Giorgia Meloni rinunci alla controproducente e vittimistica retorica dell’ ‘underdog’ e dia prova di creatività, inizi a elaborare proposte di pace, o quantomeno di non-guerra

 

“Macron ha indebolito l’Europa”: così la nostra Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha commentato l’improvvisa e imprevista tappa a Parigi, la sera prima dell’ultimo Consiglio Europeo, del leader ucraino Volodymyr Zelensky, per una cena organizzata in tutta fretta dal Capo dello Stato francese in presenza anche del Cancelliere tedesco Olaf Scholz.

Le ricostruzioni più accreditate – e credibili – del ‘late dinner‘ parigino, con tanto di conferimentodella Legion d’Onore all’ospite ucraino, parlano diun attacco di ‘lesa grandeur’ cagionato a Macron dall’ugualmente imprevisto invito britannico a Zelensky, già ricevuto in pompa magna nel pomeriggio dello stesso giorno da Re Carlo III e dal Primo Ministro Rishi Sunak. Invito, a dire il vero, non ingiustificato, dato che il Regno Unito è stato fin dall’inizio, nel nostro continente, il principale sostenitore di Kiev; e, soprattutto, non fa più parte dell’Unione Europea e dunque non ha alcun obbligo, neppure informale, di coordinarsi con i partner.

Così, il Presidente francese ha organizzato in tutta fretta la tappa parigina del tour europeo di Zelensky, invitandovi Scholz ma non, appunto, Giorgia Meloni. Tappa che avrebbe fra l’altro provocato il forte ritardo con cui il Consiglio Europeo è iniziato il giorno dopo a Bruxelles, con una serie di conseguenze a cascata fra cui l’impossibilità per tutti i ventisette Capi di Stato e di Governo di intervenire in plenaria e la loro conseguente suddivisione in gruppi che avrebbero avuto incontri separati con il Presidente ucraino. Meloni, inserita in una composita compagnia comprendente i colleghi spagnolo, polacco, romeno, olandese e svedese, è arrivata a sua volta a tale riunione con un ritardo probabilmente non casuale, riuscendo poi a intrattenersi bilateralmente con Zelensky soltanto per alcuni minuti, in piedi. Le brevi immagini televisive ci rimandano una premier impegnata a presentare le proprie posizioni al collega ucraino, che per tutta risposta si limita ad annuire.

Nei successivi contatti con la stampa, la Presidente del Consiglio ha poi rincarato la dose contro Macron: l’incontro parigino a tre è stato inopportuno e motivato da semplici considerazioni di politica interna; se Meloni fosse stata invitata non solo non avrebbe partecipato, ma avrebbe sconsigliato l’incontro stesso; non ci devono essere nell’UE partner di seconda o terza classe (con tanto di riferimento, forse non del tutto calzante, alla tragedia del Titanic); i commenti dei media italiani sono stati “provinciali”, dipingendo rapporti fra leader addirittura “degni della scuola media”.

Dal canto suo Macron, interpellato in proposito dalla stampa, ha evitato di polemizzare, limitandosi a dichiarare che Francia e Germania hanno da diversi anni un ruolo particolare nella soluzione della crisi ucraina e che comunque anche Zelensky aveva avuto voce in capitolo nella scelta del formato a tre.

Appare qui evidente la strumentalità delle affermazioni di Macron, che si riferiva evidentemente al ‘formato Normandia’ (Francia, Germania, Russia e Ucraina) che, dopo la crisi del 2014, diede vita a quegli Accordi di Minsk che avrebbero dovuto favorire la pace, ma che vennero invece violati e resi rapidamente carta straccia sia da Kiev che da Mosca, nella totale inattività di Angela Merkel e dello stesso Macron. Dopo l’invasione del 24 febbraio 2022, poi, non pare proprio che Parigi e Berlino possano ancora rivendicare alcuna ‘primogenitura’ nella soluzione di una crisi così grave, in cui non soltanto loro, ma tutti i Paesi europei sono andati da subito al traino degli Stati Uniti e della NATO, senza presentare alcuna praticabile proposta di soluzione.

E’ pur vero che, fin dall’inizio del Governo Meloni, è apparsa evidente la mancanza di chimica personale fra la premier e il Presidente francese, già divisi da posizioni diversissime su questioni cruciali come, ad esempio, l’immigrazione. E che certi commenti meloniani potrebbero anche essere interpretati come una moderna riedizione della favola della volpe e dell’uva. E, ancora, che Meloni, nonostante le robuste dichiarazioni filo-atlantiste, ha fatto finora poco di concreto a favore di Kiev (dove fra l’altro non si è ancora recata), se si eccettua il decreto sul famoso sesto pacchetto di armamenti, da tempo autorizzato dal Parlamento ma emanato solo pochissimi giorni fa:condizionata in questo, probabilmente, anche dalle incerte posizioni degli alleati di governo riguardo al conflitto ucraino. Ma, quando la stampa italiana mainstream contrappone i ‘passi falsi’ di Meloni ai ‘grandi successi’ del Governo Draghi anche riguardo all’Ucraina, mente sapendo di mentire: infatti Mario Draghi, al contrario di Macron e Scholz, nulla fece per scongiurare la guerra prima del 24 febbraio, evitando accuratamente di recarsi a Mosca dove avrebbe invece forse potuto esercitare un minimo di buoni uffici, forte dell’ottimo livello, allora, delle relazioni italo-russe. Restano poi nella nostra memoria le tristiimmagini notturne del ‘triumvirato’ franco-italo-tedesco sul treno per Kiev lo scorso giugno; e i risultati, del tutto nulli, di quella visita dei cosiddetti ‘grandi d’Europa’ in vista diun’autonoma azione di mediazionedell’UE per la soluzione del conflitto, finalizzata prima di tutto aquel ‘cessate il fuoco’ allora – e tuttora – necessario per sottrarre il popolo ucraino alle sue sempre più terribili sofferenze.

Niente Supermario, quindi, ma un Draghi che aveva nell’occasione sfruttato i suoi indubbi contatti personali per costruire la narrazione di un’Italia parte di un ‘direttorio’ europeo al massimo livello: narrazione smentita dal suo persistente posizionamento sotto le ali dell’aquila americana (d’altronde, l’unica a poter risolvere la situazione). E, di conseguenza, niente Meloni ‘isolata’, ma una premier dal carattere non sempre conciliante, alle prese con interlocutori difficili e sfuggenti e, soprattutto, alla testa di un Paese come il nostro che, per evidenti ragioni geopolitiche, non può certo giocare da solo.

Insomma, se l’isolamento internazionale dell’Italia lamentato in maniera interessata dai grandi giornali non può essere del tutto smentito dai fatti, non è vero neppure il contrario: nonostante la cena dell’altra sera con Zelensky, pur impreziosita dall’arte degli chef dell’Eliseo, la Francia non possiede alcuno strumento autonomo utile arisolvere la crisi ucraina e, se pensa di averne, è a causa del suo persistente e ingiustificato percepirsi come una potenza di prima grandezza. Peggio ancora, se possibile, la Germania del modesto Scholz che, dopo i lucrosi affari fatti per decenni da Schroeder e Merkel con la Russia, si è vista sottrarre in un batter d’occhio le forniture energetiche a basso costo cui era abituata, fino a lasciar distruggere da mano molto probabilmente ‘amica’  uninfrastruttura cruciale come il gasdotto Nordstream.

Vi è dunque molto che può essere detto a discolpa della nostra premier. Resta peraltro il fatto, incontestabile, che l’Italia non può considerarsiallo stesso livello di Francia e Germania sulla scena geopolitica mondiale. Peraltro la crisi ucraina, che vede l’intera Europa schiacciata sulle posizioni anglo-americane, potrebbe paradossalmente servire a Roma per aumentare il suo peso relativo, anche come Paese fondatore dell’UE, rispetto a due partner palesemente in crisi: sempre che Giorgia Meloni rinunci alla controproducente e vittimistica retorica dell’ ‘underdog’ e, dando prova di creatività (e del coraggio che non sembra mancarle), inizi a elaborare proposte di pace, o quantomeno di non-guerra, che possano contribuire a frenare quell’escalation del conflitto alla quale, purtroppo, stiamo assistendo da molti mesi a questa parte.

Parafrasando il grande chansonnier transalpino Charles Aznavour, possiamo concludere: “com’è triste Venezia(in questo caso Roma), ma come lo sono, e forse anche di più, Parigi e Berlino, “soltanto un anno dopo” l’inizio dell’improvvida avventura ucraina di Vladimir Putin!

Di Massimo Lavezzo Cassinelli

Massimo Lavezzo Cassinelli ha fatto parte del servizio diplomatico italiano dal 1982 al 2016. Dopo un primo periodo alla Farnesina presso la Direzione Generale Affari Economici, ha iniziato nel 1985 la sua prima missione all’estero, all’Ambasciata d’Italia in Ecuador. Successivamente ha prestato servizio presso le Ambasciate in Giordania, in Perù e in Egitto, oltre che come capo del Consolato italiano a Berna. E’ stato poi Rappresentante Permanente Aggiunto presso la FAO, il PAM e l’IFAD. Ha infine ricoperto le cariche di Ambasciatore d’Italia in Armenia e nel Principato di Monaco. Ha concluso la carriera al Cerimoniale Diplomatico della Repubblica.