Tra la primavera e l’estate, secondo Amnesty International, la Turchia ha rimpatriato forzatamente rifugiati siriani in zone di guerra. L’accordo tra Turchia e Russia dei giorni scorsi fa riferimento al ‘ritorno volontario e sicuro’, il timore è che non sarà volontario e sarà volto a modificare la tipologia etnica della popolazione ai confini
Amnesty International ha denunciato in queste ore che, nei mesi che hanno preceduto la sua incursione militare nel nordest della Siria, e prima del tentativo di creare la cosiddetta ‘zonasicura’ oltre i suoi confini, la Turchia ha rimpatriato forzatamente rifugiati siriani.
La denuncia a poche ore dalla firma, lo scorso 22 ottobre, tra Turchia e Russia dell’accordo per la gestione della safe zone nel Nord-Est della Siria. Accordo che è stato fatto notare ha un punto potenzialmente critico, il punto 8 dell’accordo che prevede che Turchia e Russia lavorino per «facilitare il ritorno volontario e il ricollocamento dei profughi siriani» nella safe zone. Secondo alcuni internazionalisti questo articolo pone problemi. La gran parte degli oltre 3 milioni di profughi ospitati dalla Turchia sono siriani, non sono curdi, il territorio della safe zone è abitato dai curdi. Il rischio paventato è quello di un trasferimento obbligato dalla Turchia, in primo luogo per ‘alleggerirsi’ del peso dei rifugiati, in secondo luogo per modificare la tipologia etnica della popolazione ai confini. I trasferimenti di popolazioni al fine di modificare le consistenze etniche locali sono rigorosamente vietate dal diritto internazionale.
La denuncia di Amnesty di rimpatri in una zona di conflitto rafforza i timori.
Amnesty International ha incontrato o parlato con rifugiati che hanno denunciato di essere stati picchiati o minacciati dalla Polizia turca affinché firmassero documenti in cui attestavano di aver chiesto di tornare in Siria: in realtà, le autorità turche li hanno costretti a tornare in una zona di guerra e hanno posto le loro vite in grave pericolo.
Secondo le segnalazioni, all’incirca 200 iracheni e 300 siriani sono stati rimpatriati con la forza, dopo che i funzionari hanno costretto le persone a firmare moduli in cui dichiaravano di accettare il “ritorno volontario”
«L’affermazione della Turchia secondo le quali i rifugiati siriani stanno scegliendo di tornare indietro in mezzo al conflitto è pericolosa e disonesta. La nostra ricerca mostra che queste persone sono state ingannate od obbligate a tornare in Siria», ha dichiarato Anna Shea, ricercatrice di Amnesty International sui diritti dei migranti e dei rifugiati. «La Turchiamerita apprezzamento per aver dato ospitalità a oltre tre milioni e 600mila siriani negli ultimi otto anni, ma non può usare la sua generosità come una scusa per violare le norme nazionali e internazionali eseguendo rimpatri in una zona di conflitto» , ha aggiunto Shea.
In assenza di statistiche ufficiali, stimare il numero delle persone rimpatriate a forza è difficile, affermano da Amnesty. Ma sulla base di decine di interviste realizzate tra luglio e ottobre del 2019, Amnesty International ritiene che negli ultimi pochi mesi i rimpatri siano stati centinaia. Le autorità turche parlano di un totale di 315mila persone tornate in Siria in modo del tutto volontario.
Amnesty International ricorda che rimpatriare rifugiati siriani è un’azione illegale che li espone a gravi rischi di subire violazioni dei diritti umani. «L’accordo tra Turchia e Russia dei giorni scorsi fa riferimento al ‘ritorno volontario e sicuro’ dei rifugiati in una cosiddetta ‘zona sicura’ ancora da realizzare. La cosa agghiacciante è che i rimpatri ci sono già stati e in modo né sicuro né volontario. Ora altri milioni di rifugiati siriani sono a rischio», ha sottolineato Anna Shea.
Il Governo turco sostiene che tutti i siriani che tornano in patria lo fanno in modo volontario, ma la ricerca di Amnesty International mostra che molti di loro sono stati obbligati o ingannati allo scopo di firmare la documentazione sul cosiddetto ‘rimpatrio volontario’. Amnesty International ha verificato 20 casi di rimpatrio forzato attraverso autobus zeppi di decine di altre persone ammanettate coi lacci di plastica che a loro volta sembravano vittime di rimpatrio forzato.
Ogni volta che i rifugiati siriani interagiscono con la Polizia o con i funzionari dell’immigrazione della Turchia, rischiano l’arresto e il rimpatrio: può accadere durante un controllo di documenti in strada o nel corso di un’intervista per rinnovare il documento di soggiorno. La spiegazione più comune fornita per giustificare il rimpatrio è l’assenza di registrazione o la presenza fuori dalla provincia di registrazione. Ma sono stati rimpatriati anche rifugiati che avevano documenti validi per la provincia in cui erano residenti, afferma Amnesty International. Nella stragrande maggioranza dei casi, i rifugiati rimpatriati sono uomini adulti caricati su autobus nella provincia turca di Hatay e fatti scendere oltre il valico di Bab al-Hawa, nella provincia siriana di Idlib.
«Le autorità turche devono cessare immediatamente i rimpatri in Siria e assicurare che tutte le persone rimpatriate possano fare rientro in Turchia e accedere nuovamente a servizi fondamentali», ha sottolineato Shea. «L’Unione europea e il resto della comunità internazionale, invece di spendere energie per tenere i richiedenti asilo alla larga dai loro territori, dovrebbero aumentare di molto gli impegni per il reinsediamento dei rifugiati siriani dalla Turchia», ha concluso Shea.