abbiamo cercato di rispondere a questi interrogativi con l’aiuto del Professor Daniele Fiorentino, docente di Storia e Istituzioni degli Stati Uniti d’America presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Roma Tre.
«Penso che la posizione [americana]sia diventata più pragmatica. Non sembra essere cambiata drasticamente [rispetto all’Amministrazione Obama], ma capiamo entrambi che possiamo ottenere molto unendo le forze». Questo il commento del Presidente russo in seguito all’incontro con Donald Trump. Rispetto ai rapporti con la Russia, quale linea sta adottando l’Amministrazione Trump?
Trump non ha una linea definita e chiara e questo emerge chiaramente da quanto sta facendo. Verso la Russia Trump ha un problema che è quello delle intercettazioni, delle mail. Deve tenere, quindi, un profilo basso da una parte, ma dall’altra deve trovare un interlocutore che lo comprende. In realtà, un cambiamento rispetto all’Amministrazione Obama c’è stato ed è evidente. Putin non può giocare la sua carta con Trump così chiaramente. Ma in fondo abbiamo due interpretazioni del nuovo populismo che in qualche modo si parlano. E da questo punto di vista io credo che l’Amministrazione Trump abbia intenzione di dialogare con la Russia, almeno questa è la sensazione che emerge dalle reazioni che hanno avuto i protagonisti, dal fatto che il colloquio sia durato così tanto ed evidentemente ha contato la circostanza per cui sono stati trattati alcuni tra i temi più scottanti di questo momento, in particolar modo quello della Siria, quello del rapporto con l’Europa e con la Cina. Il problema vero dell’Amministrazione Trump è che noi non riusciamo a capire veramente qual è l’orientamento: sicuramente gli interessi degli Stati Uniti ed in questo si capisce con la Russia perché è la stessa linea adottata da Putin e credo che in futuro avranno sempre più possibilità di dialogare.
Poche ore prima dell’inizio del G20, Trump, in visita a Varsavia, aveva detto che la Russia «ha un comportamento destabilizzante, noi sapremo risponderle». Questo vuol dire che c’è, comunque, di fondo, l’intenzione di valutare il grado di cooperazione a seconda dei diversi contesti?
Io penso di sì. L’approccio di Trump è piuttosto erratico e quindi si può permettere di dire tutto e il contrario di tutto perché i suoi elettori, la sua base, vede questo atteggiamento come la modalità attraverso cui gli Stati Uniti si smarcano da impegni come quello con l’Europa e ritornano a dialogare con l’interlocutore forte che è la Russia di Putin. In questo senso, da una parte, quando parla delle intromissioni indebite della Russia, parla al suo elettorato, dall’altra, però, il suo dialogo con Putin c’era e rimane, comunque, un punto fermo. Mi sembra ci sia un riavvicinamento nell’aria, ma non si può permettere, anche in virtù del Russiagate, di rendere il tutto così scontato.
«Nulla sarà fatto fino a che i problemi di Ucraina e Siria non saranno risolti» ha detto Trump rispetto alle sanzioni che incombono da tre anni sulla Russia. Secondo lei è possibile che la nuova Amministrazione americana riesca ad usare la leva delle sanzioni per riportare la Russia ad un atteggiamento più morbido?
Credo che, da questo punto di vista, la prospettiva sia proprio quella. Certo è che, così come la questione mediorientale, anche la questione ucraina non può essere risolta se non si tiene conto che la politica di Trump è una politica molto realista che gli consente di dire una cosa il giorno prima a Varsavia e il giorno dopo una cosa diversa. Trump si muove in modo più libero ed è quello che si è visto fin dal primo momento, quando ha cercato di smarcarsi dai pilastri occidentali Nato ed Europa.
L’incontro sembra essere stato molto proficuo: è stata, infatti, decisa la tregua in Siria. Pensa che questa tregua reggerà, riuscendo a tener conto anche degli interessi dei propri alleati?
Difficile a dirsi perché ci sono troppe variabili da considerare così come troppi interessi. Non so fino a che punto potrà reggere, ma certamente il dialogo, se ci sarà, sarà decisivo. Bisognerà anche vedere come andrà a finire la crisi diplomatica del Qatar. In questo senso la svolta di Amburgo è positiva perché se la Russia e l’America tornano a dialogare è meglio per tutti.
L’impegno della NATO in Europa dell’Est è una delle ragioni dell’attrito tra Mosca e Washington. E’ in corrispondenza dell’Europa orientale che si registrano le maggiori criticità tra Usa e Russia?
E’ un teatro complesso quello ucraino che deve essere analizzato con attenzione. Il gioco di Trump sarà certamente quello di rendere più deciso l’impegno degli Stati Uniti nella difesa del confine est dell’Europa, anche perché, non va dimenticato, che risponde anche al suo elettorato, a quella parte di America che lo ha votato, che ha creduto nello slogan ‘Make America great again”, di un’America ‘first’ che torna ad essere più protagonista nei diversi scenari. Di sicuro un maggiore dialogo con la Russia può limitare le conseguenze.
La cancelliera Merkel ha incassato l’appoggio di Putin sulla questione climatica e su quella commerciale. Questa sintonia Merkel-Putin così come la rinnovata asse Mosca-Pechino non sono rischiose per Trump?
Direi piuttosto che la relazione tra Trump e la Germania è complessa perché è complicato il rapporto tra i due protagonisti principali, il Presidente americano e la Cancelliera, e soprattutto tra il primo e quell’Europa considerata un dominio della Germania. In quest’ottica, ci può essere un avvicinamento, per motivi economici, della Germania alla Russia, ma ciò non toglie che, a mio avviso, una politica realista, come quella di Trump, non possa prescindere dal considerare l’Europa un punto fermo da dover tener presente. D’altro canto, per quanto riguarda la Cina, occorrerà anche tener conto di come e se quest’ultima riuscirà a controllare la Corea del Nord per capire quale ruolo avrà nello scenario internazionale. Non va dimenticato che la Cina tiene molto ad avere il controllo del Mar Cinese Meridionale, molto importante dal punto di vista economico.
Dovendo fare un bilancio del G20 e del primo incontro tra Donald Trump e Vladimir Putin, la prospettiva che ne deriva è positiva, di apertura al dialogo?
Sì, quella di Amburgo è, secondo me, una svolta positiva, che porta, se non al dialogo, all’inizio di un dialogo che sarebbe molto importante. La mia visione è quella di un rinnovato rapporto tra Russia e Stati Uniti, con la Germania e la Cina come partners. Riusciremo a comprendere meglio il tutto di qui alla fine dell’anno, da come si svilupperanno la questione della Corea del Nord, la questione ucraina e quella mediorientale.