Quali conseguenze potrebbe avere la decisione del presidente americano? Quale la sua strategia? Ci possono essere conseguenze sulle trattative con Pyongyang?
Casa Bianca, ore 20 (ora italiana) di ieri, il Presidente Donald Trump ha annunciato, in diretta tv, il ritiro americano dall’ accordo sul nucleare iraniano (anche noto come JCPOA), firmato dal predecessore Barack Obama. «Il Paese che ripete lo slogan Death to America è il primo sponsor del terrorismo in tutto il Medio Oriente … Negli anni ha sostenuto terroristi come Hezbollah, Hamas, i Taleban e Al Qaeda, ha rapito, torturato, ucciso prigionieri americani. Ma nessuna operazione intrapresa dal regime iraniano è stata più pericolosa del tentativo di ottenere le armi nucleari».
Sulla stessa lunghezza d’ onda di quanto dichiarato in campagna elettorale e nel corso del suo primo anno e mezzo di presidenza, Trump si è scagliato contro il JCPOA, sostenendo che «avrebbe dovuto proteggergli Usa e i suoi alleati dai tentativi del regime iraniano; ma i tentativi dell’Iran di ottenere la bomba atomica sono continuati». L’ amministrazione Obama – ha tuonato il Presidente – «ha restituito milioni di dollari a questo regime del terrore che ha usato quei fondi per costruire missili capaci di trasportare l’arma nucleare».
«Abbiamo le prove definitive che quelle iraniane erano bugie. Gli israeliani hanno reso pubbliche le prove definitive» ha affermato il Comandante in Capo, riferendosi al discorso pubblico di lunedì 30 aprile del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu che aveva accusato Teheran di mentire «sfacciatamente sulle sue armi nucleari» attraverso un piano di riarmo dal nome ‘Amad‘, puntando «a dotarsi di almeno cinque ordigni nucleari analoghi a quelli utilizzati su Hiroshima». A supporto di queste parole, il premier dello Stato ebraico aveva presentato diversi scaffali colmi di documenti (55 mila) e Cd (contenenti altri 55mila file), che il Mossad aveva sottratto di recente alla Repubblica Islamica («copia esatta degli originali provenienti dagli archivi segreti di Teheran»). «Si tratta di uno dei maggiori successi di intelligence che Israele abbia mai conseguito» aveva dichiarato soddisfatto il capo del governo di Israele.
«Se non facciamo nulla sappiamo esattamente cosa accadrà», ha spiegato Trump, evidenziando come «l’America non sarà ostaggio di un ricatto nucleare che consente all’Iran di continuare ad arricchire l’uranio, un accordo orribile che non avrebbe mai dovuto essere firmato … negoziato così male che anche se l’Iran facesse tutto quello che gli viene chiesto, il regime rimarrebbe vicino al break-out nucleare. E’ solo una questione di tempo». «Questo provvedimento manda un messaggio fondamentale, cioè che gli Usa non fanno più minacce vuote, ma quando faccio promesse le mantengo» ha ammonito il presidente statunitense.
L’ Iran «non abbandonerà l’ accordo» che gli Stati Uniti «non hanno mai rispettato», ha risposto il presidente iraniano Hassan Rouhani in diretta tv. E’ anche vero, però, ha proseguito, che «c’è poco tempo per iniziare i negoziati per mantenere in piedi l’accordo sul nucleare» con gli altri partner senza gli Stati Uniti. Per questo, qualora i negoziati fallissero, «ho dato disposizione all’Agenzia per l’energia atomica iraniana di essere pronta a riprendere l’arricchimento dell’uranio come mai prima, già nelle prossime settimane». «Non puoi fare un accidente!» con queste parole la Guida suprema iraniana, ayatollah Ali Khamenei, si è rivolta contro il presidente americano il cui discorso si è dimostrato «stupido e superficiale, una minaccia per il popolo iraniano e il suo governo». «In risposta alle persistenti violazioni degli Usa e al ritiro illegale dall’accordo nucleare, come richiesto dal presidente Rohani porterò avanti uno sforzo diplomatico per capire se i rimanenti partecipanti all’accordo possano garantire tutti i benefici per l’Iran. Il risultato determinerà la nostra risposta» ha scritto ieri sera su Twitter il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif. Sul tavolo di Teheran ci sarebbe anche il «meccanismo di risoluzione delle dispute» contemplato nell’ accordo.
Quel che è apparso evidente è che il fronte moderato all’ interno del panorama iraniano (di cui Rouhani è un esponente) ha dunque subito una fragorosa sconfitta mentre nuovo carburante ha ricevuto la linea più estremista. Nella mattinata di oggi, infatti, nel parlamento di Teheran, è stato intonato di nuovo il canto “Morte all’America” e un deputato ha bruciato una bandiera americana mentre il presidente dell’ assemblea Ali Larijani ha fatto osservare che «l’Ue e altri partner dell’accordo nucleare sono ora responsabili di salvare l’accordo».
Da Berlino, Angela Merkel ha ribadito che la Germania resta «vincolata» al JCPOA, definendo la decisione di Trump «grave … produce preoccupazioni e rammarico». Dal canto suo, attraverso twitter, il presidente francese Emmanuel Macron ha reso noto che «Francia Germania e Gran Bretagna si rammaricano per la decisione americana di uscire dall’accordo sul nucleare iraniano … In gioco c’è il regime internazionale di lotta contro il nucleare». Perciò – ha aggiunto Macron – «lavoreremo insieme per un nuovo accordo più ampio con l’Iran». Peraltro, per lunedì 14 maggio, è previsto l’ incontro tra i ministri degli Esteri di Francia, Germania e Gran Bretagna e alcuni rappresentanti iraniani. Anche il presidente del Consiglio italiano Paolo Gentiloni ha scritto su twitter che «l’accordo va mantenuto. Contribuisce alla sicurezza nella regione e frena la proliferazione nucleare. L’Italia con gli alleati europei confermano gli impegni presi».
«L’accordo nucleare appartiene all’intera comunità internazionale e la Ue è determinata a preservarlo, al popolo iraniano dico: fate in modo che nessuno lo smantelli, è uno dei più grandi obiettivi mai raggiunti dalla comunità internazionale», ha detto l’ Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’ UE Federica Mogherini, mentre il presidente della Ue Donald Tusk ha sottolineato che «sull’accordo con l’Iran l’approccio europeo sarà unito». «Avere un accordo è meglio che niente, il dialogo è più efficace dello scontro» ha detto Gong Xiaoshe, l’inviato speciale della Cina per il Medioriente. Perplesse anche Mosca e dalla Instanbul. Occorre «restare e rispettare pienamente gli impegni assunti» ha dichiarato il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres appellandosi agli altri Paesi firmatari.
Con il plauso è stata accolta la decisione americana da parte degli alleati storici degli Stati Uniti in Medioriente. L’Arabia Saudita – si legge in un comunicato ufficiale pubblicato da Al Arabiya – «riafferma il proprio sostegno alla strategia annunciata dal presidente Usa sull’Iran … auspica che la comunità internazionale adotti una posizione decisa e unita nei confronti di Teheran e le sue attività ostili e destabilizzanti contro la stabilità della regione e di sostegno ai gruppi terroristici come Hezbollah e Houthi». Inoltre, il ministro degli Esteri dell’Arabia Saudita, Adel Al Jubeir, ha assicurato che «se l’Iran dovesse acquisire capacità nucleari, noi faremo tutto il possibile per fare lo stesso».
Il premier Benyamin Netanyahu ha apprezzato «molto la decisione del presidente Trump», decisione «coraggiosa e corretta» perché «se fosse rimasto in vigore entro alcuni anni Iran avrebbe avuto bombe atomiche». Nel frattempo, l’ esercito dello Stato ebraico ha chiarito che «dopo l’identificazione dell’attività irregolare delle forze iraniane in Siria, l’IDF (Forze di Difesa Israeliane) ha deciso di cambiare le istruzioni di protezione civile nelle alture del Golan e incarica le autorità locali di sbloccare e preparare rifugi nella zona».
Le sanzioni «saranno le più pesanti possibili» ha prospettato l’ inquilino della Casa Bianca, impartendo la reintroduzione in 90 e 180 giorni delle sanzioni che erano state congelate con l’ intesa del 2015: dopo 90 giorni saranno reintrodotte le sanzioni sull’acquisto di dollari americani da parte della Repubblica Islamica, sui metalli sul settore automobilistico. Dal 6 agosto, sarà vietato all’ Iran l’ export di velivoli, loro componenti e servizi. Le sanzioni sul petrolio scatteranno dal 4 novembre, dopo 180 giorni.
«A coloro che fanno affari con l’Iran» – è stato spiegato dalla Casa Bianca – «saràdato un pò di tempo per fermare le operazioni» o gli affari con il Paese. Il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire, ha aspramente criticato la scelta di Trump, preannunciando – ai microfoni di France Culture – le conseguenze nefaste per le imprese francesi: «la Francia» – ha ricordato Le Maire – «aveva triplicato il suo surplus commerciale con l’Iran».
Per comprendere meglio la portata della decisione di Trump sull’ accordo sul nucleare iraniano, abbiamo intervistato il Professor Daniele Fiorentino, docente di Storia e Istituzioni degli Stati Uniti d’ America presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Roma Tre.
Cosa ha spinto Trump a tirarsi fuori dall’ accordo? Qual’ è la sua strategia nei confronti della Repubblica Islamica?
Credo che Trump stia cercando di mettere alle strette l’ Iran: non va, infatti, trascurato quanto complesse siano state le relazioni tra Stati Uniti e Iran nel corso dell’ ultimo secolo, in particolar modo negli ultimi settant’ anni. In questo momento, due considerazioni vanno fatte: una riguarda la politica interna poiché non è possibile pensare alla politica estera degli Stati Uniti senza tener conto anche di questo fattore, soprattutto quando si parla di certe scelte.
Anche perché gli Stati Uniti si accingono ad andare alle elezioni, quelle di medio termine.
Esatto. L’ altra è legata alla scia della tradizione della politica estera americana in Medioriente e verso l’ Iran. Trump è convinto che la scelta fatta da Obama non sia il percorso migliore per mettere alle strette la Repubblica Islamica. In altre parole, Obama giocava sulla coltivazione di una reciproca fiducia che non esiste da tempo. Trump è tornato ad una vecchia pratica: attraverso sanzioni, embargo, stringere nell’ angolo un avversario che, comunque, per quanto potente, dispone di una potenza inferiore a quella degli Stati Uniti. Partendo dal presupposto che la politica di Trump non è così logica e consequenziale come ci si potrebbe aspettare, il Presidente, da una parte, potrebbe tirar fuori l’ anima più conservatrice e anti-americana dell’ Iran in cui, come è noto, albergano due nature: una estremamente anti-americana e l’ altra, soprattutto nella società civile e nella classe media, molto pro-Stati Uniti. Forse si illude di favorire, in qualche modo, quest’ ultima parte della società, mettendo all’ angolo quella più retriva e anti-americana. Ho dei forti dubbi, però, che questa sia la strada da percorrere: mi sembrava che una certa moderazione avesse aperto degli spiragli anche all’ interno del Parlamento dell’ Iran. In questo modo, si favoriscono le forze più conservatrici e che detengono quelle leve del potere che sono essenziali per gestire il rapporto con gli Stati Uniti. Il rischio è che quel fronte pro-americano finisca per esser indebolito. Il paragone con la Corea non funziona, innanzitutto, perché le relazioni sono molto diverse e, in secondo luogo, mentre a Pyongyang il potere è, praticamente, in mano ad un solo uomo e al suo entourage, in Iran ci sono diverse forze in gioco, cosa che rende la situazione più complessa. E credo che questo l’ amministrazione Trump non l’ abbia capito molto bene.
Ha influito la nomina di Mike Pompeo, quale segretario di Stato, e John Bolton, come consigliere alla sicurezza nazionale?
Penso di sì perché, soprattutto il primo anno, c’ erano una serie di ufficiali dell’ esercito che, in qualche modo, facevano da garanti delle scelte del Presidente, guidandolo e coadiuvandolo. Questi cambi all’ interno dell’ Amministrazione hanno certamente dato più spazio al Presidente per fare quello che lui crede che i suoi sostenitori vogliano: non va dimenticato come, spesso, su molti temi non solo di politica estera, ma anche di politica interna, Trump torni agli argomenti favoriti da una certa massa di americani che lo ha votato: questo sull’ Iran così come, ad esempio, sulla Corea del Nord quando diceva di avere il ‘bottone’ più grande. C’è un po’ di quell’ anima guerrafondaia che negli Stati Uniti esiste e che sembra voler affermare, in questo modo, la grandezza degli Stati Uniti, in continuità con quell’ unipolarismo che non esiste più. L’ Iran è, indiscutibilmente, uno dei punti nevralgici che risponde anche ad una ferita aperta. Il rischio, a seconda di come si gioca la partita, è che, al contrario di quanto avvenuto con la Corea del Nord che poi è tutto da vedere come va a finire, le conseguenze siano peggiori.
Proseguendo nell’ opera di smantellamento di quanto fatto dal suo predecessore?
Assolutamente sì. Ha dedicato il primo anno e mezzo della sua presidenza per smontare quello che Obama aveva fatto. Ed era un po’ la premessa che aveva fatto ai suoi elettori. La decisione sull’ accordo sul nucleare iraniano è, per certi versi, il riflesso di quell’ approccio che, ad esempio, era stato adottato, all’ interno, sull’ Obamacare. Trump ha in mente gli elettori che l’ hanno votato, in vista della campagna elettorale che sta per partire in autunno, ma che, in realtà, è già partita. L’ Iran, da questo punto di vista, ha un’ enorme portata simbolica e può sembrare paradossale dirlo nel contesto internazionale odierno. La Corea del Nord, tutto sommato, è un avversario meno significativo rispetto all’ Iran, con cui c’è una questione aperta di tipo politico e culturale da tantissimo tanto tempo.
«L’accordo con l’Iran è nell’interesse dell’America e sta funzionando … non è fondato sulla fiducia, ma è basato sulle più approfondite ispezioni e verifiche mai negoziate dal regime in un accordo sul controllo delle armi» ha scritto l’ ex presidente Barack Obama in un post su facebook. Secondo Trump, invece, l’ accordo non è riuscito a limitare lo sviluppo del programma nucleare e i controlli si sono dimostrati inadeguati. L’ accordo abbisogna di perfezionamenti tali da giustificare la decisione di Trump?
Il fatto che le autorizzazioni degli osservatori internazionali siano state usate dall’ Iran in modo discutibile è uno degli appigli che ha Trump anche perché, pochi giorni fa, c’ era stata la dichiarazione di Netanyahu sul proseguimento, da parte iraniana, dello sviluppo del programma nucleare, denunciando l’ incapacità delle ispezioni di accertare in maniera soddisfacente il rispetto dell’ intesa. E questo costituisce un po’ il punto debole. Va detto che Obama, da questo punto di vista, si era un po’ allineato alla politica europea, decisamente più dialogante di quella americana. Da questo punto di vista era stata saggia la mossa di Obama perché aveva aperto un varco tra le forze moderate dell’ Iran – anche se non è detto che poi questo corrisponda alla realtà – ma comunque aveva ridato fiato a quel fronte che poteva andare incontro alle richieste degli Stati Uniti. Diciamo che l’ accordo va migliorato, va rivisto in alcune delle sue parti, soprattutto in merito alle garanzie internazionali e ai controlli, ma, tutto sommato, sembrava funzionare o, perlomeno, questa era l’ impressione di questi ultimi anni. Però, per perfezionarlo, non era necessario lo strappo: poteva essere perfezionato, per esempio, con un colpo di scena qualora Trump avesse annunciato la proroga di altri sei mesi, a patto che venisse rivisto secondo certe regole. Però questo non sarebbe proprio di Trump che puntava al colpo di coda per mettere in allarme, soprattutto, gli alleati europei. Sta giocando una partita che fa leva su dei sentimenti antichi negli Stati Uniti.
Gli alleati europei, Macron e Merkel in testa, ma anche il governo May, hanno però deciso di mantenere in vigore l’ accordo. In questa partita, dunque, diventano concorrenti degli Stati Uniti?
La politica estera di Trump, soprattutto in quest’ ultima fase nei confronti dell’ Iran, sta finendo per danneggiare gli interessi americani: sta mettendo gli Stati Uniti sempre più da una parte rispetto al contesto internazionale, dando spazio, in particolar modo, alle ambizioni di altri soggetti come Macron o la Merkel che ha bisogno di qualche successo internazionale ed europeo. Dall’ altra parte, però, rimanda alla strategia trumpiana: quella di tirar fuori gli Stati Uniti da alcuni coinvolgimenti a livello internazionale che, tutto sommato, è quello che si aspettano gli elettori di Trump ed è importante vedere se riuscirà a mantenere questa maggioranza. Credo che in tutto questo ci sia anche un gioco dell’ Europa in ballo: l’ Europa è costretta a prendere delle posizioni e su questo Trump è stato chiarissimo. Forse questo è lo scossone che farà cambiare l’ atteggiamento europeo nei confronti degli Stati Uniti. Le avvisaglie c’ erano: dalla difesa comune agli accordi commerciali, questo è l’ ultimo di una serie di segnali. Ecco perché, come dicevo, questa decisione sull’ accordo con l’ Iran ha una portata molto più ampia a livello internazionali.
Dopo la guerra commerciale dei dazi, potrebbe iniziare una disputa con le sanzioni americane all’ Iran che andrebbero a danneggiare, tra gli altri, quei Paesi europei come Francia e Italia che intrattengono degli importanti rapporti economici. «A coloro che fanno affari con l’Iran sarà dato un po’ di tempo per fermare» gli affari con Teheran, ha reso noto la Casa Bianca. Il Tesoro americano ha però fatto sapere che potrebbero essere considerate delle esenzioni a favore di Paesi che abbiano dimostrato di aver ridotto le operazioni con l’ Iran. C’è la possibilità che, alla fine, vengano esentati gli alleati europei?
Io penso di sì. Bisogna vedere dove Trump vuole portare il rapporto con l’ Europa. Con un’ altra Amministrazione direi sì, anche per garantirsi un canale d’ accesso. Con questa Amministrazione, è difficile fare previsioni.
Si rischia, come molti hanno avvertito, che si possa scatenare un conflitto in Medioriente?
Sebbene la politica di Trump si sia dimostrata guardinga in questi mesi, il rischio di un conflitto c’è. L’ indirizzo che ha preso Trump sembra quello di grandi parole, grandi minacce e poi, nei fatti, nessuna conseguenza significativa a livello militare. Bisognerà vedere quale sarà la risposta, nel breve periodo, dell’ Iran: da come ha reagito, in questo momento, il governo di Teheran, pare non ci sia l’ intenzione di mettersi sul terreno di confronto diretto con gli Stati Uniti. E credo non sia nemmeno nell’ interesse degli Stati Uniti anche perché era una delle richieste dell’ elettorato.
Bisognerà poi considerare anche quella che sarà la strategia di Arabia Saudita ed Israele, entrambi alleati degli Stati Uniti di Trump ed entrambi contrari, fin dall’ inizio, all’ accordo sul nucleare iraniano.
Certo. Ci sono due grandi attori in Medioriente. Israele, poi, ha una posizione molto particolare. E’ evidente che, per gli Stati Uniti, un Iran più conservatore e più antiamericano, diventa quasi automatico schierarsi a favore dell’ Arabia Saudita.
«L’accordo con l’Iran è un modello per quello che la diplomazia può riuscire a fare: le sue ispezioni e il programma di verifiche è esattamente quello che gli Stati Uniti dovrebbero mettere in piedi con la Corea del Nord. In un momento in cui facciamo tutti il tifo per un successo della diplomazia con la Corea del Nord. Uscire dall’accordo con l’Iran mette a rischio il raggiungimento dei risultati che cerchiamo con la Corea del Nord» ha scritto Obama nel suo post su Facebook. Esiste la possibilità che la decisione in merito all’ accordo sul nucleare iraniano possa influenzare, in un certo qual modo, le trattative tra Washington e Pyongyang?
Non credo potrebbe influire direttamente sulle trattative o comunque sull’ apparente dialogo con la Corea del Nord. Anzi, potrebbe fare gioco a Kim Jong Un per dimostrare quanto, rispetto all’ altro ‘Stato canaglia’, lui sia capace di gestire il rapporto con gli Stati Uniti. Quindi, secondo me, dà più respiro alla Corea del Nord. Rimangono comunque due situazioni diverse, sia per motivi storici che per motivi geopolitici. Al momento credo che gli Stati Uniti siano molto più proiettati nel Pacifico: quindi, tutta la questione mediorientale e, come abbiamo visto in alcune scelte che sono state fatte da Obama, gli Stati Uniti hanno altre priorità che si trovano nel Sud-Est asiatico. Sembra quasi che il Medioriente lo lascino gestire, tutto sommato, in modi molto diversi, a Putin.
L’ ex presidente Obama, nel suo post, ha avvertito che «la trasgressione degli accordi di cui il nostro Paese è parte rischia di erodere la credibilità dell’America e di metterci in contrasto con le maggiori potenze mondiali». E’ possibile che, come sostiene Obama, questa scelta di Trump finisca per rafforzare le ‘minacce strategiche’ dell’ America come Russia e Cina?
Il problema è che finisce per creare degli spazi. Dal punto di vista della politica e delle scelte di Trump, credo che questa sia la mossa per affermare nuovamente una certa centralità della potenza americana; d’ altra parte, dipende da quale prospettiva la si guarda: secondo l’ ottica di Obama, è un indebolimento. Si creano dei nuovi spazi e questo è un dato di fatto. Penso anche che la scelta dell’ amministrazione sia quella di lasciarli quegli spazi. Non è un errore di calcolo, ma sembrerebbe una volontà.
Ritornando alla politica interna, esce rafforzata la presidenza Trump e come viene letta questa mossa, soprattutto dai repubblicani? Il Partito repubblicano sta rivalutando la figura di Trump?
Sì io credo che alcune di queste scelte siano, tutto sommato, ben viste dal Partito Repubblicano. Avrei qualche dubbio nel sostenere una rivalutazione della presidenza Trump in quanto c’è ancora qualche resistenza nel partito, anche se il Presidente li ha spiazzati, soprattutto nelle scelte di politica interna, ma anche, in qualche misura, in quelle di politica estera. La mia sensazione è che queste ultime uscite, sia per quanto riguarda la Corea del Nord che per l’ Iran, abbiano rafforzato la presidenza Trump e questo, ai repubblicani, fa gioco. Sebbene continuino ad esserci resistenze nell’ apparato tradizionale del partito, penso che i repubblicani vedano dei risultati positivi e, in vista delle elezioni, sembrano fare proprio il loro gioco.