In questi giorni sono in corso le celebrazioni per una ricorrenza molto importante per l’ Unione Europea: i 60 anni dalla firma dei Trattati di Roma. Il 25 marzo 1957 i capi di stato e di governo di sei paesi (Belgio, Olanda, Lussemburgo, Italia, Francia, Germania) siglarono a Roma, nello stesso momento, due dei tre trattati fondativi dell’ Unione europea: il trattato che istituisce la Comunità economica europea (CEE) e quello che istituisce la Comunità europea dell’ energia atomica (TCEEA) che si aggiungono al trattato del 1951 costitutivo della comunità europea del carbone e dell’ acciaio (CECA).
In questo tipo di occasioni, quando il tempo trascorso è stato lungo e i cambiamenti intervenuti sono stati tanti, è opportuno, forse, fare il punto della situazione. Il 2016 si è concluso con l’ elezione alla Casa Bianca di nuovo Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, evento, questo, preceduto di pochi mesi, dalla vittoria per il LEAVE al referendum britannico sulla BREXIT. Dal 1957, grazie all’ Unione Europea, non vi sono state guerre, ha regnato la pace, ma il mondo è molto cambiato e occorre prenderne atto.
Proprio ieri, durante un discorso tenuto alla Camera dei Deputati di fronte alle camere riunite, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarellaha dichiarato: «Oggi l’Europa appare quasi ripiegata su se stessa. Spesso consapevole, nei suoi vertici, dei passi da compiere, eppure incerta nell’intraprendere la rotta. Come ieri, c’è bisogno di visioni lungimiranti, con la capacità di sperimentare percorsi ulteriori e coraggiosi».
Di qui la necessità di andare in profondità, tentando di riavvicinare agli ideali di Ventotene i cittadini europei, sempre più scoraggiati e disamorati del progetto europeo. Tra alti e bassi, tra momenti di stallo e momenti di azione, l’ Unione Europea esiste ancora. Occorre dunque avviarsi nella comprensione di ciò che funziona e ciò che non funziona, partendo dai fatti, ma non tralasciando i valori politici e democratici che da più di duemila anni fanno dell’ Europa “la culla della civiltà”.
E’ importante farlo, soprattutto adesso, che i populismi dilagano, tentando di prendere potere con ricette semplicistiche, e adesso che i nazionalismi sembrano rinvigoriti, dopo più di settant’anni di pace. Circa una settimana fa, si sono svolte le elezioni olandesi, conclusesi con la vittoria del presidente uscente Mark Rutte, ma con un importante risultato per il partito anti-europeista. Tra poco più di un mese si terranno le elezioni francesi e ci si domanda, con una certa inquietudine, quale potrebbe essere il destino dell’ Europa qualora all’ Eliseo arrivi Marine Le Pen. Da non tralasciare la sfida della sicurezza che in queste ore, soprattutto dopo l’ ennesimo attentato, questa volta a Londra, mette in allerta le autorità italiane in vista della manifestazione di sabato 25 marzo. Questi timori, passati e futuri, dovrebbero essere il campanello d’ allarme che ci richiama alla responsabilità di una riflessione.
Per farla noi ci siamo confrontati con uno dei massimi esperti di Unione Europea, Sergio Fabbrini, professore di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali e Direttore della Scuola di governo alla Luiss Guido Carli di Roma, oltreché editorialista del Sole 24 Ore e saggista. È di questi giorni, infatti, la pubblicazione di un suo libro intitolato “ Sdoppiamento” edito da Laterza, nel quale Fabbrini si interroga su un “sistema della politica” quale è l’ Unione Europea, producendone un’ analisi puntuale.
Poco più di un mese fa, la cancelliera Angela Merkel, ha iniziato a parlare di “Europa a diverse velocità”, che come ha sostenuto Garton Ash, è «come un’ aspirina per curare una polmonite». Perché, secondo il suo punto di vista, la crisi europea si accompagna ad una tirannia dell’ ambiguità? Già esiste questa “Europa a diverse velocità”? In che senso occorre uno “sdoppiamento”?
Uscita da un consiglio europeo che si è tenuto a Malta, la quale è attualmente alla presidenza semestrale dell’ Unione Europea, la Merkel ha fatto capire che a Roma bisognava fare qualcosa di importante per i 60 anni. Però la sua proposta che nasce probabilmente da una discussione interna al governo tedesco, sentendo i paesi più importanti, dice tutto e non dice niente. Di qui la critica dell’ ambiguità che argomento a lungo anche nel mio ultimo libro “Lo sdoppiamento”. In realtà l’ Europa è già oggi a più velocità, è un’ Europa che ha differenziato regimi di politiche pubbliche tra i diversi paesi. Dei membri dell’ Unione Europea, che erano 28 fino a poco tempo fa ed ora sono 27, solamente 22 sono nell’ area di Schengen e diciamo che ci sono delle cooperazioni rafforzate per quanto riguarda, ad esempio, i brevetti oppure per quanto riguarda il riconoscimento del divorzio, diverse iniziative nel campo della difesa che vedono coinvolti alcuni paesi e non altri. Quindi dire “Europa a diverse velocità” è scoprire l’ acqua calda perché, in realtà, l’ Europa sta già differenziandosi. In più, quella formula è ambigua anche perché allude al fatto che gli stati membri dell’ Unione Europea vadano nella stessa direzione, abbiano la stessa finalità, tuttavia la raggiungano con velocità diversa: ciò che li differenzia, secondo questa formula, è il tempo del percorso, non già la direzione del percorso. La mia analisi è invece tesa a mostrare che, invece, l’ Europa non è tanto “diverse velocità” quanto “diverse finalità” e questa Europa “a diverse finalità” significa che ci sono delle prospettive diverse da parte degli Stati membri rispetto al processo di integrazione.
Sarebbe pericolosa se queste due velocità divenissero «club»?
Certamente perché la formula finisce per lasciare le cose così come stanno e contemporaneamente questa formula rende ancor più complicata l’ interpretazione dell’ Unione Europea. La formula dice che “se ci sono alcuni paesi che possono fare questa politica andate avanti, poi se c’è un altro gruppo che può fare quest’ altra politica andate avanti” ottenendo come risultato che, alla fine, la differenziazione all’ interno dell’ Unione Europea finisce per destrutturare l’ Unione Europea perché i cittadini non sanno più chi fa che cosa, chi decide quelle politiche. Sia nei miei articoli sia nel libro sostengo che l’ Unione Europea non è un’ organizzazione internazionale come il WTO, ma è un sistema politico che è stato costruito per rispondere, anche, a delle esigenze di democrazia. C’ è un problema di legittimazione che non può essere trascurato per premiare solamente gli aspetti funzionali della consegna, del “delivering” per i beni pubblici.
E’ per questo che dico che bisogna passare dalla differenziazione allo sdoppiamento: perché dobbiamo pensare che dentro al mercato comune, diventato mercato unico, è necessario che un gruppo di paesi, io immagino che siano i paesi dell’ Eurozona, che sono insieme nell’ Eurozona, insieme in Schengen, che sono insieme in quasi tutte le iniziative differenziate, si separino dagli altri, pur rimanendo nel mercato unico, dando vita ad un’ unione federale, la quale si connota per poche politiche perché l’ unione federale non è uno stato e quindi deve lasciare allo stato nazionale tutte quelle politiche che sono rilevanti per lo stato nazionale. In queste politiche però non ci sono opt-out, ma bisogna fare tutto. A questo punto io sono in grado come cittadino italiano, tedesco o maltese di capire chi ha fatto che cosa e sono poi in grado di dare un giudizio politico o elettorale sulle autorità politiche che hanno fatto quelle scelte.
Quindi c’è bisogno che ci sia la responsabilità politica di ciascuno di coloro che prendono le decisioni?
La differenziazione finisce per creare una confusione sulle responsabilità: ora i cittadini non sanno chi prende le decisioni per il WTO, ma si giustifica sulla base di criteri funzionali, mentre l’ Unione Europea non può basarsi solo su criteri funzionali. Anche perché quelle scelte, a differenza delle organizzazioni internazionali, incidono direttamente sulla vita dei cittadini. Se io faccio l’ unione bancaria, non posso poi giustificarla dicendo che è stata fatta da tecnocrazie, ma devo dire chi ha fatto quella scelta, chi è il responsabile politico di quella scelta che ha azzerato il mio risparmio in una banca italiana. E’ una diversa logica.
Ed è in questo senso che si consuma l’ allontanamento dalla politica?
Esatto.
Proprio parlando di tentativi di integrazione, nel 2004 venne firmata a Roma la Costituzione frutto della Convenzione Europea, presieduta da Valery Giscard d’ Estaing, ma in seguito bocciata da Olanda e Francia. Condivide quanto affermato proprio da Valery Giscard d’Estaing in una recente intervista e cioè che è stato un errore portare l’ UE a 28 paesi? Perché?
E’ evidente che la logica di un politico sia diversa da quella di uno studioso. Diciamo che l’ orientamento in cui va Giscard d’ Estaing è incredibilmente vicino al mio orientamento. Io penso che Prodi sia stato mosso da una motivazione di tipo ideale molto forte e molto encomiabile e cioè di chiudere con la Guerra Fredda, però, contemporaneamente, questa inclusione degli stati dell’ Europa dell’ Est dell’ Unione Europea è stata secondo me irragionevole. In particolare è stata irragionevole l’idea di coinvolgere quegli stati che ancora non erano membri dell’ Unione Europea nella Convenzione di Bruxelles, presieduta da Giscard d’ Estaing con Vice-presidente Giuliano Amato, che ha dato vita al Trattato Costituzionale, firmato a Roma e poi bocciato in Francia e in Olanda per la paura che quel trattato portasse i famosi “idraulici polacchi” a lavorare in Francia con salari più bassi. Ma quel trattato costituzionale doveva esser fatto dai paesi che facevano parte dell’ Unione Europea e poi una volta che questi paesi che avevano dato vita all’ Unione Europea avessero definito le loro regole costituzionali, solo a quel punto si sarebbe dovuto dire agli altri paesi che poi sono entrati nel 2005, un anno dopo la firma del trattato a Roma, e nel 2007 che se volevano entrare, c’ erano delle condizioni. Ma loro stessi, a loro volta, sono entrati con delle ambiguità: sono entrati in un’ Unione Europea che chiedeva di andare verso il superamento delle sovranità nazionali almeno in ambiti importanti, pensando, invece, di preservare la loro sovranità nazionale. E quest’ ambiguità non poteva funzionare. E’ per questo che penso che dovremmo, in qualche modo, ritornare a quel punto di partenza ed in questo ha ragione Giscard d’ Estaing, arrivare al punto in cui riconosciamo che c’è un’ Europa del mercato, c’è un’ Europa della moneta, ritornando a Maastricht; l’ Europa della moneta ha bisogno di darsi un governo, democratico, autonomo, con un proprio budget, rafforzando contemporaneamente un mercato nuovo della cooperazione con tutti i paesi europei. Ai polacchi, agli ungheresi, che dicono “ se fate questo ci escludete”, risponderei “tutt’ altro: noi rafforziamo il mercato che è quello che voi volete”.
Anche perché è soprattutto per quello che sono entrati, giusto?
Esatto. Per quello e per la Nato, per la protezione militare. Poi però contemporaneamente noi dobbiamo darci degli strumenti per fare un passo in avanti. Le dico questo perché si deve creare quella che io chiamo un’ Unione Federale e non uno stato federale. Quest’ ultimo è un errore degli europeisti e dell’ Europa e cioè quello di pensare di costituire uno stato federale europeo che si sostituisca agli stati nazionali. Non è così. Noi dobbiamo costruire un’ unione su poche politiche cercando di lasciare ai vari stati il resto delle politiche, quelle che contano per loro, e questa unione federale, e non stato federale, deve avere una sua coesione politica che è una garanzia per stabilizzare il continente. Se non facciamo questo, il nazionalismo e il sovranismo aumenterà perché l’ Europa non riesce ad andare avanti, ma non riesce ad andare nemmeno indietro. Si ritrova in una condizione di stallo. Essendo in questa condizione, è facile per il sovranista o il nazionalista di turno dire che non va bene, ma non possiamo accettare tutto questo. Non possiamo permettere ad una tecnocrazia di decidere politiche che vanno ad incidere sulla nostra vita.
Partendo dai dati di fatto, sostiene che per arrivare ad una vera Unione Federale occorra, partendo da un’analisi delle unioni federali di successo, «individuare le politiche che devono essere messe in comune separandole nettamente da quelle che dovranno rimanere (o ritornare) a livello nazionale: sicurezza, moneta e sviluppo». Come possono stati così diversi, con una storia così diversa l’una dall’altra, condividere la sicurezza comprendendo la diplomazia, la difesa, l’intelligence e il controllo delle frontiere? Si può tradurre questo obiettivo a livello istituzionale? Quali poteri dovrebbe avere il rappresentante PESC?
Se si guardano le unioni federali, gli esempi riusciti degli Stati Uniti e della Svizzera, hanno i cosiddetti “ sistemi multilivello”: gli stati hanno i loro organi di difesa, ma poi vi è un livello più alto che è un sistema di difesa comune. Tenga presente che gli Stati Uniti sono arrivati ad avere un dipartimento di difesa comune, il Pentagono, dopo la seconda guerra mondiale, ad un secolo e mezzo dalla nascita della Repubblica dell’ Unione federale. Devo dire che questo è, forse, uno dei punti meno controversi perché con Trump alla Casa Bianca, tutti sono consapevoli di non poter più fare affidamento sulla benevola protezione americana e quindi quello che immagino è che invece di avere, all’ interno di questa unione fatta dai 19 stati che compongono l’ Eurozona, invece di avere 19 eserciti, 19 intelligence, 19 industrie della difesa, ci fosse una razionalizzazione così da avere una struttura militare agile di difesa europea con uno stato maggiore europeo, così come già abbiamo avviato con l’ European External Action Service, un corpo diplomatico europeo, così come in parte abbiamo iniziato a fare con la Guardia Costiera Europea. Credo che il livello nazionale debba avere le sue strutture perché ha dei problemi specifici, ma dobbiamo costruire una struttura leggera ma al di sopra del livello nazionale, che abbia una sua autonomia. Gli stati nazionali mantengono un proprio sistema di intelligence, ma noi abbiamo bisogno di un FBI. L’ FBI non ha sostituito le intelligence dei singoli stati dell’ Unione federale americana, ma ha una sua autonomia e dà la caccia ai criminali che si muovono tra gli stati, mentre, ovviamente, l’ intelligence dei singoli stati non può avere un carattere trans-statale nella caccia, ad esempio, di criminali. In altri termini, noi dobbiamo avere un modello in cui non dobbiamo svuotare gli stati, ma dire esattamente cosa può fare uno stato e cosa no e che gli stati non possono fare da soli. Ma se io costruisco una struttura così, devo avere poi qualcuno che sia responsabile politicamente e allora a quel punto Federica Mogherini non avrebbe più questo ruolo ambiguo: lei dovrebbe essere membra di un governo con un’ autorità politica; questo governo, anche a due teste, con un’ elezione democratica. Come studioso indico delle strade, ma poi sono i politici a doverne pensare l’ applicabilità. Quello che è decisivo è che ci sia un governo democratico, responsabile politicamente di quel corpo diplomatico, di quel sistema di difesa.
Sempre rimanendo nell’ ambito della sicurezza, l’ UE ha avuto, sotto questo aspetto, una storia lunga. Si pensi al fallimento, nel 1954, della CED, come da lei ricordato, a causa del rifiuto francese. Solo il fattore NATO – America ha fatto sì che l’ UE non lavorasse in questo senso?
La protezione NATO emerge con il fallimento della CED del 1954. La Germania entra nella NATO nel 1956. I francesi bocciarono la CED sempre per ragioni interne così come hanno fatto per il Trattato costituzionale del 2005. Quello che io penso è che non possiamo andare avanti con questo stop and go: occorre che tra alcuni paesi che capiscono la gravità della situazione ci sia un accordo politico, quello che io chiamo un “political compact” e questi paesi decidono di definire le politiche da fare.
Secondo lei, dunque, quello che lei ha definito “accerchiamento dell’ UE” operato da Trump e Putin, può essere un catalizzatore per la condivisione della sicurezza?
Sì. Probabilmente quello che è più rilevante è la minaccia di rimanere da soli. Brexit ci ha tolto un valido supporto militare come la Gran Bretagna. Trump ci ha detto che lui sta con noi solo a condizione che noi ci facciamo maggior carico della difesa. Putin ci ricorda ogni giorno che è contento di avere un ‘ Europa divisa perché più l’ Europa è divisa più aumenta, di nuovo, la sua influenza sull’ est Europa.
A dover rientrare nella sfera delle competenze europee, vi dovrebbe essere anche la moneta, a cui andrebbe aggiunta la politica fiscale, di bilancio ed infine il settore sviluppo. Bisogna dunque definire una volta per tutte la differenza tra l’ Eurozona e chi ne rimane fuori e quindi basare su questa unione monetaria la vera UE?
Il ministro delle finanze europeo deve gestire il bilancio europeo, non venire a dire agli italiani cosa devono fare. Deve essere il ministro delle finanze europee nel senso che devono esistere delle finanze europee. Ma non che si faccia, come dice Shauble, un ministro delle finanze europeo che supervisiona le finanze dei singoli paesi. Anche perché l’ Europa viene poi vista dagli italiani, dai francesi e da tutti gli altri cittadini come tecnocrazia, matrigna, come la maestrina che dice cosa si deve fare.
Spostandoci a livello istituzionale, al centro del meccanismo europeo vi sono il Consiglio Europeo, la Commissione Europea e il Parlamento Europeo. Per quanto riguarda il primo, lei lo ha identificato in un “elefante”. Perché? Cosa andrebbe modificato per renderlo più efficiente? In questa mancanza di efficienza, quanto hanno contato gli “interessi personali” , di consenso personale oltre che uno sguardo eccessivo alle scadenze elettorali dei membri del Consiglio Europeo?
La mia proposta è di creare, per prima cosa, un sistema di separazione dei poteri. La mia critica è che l’ idea di costruire un governo parlamentare in Europa è un ‘idea sbagliata perché il governo parlamentare funziona quando c’è un’ omogeneità tra le diverse componenti di quell’ organizzazione politica. In Europa, se il Parlamento è l’unica istituzione che conta per prendere decisioni di governo, dobbiamo ricordare che c’è Malta con 400.000 abitanti e la Germania con 82 milioni e nel Parlamento europeo la prima ha 6 rappresentanti e la seconda può arrivare fino a 96. Ora in questa situazione, per quale ragione gli stati piccoli dovrebbero stare dentro un’ Unione in cui comandano gli stati grandi? Questa è la ragione per cui dico che anche l’ elezione diretta è scivolosa perché nell’ elezione diretta dove contano i cittadini, i cittadini di Malta che votano sono 400.000 mentre in Germania sono più di 80 milioni e quindi è evidente che il peso dei secondi è superiore al primo. Mi rifaccio alla soluzione di James Edison per la stesura della seconda costituzione americana in cui ha creato per la prima volta nella storia della democrazia occidentale l’idea che i poteri separati si possono contrare l’un l’altro maggiormente e spero che continui ad avvenire così anche adesso con Trump. Dopo aver separato il legislativo dall’ esecutivo, un esecutivo guidato dal presidente della commissione o dal presidente del consiglio europeo oppure guidato da entrambi, scegliendo una soluzione sulla base delle convenienze. Io penso sia più probabile un esecutivo a due teste in cui c’è un presidente del consiglio europeo che rappresenta l’ Unione e un presidente della commissione che diverrebbe una sorta di primo ministro, come avviene in Francia, nell’ esecutivo duale francese. Questo è un problema di politica. Occorre valutare sulla base della disponibilità degli Stati. Occorre capire, però, che questo esecutivo non deve essere prigioniero della fiducia del parlamento né il parlamento deve essere obbligato a dare fiducia, altrimenti anch’ esso è costretto a sciogliersi. Più sono separati e più si controllano.
Poi la Commissione Europea. Nel “libro bianco” presentato dalla Commissione Europea di Jean – Claude Junker, si afferma che la «forma seguirà la funzione», illustrando diversi “scenari possibili”. Di fronte a questo, Lei ha sostenuto che la commissione sia prigioniera di una “doppia gabbia”. Quale? Come può liberarsi da questa “doppia gabbia”?
La Commissione Europea deve diventare, come in Francia, il primo ministro francese, colei che guida la macchina amministrativa e copre il funzionamento della macchina amministrativa. L’altra faccia dell’ esecutivo dovrebbe essere rappresentata dal Presidente del Consiglio europeo. Questo presidente della Commissione dovrebbe essere eletto da collegi elettorali come in America, in cui il presidente è eletto da dei rappresentanti. La doppia gabbia rimanda al fatto che essa si sente depositaria del fatto che l’ Europa deve andare unita, insieme a tutti e 27, una visione rigidissima unitaria, ma invece dovrebbe prendere atto che nell’ Unione ci sono diverse prospettive. Infatti mi sarei aspettato che nel libro bianco l’ UE presentasse delle proposte per superare tutto questo. In secondo luogo, più l’UE ha questa visione, più il sistema diventa rigido perché voglio tenere tutti insieme, ma siccome quello che pensa Victor Orban è molto diverso da ciò che pensa Angela Merkel, allora ho costruito un sistema di regole così rigide che mi impedisce di fare delle scelte.
Quindi la Commissione diventa un “ibrido”?
Esatto, cioè non sa cosa deve fare. La commissione dovrebbe diventare un laboratorio di progettazione del futuro, funzione che oggi viene fatta da Mario Draghi, dalla BCE. Gli interventi più strategici oggi sono i discorsi di Draghi e non quelli di Junker. Draghi, in questo senso, è molto più libero di riflettere sul futuro dell’ Unione Europea di quanto non lo sia Junker.
Un altro elemento da aggiungere all’analisi è che «nell’ Eurozona il populismo è diventato sempre più nazionalista, mentre fuori dall’ Eurozona è stato il nazionalismo a diventare sempre più populista». Perché questa differenza? Come si può respingere queste istanze “sovraniste”?
E’ possibile combattere il nazionalismo e il sovranismo tramite un cambio delle istituzioni. Il nazionalismo populista e il populismo nazionalista non capiscono che non si possono fare politiche nuove con istituzioni vecchie. Bisogna avere il coraggio di mettere mano ai trattati e di capire come cambiare questi trattati. La natura di questa differenza sta nel fatto che i paesi dell’ est hanno riscoperto il nazionalismo come fonte della loro identità nazionale però le nuove forze polacche o quella di Orban hanno trasfrormato il nazionalismo in nazionalismo populista contro la tecnocrazia di Bruxelles. Nel nostro caso, invece, il nazionalismo non è stato mai una forza rilevante come in Francia. Lo shock della seconda guerra mondiale ha fatto sì che noi tenessimo un po’ sotto traccia il nazionalismo. Da noi è stato molto più populismo, ma ad un certo punto il populismo, nella sua carica, ha trovato nel nazionalismo una giustificazione stupenda.
Quale è, a suo giudizio, l’ errore più grave commesso in questi 60 anni dall’ UE, tale che non dovrebbe essere più commesso?
E’ difficile rispondere a posteriori. Secondo me a Maastricht avrebbero dovuto avere il coraggio di fare un trattato non diviso in pilastri, ma dare un’entità costituzionale e politica. Le dai una moneta comune, allora le dai un budget comune, un governo comune ed insieme a questo costruisci una politica di difesa, una politica estera.
Al referendum Brexit del giugno 2016, a vincere è stato il Sì all’ uscita dall’ UE. Secondo i sondaggi, i giovani, però, hanno votato in maggioranza per il No. Questo può far ben sperare?
Penso di sì, però è difficile dirlo perché quel referendum è stato soprattutto nazionale. I giovani sono di natura cosmopoliti. Poi ci sono i giovani esclusi, che probabilmente vivono l’ apertura come una minaccia.
Occorrerebbe però rimuovere anche i pregiudizi per costruire una vera Unione. Il ministro delle finanze olandesi, Jaroen Dijsselbloem, ha dichiarato: “I paesi del Sud spendono i soldi in donne e alcol”. Non le sembra difficile poi tendere all’ Unione se queste sono le premesse?
Questo avviene però se non riusciamo a rendere conosciuti ciò che noi facciamo e come noi ci muoviamo. Ma questo è il compito principale delle elites. Se lei ha delle elites che vengono a casa e per ogni cosa che non funziona danno la colpa all’ Europa, è evidente che così stanno segando le gambe alle sedie su cui stanno seduti.