Official portrait of NATO Heads of State and Government

Dalla conferma del sostegno all’Ucraina al rafforzamento della presenza militare nel Vecchio Continente, passando per il nuovo Concetto Strategico con cui l’Alleanza Atlantica si ripensa: se la Russia è la minaccia ‘più diretta e immediata’, la Cina è la ‘sfida sistemica’

 

 

A quarant’anni dall’adesione della Spagna all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO), l’Alleanza si riunisce a Madrid dal 29 al 30 giugno 2022, poche ore dopo la conclusione del G7. Il summit – preceduto ieri dalla cena offerta ai leader a Palazzo reale da re Felipe VI – trasmetterà «un messaggio di unità» degli alleati dinanzi alle minacce che arrivano da «un mondo più pericoloso e imprevedibile». Con queste parole hanno inaugurato, in una dichiarazione congiunta, il summit il Segretario generale Jens Stoltenberge il padrone di casa, il premier spagnolo Pedro Sanchez. Entrambi hanno visitato insieme la fiera di Ifema, a Madrid, che accoglierà le circa 40 delegazioni presenti al summit, anche in una serie di padiglioni allestiti appositamente, su una superficie di circa 50mila metri quadrati.

Un vertice storico, «il più importante da generazioni» lo ha definito l’Economist. Stoltenberg lo ha descritto come «trasformativo»: del resto, non a torto, l’invasione dell’Ucraina e, quindi, lo scoppio di una guerra nel Vecchio Continente ad opera di una Russia pronta anche a ricorrere alla minaccia nucleare, ha rinverdito un’Alleanza che, poco meno di tre anni fa, il Presidente francese aveva definito ‘celebralmente morta’ e che lo stesso Presidente americano Donald Trump considerava obsoleta quanto onerosa.

Il vertice della NATO di Madrid si candida, dunque, a rivitalizzare l’Alleanza, ma, soprattutto – ha rilanciato il Premier Sanchez – “da qui mandiamo un messaggio chiaro a Putin: non vincerai. L’Ucraina prevarrà e la pace prevarrà. Quello che ci preoccupa di più è che molti mettono in dubbio la natura dell’equilibrio che abbiamo raggiunto negli ultimi decenni. Ci saranno tensioni ma non possiamo tollerare che i Paesi violino e ignorino le norme internazionali. La guerra in Ucraina rappresenta un attacco a questo ordine internazionale”. Va detto che se anche il Segretario generale ha più volte sostenuto la possibilità che l’Ucraina possa ancora vincere, la posizione alleata non è omogenea: anzi, il ventaglio di sensibilità è variopinto e comprende la rigidità di Polonia, Baltici, Regno Unito, la maggiore cautela di Germania, Francia e Germania senza contare la posizione turca.

“Gli obiettivi dell’Ucraina sono esattamente gli stessi di quelli dell’Alleanza”, ha messo in chiaro in un collegamento Telegram il Presidente ucraino, Volodymyr Zelensky,che, da remoto, ha partecipato ai lavori del vertice Nato in corso a Madrid. Bisognerebbe chiedersi a quale ‘Alleanza o parte dell’Alleanza’ si riferisse. “Siamo interessati alla sicurezza e alla stabilità nel continente europeo, nel mondo”. Già ieri, tuttavia, il leader ucraino aveva scritto su Twitter di aver avuto una conversazione telefonica col Segretario generale della NATO alla vigilia del summit di Madrid: “Abbiamo coordinato le nostre posizioni e io ho sottolineato l’importanza di avere potenti sistemi antimissile per prevenire gli attacchi terroristici russi”. “La guerra non dovrebbe trascinarsi. Abbiamo bisogno di sistemi molto più moderni, di artiglieria moderna” avrebbe detto il Presidente ucraino nel suo intervento al vertice, secondo quanto riporta Ukrainska Pravda.

“Concorderemo un pacchetto di assistenza globale rafforzato per l’Ucraina che includerà sostanziali forniture di sostegno in aree come comunicazioni sicure, sistemi antidroni e carburante. A lungo termine, l’aiuteremo a passare dall’equipaggiamento militare dell’era sovietica al moderno equipaggiamento NATO e a rafforzare ulteriormente le sue istituzioni di difesa e sicurezza”, aveva  assicurato il numero uno dell’Alleanza prima del summit. Stando alla Dichiarazione di Madrid, i leader hanno effettivamente deciso, insieme con l’Ucraina, “un pacchetto rafforzato di sostegno” a Kiev, che “accelererà la consegna di equipaggiamento di difesa non letale, migliorerà le difese e la resilienza cyber dell’Ucraina e sosterrà la modernizzazione del suo settore della difesa”. Già poche settimane fa, era stato annunciato l’invio da parte americana e inglese di lanciarazzi HIMARS e MIrs mentre la Danimarca ha provveduto alla fornitura di missili Harpoon.

Va detto, tuttavia, che, formalmente, l’invio delle armi è una questione che riguarda gli alleati individualmente, non la NATO, come dimostra il gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina guidato dagli Stati Uniti e, a livello tecnico, tramite la cellula di coordinamento dei donatori internazionali, situata presso la caserma American Patch a Stoccarda. La NATO, però, potrebbe approvare anche un pacchetto di assistenza completo per addestrare ed equipaggiare le forze armate ucraine. Questo è meno significativo di quanto sembri, poiché la NATO ha concordato un programma simile nel 2016, ma sarebbe comunque un plus nel pieno di una guerra. Non si può poi dimenticare quanto rivelato, pochi giorni fa, dal ‘New York Times’ ossia la presenza a Kiev così come in alcune basi alleate continentali di commandos NATO e CIA che supportano la resistenza ucraina con attività di addestramento, intelligence e cyber.

In queste ore, peraltro, dopo l’attacco al centro commerciale di Kremenchuk, le forze armate ucraine hanno respinto gli attacchi russi in diverse zone sul fronte del Donbass, mentre continuano i combattimenti attorno alla città di Lysychansk. Secondo quanto dichiarato dal responsabile dell’amministrazione militare del Luhansk, Serhii Haidai, Lysychansk è sotto attacco da sud e sudest: “I combattimenti sono in corso nei pressi della raffineria petrolifera, i russi stanno cercando di prendere il controllo del nodo di comunicazioni con il Donetsk”. Secondo lo Stato maggiore ucraino le forze russe stanno concentrando i propri sforzi nella zona di Sloviansk, nel Donetsk settentrionale, e in particolare dei villaggi di Dovhenke e Dolyna.

La guerra, però, non cancella quello che era stato riconosciuto al Vertice di Madrid del 1997, e cioè che l’Ucraina è un Paese chiave per la sicurezza dell’Europa. Sebbene sia vero che non hanno invitato l’Ucraina ad aderire all’Alleanza, cosa che – come sostenuto recentemente dal Segretario del Partito Democratico, Enrico Letta – forse le avrebbe risparmiato le sofferenze che sta vivendo oggi, gli alleati hanno mantenuto un rapporto privilegiato con la Carta dell’Associazione del 1997, la sua revisione nel 2008 o la creazione della Commissione NATO-Ucraina nel 2009. Lungi dal raffreddare le relazioni, l’invasione russa della Crimea di otto anni fa ha rafforzato la già stretta relazione con l’approvazione del Programma di assistenza globale approvato a Varsavia nel 2016 e che ha consentito all’Ucraina di prepararsi ad attacchi informatici o guerre ibride. Sebbene l’invasione russa del 24 febbraio non abbia provocato una reazione all’interno dell’Alleanza, i suoi membri si sono serviti della NATO per coordinare i loro programmi di assistenza, dalla spedizione di armi all’assistenza umanitaria, compreso l’addestramento militare.

Certo è che i maggiori contributi che la NATO potrebbe dare alla causa dell’autodifesa ucraina restano attualmente fuori discussione. Una ‘no-fly zone’ imposta dalla NATO sull’Ucraina (paragonabile alle operazioni alleate in Bosnia e Kosovo negli anni ’90) è stata esclusa per paura di provocare un’escalation (finanche nucleare) tra l’Alleanza e Mosca. Un’operazione marittima per rompere il blocco russo dei porti ucraini, nel frattempo, sarebbe probabilmente bloccata dal veto dalla Turchia, data la sua sensibilità sull’equilibrio delle forze navali nel Mar Nero che sottende al suo attivismo nelle trattative tra i due belligeranti per lo sblocco del grano.

A Madrid, l’Ucraina riceve un riconoscimento sia per la sua integrità territoriale che per la sua indipendenza e, sebbene al momento l’Alleanza non preveda l’integrazione e lo stesso Presidente ucraino abbia ribadito che l’adesione non è nelle cose, per Kiev l’ambizione resta, sebbene molto difficile da realizzare anche perché gli alleati restano divisi: a Polonia sostiene da tempo che l’Ucraina dovrebbe ricevere un Piano d’azione per l’adesione (MAP) mentre scettici sono la Francia, la Germania e gli stessi USA. La leadership ucraina di questo è ben conscia tanto che il Ministro degli Esteri Dmytro Kuleba ha recentemente affermato che solo un “miracolo” vedrebbe l’Ucraina ottenere un percorso chiaro per l’adesione a Madrid.

Ma se la ‘porta aperta’ dell’Alleanza rimane chiusa per l’Ucraina, non lo rimarrà  per Svezia e Finlandia che, dopo aver fatto richiesta ufficiale di adesione il mese scorso, si erano dovute scontrare con il veto opposto dal Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan sulla base del fatto che i due Paesi sostengono il separatismo curdo: “Prenderemo una decisione oggi o entro il summit (che si conclude domani, ndr) di invitare Svezia e Finlandia a diventare membri, con una rapidità senza precedenti”, ha detto il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, all’indomani del ritiro del veto da parte turca e del via libera all’ingresso di Helsinki e Stoccolma. Dopo l’invito, ha ricordato, “ci sarà il processo di ratifica nei 30 Parlamenti, che richiede un po’ di tempo ma mi aspetto anche andrà velocemente, perché gli alleati sono pronti a velocizzare al più presto il processo di ratifica”.

Il ‘miracolo’ sarebbe avvenuto nella serata di ieri – nel pomeriggio si era tenuta la telefonata tra il Presidente turco e l’omologo americano – quando la Turchia ha reso noto che, avendo sottoscritto con Svezia e Finlandia un memorandum d’intesa, avrebbe ritirato il veto al loro ingresso nell’Alleanza. “Abbiamo l’accordo per l’ingresso di Svezia e Finlandia. Il memorandum firmato risponde alle preoccupazioni della Turchia sulla lotta al terrorismo e l’esportazione di armi”, l’annuncio di Stoltenberg, in una conferenza stampa a Madrid, dopo gli “incontri costruttivi” oggi tra i leader di tre Paesi. “Nessun alleato ha sofferto più della Turchia per i brutali attacchi terroristici, tra cui quelli del PKK”, sottolinea. Il memorandum d’intesa conterrebbe “l’impegno a sostenersi reciprocamente contro le minacce alla sicurezza di ciascun paese”, si legge in una dichiarazione del presidente finlandese Niinisto che ribadisce “la condanna del terrorismo in tutte le sue forme”. “I passi concreti per la nostra adesione alla Nato saranno concordati tra gli alleati nei prossimi due giorni”, aggiunge.

“Congratulazioni a Finlandia, Svezia e Turchia per la firma del Memorandum trilaterale – ha twittato con soddisfazione il Presidente USA, Joe Biden -, un passo cruciale verso un invito della NATO a Finlandia e Svezia, che rafforzerà la nostra alleanza e potenzierà la nostra sicurezza collettiva, e un ottimo modo per avviare il summit”. “La prima lezione da trarre è che Vladimir Putin sperava di avere meno Nato ai confini e invece ha sbagliato, dopo l’invasione dell’Ucraina avrà più NATO”, ha rincarato la dose il Premier britannico Boris Johnson.

Un funzionario europeo aveva già detto a CNNdi conservare comunque qualche speranza: «Non fare concessioni fino all’ultimo momento possibile è il comportamento standard della Turchia. E di solito l’ultimo momento possibile è segnato da un incontro bilaterale con il presidente americano». A poche ore di distanza, Ankara è passata all’incasso: il Ministro della Giustizia turco Bekir Bozdag ha fatto sapere che saranno nuovamente inviate a Svezia e Finlandia richieste di estradizione per 33 membri del partito curdo armato PKK e per altri affiliati alla rete Feto, ritenuta responsabile del tentato golpe del 2016. Più nello specifico, si tratterebbe di 6 membri del PKK e 6 di Feto che si trovano in Finlandia e 10 membri di Feto e 11 del PKK in Svezia.

“Non estradiremo mai nessuno che sia  cittadino svedese se non è coinvolto in attività terroristiche, non c’è da preoccuparsi” – ha subito assicurato la premier svedese Magdalena Andersson in un’intervista a Tve – “Continueremo a rispettare la legge svedese e il diritto internazionale. Se la Turchia  presenterà una richiesta di estradizione, la esamineremo, ma rispetteremo sempre la legislazione svedese e la convenzione europea sulle estradizioni, è molto importante sottolineare questo”.

“L’Italia accoglie con favore l’adesione all’Alleanza Atlantica, ai sensi dell’articolo 10 del Trattato di Washington, di Finlandia e Svezia”, la cui sicurezza “non deve essere messa a repentaglio in alcun modo. L’Italia afferma la sua determinazione a concorrere sin d’ora, in stretta consultazione con Finlandia e Svezia e nei modi più appropriati, alle loro esigenze di sicurezza e difesa”. A dichiararlo il Presidente del Consiglio Mario Draghi, al summit NATO in corso a Madrid, in cui “conferma in proposito la validità degli impegni esistenti nel contesto europeo, ivi incluso l’articolo 42.7 del Trattato istitutivo dell’Unione Europea”, ovvero l’impegno alla difesa reciproca in caso di aggressione militare subita da uno Stato membro. Draghi ha sottolineato che “si tratta di una decisione sovrana, assunta democraticamente, da due Paesi che sono membri dell’Unione Europea e che condividono i principi ispiratori dell’Alleanza Atlantica, con la quale da anni collaborano strettamente. Svezia e Finlandia rafforzeranno il carattere dell’Alleanza come comunità basata sullo stato di diritto e sui valori democratici. Con le loro capacità, i due Paesi contribuiranno in modo significativo alla sicurezza ed alla missione difensiva dell’area euro-atlantica”.

“L’adesione di Finlandia e Svezia renderà questi paesi più sicuri, la NATO più forte e l’areaeuro-atlantica più sicura. La sicurezza della Finlandia e della Svezia riveste un’importanza diretta per l’Alleanza, anche durante il processo di adesione”, si legge nel comunicato finale del vertice di Madrid. Fortemente critico è stato il vice ministro degli Esteri russo Serghei Ryabkov citato dall’agenzia Interfax che ha bollato “l’ulteriore allargamento della Nato”, con l’ingresso di Svezia e Finlandia, è una mossa “destabilizzante”, che “non porterà maggiore sicurezza agli stessi membri dell’Alleanza”. sia per la loro posizione strategica, sul mar Baltico e al confine con la Russia, sia per la loro storica posizione di neutralità, che è cambiata in maniera radicale dopo l’invasione russa dell’Ucraina.

“Sono fiducioso che Vladimir Putin capisca le conseguenze di attaccare un Paese Nato provocherebbe la risposta di tutta l’Alleanza: siamo preoccupati per l’aumento delle capacità militari russe a Kaliningrad e lo abbiamo visto per molti anni, anche con armi moderne. La Lituania non fa altro che implementare le sanzioni decise dall’Ue”, ha sottolineato Stoltenberg. “Queste sanzioni sono importanti perché assicurano che il presidente Putin debba pagare un prezzo per questo sconsiderato attacco all’Ucraina”. Ciò detto la tensione tra NATO, UE e Russia sta salendo a vista d’occhio:

A metà giugno 2022 Vilnius, in applicazione delle sanzioni dell’UE, ha bloccato il transito di carbone, metalli e strumenti tecnologici che riforniscono la regione di Kaliningrad (oblast) dalla metropoli. Queste merci costituiscono la metà delle importazioni di Kaliningrad. A partire da dicembre di quest’anno, anche petrolio e gas potrebbero essere bloccati. A seguito di questo blocco, Kaliningrad ha iniziato a reindirizzare via mare il transito delle merci sanzionate mentre Mosca ha annunciato ritorsioni senza specificarne il contenuto esatto.

L’oblast di Kaliningrad è un territorio di 15.100 chilometri quadrati che confina con la Lituania a nord-est, la Polonia a sud (entrambi membri dell’UE e della NATO) e il Mar Baltico a nord-ovest. Si trova geograficamente a 360 km dal resto della Russia. È l’unica exclave tra le 83 entità federate del Paese (85 tra cui la Repubblica di Crimea e la “città di importanza federale” di Sebastopoli, annessa illegalmente nel 2014).

Eredità della seconda guerra mondiale, questo territorio che prima faceva parte della Prussia orientale fu assegnato all’URSS dopo la conferenza di Potsdam del 1945. L’area fu allora centro di importanti movimenti di popolazione e fu ripopolata da lingua russa, a scapito della le popolazioni di lingua tedesca furono espulse in Germania, al punto da diventare negli anni ’80 la regione più sovietica del paese. Mentre durante l’URSS l’oblast divenne una fortezza militare e fu chiusa ai paesi vicini, in seguito fu aperta sotto Boris Eltsin per attirare investimenti stranieri.

All’inizio del 21° secolo, la regione era persino considerata un laboratorio per la cooperazione tra l’UE e la Russia, in particolare con l’istituzione di una zona di libero scambio con lo status di zona economica speciale, uno status ritirato da Mosca nel 2016. Nonostante ciò, Kaliningrad non è stata ben integrata nell’area economica baltica ed è rimasta in gran parte dipendente dal resto della Russia, che invia circa 100 treni merciall’exclave attraverso la Lituania e la Bielorussia ogni mese (la Lituania non ha un confine diretto con il resto del territorio russo). Nel 2015, i sondaggi hanno indicato che la popolazione di Kaliningrad si identifica in modo schiacciante come russa e desidera che l’oblast sia considerata una regione separata della Russia. In questa regione non sembra essersi sviluppato uno specifico sentimento di indipendenza, nonostante la sua posizione geografica di exclave e il suo attaccamento relativamente recente al territorio russo. Alle elezioni presidenziali del 2018 l’oblast ha votato con il 76% a favore di Vladimir Putin, cioè nella stessa proporzione del Paese nel suo insieme (sebbene, come nel resto della Russia, il conteggio fosse caratterizzato da molteplici irregolarità).

Allo stesso tempo, l’area continua ad essere particolarmente militarizzata, soprattutto con la presenza di una flotta russa nel Mar Baltico, sfruttando la presenza strategica di un porto senza ghiaccio. Il posizionamento di missili terra-superficie, terra-aria e antinave nella regione, che potrebbe ostacolare un possibile intervento dell’Alleanza nel Baltico, crea anche tensioni con la NATO, soprattutto dopo il dispiegamento nel 2016, rafforzato nel 2018, di sistemi di missili balistici Iskander con potenziale carico nucleare. A ciò si aggiungono le manovre militari di Zapad (Ovest) organizzate congiuntamente con la Bielorussia ogni quattro anni e che simulano un conflitto militare in quel territorio.

Questa militarizzazione del territorio di Kaliningrad, in un contesto segnato dall’annessione della Crimea, da diverse operazioni di destabilizzazione russa nel Baltico e, dal febbraio 2022, dall’attacco su larga scala contro l’Ucraina, ha provocato un senso di insicurezza in Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia, tutti membri della NATO e vicini vicini della Russia. Le città di Narva (Estonia) e così come la regione a maggioranza russa di Latgale (Lettonia), sono spesso descritte dai media come una possibile “nuova Crimea”, facendo temere un attacco russo con l’alibi di proteggere le popolazioni di lingua russa che vi abitano.

Dopo la guerra in Ucraina, gli stati baltici sono stati i primi stati europei a interrompere l’importazione di gas russo e a segnalare con forza il loro sostegno all’Ucraina. Per contrastare questa insicurezza e contrassegnare la solidarietà atlantica con gli Stati baltici, dal 2017 la NATO ha dispiegato truppe a rotazione nel Baltico con una “presenza in avanti rinforzata”sul fianco orientale dell’Alleanza. Nel 2022, in risposta alla guerra in Ucraina, gli alleati hanno aumentato individualmente la loro presenza di truppe, navi e aerei e la NATO ha anche migliorato la capacità di risposta della sua Forzadi risposta , rendendo più rapida la sua attivazione in caso di minaccia.

La presenza della NATO nel Baltico e in Polonia, e il recente blocco lituano al transito delle merci russe, hanno anche ravvivato i timori di un’annessione russa del corridoio di Suwałki, che collega la Bielorussia con il territorio di Kaliningrad lungo il confine tra Lituania e Polonia .

Questo corridoio lungo 70 km è stato a lungo considerato il tallone d’Achille della NATO. Questo spazio, costituito principalmente da paludi, due autostrade e un’unica linea ferroviaria che collega la Polonia con la Lituania, rappresenta la distanza più breve tra la Bielorussia e Kaliningrad. Nonostante i tentativi russi, dopo il crollo dell’URSS, di mettere in sicurezza quest’area stabilendo un accordo che consenta la continua presenza di soldati, nel 2003 è stato firmato solo un accordo più generale con la Lituania che consente il transito di passeggeri e merci con l’UE.

Il sequestro del corridoio di Suwałki consentirebbe alla Russia di isolare geograficamente gli Stati baltici dal resto dei membri della NATO, garantendo allo stesso tempo il passaggio, attraverso il suo alleato bielorusso, alla sua enclave. Una tale annessione attiverebbe l’ articolo 5 della NATO , che impegna i suoi membri all’assistenza reciproca se uno di loro viene attaccato.

All’epoca della caduta dell’URSS, Kaliningrad era vista come un’opportunità di cooperazione tra Unione Europea e Russia, ma oggi il suo territorio è al centro di crescenti tensioni nel continente. L’area è diventata una questione strategica e geopolitica.

Anche per questo, a fronte dell’aggressione russa all’Ucraina – invasa già nel 2014 – sul tavolo del summit dell’Alleanza non poteva mancare il rafforzamento della deterrenza: già a fine marzo, l’Alleanza si era preparata a difendere il suo fianco orientale con il dispiegamento di quattro gruppi tattici multinazionali nel Baltico (Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia), a cui si sono aggiunti altri quattro in Romania, Bulgaria, Ungheria e Slovacchia. In totale, la NATO ha schierato 140.000 uomini (100.000 americani), 130 aerei in allerta e 140 navi schierate tra il Mar Nero e il Baltico. Un impegno enorme in nome dell’articolo 5 del Trattato di Washington (1949), clausola che farebbe rispondere all’unisono tutti i membri della NATO nel caso di un attacco come quello avvenuto il 24 febbraio in Ucraina.

A Madrid, si è deciso il rafforzamento del cosiddetto ‘fianco est’ dell’Alleanza, quella porzione di territori che vanno dal Nord, i Baltici, al Sud, alla Bulgaria, i più vicini e, quindi, più minacciati dalla Russia. In queste aree. Al momento, la presenza militare della NATO si compone della NATO Response Force, che coagula porzioni degli eserciti di tutti i Paesi resi disponibili a rotazione e destinata ad essere impiegata rapidamente. La NATO Response Force passerà da 40mila a 300mila soldati che, pur rimanendo sotto il comando degli eserciti nazionali, aumenteranno la capacità di impiego rapido, a disposizione del SACEUR, il Comandante Supremo alleato in Europa (attualmente è il generale Tod D. Wolters).

Dal 2016, è attivo anche il programma NATO enhanced Forward Presence (eFP) sotto il quale l’Alleanza ha inviato nei Paesi baltici e in Polonia ‘battlegroup’, cioè brigate multinazionali guidate da alcuni Paesi membri e dispiegate a rotazione e con il compito di costituire la prima difesa in caso di un attacco russo. L’Alleanza dislocherà quattro nuovi ‘battlegroup in Bulgaria, Ungheria, Slovacchia e Romania. Vari altri paesi aumenteranno le loro truppe, per un totale tra i 4.000 e i 6.000 soldati in più. L’Italia, in particolare, prenderà il comando del ‘battlegroup’ in Bulgaria, inviando 800 soldati (250 soldati italiani sono già impegnati nel ‘battlegroup’ in Lettonia, sotto il comando del Canada), ma anche negli altri Paesi baltici e dell’Est: «Noi abbiamo assunto il comando NATO in Bulgaria e aiutiamo anche la Romania, c’è un pattugliamento aereo dei Baltici già da vari mesi. Le forze che verranno mandate in Romania e in Ungheria sono circa 2 mila soldati, 8mila sono invece di stanza in Italia, pronti, eventualmente fosse necessario», ha spiegato il presidente del Consiglio, Mario Draghi.

Il primo Paese ad annunciare l’implementazione è stata la Germania, alla guida battlegroup in Lituania, anche se in maniera che il governo lituano ha considerato molto deludente: attualmente la Germania ha 1.000 soldati dispiegati in Lituania, e il governo tedesco ha annunciato che li porterà a 3.500 che, però, rimarranno in Germania pronti ad entrare in azione.

Si sposta il baricentro militare NATO verso Est.Gli Stati Uniti trasferiranno una squadriglia di caccia dalla Germania alla Lituania; batterie di missili Patriot sempre dalla Germania alla Slovacchia e alla Polonia; alcuni aerei F-15 dalla Gran Bretagna alla Polonia; un reparto di fanteria aviotrasportata dall’Italia alla Lettonia; parti di una brigata di incursori verranno trasferite dalla Germania alla Romania, Bulgaria e Ungheria; due incrociatori saranno inviati nella base navale di Ruta, in Spagna, che ne ospita già quattro. In Polonia, inoltre, verrà costituito il quartier generale del «Quinto corpo dei comandi avanzati».

Il centro di gravità sarà sempre più sul fianco Est, ma il grosso delle truppe Usa rimarrà, tuttavia, in Germania, dove gli Stati Uniti dispiegheranno “difese aree aggiuntive e altre capacità“ così come anche in Italia, ha detto Biden: “Oggi annuncio che gli Stati Uniti miglioreranno la loro postura di difesa in Europa per rafforzare la nostra sicurezza e rispondere alle sfide. All’inizio dell’anno abbiamo inviato altri 20mila soldati in Europa per rafforzare l’Alleanza e per rispondere ai movimenti della Russia. Continueremo a rafforzare questa postura in consultazione con i nostri alleati”.

Gli Stati Uniti manderanno in Italia altri 70 soldati e un sistema di difesa antiaereo, ha chiarito il presidente del Consiglio Mario Draghi, a margine del vertice. “Per quanto riguarda l’Italia – ha detto Draghi – si tratta di 70 militari americani in più e di un sistema di difesa antiaerea. Dal ministro della Difesa mi viene descritto come un assestamento che era già in programma. Il sistema di difesa aerea certo deve andare a rafforzare il fianco orientale della NATO, uscito anche un chiarimento” dell’Alleanza. Ad ogni modo, «non c’e’ il rischio di un’escalation: bisogna essere pronti ma a oggi non vediamo il rischio di un’escalation».

Tutto questo non potrà prescindere dalla questione delle speseche dovrebbero quasi raddoppiare. Sebbene siano stati molti i Paesi alleati ‘non virtuosi’ – Germania in testa – ad annunciare un aumento dei propri budget alla difesa, il 2% del PIL, ha ribadito il Segretario generale, deve essere visto sempre più come “un punto di partenza” e non come un “punto di arrivo”. In particolare, a detta di Stoltenberg, “Nove alleatihanno raggiunto o superato l’obiettivo del 2%, diciannove hanno piani chiari al 2024e altri cinque si sono impegnati concretamente a rispettarlo in seguito”.

Stando agli ultimi dati diffusi dalla NATO, l’Italia nel 2022 dovrebbe arrivare all’1,54% del Pil dall’1,14% del 2014, ma c’è ancora molto da fare. La Germania è con il suo 1,44% del Pil previsto per il 2022, ma ha da poco annunciato un piano ambizioso di riarmo di circa 100 miliardi e questo dovrebbe fare la differenza. L’Italia supera l’esame nella logica del numero uno della Alleanza atlantica, almeno nella categoria “spese in equipaggiamenti” calcolata in base al budget generale, che dovrebbe essere “almeno il 20%” e per il 2022  dovrebbe salire al 22,7% mentre resta  alta la percentuale di spesa per il personale militare.

C’è poi la questione di come questi soldi dovranno essere spesi: la nuova dottrina strategica, ha spiegato Stoltenberg, prevede al contempo “più equipaggiamenti pre-posizionati e scorte di forniture militari; più capacità avanzate, come la difesa aerea; centri di comando rafforzati; piani di difesa aggiornati, con forze pre-assegnate alla difesa di specifici alleati”. Sebbene la NATO si sia adattata alle nuove minacce dalla fine dell’URSS, l’emergere di nuove minacce significa che l’Alleanza deve essere in un continuo processo di cambiamento.

Terrorismo, crisi migratorie, attacchi informatici o campagne di disinformazione sono solo alcune delle sfide che l’Alleanza deve affrontare oggi. Per fare ciò, da Bruxelles sono in preparazione strumenti innovativi come il Defence Innovation Accelerator o il Fondo per l’innovazione , che cercano di utilizzare la tecnologia per far fronte a queste minacce che appaiono invisibili ad occhio nudo. Occorre anche fermare il cambiamento climatico, una sfida di cui l’Alleanza è ben consapevole e che in futuro sarà l’innesco di molti problemi di sicurezza.

Come noto, il Segretario generale aveva annunciato che il vertice di Madrid sarebbe stato «fondamentale, segnando un cambiamento epocale» consistente in «un nuovo concetto strategico in questo mondo meno prevedibile». In queste ore, la Dichiarazione di Madrid ha confermato che i leader hanno approvato il nuovo Concetto Strategico dell’Alleanza, che “descrive l’ambiente di sicurezza che affronta la NATO, riafferma i nostri valori e precisa l’obiettivo fondamentale della NATO e la sua più grande responsabilità di assicurare la nostra difesa collettiva basata su un approccio a 360 gradi.

Il Concetto strategico NATO definisce i valori e gli obiettivi strategici dell’Alleanza per il prossimo decennio. La chiave di volta è il “nuovo modulo”.L’inquadramento infatti avverrà su tutti e cinque i domini (terra, aria, mare, spazio e cyber) esarà all’insegna della “flessibilità”.Perché lo Strategic Concept duri nel tempo – il documento-bussola a cadenza decennale secondo per importanza solo al Trattato di Washington, la Magna Carta dell’Alleanza – non deve diventare una camicia di forza, ma adattarsi alla bisogna.

Il concept strategico di Madrid nasce dalla volontà del Segretario Generale di modernizzare l’Alleanza, volontà che ha saputo superare i veti di alcuni leader come Donald Trump, che hanno fatto di tutto per fermarla. Il documento riafferma i valori e i ruoli comuni della NATO, nonché le risorse di cui disponiamo per affrontare nuovi rischi e minacce. Dalla caduta dell’URSS, la NATO ne ha approvati due. Il primo a Washington nel 1999 e il secondo a Lisbona nel 2010. A dieci anni di distanza l’uno dall’altro, non c’era molto che li differenziava, ma un fattore li accumunava: in entrambi, latitava la ‘minaccia’, il nemico. L’attuale versione, adottata nel 2010, ha servito bene la Nato, ma si basava su premesse che non si applicano più. Quindi, la guerra globale al terrore e il ruolo della NATO nelle operazioni di spedizione fino all’Afghanistan sono stati ciò che ne ha determinato lo scopo. Ora, a detta del vice segretario generale Mircea Geoană, la NATO è più preoccupata per una nuova era di quella che ha definito una grande competizione di potere, incentrata su Russia e Cina.

Adesso il mondo è cambiato e l’ “ambiente di sicurezza diventato più conteso e imprevedibile”. D’altro canto, la premessa del nuovo Concetto è proprio il conflitto in Ucraina che “ha distrutto la pace e gravemente alterato il nostro ambiente di sicurezza. Invasione brutale e illegale, ripetute violazioni del diritto internazionale umanitario e attacchi atroci e atrocità hanno causato sofferenze e distruzioni indicibili. Un’Ucraina forte e indipendente è vitale per la stabilità dell’area euro-atlantica”. E “non si può escludere la possibilità di un attacco contro la sovranità e ‘integrità territoriale degli alleati’”.

Per questo motivo, la Russia viene indicata come “la minaccia più significativa e diretta alla sicurezza degli alleati ed alla pace ed alla stabilità nell’area euroatlantica”. Gli alleati “continueranno a contrastare le minacce russe e a rispondere alle sue azioni ostili e a combattere il terrorismo, in modo coerente con il diritto internazionale”. Sembra passato un secolo dal vertice di Pratica di Mare del 2002 dove si paventò addirittura l’ipotesi di un ingresso della Russia di Putin nella NATO. Ancora nell’ultimo Concetto Strategico del 2010, la Russia era considerata ‘partner’.

L’invasione russa dell’Ucraina sta necessariamente ricalibrando l’attenzione dell’Alleanza su Mosca, ma la Cina è la prima minaccia sul lungo periodo e questo renderà necessario un certo equilibrio tra la competizione più vicina geograficamente e più immediata con la Russia e quella più lontana e incombente con la Cina che, per la prima volta volta, appare in un Concetto Strategico NATO quale ‘sfida sistemica’. Anche per questo la NATO, nata come Alleanza anti-sovietica, ha invitato a far parte del summit, in veste di paesi osservatori, l’Australia, la Corea del Sud, il Giappone e la Nuova Zelanda: sono tutti paesi dell’area del Pacifico che hanno creato con l’Occidente vari tipi di alleanze e partnership con l’obiettivo di contenere l’espansionismo cinese. “La NATO lavora con le nazioni e le organizzazioni che condividono i suoi valori e interessi, per sostenere l’ordine internazionale basato sulle regole”, si legge nel documento. Il Partenariato per la Pace ha permesso di preparare i paesi dell’Est all’allargamento, il Dialogo Mediterraneo ha promosso misure di fiducia con i paesi del Mediterraneo meridionale e il Partenariato Globale ha avvicinato posizioni con partner lontani (Giappone, Corea del Sud, Israele e Australia) rendendo i loro eserciti interoperabili con quelli della NATO. L’Unione Europea – conferma lo Strategic Concept – è un “partner unico ed essenziale per la NATO”.

Le ambizioni e le politiche coercitive dichiarate dalla Cina – si legge nello Strategic Concept – “sfidano i nostri interessi, la nostra sicurezza e i nostri valori. La Repubblica popolare impiega una vasta gamma di strumenti politici, economici e militari per aumentare la sua influenza globale e il suo progetto di potere, pur rimanendo opaca circa la sua strategia, le sue intenzioni e il suo rafforzamento militare”. “La Cina non e’ un nostro avversario ma e’ una sfida seria” che impone di “rafforzare la cooperazione con i nostri partner dell’Indo-Pacifico” – ha spiegato in conferenza stampa il Segretario generale della NATO – “La Cina sta accrescendo in modo sostanziale le sue forze militari, comprese quelle nucleari, sta minacciando Taiwan, sta investendo in infrastrutture strategiche anche in altri Paesi e sta diffondendo le menzogne russe sulla guerra in Ucraina. La Cina non è un nostro nemico, ma ci sono delle sfide chiare: Pechino bullizza i vicini e continua a rafforzare le sue capacità militari, anche nucleari, e la NATO resta al fianco dei suoi partner dell’Indopacifico”. Questo non vuol dire che si amplierà nell’indopacifico – anche perché lo statuto prevede solo Paesi europei e nordamericani – ma sarà certamente più impegnata in quella parte di mondo.

Tuttavia, il testo non chiude ad un approccio costruttivo con Pechino, al fine di “salvaguardare gli interessi di sicurezza e di costruire una trasparenza reciproca”. Il vero timore dell’Alleanza è che Mosca e Pechino stiano “sviluppando una partnership strategica” e siano “in prima linea in una spinta autoritaria contro l’ordine internazionale basato sulle regole” contrario ai “nostri valori e interessi”.

Questa svolta ha molto irritato Pechino tanto da spingere il Ministro degli Esteri cinese Zhao Lijian a definire il ‘concetto strategico’ dell’Alleanza Atlantica un “vecchio vino in bottiglia nuova. Non cambia la mentalità della Guerra Fredda di creare nemici immaginari e impegnarsi in scontri sul campo”.

L’inaugurazione della NATO globale non dimentica le altre fonti di instabilità che hanno segnato gli ultimi anni: “Il terrorismo rimane una minaccia persistente ed è la minaccia asimmetrica più diretta alla sicurezza dei nostri cittadini”. L’Alleanza, inoltre, dovrà affrontare anche tutta una serie di altre minacce e sfide globali e interconnesse, “tra cui il cambiamento climatico, le tecnologie emergenti e dirompenti e l’erosione dell’architettura di controllo degli armamenti, disarmo e non proliferazione”.

Anche a Madrid, viene riaffermato che “l’articolo 5 del Trattato del Nord Atlantico è il fondamento della difesa alleata”. Ma sebbene il meccanismo di attivazione resti invariato, il novero delle cause scatenanti si allarga agli attacchi informatici, spaziali, alle operazioni ibride. E quelli che sono sempre stati i tradizionali compiti dell’Alleanza Atlantica – deterrenza e difesa, prevenzione e gestione delle crisi e sicurezza cooperativa – restano “complementari ed essenziali per garantire la difesa e la sicurezza di tutti gli alleati”.

Da “celebralmente morta”, la NATO sembra «rinata», ha scritto il New York Times. Solo ottimismo? Non si può negare, però, che non molti, fino a pochi anni fa, avrebbero scommesso che, nel 2022, l’Alleanza sarebbe tornata a essere al centro dell’interesse internazionalee che gran parte del merito sarebbe stato proprio del Presidente russo Vladimir Putin.