«Siamo una stessa famiglia e dobbiamo garantire un futuro di pace alle nostre popolazioni»
La data di oggi è destinata a rimanere scritta nei libri di storia: dopo un anno, il 2017, all’ insegna della tensione, dei lanci missilistici, degli insulti e delle minacce di ‘fuoco e furia’, è avvenuto quanto fino a poche ore fa sembrava impensabile. Una speranza l’ aveva suscitata ad inizio anno la cosiddetta ‘pace olimpica’ (in occasione delle Olimpiadi Invernali di Peyongchang), ma, più recentemente, la decisione del regime di Pyongyang di sospendere gli esperimenti nucleari e di chiudere lo stabilimento di Punggye-ri e la simultanea apertura della ‘linea rossa’ di collegamento tra Pyongyang e Seoul.
«Sono felice di incontrarti», ha esclamato Moon Jae In, prima che Kim Jong-Unoltrepassasse il tratto di demarcazione che divide la penisola coreana dalla fine della guerra di Corea, nel 1953, mettendo piede in territorio sud-coreano, prima volta in assoluto per un leader del Nord. In un fortuito fuori programma, Kim ha poi invitato Moon ad attraversare, per un attimo, il confine, stringendogli la mano. Dopodiché, sono rientrati nel Sud per recarsi alla Peace House di Panmunjom e passare in rassegna il picchetto d’onore e per salutare le delegazioni dei due Paesi.
Per quella nordcoreana, erano presenti nove alti funzionari, tra cui Kim Yo-jong, la sorella minore, ormai una celebrità in Sudcorea, a capo del dipartimento di Propaganda del Partito dei Lavoratori guidato da Kim, Kim Yong-nam, il capo nominale dello Stato (entrambi, sono già stati in Corea del Sud, in occasione della partecipazione alla cerimonia inaugurale delle Olimpiadi Invernali di Pyeongchang, a febbraio scorso, durante quella ‘la tregua olimpica’), uno dei vice presidenti del Partito dei Lavoratori nord-coreano, che aveva presenziato alla cerimonia di chiusura dei Giochi di Pyeongchang, il generale Kim Yong-chol, altri due vice presidenti del partito, il ministro degli Esteri del regime, Ri Yong-ho, il presidente del Comitato per la Riunificazione Pacifica delle Coree, Ri Son-gwon, il più alto funzionario per lo sport e raggiunto dalle sanzioni dell’Onu, Choe Hwi, e il capo del dipartimento degli Affari Internazionali del Partito dei Lavoratori, Ri Su-yong. Per quella sudcoreana, erano presenti, tra gli altri, il ministro della Difesa, Song Young-moo, la ministra degli Esteri, Kang Kyun-hwa, il ministro della Riunificazione delle due Coree, Cho Myoung-gyon, e il consigliere per la Sicurezza Nazionale, Chung Eui-yong, che aveva incontrato Kim già qualche settimana fa, per una visita di due giorni nella capitale nordcoreana. Dopo i saluti, le due delegazioni hanno posato per le foto rituali.
‘Distensione’ è la parola giusta per descrivere l’ incontro di Panmunjom, un vero e proprio «regalo per il mondo», per usare le parole di Moon. «Sono venuto qui determinato a mandare un segnale di inizio, sulla soglia di una nuova storia» ha detto Kim Jong-un che ha poi assicurato di volersi impegnare in un colloquio «franco, serio e con onesta’ intellettuale» in quanto «questo è un posto carico di significato e in effetti è una nuova primavera che è arrivata al nord e al sud. Spero di trarre il massimo dalle opportunità della giornata di oggi e spero che assieme a questo pino possano fiorire le nostre relazioni». «Non ti svegliero’ piu’ all’alba» ha promesso Kim , riferendosi ai diversi test effettuati fino a non molto tempo fa, al presidente sudcoreano, ma, anzi, «verro’ alla Casa Blu, se mi inviterai». A sua volta, Moon ha manifestato l’interesse a visitare il monte Paekdu, la montagna sacra in Corea del Nord. Dopo aver pranzato separatamente (Kim è tornato, con la sua limousine, nel territorio nordcoreano), i due leader si sono ritrovati per piantare un albero al confine, le cui radici saranno nutrite da terra e acque provenienti da entrambi le Coree: hanno scavato e innaffiato la pianta, un pino, e poi , insieme, hanno scoperto la pietra recante l’iscrizione, ‘qui piantiamo pace e prosperità‘. Al termine di questa funzione, Kim e Moon si sono allontanati, da soli, per fare una passeggiata. In conclusione dell’ incontro. in vista della cena, sono giunte anche le first lady.
«Ora comincia una nuova storia», ha scritto Kim sul libro degli ospiti della Peace House di Panmunjom, «dal punto di partenza della storia e dell’era di pace» perché – va ricordato – tra i due Paesi esiste un’ armistizio, ma non una vera e propria pace. Porre le basi per raggiungere una vera e propria riconciliazione era l’ obiettivo del summit. Le due Coree – ha auspicato il leader del Nord – non devono «ripetere il passato», quando sono state «incapaci di mantenere i loro accordi», ma è necessario «lavorare per gli interessi dei due Paesi» dato che «siamo una stessa famiglia e dobbiamo garantire un futuro di pace alle nostre popolazioni».
Al termine del meeting, è stata firmata dai due una dichiarazione congiunta definita ‘Dichiarazione di Panmunjom per la pace, la prosperità e l’unificazione della Penisola coreana’, un documento diviso in tre punti che enucleano gli impegni assunti da entrambi le nazioni. Moon Jae In ha precisato che «il presidente Kim Jong Un ed io abbiamo convenuto che la completa denuclearizzazione sarà raggiunta, e questo è il nostro comune obiettivo» e che si recherà a Pyongyang in autunno «così da consolidare la fiducia reciproca e per compiere uno sforzo congiunto per dare vigore al momento positivo verso il continuo progresso delle relazioni intercoreane e verso la pace, la prosperità e l’unificazione della penisola coreana».
La firma della pace, secondo il documento, prevede il coinvolgimento formale di Stati Uniti e Cina (avversari durante la Guerra del ’50-’53), che le due Coree intendono rendere partecipi mediante incontri a tre o a quattro. E’ stata messa fine «completamente a ogni atto ostile reciproco in ogni ambito -terra, aria e mare- che possa essere fonte di tensione militare e di conflitto» e, dal 1 maggio, cesseranno anche tutte le attività di propaganda, compresi gli altoparlanti e i volantini diffusi dal sud sul territorio del nord. Le due parti hanno poi concordato di di organizzare, per il 15 agosto, degli incontri tra le famiglie separate dalla Guerra e di stabilire un ufficio collegamento intercoreano a Kaeseong, centro industriale congiunto che sorge in territorio nordcoreano. Peraltro, al momento, la Corea del Nord è stretta in un ferreo regime sanzionatorio impostole dalla Comunità Internazionale.
«La guerra coreana finirà! Gli Stati Uniti, e tutto il suo grande popolo, dovrebbero essere molto fieri di ciò che sta avendo luogo adesso in Corea!» lo ha scritto in un tweet il presidente americano Donald Trump che ha sempre ribadito di volere una Nordcorea denuclearizzata e che, in un precedente tweet, aveva evidenziato: «Dopo un anno furioso di lanci di missili e test nucleari, un incontro storico tra la Corea del Nord e del Sud sta avendo luogo. Stanno succedendo belle cose, ma solo il tempo potrà dirlo».
Lo stesso inquilino della Casa Bianca ha tenuto a ringraziare il Presidente cinese Xi Jinping per aver contribuito a questo risultato. Pechino, dal canto suo, ha lodato il coraggio dei due leader. Più prudente, ma sempre positivo è stato il commento del governo di Tokyo che spera in ‘azioni concrete’ da parte della Nordcorea sui programmi nucleari e balistici.
E’ l’ alba di una nuova era di pace lungo il 38° parallelo? Si avvicina la firma di una pace? Aumentano le possibilità di un incontro con Donald Trump? Con Francesca Frassineti, esperta dell’ Università di Bologna oltre che dell’ Osservatorio asiatico dell’ ISPI abbiamo fatto un bilancio del vertice di Panmunjom.
Quali impressioni ha avuto di questo evento storico?
Il summit che si è appena concluso è stato caratterizzato da una forte dose di simbolismo a cui, in linea coi precedenti due vertici, è stata riservata estrema attenzione: tutto è stato studiato fin nei minimi particolari. L’ impressione non può non essere quella di una fortissima emozione che si è percepita provenire da entrambi i leader: in particolare, in varie riprese Kim Jong Un è parso chiaramente emozionato, sopraffatto dalla grandiosità dell’evento per le due Coree. L’ unico avvenimento che è sembrato costituire un fuori programma, è stato l’invito rivolto da Kim al presidente sudcoreano Moon Jae-in, di attraversare, tenendosi per mano, la linea di demarcazione militare entrando insieme per qualche secondo in territorio nordcoreano. Stiamo assistendo a una fase di distensione a cui si è arrivati partendo dal discorso di Capodanno del giovane Kim, dopo mesi in cui erano soffiati venti di guerra sulla penisola coreana alimentati dalla bellicosità verbale tra Trump e Kim Jong Un. In quel discorso di inizio anno, Kim ha fatto delle aperture che Moon ha prontamente colto: il leader nordcoreano sembra aver individuato in Moon Jae In un interlocutore più affidabile rispetto ai predecessori in quanto percepito più autonomo dai diktat di Washinton in merito all’atteggiamento da assumere nei confronti del regime di Pyongyang. Moon, infatti, per quanto continui a riaffermare il pieno sostegno alla strategia dell’amministrazione Trump basata sulla pressione esercitata tramite le sanzioni internazionali, ha in vari momenti lasciato emergere alcune differenti vedute rispetto all’alleato statunitense. Va ricordato poi che Moon aveva partecipato al secondo summit intercoreano del 2007 come capo dello staff del presidente Roh Moo-hyun e dopo undici anni, è arrivata la sua occasione per passare alla storia, secondo quanto egli stesso ha affermato l’anno scorso, come il presidente che “porterà la pace tra le due Coree”.
«Non ci sarà più nessuna guerra nella penisola coreana, una nuova era di pace è iniziata» ha dichiarato Moon. «Sudcorea e Nordcorea» – si legge nel documento congiunto – «collaboreranno attivamente per stabilire un regime di pace permanente e solido sulla penisola coreana. Porre fine al corrente e innaturale condizione di armistizio e stabilire un solido regime di pace nella penisola coreana è una storica missione che non può essere ulteriormente rinviata». Per far questo, «Nord Corea e Sud Corea si impegnano a favorire l’ organizzazione di meeting che coinvolgano Stati Uniti e Cina. Gli incontri con tre o quattro Paesi al tavolo saranno finalizzati a dichiarare la fine della guerra e stabilire un regime permanente di pace». E’ realistico pensare una trasformazione dell’ armistizio in una pace, come molti media internazionali hanno sostenuto, già entro la fine del 2018?
Quest’anno ricorre il 65° anno dell’armistizio e la sua sostituzione con un regime di pace è il terzo punto della dichiarazione di Panmunjom per dichiarare definitivamente concluso lo stato di guerra che formalmente ancora vige tra le due Coree. Affinché si possa procedere alla firma di un trattato di pace, è necessario, dal punto di vista giuridico, il coinvolgimento degli altri firmatari, oltre alla Corea del Nord, del documento sottoscritto il 27 luglio 1953, ovvero di Stati Uniti e Cina. Nella dichiarazione adottata ieri, si ribadisce l’intenzione delle due Coree di perseguire attivamente un regime di pace con degli incontri trilaterali, quindi solo con gli Stati Uniti, oppure quadrilaterali, includendo Stati Uniti e Cina. Nel documento, però, l’assenza di un orizzonte temporale costituisce una delle maggiori fonti di dubbi riguardante la fattibilità di queste proposizioni. Il summit di Panmunjom ha segnato, come i precedenti, un passaggio storico e ancora una volta l’obiettivo congiunto dei leader è stato quello di riaffermare la necessità che sia il popolo coreano a decidere del futuro della penisola. A questo fine è necessario un miglioramento dei rapporti tra le due Coree che si fondi sulla creazione di fiducia reciproca attraverso un cammino progressivo e incrementale. Nello specifico, le Coree si sono impegnate a condurre negoziati ad alto livello in vari ambiti di reciproco interesse, a permettere nuovi incontri tra le famiglie separate dalla guerra di Corea e a dare attuazione ai progetti di cooperazione economica individuati nella dichiarazione del 4 ottobre 2007, partendo con il ripristino dei collegamenti ferroviari. Questi sono tutti elementi volti a favorire una riconciliazione attraverso il 38° parallelo, per arrivare ad un regime di pace.
Per quanto concerne la denuclearizzazione, nella dichiarazione congiunta si legge: «Il Sud e il Nord hanno affermato il loro comune obiettivo di realizzare una penisola coreana priva di nucleare attraverso una completa denuclearizzazione». Però, rimangono delle perplessità riguardanti, soprattutto, quale sia il significato che il regime nordcoreano attribuisce alla parola ‘denuclearizzazione’, è corretto?
Questo summit ha alimentato moltissime aspettative circa la questione della denuclearizzazione. Se analizziamo le dichiarazioni rilasciate da Moon e Kim alla stampa al termine della sessione mattutina, nelle parole di Kim Jong-Un non si rileva alcun riferimento a questo tema. Nella Dichiarazione di Panmunjom, invece, compare l’impegno esplicito delle due Coree per la denuclearizzazione della penisola coreana. Questo è un proposito che si trova in altre dichiarazioni congiunte del passato, come quella del 1992, ma continua a porre numerosi interrogativi per quanto concerne l’interpretazione che le due Coree danno all’espressione ‘denuclearizzazione della penisola coreana’. Per quanto riguarda la Corea del Nord, ciò non può significare la rinuncia unilaterale dell’arma atomica da parte di Pyongyang, ma deve essere accompagnata da un impegno da parte della Corea del Sud a uscire dall’ombrello nucleare statunitense, includendo quindi anche la questione della presenza delle truppe americane che stazionano nel Sud. Nella Dichiarazione di ieri la Corea del Sud ha espresso apprezzamento per gli sforzi recentemente intrapresi dalla Corea del Nord per la denuclearizzazione della penisola, ma Pyongyang non ha assunto alcun impegno ad abbandonare unilateralmente il suo arsenale. Il fatto che sia stata utilizzata questa espressione, indicherebbe la necessità di accomodare le due parti.
Quello sottoscritto oggi dai due leader, secondo i funzionari sudcoreani, è un documento «vincolante». Ma fino a che punto visto che, come da Lei ben ricordato, spesso in passato, le dichiarazioni non sono state rispettate?
La storia dei rapporti inter-coreani e le modalità di negoziazione della Corea del Nord porranno sempre forti dubbi circa la sincerità degli impegni assunti dal regime di Pyongyang. La dichiarazione di Panmunjom ricalca in molti suoi punti il documento concluso a Pyongyang al termine del secondo vertice inter-coreano il 4 ottobre 2007. Anche in quell’occasione si fece riferimento alla risoluzione delle ostilità militari, all’espansione della collaborazione economica e alla creazione di una zona marittima congiunta. Pochi mesi dopo, però, con l’elezione del presidente sudcoreano Lee Myung-bak si invertì la rotta in quanto il nuovo capo dell’esecutivo adottò un approccio intransigente nei confronti del Nord, ponendo come precondizione per la ripresa di qualsiasi negoziato, la sua completa denuclearizzazione. Ciò fu seguito dalla ripresa delle provocazioni militari nordcoreane e dalla sospensione del dialogo tra le due Coree che continuò durante la successiva amministrazione di Park Geun-hye.
Nella dichiarazione congiunta, si fa riferimento, altresì, alla volontà delle due Coree di «cercare in modo obiettivo il sostegno della Comunità Internazionale per la denuclearizzazione della penisola». Occorrerà, dunque, tener conto anche della Comunità internazione nella verifica dell’ effettivo rispetto dell’ impegno assunto oggi nel documento?
Nella dichiarazione non si delineano i passaggi tecnici riguardanti la sua implementazione. La posizione della comunità internazionale circa la denuclearizzazione della Corea del Nord è però chiara: ciò deve avvenire in maniera unilaterale, definitiva e verificabile garantita dagli ispettori dell’Agenzia Internazionale per l’energia atomica.
La stessa ambiguità era emersa già occasione del recente annuncio della sospensione dei test da parte del regime.
La moratoria annunciata la settimana scorsa pone un tetto all’attuale dimensione dell’arsenale. Pyongyang si è detta decisa a interrompere i test nucleari e balistici, ma non ha incluso nei sei punti vari elementi, per esempio, i missili a corto e medio raggio e la produzione di materiale fissile Potremmo dire che la Corea del Nord ha posto un tetto all’arsenale esistente, ma ha lasciato aperte molte strade che tecnicamente non costituirebbero una violazione di questa moratoria e che soprattutto non implicano il ‘congelamento’ delle capacità attraverso cui la Corea del Nord è in grado di costruire ulteriori ordigni. Per quanto riguarda la chiusura del sito di Punggye-ri, dove sono stati effettuati cinque dei sei test sotterranei nucleari nordcoreani, per molti geologi la montagna risente della ‘sindrome della montagna stanca’, ovvero sarebbe lo stress provocato da questi esperimenti ad averne reso necessaria la chiusura. Quindi, da un lato, alcune considerazioni tecniche potrebbero aver già convinto da tempo il regime a chiudere questo sito; dall’ altro lato, la sospensione dei test indicherebbe ancora una volta come la Corea del Nord sia arrivata al completamento del suo programma nucleare e che quindi non abbia più bisogno di effettuare ulteriori esperimenti.
Crede che, da oggi, Corea del Sud e Corea del Nord saranno sintonizzate sulla stessa frequenza quando si parla di nucleare?
Questa dichiarazione è soltanto un primo passo, come già ce ne sono stati in passato e per questo è necessaria massima cautela nell’analizzare gli eventi di questi giorni. Per quanto riguarda la Corea del Nord, uno dei motivi che ritengo abbiano spinto Kim ad accettare questo summit è quello di percepirsi in una situazione di forza a cui i suoi predecessori non erano mai giunti mentre la Corea del Sud resta ufficialmente allineata alla posizione della comunità internazionale circa la questione del nucleare nordcoreano.
«La Sud e la Nord Corea ripristineranno le relazioni di sangue della popolazione e porteranno avanti il futuro di prosperità condivisa e di unificazione condotta dai coreani facilitando il complessivo e innovativo avanzamento delle relazioni intercoreane» si legge nella dichiarazione congiunta. «Siamo lo stesso popolo, con lo stesso sangue, che deve vivere unito» perché «l’ intero mondo ci sta guardando» ha dichiarato Kim Jong-Un. Questo vuol dire che le due Coree sono pronte ad interagire e a confrontarsi sulle questioni che riguardano l’ intera penisola?
L’obiettivo di questo summit era di permettere ai coreani di gestire insieme il futuro della penisola. Affinché si possa superare definitivamente una delle ultime vestigia della Guerra fredda per andare verso un futuro di riconciliazione e pace, alle due Coree spetta il compito di coltivare un rapporto basato sulla fiducia reciproca, condizione necessaria per compiere dei passi in avanti che, come chiarito nel primo punto della dichiarazione, avverrà riattivando i dialoghi a livello governativo, i progetti di assistenza umanitaria e quelli di cooperazione economica, che saranno supervisionati da un ufficio di coordinamento che sarà aperto a Kaesong.
Nei vari ambiti di questo dialogo, potrebbe rientrare anche quello commerciale?
Indubbiamente, anche se la ripresa dei progetti infrastrutturali e di cooperazione economica, istituiti a seguito della dichiarazione dell’ottobre 2007, è attualmente molto complicata dal punto di vista tecnico e giuridico dall’esistenza di un complesso ed esteso regime sanzionatorio internazionale in vigore nei confronti della Corea del Nord a cui ha aderito a pieno titolo la Corea del Sud.
I due Paesi hanno raggiunto l’accordo per organizzare incontri tra le famiglie separate dalla guerra del 1950-1953. La data prescelta è il 15 agosto, che coincide con il Giorno della Liberazione Nazionale, che ha segnato l’indipendenza della penisola dal Giappone. C’è la volontà di riavvicinare anche dal punto di vista sociale i due blocchi?
L’ esigenza è quella di superare il dramma che i coreani hanno vissuto con la divisione della penisola, imposta dagli attori esterni. Ricordiamoci che la divisione della penisola non è iniziata con la Guerra di Corea, ma nel 1948 quando sono stati fondati i due Stati, per poi cristallizzarsi con il conflitto del 1950-53. L’ultimo incontro tra i membri di queste famiglie risale all’ottobre 2015 e secondo i dati del Ministero dell’unificazione di Seoul, a marzo di quest’anno, il 55 per cento delle oltre 131 mila persone in lista di attesa risultavano decedute quindi è necessario agire in fretta.
In base a quanto abbiamo assistito oggi, aumentano le probabilità di un altrettanto storico incontro con il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump?
Sì, questa è l’impressione, per quanto l’incontro tra Kim e Trump, sicuramente, avrà toni diversi rispetto al summit di ieri. Gli Stati Uniti hanno manifestato il loro apprezzamento e la loro fiducia per quanto avvenuto ieri a Panmunjon Su Twitter il Presidente Trump ha invocato il superamento dello stato di guerra sulla penisola coreana, congratulandosi con i leader delle due Coree per quanto raggiunto, e ha ricordato il sostegno fornito dal Presidente cinese Xi Jinping in questo processo; un interlocutore che Trump ha sempre considerato come necessario per la risoluzione della ‘questione nordcoreana’. Per il presidente americano, i recenti sviluppi sono la riprova dell’efficacia e del successo della strategia di ‘massima pressione’ nel convincere la Corea del Nord ad assumere un atteggiamento più conciliante nei confronti della comunità internazionale. Se vogliamo parlare di simbolismo, a poche ore dal summit, la Casa Bianca aveva fatto circolare le foto del neo-confermato Segretario di Stato, Mike Pompeo, recentemente in visita a Pyongyang dove ha incontrato Kim Jong un.
Quali considerazioni ci spinge a fare il mancato riferimento, in occasione dell’ incontro di oggi, ai soldati americani in Corea del Sud o al sistema antimissilistico THAAD oppure ancora alle esercitazioni congiunte che Seoul compie periodicamente con gli Stati Uniti?
Questo summit ha alimentato molte aspettative, soprattutto tra gli osservatori occidentali. Non si poteva, però, trattare di un incontro risolutivo, ma doveva servire a porre le basi per riprendere un dialogo che era stato sospeso durante i nove anni precedenti all’ amministrazione Moon a causa della rinnovata assertività nordcoreana e dell’approccio di assoluta intransigenza adottato da Seoul. Le parole usate nella dichiarazione congiunta, come le espressioni ‘cessazione di tutte le azioni ostili’ e ‘denuclearizzazione della penisola’, lasciano ancora molti interrogativi, in particolare riguardanti l’alleanza tra Corea del Sud e Stati Uniti. L’obiettivo era quello di fissare degli obiettivi comuni di lungo periodo per favorire l’inizio di un percorso di collaborazione che avrà carattere incrementale. Il fatto di non essere entrati nel merito delle questioni, riflette la necessità, a questo stadio iniziale, di accomodare le rispettive esigenze. Attendiamo quindi il secondo incontro tra Moon e Kim che, come dichiarato, è previsto a Pyongyang per il prossimo autunno.
Cosa pensa ci si possa aspettare per il futuro?
Abbiamo assistito a un momento indubbiamente emozionante che potrebbe favorire una svolta lungamente attesa per il destino della penisola coreana. Allo stesso tempo, però, la storia dei rapporti intercoreani e della strategia negoziale della Corea del Nord nei confronti della comunità internazionale impongono cautela in quanto più volte, nel passato, abbiamo osservato svolgimenti simili che poi hanno subito una brusca interruzione. Sebbene sia stato necessario stabilire un punto di partenza, il timore è che se la Corea del Nord non sarà indotta a fornire le prove del suo impegno in materia di smantellamento dell’arsenale, potrebbe verificarsi il rischio di un ritorno sui suoi passi e la ripresa del perfezionamento delle sue capacità non convenzionali quando questa euforia si sarà affievolita. Il prossimo appuntamento dovrebbe essere all’inizio di giugno, sebbene ancora non confermato, quando nei colloqui tra Trump e Kim la questione del nucleare nordcoreano non potrà più essere evasa.