L’ intervista a Matteo Villa, ricercatore ISPI ed esperto di Europa e governance globale, geoeconomia e migrazioni
«Non possiamo far finta di essere in un tempo normale, c’è un dubbio sull’Europa che attraversa i nostri Paesi, sta emergendo una sorta di guerra civile europea, ma non dobbiamo cedere al fascino dei sistemi illiberali e degli egoismi nazionali» ha dichiarato Emmanuel Macron durante il suo intervento al Parlamento europeo, dopo essere stato accolto dal Presidente Antonio Tajani. «La risposta non è la democrazia autoritaria, ma l’autorità della democrazia» ha aggiunto il Presidente francese, ribadendo la necessità di «combattere per difendere la sovranità europea dalle pulsioni autoritarie di chi ha dimenticato il passato, ci siamo battuti per averla e non dobbiamo cedere» ha precisato Macron. Dunque il pericolo di derive illiberali è un vento che soffia in Europa, soprattutto dopo aver constatato il recente rafforzamento di particolarismi e nazionalismi: dalla Brexit fino al trionfo di Orban in Ungheria passando per le elezioni in Austria, Germania e Italia dove grande successo hanno avuto le forze euroscettiche.
Per impedirne il dilagare, occorre partire da alcune riforme necessarie per rinverdire il progetto europeo «che non è datato, ma certamente fragile», ha spiegato il capo dell’ Eliseo: dalla sicurezza e difesa, alla sfida climatica fino alla tassazione dei giganti del web e alla dimensione sociale, con una grande attenzione alla mofidfica del Trattato di Dublino e alla questione ‘immigrazione’. A questo proposito, «dobbiamo lanciare un programma europeo per finanziare le comunità locali che accolgono i rifugiati in modo da superare il dibatti avvelenato sulle quote di ripartizione dei migranti in Europa». Non sono mancate le reazioni alle frasi pronunciate dal Presidente francese, di cui è stato messo in dubbio l’ europeismo nelle azioni, non quello nelle parole, in particolare dopo l’ intervento congiunto in Siria di Washington- Parigi-Londra.
C’è davvero il pericolo di una ‘guerra civile europea’? E la strada per scongiurarla è quella tracciata dal Presidente Macron? Ha risposto Matteo Villa, ricercatore ISPI(Istituto Studi di Politica Internazionale) ed esperto di Europa e governance globale, geoeconomia e migrazioni.
«Non possiamo far finta di essere in un tempo normale, c’è un dubbio che attraversa molti dei nostri paesi sull’Europa, una sorta di guerra civile europea sta emergendo: stanno venendo a galla i nostri egoismi nazionali e il fascino illiberale». Quale rischio corre, dunque, l’ Europa secondo Macron?
Le dichiarazioni del Presidente francese giungono in questo momento di grandi discorsi e poca sostanza in cui occorre alzare l’asticella: ormai è un anno che Macron è stato eletto e ha dovuto aspettare le elezioni tedesche, evento, purtroppo per lui, quasi sconfortante perché si è formata nuovamente una Grossa Coalizione, con una Merkel molto più debole, non permettendogli di portare a casa molto più circa le proposte. Inoltre, lui è forse l’ unico leader che è stato eletto su una piattaforma europeista e, sostanzialmente, pro-Europa. Questi due fattori sono lo sfondo su cui Macron può permettersi di alzare il livello dello scontro rispetto ad un’ analisi che potrebbe essere più pacata. Sulla base di queste due premesse, è vero che la tendenza, non tanto all’ illiberalismo che si riscontra in pochi Paesi europei, forse solo in Ungheria da diversi anni e in Polonia negli ultimi due, quanto piuttosto al nazionalismo, al sentimento anti-europeo. In questo quadro, è normale che Macron alzi il livello dello scontro ed è stato interessante anche notare come, invece di presentare un elenco di riforme in cui lui spera o sperava, abbia cercato di dare un tono più politico in una sede che è spesso molto tecnica come il Parlamento europeo, quando a parlare è un leader di così alto livello, raccontando le proposte legislative. Nella scelta di parlare al Parlamento europeo, è possibile cogliere la volontà di trattare quella sede come un vero Parlamento, facendo un vero e proprio discorso alla – verrebbe da dire – ‘nazione europea’.
Interessante notare anche come il Presidente francese abbia scelto, al termine del suo intervento, di sedere nei banchi del Parlamento europeo ad ascoltare attentamente le repliche dei parlamentari, dando vita ad una sorta di ‘dibattito’ e abbandonando lo schema del discorso ‘solenne’.
E in questo Macron è altamente simbolico: prima faceva campagna elettorale con le bandiere francese ed europea; quando poi è stato eletto, il suo trionfo è stato accompagnato dall’ ‘Inno alla gioia’.
La necessità di Macron di ascoltare è emersa anche a Épinal, dove ha inaugurato la consultazione dei cittadini sull’ Europa “Quelle est votre Europe?” e dove è tornato a ribadire che «il nostro progetto deve essere coniugare la sovranità e l’ identità nazionale con quelle europee».
Su questo, il neogollismo francese non ha che da ispirarci nel senso che anche un europeista non può non guardare all’ identità nazionale come bene primario. Quindi, Macron, da questo punto di vista, è molto rassicurante per chi teme un’ Europa troppo europea e non nazionale. Lui ha parlato ad un Parlamento europeo che ha, difatto, rifiutato le sue due proposte: la prima, quella più importante, era quella sull’ utilizzo dei seggi parlamentari usciti da Brexit, creando una lista transnazionale, quanto più lontana dall’ interpretazione nazionalistica dell’ Europa e quasi utopistica e d’ altro canto, il Parlamento europeo, è come se l’avesse riportato alla realtà, decidendo che 27 su 73 seggi verranno ridistribuiti e gli altri verranno posti in riserva, in vista di futuri allargamenti; la seconda proposta, invece, riguardava la procedura di selezione del Presidente della Commissione: in quest’ ottica, il capo dell’ Eliseo aveva iniziato a guardare con favore anche a delle ‘primarie’, scontrandosi, però, con il Parlamento, sentitosi minacciato nelle sue prerogative.
Certamente le parole di Macron fotografano quanto accaduto negli ultimi mesi: dalla Brexit e dall’ elezione di Donald Trump negli Stati Uniti fino alla recente vittoria in Ungheria di Orbàn, passando per il successo di forze euroscettiche e populiste, in Germania come in Italia, il fil rouge sembra essere il rinvigorimento dei nazionalismi. Nazionalismi che, come la storia insegna, sebbene venga spesso ignorato, sono stati tra i fattori scatenanti di ben due guerre mondiali.
Quello che è problematico è, spesso, inevitabile in un discorso politico, allorché devi per forza far passare un messaggio. In questo senso, l’ illiberalismo è molto più forte del resto. Da analista, però, vorrei sottolineare tre aspetti che vengono, talvolta, confusi: lo Stato di diritto di una democrazia, il nazionalismo e il multiculturalismo. Sono complementari se non addirittura presenti tutti contemporaneamente come nel caso di Orban. Questi ha ricondotto l’ Ungheria su un territorio del tutto illiberale, dal punto di vista dello Stato di diritto e della comunicazione con i media, oltre ad essere molto nazionalista, anti-multiculturalista ed anti-migranti. Ma i tre elementi non sono necessariamente tutti collegati: si pensi, ad esempio, alla Polonia in cui si sono fatti passi indietro dal punto di vista dello Stato di diritto, si sono fatti passi nazionalisti, ma in senso, per esempio, ‘ruffosobo’, molto diverso da quelli dell’ Ungheria e, sicuramente, c’è stata una sorta di patina ‘anti-migranti’ che, di fatto, però, è rimasta soffusa se si considera che gli oltre duecentomila ucraini presenti lavorano tranquillamente. Ma tornando all’ Europa occidentale, guardando all’ Austria, con una destra quasi filo-nazista al governo, o ai Paesi Bassi, dove è stato scongiurato la vittoria di Wilders con una coalizione instabile di centro: in questi casi, è possibile rintracciare il nazionalismo, in parte anche il sentimento anti-migranti, ma non hai, almeno non ancora, lesioni dello Stato di diritto. Quindi, per adesso, la tenuta democratica di questi Stati si dimostra molto più forte di quello che Macron intravede. E’ come dire che il sistema delle istituzioni liberali sta ancora funzionando: si pensi all’ Italia, dove sono arrivati primo in assoluto e primo nella coalizione di centro-destra, due partiti, inizialmente, anti-Europa e molto rinazionalisti. E la differenza tra nazionalisti e illiberali a volte è sottile, ma a volte è profonda: chi preferirebbe non avere le istituzioni, poi è costretto a farci i conti. Se da una parte la Corte Costituzionale italiana difende la Costituzione, Orban l’ ha completamente riscritta.
E, abbiamo visto, per esserne l’ utilizzatore finale. «Di fronte all’autoritarismo che ci circonda» – ha aggiunto poi Macron – «la risposta non è la democrazia autoritaria, ma l’autorità della democrazia». Una frase, efficace dal punto di vista comunicativo, che, ha fatto tornare alla mente la posizione espressa lo scorso anno dal Ministro degli Interni italiano, Marco Minniti, il quale ammise di aver temuto, in riferimento alla complessa gestione del dossier dei migranti, «ci fosse un rischio per la tenuta democratica del Paese». Ecco, dunque, Macron vede nella questione dell’ immigrazione, che è stata decisiva nell’ ultima campagna elettorale italiana, ma anche nell’ Europa centro-orientale, un possibile terreno fertile per derive poco democratiche?
Che lo veda è poco, ma sicuro nel senso che sia durante la campagna elettorale sia in base a ciò che sta accadendo in Francia, la gestione del fenomeno migratorio, in due casi, soprattutto Calais e i confini con l’ Italia, è centrale. Poi la questione del terrorismo e di come le persone di seconda, terza o quarta generazione, con un background migratorio, si possano integrare. Queste questioni Le Pen le ha sfruttate molto e Macron ha dovuto rispondere. E’ anche vero che il Presidente francese ha tentato di tappare il problema in modo molto più aggressivo anche rispetto all’ Italia, se pensiamo alle proposte di riforma sia delle richieste d’ asilo interno che del Trattato di Dublino che sono molto perentorie, ovvero, all’ interno, si restringono le garanzie costituzionali per affrontare le procedure per i richiedenti asilo mentre, all’ esterno, per Dublino, si propone un aiuto, forse solo finanziario e i migranti che non venissero protetti ricadrebbero sempre nella competenza dei Paesi di primo ingresso, come Italia e Grecia. Dal punto di vista di come le migrazioni possano essere interpretate, è una questione di ‘crisi’: cioè prima i populisti facevano subito perno sulla crisi economica; nel momento in cui questa sembra esser passata, ma in realtà resta, almeno sullo sfondo, poi c’è un altro tema che desta le preoccupazioni dei cittadini. E’ più la percezione enfatizzata di non riuscire a gestire il fenomeno e questo ha effetto sia sull’ opinione pubblica che sull’ amministrazione pubblica che viene ad esser screditata. Per quelli che dovranno andare al governo, questo sarà il nodo fondamentale dei nazionalismi attuali: alcuni partiti politici, infatti, in Italia come in molte altre parti d’ Europa, quando fanno le campagne nazionaliste, screditano molto spesso le istituzioni statali che sarebbero quelle che andrebbero invece rafforzate nel momento in cui si pensa a rinazionalizzare delle competenze rispetto all’ Europa. Questa è una grande contraddizione contro cui tutti i nazionalisti si sono prima o poi scontrati.
In questo riferimento di Macron all’ «autoritarismo che ci circonda», in molti hanno letto, inoltre, un rimando alla Russia e alla capacità di un leader non certo democratico come Vladimir Putin fa presa, anche se non da ora le ‘sirene’ del Cremlino preoccupano l’ Occidente. Può essere condivisa l’ interpretazione che molti hanno dato della perifrasi utilizzata dal Presidente francese?
Il fatto che Putin affascini è la testimonianza del grande successo del leader del Cremlino di stabilire una narrazione antitetica a quella dell’ altro blocco, cioè gli Stati Uniti, come se ancora fossimo nella Guerra Fredda. Putin è riuscito, in questo senso, a porsi continuamente come l’ alternativa. Pensiamo ad Orban: nel momento ha iniziato a ricevere critiche dall’ UE, immediatamente ha iniziato a fare meeting annuali con Putin. Va ricordato che nel 1956 l’ Ungheria venne invasa dall’ Unione Sovietica e lo stesso Orban, che è stato un dissidente del Partito Comunista, è Presidente di un Paese che celebra la festa nazionale come festa di liberazione dall’ Unione Sovietica. A parte il leader polacco (Jarosław) Kaczyński che da sempre ritiene la Russia responsabile dell’ incidente che causò la morte del fratello (Lech), sicuramente Le Pen, Salvini continuano a guardare al polo diverso rispetto all’ America pre-Trump come unica alternativa possibile. Dietro a questo, c’è il grande successo della Russia di Putin a proporsi come alternativa anche nei momenti in cui è in declino. Quindi sicuramente le ‘sirene’ ci sono. Poi però c’è anche chi, abbracciando una sorta di retorica complottista, anti-narrazione, vede in Putin, invece di un nemico, un partner di cui è possibile fidarsi. Dall’ altra parte, il veloce allargamento dell’ Unione Europea: i Paesi dell’ Europa centrale e orientale che sono entrati a far parte dell’ UE tra il 2004 e il 2007 lo hanno fatto sicuramente per ragioni politiche, ma l’ Unione Europea pensava, che nel farli entrare, avrebbe conservato quella forza di attrazione che aveva nel farli avvicinare a sé, allo Stato di diritto, ai principi della democrazia liberale. Ma dove è stato l’ errore dell’ UE in questo processo? Ha continuato a pensare che avrebbe continuato a funzionare all’ infinito il processo ‘funzionalista’, ossia ‘ti faccio rivedere le leggi in modo da renderti più simile a me’, ma non si è dotata degli strumenti sufficientemente forti per sanzionare i membri che fossero usciti dal seminato. Quindi, adesso, ci troviamo gran parte dell’ Europa all’ interno dell’ Unione Europea, ma con meccanismi sanzionatori che funzionano quasi soltanto chi è fuori dall’ UE o chi vorrebbe uscirne che, magari, poi cambia retorica. L’ Europa è molto più forte in senso negativo che positivo e per chi è dentro e non ha intenzione di uscire: per Orban è perfetta, è una gabbia dorata, di cui non gli interessa molto la gabbia quanto l’ oro.
Nel suo discorso al Parlamento europeo, Macron ha anche chiarito quelle che sono per lui le riforme da fare per impedire «il fascino illiberale» e dare nuovo vigore all’ UE. In particolare, ha citato la ‘riforma del Trattato di Dublino’ che si dovrebbe accompagnare ad un programma europeo di finanziamento delle comunità locali che accolgono i rifugiati; la ‘web tax’; la ‘riforma dell’ unione bancaria’ oltre che la creazione di un bilancio per l’ Eurozona; la ‘carbon tax’; la difesa comune. Considerando l’ importante Consiglio europeo di giugno e tenendo conto dell’ attuale panorama europeo, caratterizzato, per esempio, da una Merkel molto più indebolita rispetto a prima, ma anche da sensibilità molto diverse per quanto concerne, ad esempio, le possibili misure economiche da adottare a livello comunitario, le riforme cui punta Macron possono trovare una loro realizzazione concreta?
Il tono rispetto al discorso alla Sorbona è notevolmente cambiato. Per quanto riguarda la riforma dell’ unione bancaria, questo sarà un nodo difficile da sciogliere, ma, secondo me, persino la creazione di un bilancio per l’ Eurozona avrà difficoltà a passare anche perché bisogna capire con quali soldi è possibile farlo, senza contare il problema politico che sorge con una Germania che, almeno in questa Grosse Koalition, è priva dell’ accordo interno e quindi non sembra per niente propensa. Stessa cosa sul completamento dell’ unione bancaria dove la cosa più importante che manca è la garanzia comune sui depositi e anche su questo i risparmiatori tedeschi non hanno grande intenzione di garantire i depositi di altri Paesi che sono, magari, più a rischio di fallire. Il primo terreno di incontro/scontro sarà domani quando Macron e Merkel si vedono a circa un mese di distanza dall’ ultima volta, in cui il Presidente francese aveva ribadito la necessità di fare le riforme, ma la Cancelliera era sembrata su un’ altra lunghezza d’onda. Su Dublino, Macron parla di finanziamenti, ma chi metterà i soldi? Gli stessi Paesi che accolgono? C’ è da dire, però, che l’ Olanda ha già manifestato la sua contrarietà a trasferimenti. La sensazione è che, un po’ su tutto, prevalga l’ inerzia. Sulla ‘carbon tax’, esiste già uno strumento che prezza le emissioni e aggiungere un altro strumento rende il sistema tutto molto più complesso. Sulla ‘web tax’ io ero del tutto favorevole a tassare i profitti dove vengono fatti. Bisogna capire soprattutto cosa si intende fare per le compagnie web che non vendono prodotti, ma servizi. Però nel momento in cui ci sono delle regole, dovrebbero esser condivise. Del resto l’ Unione Europea fa delle controverse, ma le fa per tutti.
A fronte del discorso di Macron, il Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha voluto sottolineare che «l’Europa non è solo franco-tedesca. Siamo 28, domani 27: serve anche, perché il motore possa funzionare, l’apporto degli altri Stati».
Juncker ne ha fatti diversi di questi commenti, ma è a fine mandato. Ha preferito, nel corso di questo periodo, dare linee generali sui punti caldi, senza entrare nel tecnicismo. Ma ha preso anche diverse batoste: per esempio sul fronte dei migranti, nell’ ottica di un’ Europa solidale. Ma non è stato accolto. Quindi c’è un po’ di risentimento anche nei confronti della Francia che, secondo Juncker, anche da quando c’è Macron, parla bene, ma poi affossa le proposte.
Come prima da Lei ricordato, Macron è stato eletto e si è affermato su una piattaforma europeista. Sulla scorta anche di quanto accaduto recentemente in Siria, molti hanno messo in dubbio l’ europeismo di Macron. Perché? E’ una posizione condivisibile?
Penso che l’ europeismo di Macron non si sia indebolito, ma sia sempre stato così. Dobbiamo rassegnarci che Macron ha due facce: da un parte, quella dell’ europeista convinto quando si tratta di fare cose su percorsi interni tra le nazioni europee; dall’ altra, quella di ‘europeista’ nazionalista quando si parla di interessi in politica estera, sicurezza nazionale e dei confini. La politica estera francese rimane, nonostante Macron sostenesse di volere il contrario, in linea di continuità rispetto al passato come dimostrano la missione in Mali, in Niger e, adesso, in Siria. “Noi facciamo da soli, ma in coordinamento con gli alleati”. Tant’è che il Presidente si è vantato di aver convinto lui Trump ad agire. Il Consiglio per gli affari esteri europeo si è riunito lunedì e solo ex-post ha avallato in maniera un po’ scoordinata, dopo un dibattito ‘di fuoco’ l’attacco in Siria. Va detto che l’ Europa è da sempre contraria all’ intervento armato per mettere fine al conflitto siriano: per questo Macron ha dovuto giustificare l’ intervento per dare un segnale contro l’ uso delle armi chimiche. Sebbene il Presidente francese affermi che il bombardamento è servito a «salvare l’ onore della comunità internazionale» e può anche avere ragione, il problema vero è che l’ Europa non ne esce bene perché nel momento in cui chi dovrebbe darti la voce, Federica Mogherini, viene messa ai margini ed è costretta a fare un comunicato riparatore ex-post in attesa di quello che diranno gli Stati, di fatto l’ Europa non sta agendo. D’ altro canto, Macron ha fatto delle riforme molto controverse come testimoniano gli scioperi in corso e quindi ha bisogno di guardare all’ interno: mantenere una nazione europeista è difficile per lui, ma, va dato atto, lo sta facendo anche grazie al sistema elettorale francese che gli garantisce di avere quasi cinque anni di tranquillità.
E questo diversamente da quanto accade in altri Paesi. Tornando alle forze euroscettiche, o quello che ne rimane, ieri, al termine del discorso di Macron al Parlamento europeo, il Movimento 5 Stelle in Europa ha ufficializzato la sua apertura ad una collaborazione con Macron per riformare l’ Europa. Che tipo di segnale è questo, tenendo presente la polemica scaturita in queste ore dall’ accusa rivolta al Movimento di aver apportato delle modifiche al programma di governo, votato dagli iscritti, soprattutto nell’ ambito della politica estera ed internazionale?
Secondo me, i 5 Stelle stanno facendo un’ operazione molto complessa. Hanno un elettorato che guarda da un lato ed hanno una dirigenza che sta cercando di moderare i toni più possibili. Le modifiche in senso moderato dimostrano come la dirigenza nazionale stia tentando di dare voce moderata al Movimento mentre la base continua ad essere molto oltranzista. Le aperture a Macron si raccontavano già qualche settimana fa, ma sembravano false. Non stupiscono in quanto il Presidente francese è certamente un leader forte e se riuscissero a far passare questo cambio di strategia dall’ ‘uomo forte Putin’ all’ ‘uomo forte Macron’, sarebbe uno dei capolavori politici dell’ epoca moderna. Sarebbe il convincimento che quando arrivi ad una posizione importante, di governo devi diventare responsabile. E in Italia è già accaduto.
Se si considera il loro esordio al Parlamento europeo nel gruppo di Nigel Farage, fautore della Brexit, è sicuramente un cambio notevole.
Certamente. Bisogna poi considerare che Macron si dipinge come un ‘sovvertitore’ e in questo un certo allineamento esiste. Il tentativo di passare come anti-elite a Macron è riuscito e, una volta che si è diventati il primo partito in Italia, per il Movimento 5 Stelle costituirà un inevitabile esempio da seguire. Occorrerà vedere. Nelle elezioni delle 2019, inoltre, le posizioni rispetto alla forza politica centrista di Macron saranno molto più fluide.