Negli Stati Uniti stanno crescendo le voci a favore di una soluzione politica della crisi in Ucraina, in linea con la Casa Bianca. Kiev, guardando al 2008 di Tbilisi, dovrebbe capire come si comporteranno gli USA. E gli USA dovrebbero guardare alla soluzione della crisi di Cuba

 

 

L’Ucraina è una piaga purulenta assai pericolosa per gli USA dell’Amministrazione di Joe Biden -e ancora di più per l’Europa. Dopo settimane di allarmi, assicurazioni di essere dalla parte di Kiev, ‘avvisialla controparte russa, minacce di catastrofiche sanzioni, ora sembra avvicinarsi il momento in cui Washington deve decidere cosa significa concretamente stare dalla parte di Kiev. Significa armare fino ai denti Kiev perchè Volodymyr Zelensky vada alla guerra? Significa che gli scarponi sul terreno ce li metterà anche Washington? Oppure si deciderà di affidare alla diplomazia americana e internazionale la ricerca di una soluzione politica? capace di spegnere l’incendio prima che divampi, e salvare la faccia a tutti i protagonisti in gioco, magari attraverso la solita via degli accordi segreti.

C’è da prendere atto che da una parte Biden ha escluso l’invio di truppe statunitensi in Ucraina per difendere il Paese da un’invasione russa, e dall’altra, che stanno crescendo le voci che si oppongono non solo all’intervento americano, ma soprattutto in favore della soluzione politica, richiamando errori e buone prassi del passato.

Gli Stati Uniti si trovano difronte alla credibility trap‘, la trappola della credibilità, afferma

Anatol Lieven, ricercatore senior su Europa e Russia presso il Quincy Institute for Responsible Statecraft, think tank americano dell’area ‘realist’.
Lieven fornisce una definizione del termine ‘credibilità’ in politica estera e di sicurezza affermando: «
Gli Stati Uniti, ci viene detto, devono fornire sostegno militare all’Ucraina, non perché l’Ucraina stessa sia un interesse vitale degli Stati Uniti o meriti la minaccia di una guerra catastrofica con la Russia, ma perché altrimenti lacredibilitàdegli Stati Uniti ne soffrirà e la Cina, l’Iran e altri gli avversari senza nome saranno ‘incoraggiati’». E’ verità, prosegue l’analista «che gli imperi operano in parte sulla base del bluff, e le loro élite ne sono ben consapevoli. Poiché si estendono su territori così vasti, se molti dei loro sudditi o nemici si unissero contro di loro, sarebbero sopraffatti. Sentono quindi il bisogno di impegnarsi in spettacolari dimostrazioni di forza contro particolari rivali locali per convincere tutti gli altri a restare in riga. Il problema è che questo può aiutare a portare gli imperi verso impegni locali che sono totalmente ingiustificabili nei loro stessi termini. Lacredibilitàdiventa un motore di conflitto auto-generante, perché l’impegno iniziale aumenta la quantità di ‘credibilità’ che andrà persa se gli Stati Uniti successivamente si ritireranno o subiranno una sconfitta. Quindi, per evitare ciò, l’America deve aumentare l’impegno, alzando ancora di più la posta in gioco della credibilità, fino a quando alla fine un’Amministrazione americana si trova di fronte alla scelta tra una grave umiliazione o andare in guerra. Naturalmente, la tragica ironia è che se l’America subisce un fallimento in quella guerra -come spesso accade- la conseguente perdita di ‘credibilità’ degli Stati Uniti è molto maggiore che se l’America non fosse mai stata coinvolta».
In nome della credibilità le truppe americane sono andate in Vietnam piuttosto che in Iraq, in Afghanistan, in Siria, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. «A parte tutti gli altri terribili pericoli insiti in uno scenario del genere, nessun regalo geopolitico e strategico più grande potrebbe essere immaginato dalla Cina. Anche senza una vera guerra con la Russia, l’invio di enormi forze militari statunitensi in Europa indebolirebbe drasticamente la posizione di Washington in Estremo Oriente. Coloro che sostengono l’impegno militare degli Stati Uniti in Ucraina per impressionare la Cina stanno quindi commettendo un errore strategico fondamentale e ovvio come si può facilmente immaginare. Se l’establishment considera davvero la Cina come il ‘peer competitor’ degli Stati Uniti, allora deve concentrare lì le sue risorse».
Le recenti dichiarazioni del Presidente Biden che hanno escluso che l’America possa entrare in guerra contro la Russia per l’Ucraina «sono state fatte con il pieno sostegno del Pentagono». Nessuno dell’establishment statunitense sta sostenendo l’invio di truppe in Ucraina, afferma Anatol Lieven, eppurealcuni autorevoli «democratici e repubblicani del Congresso degli Stati Uniti e molti commentatori propongono che l’America faccia i primi passi sul nastro trasportatore» dellacredibilità‘, saliti sul quale scendere è praticamente impossibile. L’invio massiccio di sofisticate armi a Kiev sarebbe, secondo Lieven, il primo passo sul nastro trasportatore.
«
La lobby ucraina continua a spingere Washington a nominare l’UcrainaPrincipale alleato non NATOdegli Stati Uniti. Il Presidente Putin e il governo russo hanno indicato una tale mossa militare degli Stati Uniti in Ucraina (anche senza l’adesione formale alla NATO) come una minaccia centrale per gli interessi vitali della sicurezza russa, quindi sarebbe molto difficile per Mosca non ricorrere alla guerra in risposta», «lungi dal dissuadere un’invasione russa, una simile mossa degli Stati Uniti verso l’espansione della NATO la provocherebbe».

Sempre il Quincy, rimanda alla ‘lezionegeorgiana, con un intervento a firma del giornalista e saggista, Andrew Cockburn, editore di ‘Harper’s Magazine‘.«Allora, come oggi, il conflitto è stato alimentato a un livello fondamentale dall’entusiasmo della lobby della difesa per l’espansione della NATO verso est, indipendentemente dalle reazioni russe del tutto prevedibili».
Nel
2008, gli ex satelliti dell’Europa orientale di Mosca, un tempo parte del defunto Patto di Varsavia, erano stati tutti assorbiti nella NATO, «nonostante le precedenti promesse dei leader occidentali che tale espansione non avrebbe avuto luogo. Strategicamente evirata negli anni di Eltsin, la Russia aveva accettato a malincuore il processo con una sventura, ma non poteva fare altro che protestare.Negli anni 2000, con lo slancio di espansione che portava la NATO sempre più vicino al cuore sovietico, non era più realistico presumere l’indifferenza russa.

Eppure il movimento era difficile da fermare. In Georgia, un carismatico giovane avvocato di formazione statunitense, MikheilMishaSaakashvili,ha preso il potere nel 2003 e ha subito iniziato ad offrire un benvenuto abbraccio a Washington e a chiedere di unirsi all’alleanza. Per rafforzare la sua posizione nella capitale americana, Saakashvili ha assunto Randy Scheunemann, un lobbista repubblicano e direttore esecutivo del Comitato per la liberazione dell’Iraq, un gruppo neocon formato nel 2002 sotto la presidenza nientemeno che di Bruce Jackson, un dirigente di alto livello della Lockheed e Presidente del Comitato per espandere la NATO.

In privato, i vertici di Washington si sentivano un po’ nervosi per il loro protetto iperattivo,sospettando che potesse mettere tutti nei guai. Come mi ha detto uno di loro, Saakashvili “ha avuto bisogno di un corso di Ritalin per farlo tacere”. Ma in pubblico, è stato facile essere spazzati via. Nel 2005,George W. Bush si è presentato in Piazza della Libertà a Tbilisi e ha detto alla folla che potevano contare sul sostegno americano: Mentre costruisci una Georgia libera e democratica, il popolo americano starà con te… Mentre costruisci istituzioni libere a casa, anche i legami che legano le nostre nazioni diventeranno più profondi.…Incoraggiamo la vostra più stretta cooperazione con la NATO”».

Saakashvili ha lavorato duramente per ingraziarsi la superpotenza, anche «offrendo ospitalità alle operazioni di intelligence americane nella stessa Georgia. Ovviamente, le strutture di intercettazione della National Security Agency iniziarono a germogliare sulle cime delle colline opportunamente posizionate. In tutta Washington il Presidente georgiano ha goduto del favore bipartisan tra figure influenti come Richard Holbrooke, così come il senatore John McCain il cui stretto consigliere era il lobbista di Saakashvili, Randy Scheunemann.


Sfortunatamente,
la fiorente relazione ha causato una pericolosa eccessiva sicurezza da parte di Saakashvili. Nel 2008 provocava sfacciatamente Mosca, apparentemente fiducioso di poter vincere una guerra con il suo immenso vicino. Ricevendo Bruce Jackson, che ormai era a capo di un’altra entità, il Project on Transitional Democracies, Saakashvili ha chiesto la spedizione immediata di vari sistemi d’arma». «Le cose sono arrivate al culmine al verticedella NATO a Bucarest nell’aprile 2008. Vladimir Putin è arrivato per dire che l’espansione dell’alleanza rappresentava unaminaccia direttaper la Russia. Secondo un ex alto funzionario della Casa Bianca che mi ha parlato, il Presidente Bush, accompagnato dal consigliere per la sicurezza nazionale Stephen Hadley, ha preso da parte Saakashvili e gli ha detto di non provocare la Russia. Fonti al corrente dell’incontro mi dicono che Bush ha avvertito il leader georgiano che se avesse insistito, gli Stati Uniti non avrebbero iniziato la terza guerra mondiale per suo conto.
Bush era arrivato a Bucarest desideroso di un accordo sulla rapida adesione alla NATO di Georgia e Ucraina, ma si è tirato indietro di fronte alle proteste dei leader europei. In un imbarazzante compromesso, la NATO ha rilasciato una dichiarazione in cui rinunciava all’adesione immediata, ma affermava anche: “
Abbiamo concordato oggi che questi Paesi diventeranno membri della NATO”. Putin ne ha preso atto.

Spinto dall’arroganza e imperterrito dagli avvertimenti di Washington, Saakashvili proseguì, attaccando la regione separatista dell’Ossezia del Sud, che era sotto il controllo russo».

Le forze russe contrattaccarono rapidamente e si trovarono presto all’interno del territorio georgiano. «Dopo aver umiliato Saakashvili, si ritirarono».
«Nonostante i paralleli di fondo tra la Georgia 2008 e l’Ucraina 2021, più il calice velenoso dell’aspirante adesione alla NATO, ci sono importanti differenze», afferma Andrew Cockburn. «Un ex alto funzionario della Casa Bianca, mi ha detto: “Saakashvili era un megalomane dalla testa calda. Zelensky è stato eletto su una piattaforma di pace, ma viene schernito come debole dalla sua opposizione interna”. In particolare, ha osservato l’ex funzionario, il predecessore di Zelensky, Petro Poroshenko, alla ricerca di una rimonta, lo sfida a sfidare Putin. Quindi, ha aggiunto, sono gliidiotidi Washington che pungolano Zelensky e i suoi militari».

Differenze a parte, la lezione georgiana dovrebbe insegnare a qualcosa a Kiev sulle promesse americane.

Così ‘The American Prospect‘, prestigiosa testata del liberalismo del progressismo americano, attraverso la penna di uno dei suoi cofondatori e coeditori, Robert Kuttner, docente alla Heller School della Brandeis University, propone di guardare alla «risoluzione della crisi missilistica cubana del 1962 come una utile analogia», ovvero, un suggerimento per una soluzione diplomatica.
Vladimir Putin, che non si è mai dato pace per la dissoluzione dell’URSS, guardando all’Ucraina «
è doppiamente umiliato dal rispetto del governo per le norme democratiche e dal desiderio popolare di una più stretta integrazione economica e militare con l’Occidente». Altresì, il Presidente russo «sembra scommettere che, se arriva il momento critico, gli Stati Uniti non rischieranno la terza guerra mondiale per l’Ucraina». «Biden, da parte sua, ha avvertito Putin delle terribili ripercussioni se la Russia invadesse, ma si è fermato prima di estendere una coperta di sicurezza occidentale completa all’Ucraina». Infatti, secondo le fonti di ‘Foreign Policy‘, «il Congresso è sempre più frustrato dal fatto che l’Amministrazione Biden non sia andata avanti con un pacchetto di assistenza militare destinato all’Ucraina», richiesto insistentemente da Kiev. Sabato la Casa Bianca ha sospeso il non ancora approvato «pacchetto di assistenza letale e non letale per l’esercito ucraino che includa munizioni anticarro Javelin, radar contro-artiglieria, fucili di precisione, armi leggere assortite e apparecchiature di comunicazione e guerra elettronica». Il motivo è che Biden è preoccupato perchè tale pacchetto di assistenza rischia di essere troppo provocatorio per la Russia. Dunque il pacchetto di aiuti èparcheggiatosulla scrivania di Biden. «Nel frattempo, gli alti funzionari di Biden e altri leader occidentali sono impegnati in un’offensiva diplomatica per sostenere politicamente Kiev e cercare di dissuadere la Russia dal lanciare l’invasione». In questa ‘offensiva diplomatica’ potrebbero emergere soluzioni ‘creative’, come quella ipotizzata da Robert Kuttner,


La situazione attuale rimanda, secondo il saggista, alla drammatica crisi missilistica cubanadell’ottobre 1962. «Quella crisi fu risolta quando Nikita Krusciov, di fronte a un blocco navale statunitense, fece girare indietro le navi che trasportavano missili nucleari a Cuba. In cambio, il Presidente Kennedy fece un accordo segreto per rimuovere i missili statunitensi dalla Turchia».
Quello che dovrebbe succedere ora, guardando ad allora, «è una sorta di accordo in cui la Russia si ritira dalla sua minaccia di invadere l’Ucraina e in cambio gli Stati Uniti revocano silenziosamente la loro offerta di portare l’Ucraina nella NATO».
Ciò, però, potrebbe non bastare. «
Il punto critico è che finché l’Ucraina è una democrazia, è un grave affronto alla dittatura di Putin. L’altro problema è che i falchi statunitensi non vedono l’ora di uno scontro più diretto con Putin. Alexander Vindman, l’ex direttore degli affari europei e russi presso il Consiglio di sicurezza nazionale, che ha eroicamente rotto con Trump e le sue politiche su Russia e Ucraina, ha recentemente scritto un editoriale intitolato ‘Come gli Stati Uniti possono rompere la presa di Putin sull’Ucraina‘, chiedendo una linea statunitense molto più dura e immaginando che un’Ucraina prospera e democratica potrebbe portare il popolo russo “a chiedere alla fine il proprio quadro per la transizione democratica”. Questo, ovviamente, è proprio ciò che preoccupa Putin, e questo tipo di sferragliare non è utile. L’Ucraina aumenta la vecchia tensione tra il sostegno degli Stati Uniti alle nascenti democrazie che tentano di praticare gli ideali democratici che l’America sposa e l’apprezzamento degli Stati Uniti per la realpolitik. Putin, dopo aver visto Biden abbandonare l’Afghanistan, sta calcolando che alla fine si preoccupa molto più dell’Ucraina di quanto non faccia Biden».
«
C’è un percorso molto stretto verso uno stallo reciproco, e potrebbe passare attraverso Bruxelles o Berlino. Sarebbe anche un bene per il progetto Biden di migliorare le relazioni con l’Europa. Gli europei, ancor più degli Stati Uniti, devono scongiurare il doppio pericolo di una capitolazione a Putin o di una guerra a fuoco sull’Ucraina.Angela Merkel, che parla fluentemente il russo, ha buoni rapporti diplomatici con Putin. È recentemente disoccupata. Merkel [potrebbe essere ] un inviato speciale?».

Kuttner è un sostenitore di un più stretto coordinamento tra Germania e Stati Uniti. «Un rapporto di lavoro più stretto con un nuovo governo tedesco dalla linea più dura potrebbe aiutare Biden a uscire da un brutto dilemma sull’Ucraina», ha affermato subito dopo l’ufficializzazione del governo a guida di Olaf Scholz. «La Germania ha già avvertito la Russia, su richiesta di Biden, che il gasdotto sarebbe definitivamente chiuso se la Russia invadesse l’Ucraina. In passato Putin ha beneficiato di una Germania docile. Una più stretta alleanza Washington-Berlino segnerebbenon solo una ripresa della sinistra progressista sulle questioni economiche, ma una politica russa più efficace».

Secondo Robert Kuttner, «il massimo che si può ottenere ora è evitare la crisi, evitare una guerra,poi certamente la pressione russa sull’Ucraina e il respingimento occidentale continueranno», ma sarebbe una crisi che non porterebbe alla guerra, probabilmente anche a lungo termine. «Se Biden riuscirà a farcela, sarà un altro successo politico, che un pubblico ingrato probabilmente respingerà come insufficiente». Ma non necessariamente dovrà essere una accordo palese, potrebbe, come nel caso di Cuba, essere una accordo coperto dal segreto. Infondo Biden, Summits for Democracy compreso, è una vecchia volpe molto pragmatica.