«Servono elezioni, elezioni, è ciò che vogliamo, elezioni parlamentari e per tutte le istituzioni del Paese»
Una crisi senza fine quella che il Venezuela vive ormai da anni e che negli ultimi giorni sembra esser peggiorata: due giorni fa, infatti, il trentacinquenne ingegnere informatico, fedele di Leopoldo Lopez e leader dell’opposizione oltre che Presidente dell’Assemblea Nazionale, Juan Guaidò, si è autoproclamato Presidente del Paese, davanti a migliaia di sostenitori riuniti a Caracas, affermando di «assumere formalmente la responsabilità dell’esecutivo» per garantire nuove elezioni. Il Presidente al potere dal 2013 e insediatosi pochi giorni fa per il secondo mandato, Nicolas Maduroha, dunque, risposto su Twitter incitando il popolo alla mobilitazione in quanto «nessun colpo di stato, nessun interventismo. il Venezuela vuole la pace». Immediato è stato il riconoscimento di Guaidò da parte degli Stati Uniti di Donald Trump che ha avvertito: «tutte le opzioni sono sul tavolo», aprendo anche ad un possibile intervento militare qualora ce ne sia la necessità. A seguire, il bene placet del Canada di Justin Trudeau e di ben undici paesi del Gruppo di Lima(Argentina, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Guatemala, Honduras, Paraguay e Perù) che hanno diffuso poco dopo un comunicato comune nel quale hanno riconosciuto la legittimità di Guaidò come presidente del Venezuela, con l’auspicio che prenda avvio «un processo di transizione democratica» nel Paese mediante «la convocazione, nei termini della Costituzione e in tempi brevi, di elezioni con la partecipazione di tutti gli attori politici e con le garanzie e gli standard internazionali che caratterizzano il voto democratico». Nonostante questo, una mozione per riconoscere Juan Guaidó quale presidente incaricato del Venezuela non è riuscita ad ottenere ieri a Washington una maggioranza tra i Paesi membri dell’OSA. Al di qua dell’Atlantico, anche l’Unione Europea ha dichiarato sostegno al Presidente dell’An per «un processo politico pacifico e credibile in linea con la costituzione venezuelana»: se il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk si è augurato che il continente possa sostenere le ‘forze democratiche’, il presidente del’Europarlamento, Antonio Tajani, ha messo in guardia: «contrariamente a Maduro, Guaidò ha una legittimità democratica. Le dimostrazioni e la libertà di espressione di un popolo stufo di patire la fame e di subire l’abuso di Maduro devono essere rispettati». A favore di Guaido, anche la Gran Bretagna e la Francia che ha definito «illegittimo» il capo del regime di Caracas. «Solo un cambiamento radicale può portare la pace, la concordia e un futuro migliore per tutti i venezuelani» ha detto il cardinale venezuelano Baltazar Porras, arcivescovo di Mérida, amministratore apostolico di Caracas, che nei giorni scorsi aveva esortato sui social network i sacerdoti venezuelani a manifestare insieme ai cittadini contro il governo.
Tutt’altro che solo, però, si è rivelato Maduro che ha ricevuto il sostegno da parte della Cina che, tramite il portavoce del Ministero degli Esteri, Hua Chunying, ha chiarito: «Tutte le parti coinvolte dovrebbero restare razionali ed equilibrate» nel tentativo di trovare «una soluzione politica sulla questione venezuelana con il dialogo pacifico all’interno della cornice della Costituzione del Venezuela». Dello stesso tenore le dichiarazioni della Russia il cui vice ministro degli Esteri Serghei Ryabkov ha assicurato: «Abbiamo sostenuto e continueremo a sostenere il Venezuela, che è nostro amico e nostro partner strategico. Ci schieriamo al suo fianco per salvaguardarne la sovranità e per proteggere il principio della non interferenza negli affari interni (degli altri Stati). La cooperazione pratica tra la Russia e il Venezuela continuerà in diversi settori e non abbiamo alcuna intenzione di ridimensionarla». Non sono casuali le prese di posizione di Pechino e di Mosca, entrambe creditrici del Venezuela e, al contempo, ai ferri corti con Washington. Al fianco di Maduro poi si sono schierate la Bolivia, Cuba, mentre l’Uruguay e il Messico si sono offerti, così come la Russia, di fare da mediatore tra il regime e l’autoproclamato Presidente. Solidarietà a Maduro è stata offerta anche dalla Turchia e dalla Siria mentre, a livello interno, oltre che dai chavisti nella popolazione, sostegno è giunto dall’Assemblea nazionale costituente(Anc), dal Tribunale supremo di giustizia (Tsj), dalla Forza armata nazionale bolivariana (Fanb) e dai Colectivos, i gruppi paramilitari squadristi in motocicletta. Nello specifico, il Ministro della difesa ha Vladimir Padrino Lopez, ha scritto in un eloquente tweet che le Forze Armate «non accettano un presidente imposto da oscuri interessi o che si è autoproclamato a margine della legge». Un segnale positivo per Maduro che, una settimana fa, era stato costretto ad arrestare alcuni membri delle Forze delle azioni speciali della Polizia nazionale bolivariana che avevano preso il controllo della caserma nel quartiere Cotiza di Caracas, occupando anche strade circostanti, incitando alla rivolta contro il regime.
Per quanto concerne la posizione italiana, quanto sta accadendo in Venezuela (dove risiedono circa 140mila italiani) non sembra aver trovato una posizione unitaria. Il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, ha ribadito l’impegno dell’Italia per «la sicurezza dei cittadini del Venezuela, affinché nel Paese sia garantito il pieno rispetto dei fondamentali precetti e valori della democrazia e dello Stato di diritto». Parole imparziali anche quelle del premier Conte che ha affermato l’importanza di «un percorso democratico che rispetto libertà di espressione e la volontà popolare». Non altrettanto super partes sono state le dichiarazioni delle forze politiche della maggioranza, fors’anche per la fascinazione che il M5S ha sempre auto nei confronti di Maduro per il suo anti-imperialismo: se, da una parte, il Vicepremier e Ministro dell’Intero leghista, Matteo Salvini, ha twittato «sto con il popolo venezuelano e contro i regimi come quello di Maduro, fondato su violenza, paura e fame. Quanto prima cade, senza ulteriori scontri, meglio è», dall’altra, il Sottosegretario agli Esteri,Manlio Di Stefano, ha rimarcato che «qualsiasi cambiamento deve avvenire in un contesto politico, democratico e non violento». Anche il grillino Alessandro Di Battista ha espresso la sua opinione su Facebook sostenendo che «senza Putin già ci sarebbe stato un intervento armato Usa, che non escludo purtroppo ancora del tutto».
Maduro, che ha definito gli americani dei «pagliacci», ha annunciato e poi ribadito in un discorso pronunciato ieri dinanzi alla Corte suprema di voler rompere le relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti, invitando i diplomatici USA a lasciare il Paese entro le successive 72 ore e preparandosi a ritirare i propri da Washington. Come aveva fatto nell’aprile 2018 riguardo al ritiro dall’Organizzazione degli stati americani (l’An ha nominato pochi giorni fa Gustavo Tarre Briceno come rappresentante speciale), anche in questa occasione, prima e dopo aver ‘prestato giuramento’ come Presidente ad interim, Guaidò ha ‘smentito’ quanto deciso da Maduro, inviando una lettera a tutte le rappresentanze diplomatiche, esortando a disattendere ogni richiesta da parte del regime perché «possono decidere di rimanere ed essere riconosciuti dal popolo del Venezuela, e da chi scrive». Ciononostante, l’ufficio di sicurezza diplomatica del dipartimento di Stato ha inviato un avviso che ordina «ai dipendenti del governo statunitense non essenziali di lasciare il Venezuela». E proprio in queste ore una lunga carovana di auto scortata dalla polizia bolivariana la sede diplomatica ad est della capitale.
A livello ‘legale’, sono già iniziate le azioni: la Sala costituzionale del Tribunale supremo di giustizia del Venezuela ha chiesto al Pubblico ministero di individuare le responsabilità dell’Assemblea nazionale in atti di usurpazione del potere. Pochi giorni prima, lo stesso tribunale aveva bollato come ‘illegittima’ la dirigenza dell’An, organo nelle mani dell’opposizione, e il Presidente della Sala, il magistrato Juan José Mendoza, aveva definito nulli o annullabili tutti i pronunciamenti dell’Assemblea. A inizio anno, l’Assemblea nazionale aveva approvato una dichiarazione che definiva «usurpata» la carica di presidente da parte di Maduro, che non più tardi del 10 gennaio si è insediato per un secondo mandato. Considerati nulli tutti gli atti emanati dal Presidente, ai sensi dell’articolo 233 della Costituzione,il presidente dell’An diviene capo dello stato in via transitoria in vista delle nuove elezioni generali.
Intanto, secondo la Commissione interamericana dei diritti umani (Iachr), gli scontri, scoppiati anche nelle favelas, tra le forze dell’ordine e i cittadini che manifestano contro il governo di Nicolás Maduro hanno causato ben 16 morti e il direttore del Forum criminale venezuelano, Gonzalo Himiob, ha parlato di 278 persone arrestate. L’Alto commissario Onu per i Diritti Umani, Michelle Bachelet, ha chiesto in queste ore un’inchiesta indipendente sul presunto uso eccessivo della forza da parte delle forze di sicurezza venezuelane per reprimere le proteste antigovernative: «Sono estremamente preoccupata per il fatto che la situazione in Venezuela possa rapidamente sfuggire al controllo con conseguenze catastrofiche. Più di 3 milioni di venezuelani hanno lasciato il paese, e molti altri milioni vivono in condizioni miserabili. Cos’altro ci vuole perché la leadership politica si decida a porre il benessere del popolo prima del loro interesse particolare?».
Oggi Guaidò ha lanciato nel corso di un comizio un appello per una «rivoluzione pacifica e civile senza precedenti», a partire da domani con «incontri in piazza» e da domenica, «quando sara’ il momento di parlare ai militari». Quella della prossima settimana – ha specificato il Presidente dell’An – sarà una «grande mobilitazione», preceduta domani da incontri nelle piazze «per rendere onore a tutte le vittime delle proteste» e «diffondere informazioni», mentre domenica «sarà una giornata importante, di solidarietà e amicizia: sui social vorrei che si diffondessero le leggi,in modo che tutti le conoscano.Stampate articoli, e diffondente li avvicinando i militari, i loro amici e le loro famiglie». Ha inoltre promesso un’amnistia per Maduro e per i funzionari legati al regime che hanno commesso violazioni, ai sensi dell’articolo 333 della Carta, secondo cui in situazioni di emergenza, «ogni cittadino o cittadina che sia investita o meno di autorità, avrà il dovere di collaborare alla rientrata in vigore» della Costituzione. Infine, il leader dell’opposizione ha concluso rendendo noto che «torneremo nelle strade di Caracas la prossima settimana» in quanto – ha aggiunto – Nicolas Maduro, ha «una faccia tosta, e’ chiaro. Servono elezioni, elezioni, è ciò che vogliamo, elezioni parlamentari e per tutte le istituzioni del Paese».
Negli stessi istanti, durante una conferenza stampa, in risposta alle dichiarazioni del Presidente dell’An, il sucessore di Chavez ha precisato, sventolando una piccola copia della Costituzione: «Non ci si può autoproclamare presidenti, in qualsiasi Paese al mondo l’atto di assumere un incarico istituzionale è investito da un protocollo di autorità, di fronte ad un’autorità legittima». Si tratta di «un golpe mediatico internazionale». «Lo conosco» – ha proseguito, riferendosi a Guaidò – «è un agente dei gringos in Venezuela, che lo hanno formato come agente e lo hanno messo in politica, è un agente degli Stati Uniti. Lo so e eseguirà i loro ordini, non avendo capacità per pensare autonomamente». Pochi minuti dopo, si e’ detto «pronto a incontrare Juan Guaidò», il quale ha già respinto la proposta di negoziato: «No a un falso dialogo», ha dichiarato il leader dell’opposizione. Maduro, però, non demorde: «Sono da sempre impegnato per il dialogo nazionale e sono pronto ad andare dove è necessario. Personalmente, se dovessi andare a incontrare questo ragazzo, ci vado».
Gli Stati Uniti, per voce del Segretario di Stato, Mike Pompeo, chiederanno domani al Consiglio di sicurezza dell’ONU di riconoscere Juan Guaido presidente a interim del Venezuela. La risposta russa è già stata comunicata: «Questo non passerà», ha dichiarato l’ambasciatore della Russia al Palazzo di Vetro, Vassily Nebenzia. Peraltro, il Cremlino ha voluto evidenziare che Maduro, non ha chiesto aiuto né economico, né militare, e che quella americana è una politica «distruttiva». E, stando a quanto riferito da alcune fonti a Reuters, un gruppo di contractor privati (circa 400) legati a Mosca (in particolare ai gruppi Wagnerche hanno combattuto in Ucraina e Siria) sarebbero volati, dopo aver fatto tappa a Cuba, in Venezuela per rinforzare la difesa del presidente Maduro. Non si tralasci poi che solo un mese fa il governo venezuelano aveva consentito l’arrivo di due Tu-160 russi – bombardieri strategici supersonici in grado di trasportatore missili da crociera o nulceari – a Maquetia, poco fuori Caracas. Dal canto suo, l’UE pare più cauta e richiama alla necessità di nuove elezioni mentre Spagna e Germania comunicano di essere pronte a riconoscere Guaidò qualora venisse rifiutata la strada delle elezioni. Dal Brasile, uno dei primi Paesi a farlo, è invece arrivata la proposta di un salvacondotto per consentire a Maduro e ai suoi di lasciare il Venezuela.
Il Venezuela con due Presidenti è sull’orlo del caos, ma non da oggi. Unitamente alla crisi politica, da anni si protrae un’agonia economica senza precedenti che, insieme alle sanzioni, ha immiserito il Paese a tal punto da costringere il regime a coniare addirittura una criptomoneta ancorata al petrolio, il Petro, poi rivelatasi l’ennesimo buco nell’acqua. Il petrolio rimane la risorsa fondamentale: la compagnia petrolifera di Stato di cui Maduro ha assunto il controllo, la PDVSA, nonostante abbia iniziato, anche grazie ad aiuti finanziari cinesi e russi, a ridurre il proprio debito, rimane fortemente compromessa così come Pdv Holding e Venezuelan Petroleum Corporation. Nonostante ciò, ha raggiunto recentemente un accordo con il gruppo francese Maurel & Prom per una nuova joint venture, la Petroregional del Lago, per accrescere di 70mila barili al giorno la produzione del Maracaibo Lake.
Per il 2019 il Fondo monetario internazionale stima a 10 milioni per cento l’ inflazione. Cibo e medicine sono ormai divenute merci rare le Nazioni Unite prevedono che i cittadini venezuelani che hanno lasciato il Paese raggiungeranno, durante l’anno appena iniziato, quota cinque milioni. «Non rinuncerò mai» ha detto Maduro. C’è il rischio di una guerra civile? Di una Siria in Sudamerica? Quale potrebbe essere la via d’uscita? A queste domande ha risposto Mauro Bafile, Direttore responsabile dello storico quotidiano venezuelano in lingua italiana ‘La Voce d’ Italia‘.
Gli Stati Uniti hanno annunciato il loro sostegno a Guaidò. Cina e Russia si sono schierate a favore di Maduro. Che partita si gioca in Venezuela?
In Venezuela, oggi, si gioca un’importante partita diplomatica. I protagonisti sono Russia, Cina e Stati Uniti. Bisogna collocare il Venezuela nel suo ambito geografico. E’ al nord dell’America Meridionale. Quindi gode di una posizione geopolitica fortunata. E’ il ponte tra il nord e il Sud dell’America. Questo spiega l’interesse della Russia che oggi è in conversazione col governo del presidente Maduro per la costruzione di una grossa base militare, una mossa che rientra nella politica di espansione egemonica della Russia. In un certo qual modo, salvando le distanze, è la ripresa di quei piani di espansione che, negli anni 60, portarono sull’orlo di una guerra nucleare. Chi non ricorda la crisi dei missili a Cuba? D’altro canto, anche la Cina ha grandi interessi in Venezuela. Il paese è ricco delle materie prime di cui il colosso orientale ha bisogno per i suoi piani di sviluppo. Alla Cina più che l’influenza politica che potrebbe esercitare sui paesi della regione, interessa la potenzialità del mercato latinoamericano e la sua ricchezza in minerali. Gli Stati Uniti, da parte loro, non desiderano perdere neanche un centimetro della tradizionale area d’influenza. Ricordiamo la Dottrina Monroe. Ma è improbabile che Trump osi aprire un fronte militare vicino casa, proprio lui che scalpita per abbandonare la Siria.
Come valuta il fatto che una mozione per riconoscere Juan Guaidó quale presidente incaricato del Venezuela non è riuscita ad ottenere ieri a Washington una maggioranza tra i Paesi membri dell’Organizzazione degli Stati americani ?
Non sorprende. Non bisogna dimenticare che nell’organismo convivono ben 35 Stati. Tra questi, nazioni legate al Venezuela da interessi economici, in particolare le piccole repubbliche centroamericane ed altre che condividono orientamenti politici. E’ questo il caso del Nicaragua e del Messico.
Come è divisa l’opinione pubblica?
La popolarità del presidente Maduro è ai suoi minimi storici e difficilmente potrà recuperare terreno. C’è lo zoccolo duro del ‘chavismo’ disposto a sostenerlo. C’è ancora chi crede onestamente nel futuro della ‘rivoluzione’ ma la stragrande maggioranza sostiene il capo dello Stato per timore di perdere gli attuali privilegi. L’Opposizione, invece, cresce, nonostante sia tanto divisa. Ma è comprensibile che lo sia. E’ costituita da un arcipelago di partiti e partitini di destra e di sinistra. La figura di Juan Guaidó pare sia oggi il collante capace di amalgamare anime diverse. Offre loro un obiettivo comune: un governo di transizione che traghetti il paese verso elezioni libere e democratiche, gestite probabilmente da un arbitro estero. Forse l’Unione Europea o forse l’Onu.
Esiste il rischio di una guerra civile?
Non credo. Per una guerra civile sono necessarie fazioni armate. Le armi, in Venezuela, le hanno solo l’esercito e i ‘colectivos’. Questi ultimi sono costituiti da bande di motociclisti violenti che simpatizzano col governo e agiscono sicuri dell’impunità. Credo poco probabile anche una grossa esplosione popolare. Ogni giorno in Venezuela si registrano decine e decine di piccole proteste. Queste fungono da valvola di sfogo.
E rischio di una guerra per procura su terreno venezuelano ?
Non credo. Una invasione militare? La dottrina Monroe è parte della storia. Non credo che il presidente Trump voglia resuscitarla. Non lo vedo proprio ordinando un intervento armato in Venezuela. Comunque, è sempre un’ipotesi…
Il petrolio è ancora sotto il controllo del Presidente? E, a livello produttivo, qual’è la situazione del Venezuela?
Il petrolio è sempre sotto il controllo del presidente. Anzi, in considerazione della crisi di produzione della Holding statale, ha promesso di occuparsi personalmente dell’industria più importante del Paese. Venezuela, oggi, soffre una delle più profonde crisi economiche della sua storia. In parte, ne è responsabile la contrazione significativa nel volume di produzione. Se all’inizio dell’epoca ‘chavista’ la holding petrolifera produceva quasi 3 milioni di barili di greggio al giorno, oggi la sua capacità è di poco più di un milione di barili. L’infrastruttura petrolifera è stata trascurata per troppi anni. La mancanza di manutenzione e di investimenti l’ha resa obsoleta e improduttiva.
L’esercito è saldamente ancora dalla parte di Maduro?
L’esercito è ancora dalla parte del presidente Maduro. La sua struttura è monolitica. Ma potrebbe esserlo solo in apparenza. Stando agli esperti in materia militare, in seno alle Forze Armate esiste un profondo malessere. Non si sa né come né quando questo malcontento potrebbe manifestarsi.
Cosa pensa di questo nuovo autoproclamato Presidente?
E’ considerato il delfino di Leopoldo Lopez. E’ parte di una nuova generazione di politici. E’ sostenuto dal Parlamento e oggi gode della simpatia della stragrande maggioranza dei venezuelani. Non avrà vita facile. Ha assunto le responsabilità del ‘potere esecutivo’ senza avere nessuna possibilità di esercitarlo. Nei suoi confronti è stato spiccato un mandato di cattura. Probabilmente, come hanno fatto in passato altri parlamentari e leader politici, dovrà rifugiarsi in una ambasciata. Vedremo nei prossimi giorni cosa accadrà. Il suo futuro più che dalle sue capacità dipenderà dalle pressioni che eserciterà la diplomazia internazionale sul governo di Maduro, dall’unità dei partiti politici e dalle Forze Armate.
Maduro urla al ‘colpo di Stato’ e annuncia di non voler mollare. Come crede si risolverà la questione? È possibile che nuove elezioni siano la soluzione di compromesso tra le parti?
Certamente le elezioni rappresentano la soluzione più razionale. Ma perché siano credibili, è indispensabile la presenza di osservatori internazionali imparziali o, ancor meglio, che a gestirle siano organismi internazionali autorevoli: l’Unione Europea o l’Onu. E’ difficile che il presidente Maduro accetti. La pressione internazionale, a questo punto, sarà fondamentale.