La regione della Palestina è sempre stata una giungla geopolitica per Israele.  Proprio ai primi di giugno si sono ricordati i 50 anni dalla Guerra dei Sei Giorni che ha inaugurato una stagione dolorosa per il popolo ebraico che non sembra ancora finita. Sempre in questo periodo lo scenario mediorientale è stato segnato da una profonda crisi che ha coinvolto l’ Emirato del Qatar, un attore non secondario, tenendo conto la sua posizione geografica.

La rottura, a livello diplomatico, è stata originata dall’accusa rivolta al Qatar da alcuni Paesi del blocco sunnita, con l’Arabia Saudita in testa, di finanziare tutte quelle organizzazioni terroristiche che destabilizzano la regione, Isis e Hamas in particolare. Nel corso delle ultime settimane si è venuta acuendo una crisi tra lo Stato Ebraico e la Striscia di Gaza controllata dai Palestinesi che ha provocato la riduzione della fornitura di energia elettrica da parte di Israele alla piccola enclave.

Lo Stato Islamico che da tempo ha iniziato a perdere terreno rispetto alla coalizione anti-Is ha messo a segno un primo attentato in Israele circa una settimana fa. Hamas, invece, è da sempre l’organizzazione terroristica palestinese che combatte contro Israele per conquistarsi una propria entità territoriale.

Non è di secondaria importanza il primo viaggio all’estero del Presidente americano Donald Trump, il quale, dopo aver incontrato il Re saudita Salman e aver firmato con lo stesso un accordo di vendita di armi miliardario, si è recato in Israele dove ha rinsaldato il legame, leggermente sbiadito durante la Presidenza Obama, tra l’ America e lo Stato Ebraico. Proprio oggi , in occasione dell’ incontro tra il primo ministro israeliano Netanyahu e il genero di Trump, ebreo, Jared Kushner,  il primo ha dichiarato che «questa è una opportunità per arrivare ai nostri obiettivi comuni di sicurezza, prosperità e pace». In questo senso, proprio in occasioni della crisi diplomatica di cui il Qatar era protagonista, Israele si è schierato immediatamente a favore del blocco saudita, a cui lo Stato Ebraico, nel corso degli ultimi mesi, si è avvicinato progressivamente.

Il Ministro della difesa israeliano Avigdor Lieberman ha dichiarato, in quest’ottica,  che questa crisi potrebbe essere un’ «opportunità» per il piccolo Stato Ebraico di avvicinarsi ai paesi arabi più moderati. Rimane infatti sempre viva la minaccia da parte del nemico comune anche all’ Arabia Saudita e cioè l’ Iran che gioca sicuramente un ruolo fondamentale in diversi teatri, come quello siriano.

Insomma, la situazione di Israele non è semplice, ma, potrebbe avere in questa crisi, una chance di miglioramento. Per comprendere meglio la questione, abbiamo chiesto a Kobi Michael, esperto dell’ Institute for National Security Studies di Tel Aviv.

Secondo lei, questa crisi tra Qatar e Arabia Saudita potrebbe essere, come ha sostenuto fin da subito Liebermann, «un’opportunità» per Israele per migliorare i suoi rapporti con il mondo arabo, in particolare il mondo sunnita?

Qualsiasi progresso con l’Arabia Saudita non permetterà né favorirà di per sé il progresso con l’ intero mondo arabo perché tutti vedono cosa l’Arabia Saudita stia per fare per andare verso una normalizzazione. L’Arabia Saudita darà il consenso per normalizzare le relazioni con Israele e  solo allora gli altri paesi arabi, o meglio gli stati arabi più pragmatici, seguiranno l’Arabia Saudita in questa azione. Per questo, è molto importante per Israele perché l’Arabia Saudita svolge un ruolo cruciale.

 Quanto influisce in questo processo di miglioramento dei rapporti con i Paesi sunniti l’ opposizione all’ Iran e rimane una minaccia per Israele?

L’Iran è il grande spoiler della regione. L’Iran svolge un ruolo molto negativo in realtà. Usa una strategia per sconvolgere la parte moderata e pragmatica della regione araba e tenta di estendere l’influenza egemonica nella regione. In realtà, controllano da Beirut in Libano a Damasco in Siria e in Iraq e nello Yemen e cercano di aprire nuovi fronti vis-a-vi con lo stato d’Israele e nuovi fronti vis-a-vi con l’ Arabia Saudita. L’ Iran sta giocando un ruolo molto significativo, in senso negativo. Destabilizza la regione. l’Iran è ancora una grande minaccia strategica immediata specialmente alla luce di quello che sta avvenendo in Siria, dove sta progressivamente allargando la propria influenza. 

Il viaggio di Donald Trump, che non ha nascosto la sua insofferenza verso la Repubblica Islamica, ha segnato l’ inizio di una nuova era per il Medioriente? E per Israele?

Sì, la visita di Donald Trump è stata molto efficace perché in realtà le implicazioni di questo hanno portato effetti positivi: in primo luogo, il miglioramento delle relazioni tra Israele e il campo sunnita guidato dall’Arabia Saudita. Secondariamente, nel processo politico dei palestinesi. In terzo luogo, un rafforzamento dei rapporti tra il popolo ebraico e quello americano. Si tratta sicuramente di una svolta positiva, più attiva che viene dopo una Presidenza, quella Obama, in cui l’ Iran ha migliorato la sua posizione nel medioriente. Potrebbe essere l’ occasione per raggiungere la pace.

L’ accusa rivolta all’ Emirato del Qatar è quella di sostenere organizzazioni terroristiche che destabilizzano la regione. Tra queste vi sarebbe anche Hamas.  Resta sempre forte, ancora oggi, la minaccia terroristica di Hamas?

L’ISIS non è più così forte come si credeva all’inizio. Stanno iniziando a perdere a Mosul e Raqqa, ma l’ideologia e la motivazione sono ancora forti. Ma Israele non è un bersaglio per Isis, cioè lo è, ma nel senso che fa parte della lunga lista di infedeli che l’ Isis vuole combattere.Per quanto riguarda l’Hamas, proprio in questi giorni a Gaza è in corso una crisi per quanto riguarda l’ elettricità e non è esclusa la guerra. Anche se va ricordato che si sta avvicinando ad Hamas l’ Egitto che potrebbe diventare il fornitore di energia della Striscia di Gaza.

Quanto conta, nella lotta al terrorismo che Israele combatte da sempre, l’ intelligence?

Direi che svolge un ruolo molto importante. Sfortunatamente si può fare solamente prevenzione, ma fino ad un certo punto. Il radicalismo rimane molto difficile da combattere soprattutto quando non si ha esperienza. In questo Israele, purtroppo, ne ha, ma non sempre è sufficiente.  Sicuramente la sua lotta per la sopravvivenza ha portato lo Stato Ebraico a raggiungere ottime performance in questo settore.I paesi Europei così come la Cina, l’ Australia sono tutti paesi che oggi si trovano a combattere una guerra per certi versi non ordinaria.  

E’ remota, secondo lei, la possibilità che la crisi tra Qatar appoggiato dall’ Iran e Arabia Saudita degeneri in un conflitto?

Non sono sicuro che la probabilità di un violento scontro armato tra Arabia Saudita e Iran sia tanto elevate. Ma è possibile che vengano ad essere più aspri i vari conflitti indiretti che li vedono protagonisti come ad esempio in Siria o in Yemen.