L’ex Repubblica sovietica verso l’instabilità. Si tratta di molto di più di disordini dettati da problemi economici. Che sia l’inizio di una rivoluzione colorata o solo disordini, le proteste sono senza precedenti e significative a livello globale. Il caos potrebbe attirare i russi, fino a riprendersi un pezzo di Paese. E la Cina guarda con interesse
Il Kazakistan si sta muovendo a passo veloce verso l’instabilità, forse, secondo alcuni osservatori, verso la rivoluzione. La crisi in corso è senza precedenti e la situazione è in rapida evoluzione.
Tutto è iniziato da una piccola protesta contro l’aumento del prezzo del carburante nella città petrolifera occidentale di Zhanaozen, poi, il 5 gennaio, una folla inferocita ha invaso le strade e le piazze delle principali città del Paese, esprimendo il malcontento nei confronti delle politiche del governo e dell’autoritaritarismo che dal 1991 prostra il Paese. Ora si contano morti a decine, feriti a migliaia, persone in ospedale a centinaia, arresti a migliaia.
Nelle prime ore delle proteste, il Presidente Qasym-Zhomart Toqaev sembrava intenzionato a rispondere ai manifestanti con una riduzione del prezzo della benzina e la creazione di una commissione per lo studio e la soluzione dei problemi economici lamentati dai manifestanti.Ma le proteste non si sono fermate, anzi, si sono intensificate, sono diventate proteste antigovernative, contro un regime al potere da quando la Repubblica dell’Asia centrale si è staccata dall’URSS, nel 1991, e Toqaev -che è subentrato nel 2019 come successore predestinato dell’ex uomo forte, Nursultan Nazarbayev– ha deciso di usare il pugno di ferro. Ha licenziato il governo, ha dichiarato lo stato di emergenza, ha definito,in un discorso televisivo, i responsabili delle proteste come «bande terroristiche internazionali che hanno ricevuto un addestramento speciale all’estero e il loro attacco al Kazakistan dovrebbe essere visto come un atto di aggressione» , ha ordinato alla forze dell’ordine di sparare ad altezza uomo, e hachiesto alla Russia di inviare ‘peacekeepers‘ sotto l’egida della Collective Security Treaty Organization (CSTO), l’alleanza guidata dalla Russia di sei ex repubbliche sovietiche (Russia, Armenia, Bielorussia, Kirghizistan, Tagikistan e Kazakistan) creata nel 1992.
Vladimir Putin ha risposto positivamente e rapidamente: il 6 gennaio, nel Paese sono arrivati i militari russi, con altri provenienti dagli altri Paesi della CSTO. E’ la prima volta che CSTO entra in azione.
La CSTO è rimasta fuori dalle rivoluzioni del 2005, 2010 e 2020 in Kirghizistan, dalla violenza interetnica del giugno 2010 nel Kirghizistan meridionale, dal conflitto del Nagorno-Karabakh tra Armenia e Azerbaigian nell’autunno 2020 e non ha tentato di intervenire o mediare nei combattimenti tra Kirghizistan e Tagikistan alla fine di aprile 2021. «Secondo l’articolo 4 della Carta della CSTO,l’organizzazione invierà solo truppe per aiutare uno Stato membro il cui territorio o sovranità è minacciato da una forza esterna. Nessuno dei suddetti conflitti negli Stati membri della CSTO ha soddisfatto tale criterio, annota Bruce Pannier, di ‘Radio Free Europe/Radio Liberty‘ -l’organizzazione per le comunicazioni fondata dal Congresso degli Stati Uniti nel 1949. «Ma nessuno dei Paesi coinvolti condivide un confine di 7.000 chilometri con la Russia, come fa il Kazakistan, quindi l’accurata formulazione di Toqaev per includere ‘bande terroristiche internazionali addestrate all’estero‘ è stata ritenuta sufficiente per invocare gli aiuti della CSTO per il suo governo assediato». Secondo Pannier e secondo analisti locali kazaki, «la mossa potrebbe aiutare il governo di Toqaev a mantenere il potere, ma è probabile che l’arrivo di truppe straniere sul suolo kazako sia impopolare tra molti kazaki e rappresenterà una macchia indelebile sulla reputazione di Toqaev». Molti, secondo Bruce Pannier, «dentro e fuori il Kazakistan vedranno il posizionamento di truppe straniere nel Paese come un sacrificio della sua sovranità e un esempio della debolezza del governo Toqaev, che avrà conseguenze future, quando la Russia ricorderà a Toqaev il servizio che ha reso e il Cremlino si attenderà lealtà». Inoltre, si «crea un precedente per i leader autoritari dell’Asia centrale», afferma l’analista politico kirghiso Aida Alymbaeva.
Paul Stronski, senior fellow del Carnegie’s Russia and Eurasia Program, afferma che «la decisione di Tokayev di chiedere aiuto alla CSTO e alla Russia è una mossa rischiosa. Il coinvolgimento della CSTO ha internazionalizzato quello che essenzialmente è iniziato come un movimento di protesta interno aggiungendo al mix un partner imprevedibile e spesso non fidato (la Russia). L’arrivo delle truppe russe nel Paese ha sollevato preoccupazioni in alcuni ambienti sul futuro della sovranità del Kazakistan. Erica Marat, professore associato presso il College of International Security Affairs della National Defense University ha affermato: “Questo è fondamentalmente il Kazakistan che cede la sua sovranità a una forza militare guidata dalla Russia”. Il dispiegamento avrà importanti implicazioni geopolitiche non solo per il Kazakistan ma per l’Asia centrale nel suo insieme, portando a una fine improvvisa e imprevista un lungo periodo di stabilità. Non ci sono esempi di forze di pace russe schierate nello spazio post-sovietico senza precondizioni geopolitiche.
Di recente, poi, sono aumentati i sentimenti nazionalisti kazaki, come si vede nelle bandiere kazake che i manifestanti continuano a sventolare. Così, afferma Stronski, «dato il crescente sentimento nazionalista, l’arrivo delle forze di pace russe potrebbe infiammare ulteriormente la situazione e compromettere la legittimità interna di Tokayev».
La leadership kazaka, fanno osservare gli analisti, non è in contatto con la sua gente. Il governo kazako ha cercato di dissipare le proteste riducendo i prezzi del carburante, ma è stato troppo lento per pacificare i manifestanti. E ci sarebbe un rapporto secondo cui i militari non sono sicuri della lealtà delle forze al governo e non mancano coloro che sostengono che tra i militari crescono i simpatizzanti dei manifestanti.
Zachary Witlin di Eurasia Group afferma che il governo sta lottando per riaffermare il controllo con la forza. «Le proteste non sono più principalmente di natura economica ma ora apertamente politiche».
Ora, Vladimir Putin, sempre diffidente nei confronti delle rivolte popolari nella sfera di influenza del Cremlino e già fin troppo assillato dall’Ucraina, è uno dei due leader mondiali che segue da vicino gli sviluppi in Kazakistan, l’altro è Xi Jinping, dato che la Cina ha sete di petrolio, gas e minerali kazaki.
Il Paese, infatti, è il più grande dell’Asia centrale -tre fusi orari- con considerevoli risorse di petrolio, gas, uranio, grano e molte altre importanti materie prime, ed è uno dei principali esportatori globali di petrolio e gas. Ha la dodicesima riserva accertata di petrolio greggio al mondo e la sua economia è fortemente dipendente dalla vendita di idrocarburi, sia in Europa che in Asia. In passato esportava la maggior parte di idrocarburi attraverso oleodotti russi, con i nuovi oleodotti, negli ultimi anni è diventato molto più indipendente da Mosca. Ma non politicamente.
«Il Kazakistan è un’autocrazia, attualmente nel bel mezzo di una transizione dal suo anziano uomo forte, Nursultan Nazarbayev, al successore scelto come Presidente, Kassym-Jomart Tokayev», afferma Emma Ashford, analista senior della New American Engagement Initiative presso il Scowcroft Center for Strategy and Security dell’Atlantic Council. «Questi due fatti insieme sono ciò che sta dietro gli attuali disordini: il popolo kazako è stufo di tre decenni di governo repressivo e soffre di difficoltà economiche,poiché la pandemia di COVID-19 ha costretto il governo a cancellare i sussidi statali su beni chiave come l’energia». Si tratta di molto di più di disordini economici e di transizione di potere in corso, secondo Ashford, «con il regime kazako che cerca rapidamente di reprimere qualsiasi opposizione con l’aiuto dei suoi alleati CSTO». Si tratta di proteste molto inusuali. Non abbiamo assistito a grandi proteste in Kazakistan dai disordini di Zhanaozen dieci anni fa, afferma Melinda Haring, vicedirettore dell’Eurasia Center dell’Atlantic Council. «La portata di queste proteste è senza precedenti».
Anche se Emma Ashford ricorda che il Kazakistan ha una tradizione di importanti manifestazioni e proteste politiche. «Ricordiamo che gli eventi distintivi che hanno innescato la perestrojka sovietica sono state le manifestazioni ad Almaty contro la nomina di un russo di etnia, Gennady Kolbin, come primo segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista del Kazakistan. Mikhail Gorbaciov non ha letto molto bene la mappa etnica. Quelle proteste hanno portato alla crescita della consapevolezza nazionale nella repubblica, al lancio della carriera politica di Nursultan Nazarbayev e alla fine all’indipendenza».
E secondo alcuni analisti, le ripetute -e non mantenute- promesse del governo per un futuro economico migliore hanno trasformato il Kazakistan in una pentola a pressione di malcontento, afferma la ‘CNN‘. Le lamentele di lunga data sulla disoccupazione e sui bassi salari, lebuste paga in ritardo, le cattive condizioni di lavoro, la devastazione ambientale e la corruzione dilagante sono stati problemi per anni, e ora sono state potenziate da una recessione indotta dalla pandemia e da una grottesca disuguaglianza. «Questo è un governo molto distaccato dalla realtà di ciò che accade sul campo. È un Paese dove non ci sono istituzioni attraverso le quali protestare; l’unica strada è per le strade», ha detto Paul Stronski. Stronski afferma che le autorità hanno annunciato molti piani per migliorare la vita e reprimere la corruzione, ma non sono mai stati attuati.
Gli ultimi anni hanno anche messo a nudo una rete di sicurezza sociale mal funzionante, un problema esacerbato dalla mancanza di opportunità economiche per la maggior parte dei giovani del Paese, fa notare ‘CNN‘. Ciò è particolarmente vero per i kazaki delle aree rurali e delle città più piccole che si sono trasferiti a frotte nei sobborghi degradati di Almaty e Nur-Sultan, le due più grandi città del Paese. In quei centri urbani in forte espansione, il divario di ricchezza è particolarmente evidente. L’afflusso di persone ha anche aggiunto tensioni sociali ed etniche e servizi governativi carenti.
«La repressione ha diviso il dissenso. Da un lato, la crescente repressione ha spinto online la società civile del Kazakistan, sorprendentemente resiliente. Questo gruppo è altamente istruito, ha sede nelle due città principali e ha mantenuto una presenza straordinariamente solida all’interno di spazi mediatici come Twitter, Telegram e Facebook, almeno fino a quando il governo non ha iniziato a chiudere Internet. Sull’altro fronte ci sono i manifestanti arrabbiati che saccheggiano gli edifici e depredano le attività commerciali. In mancanza di metodi sistemici per far sentire la propria voce, alcuni cittadini kazaki si sono riversati nelle strade per esprimere il loro malcontento, a volte con violenza, quelli che il governo ha etichettato come ‘terroristi internazionali‘», afferma Paul Stronski.
Il Kazakistan è stato un’autocrazia in gran parte stabile dal crollo dell’Unione Sovietica; «proteste di questa portata non si vedevano dagli anni ’80», afferma Haring. «Un picco dei prezzi del carburante ha catalizzato le proteste, ma le cause sono molto più profonde e le proteste sono significative a livello globale. I disordini potrebbero attirare i russi. La Cina sta indubbiamente guardando con interesse».
Matthew Kroenig, vicedirettore dello Scowcroft Center for Strategy and Security dell’Atlantic Council, non è convinto, a differenza di altri analisti occidentali, che si tratti di una ‘rivoluzione colorata‘, volta alla nascita di una Nazione democratica. Questa protesta, afferma, «sembra riguardare più l’insoddisfazione per i tagli ai sussidi del governo che il desiderio di creare una democrazia jeffersoniana». Il regime è al potere dalla fine della Guerra Fredda, «penso che sia improbabile che cada a breve».
Diana Kudaibergenova dell’Università di Cambridge, sottolinea il divario tra gli attivisti politici e la folla, principalmente di giovani delle aree più povere di Almaty, che è scesa in piazza. Dice che gli attivisti politici «sanno che i rivoltosi li stanno derubando del loro diritto alla protesta pacifica».
Questi ‘disordini‘, però, anche se non fossero una nascente rivoluzione, possono essere sufficienti a scuotere i mercati in Europa e in Asia, afferma Emma Ashford. Nazarbayev ha mantenuto stabile il Kazakistan. Di conseguenza, negli ultimi decenni, il Paese ha ricevuto notevoli investimenti esteri nel settore petrolifero e del gas. Qualsiasi carenza sostanziale nella produzione di petrolio o gas kazako si aggiungerebbe alla scarsità già in atto sul mercato globale di tali materie, e produrrebbe un ulteriore aumento i prezzi.
Il Kazakistan è, «sorprendentemente importante per le economie degli Stati in Europa e, in misura minore, in Asia, poiché tale stabilità politica gli ha permesso di diventare un importante esportatore di petrolio, gas naturale e carbone», afferma Melinda Haring. «Il Kazakistan è anche un importante Paese di transito energetico per i vicini Stati dell’Asia centrale. Le proteste hanno già raggiunto i lavoratori del giacimento petrolifero di Tengiz, sebbene la produzione non sia stata ancora colpita. Se le proteste diventano abbastanza significative da interrompere la produzione o il transito di energia, possono avere effetti economici a catenasproporzionati rispetto all’importanza politica del Kazakistan».
Tra gli altri investitori nel settore energetico, ci sono anche gli Stati Uniti, sottolinea Matthew Kroenig. Washington ha anche aiutato il Paese nell’eliminare le sue infrastrutture nucleari e di armi di distruzione di massa dopo la fine della Guerra Fredda. «Il Kazakistan ha aderito al Partenariato per la pace della NATO e ospita una piccola esercitazione militare annuale di mantenimento della pace, Steppe Eagle». Ma per il resto, i rapporti con Washington sono piuttosto scarsi. Il Kazakistan è sempre stato saldamente nella sfera di influenza della Russia, il che significa gli Stati Uniti avranno scarsa influenza sull’esito di questa rivolta. La principale relazione militare del Kazakistan è con la CSTO, che ha sostituito il Patto di Varsavia per la Russia e alcuni Stati dell’Asia centrale. L’intervento militare della CSTO, sottolinea Kroenig, non ha precedenti e dimostra che la più grande minaccia degli autocrati proviene dalla loro stessa gente».
Il Kazakistan, afferma Emma Ashford, «ha passato gli ultimi decenni a costruire legami energetici e di politica estera sia con l’Europa che con la Cina, cercando di staccarsi dalla Russia, almeno in una certa misura. E ha avuto un discreto successo nel farlo, costruendo oleodotti che gli consentono di vendere direttamente ai consumatori non russi e allo stesso tempo sganciando la sua politica estera dalla Russia.Questo è stato ampiamente accettato a Mosca.
Ma ciò che sta accadendo ora rischia di essere percepito come molto più impegnativo per gli interessi russi di quella deriva graduale. Per prima cosa, anche se si sa che non c’è un vero coinvolgimento degli Stati Uniti in ciò che sta accadendo ora, il Cremlino ha la tendenza a vedere rivoluzioni colorate e ingerenza degli Stati Uniti ovunque. La Russia acquista ancora gas kazako per sostenere la propria produzione in calo eil cosmodromo di Baikonur, sede del programma spaziale russo e di tutti i suoi lanci,si trova in Kazakistan. C’è anche una considerevole popolazione di russofoni etnici all’interno del Paese. In breve, qualsiasi sostegno degli Stati Uniti a queste proteste, anche solo verbale, potrebbe peggiorare le relazioni con Mosca e destabilizzare ulteriormente la situazione intorno all’Ucraina». C’è da considerare, sottolinea Emma Ashford, che gli Stati Uniti al momento non hanno nemmeno un ambasciatore in Kazakistan. Inoltre, «molti degli strumenti che gli Stati Uniti normalmente utilizzano in questo tipo di situazione (cioè le sanzioni) sono poco adatti al caso kazako; le principali compagnie energetiche americane sono profondamente integrate nell’economia kazaka e le sanzioni contro queste industrie rischierebbero di ritorcersi contro e potrebbero avere un impatto sugli alleati europei dell’America», a partire dall’italiana Eni.
Melinda Haring ritiene improbabile che l’instabilità si diffonda oltre il Kazakistan. «La vera domanda è come rispondono Mosca e Pechino. Mosca potrebbe usare questo come pretesto per riprendersi il nord del Kazakistan, sede della maggior parte degli idrocarburi del Paese», dove la Cina è un investitore importante, oltre che consumatore, «e di una vasta popolazione di etnia russa», circa il 20% della popolazione del Kazakistan è etnicamente russa. Altresì, secondo Ariel Cohen, non è da escludere che il nord del Kazakistan chieda all’improvviso alla ‘Madre Russia’ protezione contro ‘terroristi addestrati all’estero’. «Ciò potrebbe portare alla rottura del Kazakistan».
Un intervento militare russo è improbabile, in particolare dato l’attuale ammasso militare russo intorno all’Ucraina, che ha deviato molte delle forze russe normalmente di stanza vicino al confine kazako, afferma Emma Ashford. Ma Mosca potrebbe utilizzare i suoi forti legami personali con l’élite kazaka, insieme ai suoi legami più formali tramite le organizzazioni economiche e di sicurezza regionali, per sollecitare la soppressione delle proteste.
La Cina ha un interesse minore, ma comunque importante per la stabilità kazaka; il Paese fornisce almeno il 5% delle importazioni cinesi di gas naturale. Dovremmo aspettarci che sia la CSTO che l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, di cui tutti e tre i Paesi sono membri, svolgano un ruolo in questa crisi».
Ariel Cohen, politologo, ricercatore senior presso l’Atlantic Council Eurasia Center e membro del Council of Foreign Relations, introduce un tema sfuggito ai più. «La domanda chiave è: fino a che punto la vittoria degli islamisti nella caduta dell’Afghanistan ha dato energia alle forze islamiste in tutta l’Asia centrale? Potremmo non essere consapevoli che ci troviamo in una nuova fase della realtà politica. I vecchi leader dell’era sovietica possono essere rifiutati dalla nuova generazione che è cresciuta sotto l’indipendenza e in un ambiente molto più infuso di Islam. Ho notato i videoclip dei manifestanti che conducono preghiere di massa all’aperto. È qualcosa che non ho mai visto prima in Kazakistan».
L’ultima cosa che Mosca vuole in questo momento in cui è tanto impegnata con la grana Ucraina, e mentre è in piena fase di costruzione dell’impero, a ovest e a est, sono proteste legittime in un Paese che considera nella sua sfera di interesse, sostiene Melinda Haring. «Un giornale russo ha affermato che ‘loro’ -intendendo l’Occidente- hanno lanciato una rivoluzione colorata come distrazione alla vigilia dei principali colloqui sulla sicurezza Russia-USA. Mosca cerca una mano nascosta. Il Cremlino non accetta le proteste in Kazakistan come autentiche».
C’è per altro da sottolineare che in questa situazione a rischiare è anche la Russia, e Vladimir Putin in testa. L’intervento dei militari russi in Kazakistan, per ora, è più una operazione di Polizia che un intervento armato, o almeno così è stato dipinto da Mosca e da Nur-Sultan, ha affermato, al ‘The Moscow Times‘, Andrei Kortunov, capo del Russian International Affairs Council (RIAC), think tank legato al Cremlino. «Ma se si trascina, le conseguenze per la Russia potrebbero aumentare». Affermando che la Russia non aveva altra scelta che intervenire, Kortunov sottolinea che «è importante che questa sia un’operazione breve e limitata nel tempo e che non ci facciamo risucchiare».
Il rischio potenziale maggiore è che la Russia venga risucchiata dalle controversie interne del Kazakistan. Con la Russia che ha assunto un ruolo di primo piano nel sostenere il governo del Kazakistan, Kortunov teme uno sfogo del nazionalismo kazako e la rottura del fragile equilibrio etnico interno del Paese. I precedenti interventi russi nei Paesi post-sovietici hanno visto Stati amici prendere brusche svolte anti-russe, ha osservato Kortunov. «C’è una reale possibilità che potremmo assistere all’aumento del sentimento anti-russo in Kazakistan, sulla falsariga dell’Ucraina o della Georgia». Altresì, con molti kazaki risentiti per il coinvolgimento militare russo, è probabile che la tensione tra le popolazioni di etnia russa e kazaka aumenti,rendendo più probabile il sostegno russo all’autonomia, afferma Oksana Antonenko Direttore del Global Risk Analysis at Control Risks. Le ricadute geopolitiche potrebbero andare ben oltre l’Ucraina e la tensione tra Russia e Occidente. «Potrebbe anche minare il delicato equilibrio sino-russo in Asia centrale».
‘The Moscow Times‘ ipotizza che la crisi in Kazakistan possa influire anche sulla politica interna russa. «Sebbene entrambi i Paesi siano rimasti sostanzialmente stabili sotto regimi autoritari di lunga data, le diffuse frustrazioni economiche e la disuguaglianza hanno consumato la posizione popolare di entrambi i governi. In Russia, come in Kazakistan, le impopolari riforme socio-economiche, hanno abbassato l’indice di gradimento del Presidente, una volta alle stelle. Un recente sondaggio del Levada Center ha mostrato che il gradimento elettorale di Vladimir Putin -il numero di russi pronti a votare per la sua rielezione- è del 32%, un minimo storico».
«“Putin generalmente crede nella propria popolarità”, ha affermato Tatiana Stanovaya, fondatrice di R.Politik, una società di consulenza politica. “Ma gli eventi in Kazakistan potrebbero fargli dubitare di quanto sia davvero sostenibile quella popolarità”». Così, il timore dell’opposizione russa è che, temendo che in Russia ci possano essere proteste a imitazione di quelle in Kazakistan, i servizi di sicurezza russi decidano un giro di vite ulteriore sulle libertà nel Paese. «Per altri, le proteste in Kazakistan -che erano in gran parte dirette contro Nursultan Nazarbayev, il Presidente fondatore del Paese che si è dimesso nel 2019 ma conserva ancora ampi poteri dietro le quinte- potrebbero influenzare la scelta di Vladimir Putin se rimanere o meno in carica». Nazarbayev -che è personalmente vicino a Putin- ha lasciato la presidenza per dirigere il potente Consiglio di sicurezza del suo Paese. Il Presidente russo potrebbe eventualmente seguire il modello kazako, affidando le responsabilità quotidiane a un selezionato successore pur mantenendo il controllo finale su qualsiasi decisione. Così come, all’opposto, Putin potrebbe concludere che allentare la presa sul potere è pericoloso. Infatti, all’inizio delle proteste, Tokayev aveva annunciato che avrebbe preso il controllo del Consiglio di sicurezza del Paese, sostituendo il suo ex protettore, il che mostra chiaramente a Putin i rischi insiti in qualsiasi passaggio di potere.
Quella in corso in Kazakistan è «una lotta per la sopravvivenza per il regime al potere e una nuova crisi per il principale benefattore di quel regime, il Presidente russo Vladimir Putin», afferma Josh Rogin, editorialista del ‘Washington Post‘ e analista politico della ‘CNN‘. «C’è il rischio reale che la crisi del Kazakistan possa trasformarsi in un pantano che la Russia non aveva pianificato». Putin e Nazarbayev, prosegue Rogin, «hanno trasformato la crisi interna del Kazakistan in un evento geopolitico, è impossibile ignorare le implicazioni per le relazioni USA-Russia, che stanno raggiungendo un punto di svolta per l’Ucraina». Così, i disordini in Kazakistan pongono una domanda a Putin:«continuare la sua campagna di intimidazione sul fianco occidentale o affrontare i pericoli a sud? O fare entrambe le cose?», e sarebbe in grado di fare entrambe le cose? Putin sembra accerchiato, … accerchiato da se stesso.
«Con le operazioni militari nel Caucaso meridionale, in Bielorussia e ora in Kazakistan, oltre alla continua minaccia militare all’Ucraina, la Russia sta chiaramente rafforzando la sua presa sullo spazio post-sovietico a costo di peggiorare le relazioni con l’Occidente, la Cina e le popolazioni del suo antico impero». Ma il pericolo che la presa gli sfugga di mano è reale, ilKazakistan potrebbe essere una nuova tappa del percorso di affrancamento definitivo degli ex Stati sovietici.
La situazione ora è altamente infiammabile e il ruolo delle forze di sicurezza d’élite del Kazakistan sarà fondamentale per come andrà a finire, afferma Paul Stronski. «Secondo quanto riferito, diversi membri di queste forze sono stati uccisi negli scontri di questa settimana e il rimpasto di governo ha portato a un cambio di leadership nei servizi di sicurezza» .«In Occidente si sa poco della lealtà dei servizi di sicurezza nei confronti di Tokayev, per non parlare della loro volontà di usare la forza su larga scala contro i propri cittadini». L’era Nazarbayev in Kazakistan è finita, ma potrebbe essere la fine anche per Kassym-Jomart Tokayev. Sembra che il Presidente «stia preparando la popolazione a un’azione decisiva da parte delle forze interne o della CSTO. Il contratto sociale tra lo Stato e il popolo è stato visibilmente rotto. Affinché il Kazakistan torni sulla strada della stabilità, è necessaria una vera riforma, anche se non è chiaro chi ci sarà e chi sarà in grado di portare avanti quel cambiamento», indipendentemente dal fatto che quella in corso sia o no una rivoluzione.