Quali conseguenze avrà la decisione del dittatore nordcoreano? E’ una vera svolta?
«Non c’e’ più bisogno di test nucleari o missilistici e chiuderemo anche il sito nel nord del Paese». Il leader nordcoreano Kim Jong–Un, per bocca della storica anchor woman della Tv di stato, ha annunciato alla nazione. Il presidente Usa Donald Trump non nasconde la sua soddisfazione defininendo la decisione una “grande notizia!”. Poche settimane fa avvenivano gli incontri segreti con il nuovo Segretario di Stato, Mike Pompeo e, a pochi giorni dalla cena di venerdì prossimo nel villaggio sul confine inter-coreano di Panmunjom tra Kim e l’ omologo sudcoreano, Moon Jae In, la leadership di Pyongyang ha spiazzato l’ intera comunità internazionale, annunciando, oltre alla sospensione dei test nucleari e missilistici, la chiusura del centro di esperimenti nucleari di Punggye-ri.
Positivo è stato anche il giudizio della Cina, il cui Presidente aveva incontrato il dittatore nordcoreano non più tardi di un mese fa, e della Russia. Più cauto il premier giapponese Shinzo Abe. La linea di tendenza è sicuramente quella inaugurata in occasione delle ‘olimpiadi invernali‘ di Pyeongchang. E, paragonato al clima di “fuoco e furia” del 2017, caratterizzato da lanci di missili e provoazioni, può far ben sperare per l’ incontro a Panmunjom, di cui oggi sono stati diffusi i primi dettagli concordati: sarà trasmesso in diretta e per la prima volta un leader del nord varcherà il 38esimo parallelo. Inoltre, la Casa Blu ha disposto lo spegnimento delle stazioni di altoparlanti rimandano a volume altissimo messaggi di propaganda e brani musicali delle band del pop coreano. Erano iniziati nel 1963 e l’ultima volta che erano stati interrotti era stato nel 2015, in seguito a colloqui di alto livello che avevano portato a una distensione. Così come, proprio in questi giorni, è stata aperta la linea di comunicazione diretta, la cosiddetta ‘linea rossa’, tra Moon e Kim. Il tutto potrebbe creare una distensione delle relazioni con Trump, in vista del possibile vertice USA-Corea del Nord tra maggio e giugno.
«Siamo lontani dalla conclusione sulla Corea del nord, forse le cose funzioneranno, e forse no. Solo il tempo lo dira’…Ma il lavoro che sto facendo avrebbe dovuto essere fatto molto tempo fa» ha twittato sabato Trump il quale, il giorno successivo, ha po ribadito, sempre via twitter, che «non abbiamo rinunciato a nulla, hanno accettato la denuclearizzazione (molto positiva per tutto il mondo), la chiusura del sito di test e la rinuncia ai test».
«Sembra che Kim abbia deciso di avere un formidabile arsenale nucleare e missilistico e ora deve rompere il suo isolamento autoimposto e concentrarsi su un’economia fallita e fragile. Questa è la sua decisione, apparentemente motivata dalla sua filosofia e forse da alcune pressioni interne e realtà interne. Anche le sanzioni e gli esercitazioni militari congiunte lo hanno spinto in questa direzione. ….. Il presidente Donald Trump e la sua disponibilità a incontrare direttamente Kim Jong Un hanno anche contribuito a questa storica decisione di fermare unilateralmente ulteriori test nucleari e lanci di missili. Questa è una grande notizia» ha commentato Joseph Detrani, già direttore del centro nazionale della contro proliferazione americano. «Questo sviluppo positivo non significa» – ha chiosato Detrani – « che Kim Jong Un è pronto a denuclearizzare completamente. Significa che crede di avere un formidabile deterrente nucleare e continuerà a spingere per l’accettazione quale potenza nucleare, simile a come gli Stati Uniti hanno trattato il Pakistan».
Cosa ha spinto Pyongyang a prendere questa decisione? Il regime di sazioni che ha ormai prosciugato la sua valuta estera, impedendogli di comprare il petrolio e alimentare la propria economia? I recenti incontri con Xi Jinping e Mike Pompeo? Quali conseguenze avrà la decisione del leader nordcoreano sulle trattative con la Corea del Sud e con gli Stati Uniti? Ha risposto a queste domande Francesca Frassineti, esperta della regione asiatica, dell’ Università di Bologna.
Quali fattori hanno spinto il regime nordcoreano ad annunciare, attraverso l’agenzia di informazione Kcna, che «dal 21 aprile sospenderà i test nucleari e i lanci di missili balistici intercontinentali» e che «chiuderà un sito di test nucleari nella zona Nord del Paese per dimostrare l’impegno a sospendere i test nucleari»?
Si tratta di una decisione molto positiva nell’ ottica dei prossimi summit: l’incontro di venerdì con il Presidente sudcoreano Moon e l’eventuale vertice, tra maggio e giugno, con il Presidente Trump. Non è però una svolta inedita. In passato, la Corea del Nord si è più volte impegnata a sospendere i test nucleari e missilistici mentre erano in corso negoziati con Washington e Seoul. Per esempio, Pyongyang aderì a una moratoria sui lanci di missili balistici dal 1999 al 2006 a cui però vi pose fine testando il missile Taepodong-2 nel luglio del 2006. Un altro caso fu quello dell’ultimo accordo, in ordine di tempo, concluso tra Corea del Nord e Stati Uniti il 29 febbraio del 2012: ancora una volta, Pyongyang si impegnò a sospendere i suoi test missilistici in cambio di aiuti alimentari, ma questa intesa ebbe vita brevissima perché, poche settimane dopo, la Corea del Nord lanciò un satellite che, sebbene non fosse tecnicamente un missile, per Washington rappresentò la rottura di quel patto di fiducia a cui si era arrivati con il cosiddetto Leap Day Agreement. Quindi, nel corso della storia, abbiamo assistito a vari momenti nei quali la Corea del Nord si è impegnata a sospendere i lanci e i test nucleari. Non solo non si tratta di una novità, ma soprattutto non equivale a un impegno verso la denuclearizzazione, nonostante sia una conclusione avanzata da molti organi di informazione.
Hanno giocato un ruolo le sanzioni e i conseguenti effetti depressivi sull’ economia nordcoreana?
Una delle varie letture circa i motivi delle aperture che il leader nordcoreano sta facendo, a partire dal discorso di Capodanno, riguarda proprio l’impatto delle sanzioni: in particolare, a seguito dei provvedimenti imposti dal Consiglio di Sicurezza nel 2017, l’economia nordcoreana pare assolutamente strozzata. Si ritiene quindi che il leader nordcoreano sia consapevole della necessità di ottenere un rilassamento del regime sanzionatorio per permettere all’economia nazionale di respirare. Inevitabilmente le sanzioni hanno quindi giocato un ruolo. Allo stesso tempo, però, continuo a ribadire che, neanche in questo caso, le sanzioni si sono dimostrate essere uno strumento utile nel costringere la Corea del Nord a denuclearizzare: se consideriamo il loro obiettivo ultimo, quello di convincere Pyongyang ad abbandonare l’arma nucleare, esse sono risultate fallimentari. L’importanza di dedicarsi allo sviluppo dell’economia nazionale è esplicitata nella dichiarazione uscita dalla riunione del Comitato centrale del Partito coreano dei laboratori della scorsa settimana, in cui si riafferma la politica del byungjin, cioè del parallelo sviluppo dell’arma nucleare e dell’economia. Ciò è un elemento importante da considerare in vista del summit con la Corea del Sud perché l’approccio conciliatorio sostenuto dalle amministrazioni democratico-progressiste tra il 1997 e il 2008 vedeva centrale la cooperazione economico-commerciale: dai due precedenti summit inter-coreani (2000 e 2007) erano nate iniziative congiunte che avevano certamente aiutato in modo considerevole l’economia nordcoreana. Di conseguenza, è prevedibile che i programmi di sviluppo e di interazione economico-commerciale saranno inclusi nell’agenda dell’incontro di questo venerdì. Finora l’attuale amministrazione sudcoreana non ha fatto alcuna concessione economica prima dell’incontro con Pyongyang proprio per non essere oggetto delle stesse critiche avanzate dalle opposizioni conservatrici all’epoca dei due precedenti summit. L’ approccio dell’amministrazione Moon è quello di rilanciare il dialogo anche attraverso il canale economico, ma la riattivazione degli aiuti e dei progetti di cooperazione economica è tecnicamente è legalmente ancora più complicata rispetto al passato, alla luce dell’attuale regime sanzionatorio imposto alla Corea del Nord.
Nelle ultime settimane, è avvenuto l’incontro a Pechino tra Kim Jong Un e il Presidente cinese Xi Jinping e, a distanza di poco tempo, il leader nordcoreano avrebbe incontrato, a Pyongyang, anche il nuovo Segretario di Stato americano, Mike Pompeo. Questi incontri possono aver influito sul recente annuncio del regime di sospendere i test missilistici?
Kim Jong Un ha colto tutti di sorpresa recandosi in visita – il primo viaggio al di fuori dei confini nazionali da quando è salito al potere – in Cina. Sì può ipotizzare che abbia voluto fornire a Xi Jinping la propria “versione”, soprattutto qualora il meeting con Trump si riveli un insuccesso. Dal mio punto di vista, questi incontri hanno scarsamente influito sulla dichiarazione del regime che non corrisponde alla volontà di denuclearizzare, ma tutto il contrario. Si tratta dell’ennesima manifestazione nordcoreana di essere una potenza nucleare, consapevole di avere acquisito una posizione di forza nei confronti degli Stati Uniti; un obiettivo mai raggiunto dai leader nordcoreani prima dell’attuale, ovvero dal padre e dal nonno di Kim Jong Un.
Nella dichiarazione diffusa da Pyongyang, il regime sostiene che l’interruzione dei test nucleari e missilistici scaturisce anche dal fatto che «non c’è più bisogno». Quindi, tra le righe, è sottinteso che, dal punto di vista tecnico, gli obiettivi prefissati sono stati raggiunti?
Esattamente. Il regime, con l’ultimo lancio missilistico del 29 Novembre 2017, aveva affermato di aver raggiunto l’obiettivo ultimo, cioè quello di colpire il territorio continentale statunitense con una testata nucleare miniaturizzata installata su missile balistico. Il completamento del programma nucleare è stato poi riaffermato durante il discorso di Capodanno e, ancora una volta, nell’ ultimo annuncio dello scorso 20 Aprile. Benché, dal punto di vista tecnico, gli osservatori internazionali non confermino il coronamento di questo ‘successo’ – per quanto le stime indichino che Pyongyang sia molto vicina dall’acquisire un deterrente nucleare credibile e affidabile con cui minacciare direttamente gli Usa – con questo nuovo annuncio il regime nordcoreano riconosce di non aver più bisogno dei test.
E’ necessario, dunque, chiarire che i piani sono distinti: da una parte l’annuncio della sospensione dei test missilistici, dall’altra, però, il regime continua a detenere un arsenale missilistico nucleare.
A questo proposito, va detto che gli impegni contenuti in questo annuncio non fanno alcuna menzione di questioni centrali per le dimensioni dell’arsenale nucleare, in primis la produzione di materiale fissile, oppure riguardanti la tecnologia balistica, come i missili che possono essere lanciati dai sottomarini e i satelliti. Ciò vuol dire che la Corea del Nord si è auto-imposta un limite da cui però ha escluso formalmente molte componenti dei suoi programmi militari non convenzionali.
Nell’ annuncio della sospensione dei test, Pyongyang ha reso noto inoltre di voler chiudere il sito nucleare di Punggye-ri.
Nel sito di Punggye-ri sono stati eseguiti tutti i test nucleari sotterranei nordcoreani. Secondo molti geologi, la montagna non sarebbe più in grado di sostenere ulteriori test e quindi la decisione di chiudere il sito potrebbe essere stata presa da tempo per questa ragione. Rimane invece aperta la questione dei reattori, in particolare quello di Yongbyon, che è stato centrale per lo sviluppo del programma nucleare nordcoreano. La chiusura del sito di Punggye-ri sarebbe più un’iniziativa di facciata priva di un reale impatto sulle capacità nucleari nordcoreane. Un’ulteriore aspetto centrale è rappresentato dalla necessità di verificare in maniera credibile e indipendente questi impegni. Il Presidente statunitense ha riaffermato, infatti, che tutto questo non basta: la Corea del Nord deve rinunciare all’arma atomica unilateralmente in maniera completa, irreversibile e verificabile.
Il regime, nell’ annuncio, ha voluto precisare che non «trasferirà la propria tecnologia nucleare a terzi». Perché ha deciso di sottolineare questo aspetto? Per rassicurare la comunità internazionale, configurandosi come interlocutore credibile?
Questo rientra pienamente nel discorso propagandistico della Corea del Nord, ovvero di una potenza nuclearizzata, ma responsabile. Una nazione, inoltre, che non ricorrerà all’arma nucleare se non aggredita, come è stato riaffermato nel documento, e sostenitrice della pace nel mondo e che per questo si asterrà dall’esportare tecnologia nucleare. Quest’ultimo punto è di fondamentale importanza, se rispettato, alla luce dei legami che il regime nordcoreano ha con molti regimi ‘affini’, in particolare con quello siriano. Il regime della famiglia Kim e quello degli Assad hanno ottime relazioni da decenni e Pyongyang ha intensificato il suo coinvolgimento nel Paese a seguito dell’inizio della guerra civile, soprattutto per quanto riguarda lo sviluppo di armi chimiche da parte di Bashar al-Assad.
Dal punto di vista interno, l’arsenale nucleare è sempre stato centrale nella legittimazione del regime. Quale effetto può avere la recente decisione di Kim Yong Un sulla popolazione nordcoreana?
La popolazione nordcoreana riceve, ovviamente, informazioni filtrate, quindi solo ciò che il regime vuol far conoscere. Attraverso questo annuncio, il regime si presenta come un attore responsabile sul fronte internazionale mentre internamente riconferma la volontà di dedicarsi allo sviluppo dell’economia nazionale. Anche alla luce della funzione interna dell’arma nucleare in termini di legittimazione del leader, resta difficile pensare che dopo aver investito tutte le risorse a disposizione nel suo sviluppo, Kim si sia ora deciso ad abbandonarla.
Quindi, l’annuncio si traduce nell’ ennesimo rafforzamento della leadership di Kim Yong Un?
Assolutamente sì. Kim è il fautore di questa apertura nei confronti della comunità internazionale. Nel caso in cui, questa si dimostrasse un ‘buco nell’ acqua’, ovviamente la responsabilità verrebbe attribuita agli Stati Uniti e alle loro ‘marionette’, come vengono solitamente definiti dalla propaganda di regime, Giappone e Corea del Sud.
La decisione di Pyongyang è stata «una decisione importante verso la completa denuclearizzazione della penisola coreana», ha detto il presidente sudcoreano Moon in un incontro con i suoi collaboratori. La Corea del Sud, con cui non è mai stata firmata una pace, sta rivestendo un ruolo primario nella progressiva apertura di Pyongyang alla comunità internazionale. Quale effetto avrà l’annunciata sospensione dei test missilistici sul vertice che si terrà venerdì [27 aprile 2018] a Panmunjom tra i leader delle due Coree?
Ritengo che l’incontro di venerdì sia cruciale ed estremamente più rilevante rispetto all’eventuale summit con Trump perché il vertice con il Presidente sudcoreano non soltanto darà il tono al successivo incontro con il Presidente statunitense, ma ne definirà anche l’agenda: dal successo di venerdì, dipenderà la stessa scelta statunitense di incontrare il leader nordcoreano. Il summit di Panmunjom è estremamente rilevante, anzitutto, perché è il primo incontro tra i leader delle due Coree in undici anni e avviene dopo un periodo, i nove anni di governo conservatore in Corea del Sud, durante il quale la Corea del Sud aveva adottato un atteggiamento estremamente intransigente nei confronti di Pyongyang e, di fatto, il dialogo Inter coreano era stato totalmente sospeso. Se Kim Jong Un si è fatto promotore di una vera e propria offensiva diplomatica, il Presidente sudcoreano, Moon Jae-In, sta cercando di sfruttare fino in fondo le aperture fatte dal leader nordcoreano. Moon in questo si sta giocando un capitale di credibilità politica enorme e ha fatto in modo che il terzo summit inter-coreano abbia luogo all’inizio del suo mandato per impedire che il suo successore possa mettere in discussione gli eventuali frutti dell’attuale approccio di Seoul nei confronti del Nord. Moon sta agendo in maniera coraggiosa perché, qualora tutto ciò si rivelasse un insuccesso, la sua carriera politica inevitabilmente terminerebbe. Allo stesso tempo, però, manifesta maggiore cautela rispetto ai primi due presidenti liberal nella storia della politica sudcoreana – Kim Dae-jung e Roh Moo-hyun – nonché suoi mentori, i quali avevano per primi promosso un approccio più conciliatorio nei confronti della Corea del Nord. A Panmunjom, dunque, si discuteranno alcune questioni molto importanti per il destino della penisola coreana, a cominciare dalla sostituzione dell’armistizio con un trattato di pace che ponga definitivamente fine allo stato di guerra che formalmente vige dal 1953 tra le due Coree. Occorre, però, ricordare che all’epoca la Corea del Sud si era rifiutata di firmare quell’armistizio, che era stato sottoscritto solamente dalla Cina, dagli Stati Uniti (in rappresentanza del contingente Onu) e dalla Corea del Nord. Allorché si possa sostituire questo documento con un trattato di pace, sarà necessario il coinvolgimento delle altre potenze firmatarie. Un altro tema è quello della riunificazione della penisola. Benché essa rappresenti l’obiettivo a cui entrambe le Coree ufficialmente aspirano, potendo così superare il dramma determinato dalla Guerra [di Corea], si tratta di un traguardo che continua ad apparire estremamente lontano, se si pensa che le due Nazioni, in 68 anni di divisione, hanno percorso strade di sviluppo economico e politico agli antipodi: da un lato, un regime autoritario che si regge sul quasi totale isolamento rispetto all’esterno, e dall’altro, una democrazia che è anche la tredicesima potenza economica mondiale.
«Giudichiamo l’annuncio come una risoluzione positiva, ma il punto importante è se questa decisione porterà al completo abbandono dello sviluppo nucleare e missilistico, in modo verificabile e irreversibile. Vogliamo monitorare da vicino» ha dichiarato il primo ministro giapponese Shinzo Abe. Quale potrebbe essere il ruolo del Giappone in questa nuova fase della trattativa?
Il Giappone, insieme alla Corea del Sud, è ostaggio da anni delle capacità non convenzionali di Pyongyang. I due principali alleati di Washington nella regione, infatti, subirebbero le maggiori perdite nel caso in cui scoppiasse un conflitto nella regione. Il premier Abe è il più strenuo sostenitore della politica di ‘massima pressione’ di Trump, ancor più che la Corea del Sud, ma anche per questioni più strettamente legate alla politica interna giapponese: Abe sta cavalcando la preoccupazione dell’opinione pubblica circa la minaccia nordcoreana per creare sostegno popolare al suo progetto di revisione dell’articolo 9 della Costituzione giapponese. Per quanto riguarda l’annuncio della moratoria nordcoreana, dopo l’incontro della scorsa settimana con Trump, il premier giapponese ha affermato come questo avanzamento non sia sufficiente e che l’obiettivo della comunità internazionale rimanga quello di pretendere il completo abbandono dell’arma nucleare da parte di Pyongyang.
Ieri Donald Trump ha ribadito in un tweet che «non abbiamo rinunciato a nulla, hanno accettato la denuclearizzazione (molto positiva per tutto il mondo), la chiusura del sito di test e la rinuncia ai test». La denuclearizzazione è dunque l’obiettivo del fronte guidato dagli Stati Uniti, ma, a questo punto, quale linea seguirà Kim Jong Un e con quale obiettivo? Vuole essere riconosciuta a tutti gli effetti potenza nucleare?
Da quando Kim Jong Un è salito al potere nel dicembre del 2011, il giovane leader ha dato un fortissimo impulso allo sviluppo del programma nucleare e missilistico tanto che la Corea del Nord, in pochissimo tempo, ha raggiunto obiettivi che, fino a qualche anno fa, erano impensabili. Con Kim Jong Un si nota una differenza nella strategia nucleare nordcoreana determinata proprio dal fatto che egli dispone di un programma estremamente più avanzato rispetto al padre e quindi da utilizzare non più solamente come moneta di scambio per ottenere delle concessioni dagli Stati Uniti. Per il giovane Kim, l’obiettivo è il ‘prestigio internazionale’, da ottenere sedendosi al tavolo delle trattative con il Presidente statunitense in carica, cosa che non era riuscita ai suoi predecessori. Dopo essersi autoproclamata potenza nucleare attraverso un emendamento costituzionale nel 2012, la Corea del Nord pretende ora di ottenere questo riconoscimento, questo status paritario, dagli Stati Uniti. Già un vertice con il presidente statunitense sarebbe di per sé un successo incredibile per la leadership di Kim Jong Un. A questo punto, è necessaria molta cautela nel fare delle previsioni. Come ho già detto, è difficile credere che un regime, che ha investito così tanto in un’arma che considera essere l’unica garanzia per la sua sopravvivenza, sia disposto a rinunciarci.
Lo schema, dunque, sarà un negoziato bilaterale?
La Corea del Nord, da anni, ha espresso la preferenza per negoziati bilaterali. L’esperienza negoziale multilaterale più rilevante in questo frangente è stata rappresentata dai cosiddetti ‘negoziati a Sei’, iniziati nel 2003, ma naufragati cinque anni dopo senza aver ottenuto alcun risultato concreto. Quando si parla della questione del nucleare nordcoreano, l’unico attore che Pyongyang riconosce è Washington, perché proprio la necessità di difendersi dalla percepita ‘politica ostile’ degli Stati Uniti ha in parte convinto il regime a dotarsi dell’arma nucleare.
Secondo il Wall Street Journal, Kim Jong Un avrebbe assicurato che il summit con Donald Trump potrebbe essere abbinato al rilascio di tre cittadini americani detenuti e, stando alla Casa Blu, il leader della Corea del Nord non considererebbe più una «pregiudiziale irrinunciabile» il ritiro dei 28.000 soldati statunitensi dalla Corea del Sud. Se così fosse, rimarrebbe da chiarire la posizione di Pyongyang su altre questioni, come l’installazione del sistema antimissilistico THAAD in Corea del Sud e le esercitazioni congiunte tra Washington, Seoul e Tokyo.
E’ ancora difficile fare delle previsioni circa le possibili richieste nordcoreane e le eventuali concessioni sudcoreane, se consideriamo innanzitutto il vertice di venerdì. Sappiamo già che il governo sudcoreano non includerà nell’agenda dell’incontro il tema dei diritti umani mentre le dichiarazioni di Seoul riguardanti la disponibilità di Pyongyang di non pretendere più il ritiro dei soldati statunitensi suscita molte perplessità. Quando la Corea del Nord richiede di ricevere ‘garanzie di sicurezza’ da parte statunitense ciò significa una ridefinizione della postura di Washington nei suoi confronti e ciò non può non riguardare la presenza dei militari americani a sud del 38° parallelo. E’ possibile che Pyongyang ora possa pretendere solo una riduzione della presenza statunitense, ma è estremamente difficile credere che la Corea del Nord abbia in toto rinunciato a una questione storicamente considerata come prioritaria per qualsiasi svolta effettiva nel suo rapporto con gli Stati Uniti e gli altri attori coinvolti.
Cosa che è molto temuta dalla Cina.
La questione del THAAD continua a creare dei dissidi soprattutto nei rapporti tra Cina e Corea del Sud. Durante i dodici mesi successivi al dispiegamento dello scudo anti-missile in Corea del Sud, Pechino ha messo in atto un boicottaggio non ufficiale a danno delle principali esportazioni sudcoreane in Cina e le perdite per l’economia di Seoul sono state elevatissime. Nell’ottobre scorso le parti hanno trovato una parziale intesa, ma per la Cina la questione sarà definitivamente risolta solo quando il THAAD verrà rimosso. Formalmente, la posizione cinese ritiene che lo scudo non faccia altro se non incrementare l’instabilità nella regione, ma si ritiene che il vero timore di Pechino riguardi l’eventualità che tramite il radar dello scudo anti-missile, gli Stati Uniti acquisiscano informazioni sul programma missilistico cinese.