Il Premier liberale perde la scommessa delle elezioni anticipate in piena pandemia: niente governo di maggioranza. Confermato lo ‘status quo’, ora tocca governare, anche perché non ci sono alternative
Il Partito Liberale del Canada ha vinto le elezioni politiche, segnando la terza vittoria consecutiva del suo leader, Justin Trudeau, per il quale, tuttavia, è un ‘successo a metà’ dal sapore dolce-amaro in quanto ha perso la scommessa di conquistare la maggioranza dei 338 seggi della Camera Bassa: il Partito Liberale (centrosinistra) ha ottenuto il 32,2% dei voti (158 seggi) mentre il Partito Conservatore (centrodestra) il 34,0% (119 seggi); il Blocco del Québec (autonomisti) si è aggiudicato il 7,7% dei consensi (34 seggi), il Nuovo Partito Democratico (sinistra) il 17,7% (25 seggi) e i Verdi il 2,3% (2 seggi).
A prima vista, la percentuale di voti sembra discordare dal numero di seggi ottenuti. In realtà, in Canada, così come avviene nel Regno Unito, il sistema elettorale è ‘first past the post’: questo fa sì che la percentuale di consenso di cui gode un partito non riflette necessariamente il numero di seggi che otterrà in Parlamento. In ogni circoscrizione viene eletto il candidato che ottiene la maggioranza dei voti e, qualora un partito non riesca a conseguire la maggioranza relativa dei voti in nessun singolo collegio, non riceve nemmeno un seggio. Ragion per cui molti critici sono convinti che un sistema di questo genere finisca per premiare i grandi partiti e penalizzare quelli più piccoli.
Ciò detto, l’esito di queste elezioni non era quello auspicato dal Premier Trudeau, quando il 15 agosto, convinto di poter capitalizzare la buona gestione della pandemia (due anni prima della scadenza naturale) che entrava nella sua quarta ondata, aveva convocato le elezioni anticipate per riconquistare la maggioranza che il suo partito aveva perso nel 2019 e mettere fine al governo di minoranza che, nonostante tutto, non aveva problemi di stabilità. E l’opposizione non ha perso occasione di accusarlo di aver chiesto il voto anticipato, pur non essendo necessario, per pura ambizione personale: “Ogni canadese ha incontrato un Justin Trudeau nella sua vita: privilegiato, autorizzato e sempre alla ricerca del massimo tornaconto. Era intento in questa ricerca quando ha indetto queste elezioni costose e non necessarie nel mezzo di una pandemia”, ha dichiarato Erin O’Toole, il candidato Premier del Partito Conservatore.
Senza successo, come hanno dimostrato le urne. E lo ha ammesso in un tweet: «Grazie, Canada, per aver espresso il tuo voto, per aver riposto la tua fiducia nella squadra liberale, per aver scelto un futuro migliore. Stiamo per finire la lotta contro il Covid. E faremo avanzare il Canada. Per tutti».
Trudeau, quindi, si aggiudica il terzo mandato (dal 2015), ma lo stato di cose in Parlamento rimane pressoché invariato: il Premier dovrà formare un governo di minoranza, con il sostegno esterno di partiti più piccoli senza i quali nessun provvedimento otterrebbe approvazione. Come del resto, è avvenuto nella legislatura appena conclusa dove l’appoggio dell’Ndp e dei suoi 23 eletti è stato cruciale. Niente di nuovo, dunque, dopo cinque settimane di spietata campagna elettorale, 190 comizi e 610 milioni di dollari canadesi di soldi pubblici (che l’hanno resa la più costosa della storia).
Una parte considerevole di voti è arrivata dalle periferie urbane, soprattutto di Toronto e Montreal, in risposta all’appello del Premier di “bloccare la strada a chi vuole fare indietreggiare il Canada”. Tuttavia, il non aver conquistato la maggioranza alla Camera bassa è, secondo gli osservatori più pessimisti, uno schiaffo imbarazzante alla leadership di Trudeau che starebbe scontando un costante calo di popolarità rispetto all’exploit del 2015, quando in termini di consensi, era riuscito a superare il padre, l’ex Premier Pierre Elliott Trudeau. E l’aver indetto un voto anticipato in piena quarta ondata di Covid-19 – che poi non ha centrato l’obiettivo cercato – non ha certo aiutato perché parsa irresponsabile, narcisistica, inutile e arrogante, nonostante non gli si possa rimproverare mala-gestione della pandemia o della campagna vaccinale.
Non ha fatto molto presa sull’elettorato la promessa di Trudeau di impostare un piano di spesa quinquennale da 78 miliardi di dollari canadesi (62 in dollari USA) da impiegare soprattutto in sanità e per rendere i vaccini di richiamo gratuiti per tutti. Questi fondi si sommeranno al pacchetto da 101 miliardi di dollari canadesi in tre anni già approvato nel bilancio per il 2021. Incertezze di Trudeau, agli occhi degli elettori, ci sono state anche per quanto concerne la ‘bolla immobiliare’, ovvero l’aumento dei prezzi degli alloggi (+14,3% in un anno) che insieme all’aumento dei prezzi della benzina (+32,5% in un anno) e dei trasporti, sta alimentano l’inflazione: in campagna elettorale Trudeau aveva negato la priorità della politica monetaria, ma, proprio lo stesso giorno, i dati di agosto lo hanno contraddetto, mostrando che il tasso di inflazione in Canada è ai livelli più alti degli ultimi diciotto anni (dal 2003), cioè +4,1 per cento, ben al di sopra il tetto del +3 per cento stabilito dalla Banca Centrale Canadese. Quest’ultima, però, ha previsto che l’inflazione tornerà al 2 per cento nel 2022: si tratterebbe, dunque, secondo il governatore Tiff Macklem di un aumento momento dovuto ai problemi riscontrati dalle catene di approvvigionamento globali e alla ripresa della domanda di beni e servizi dopo la riapertura dell’economia.
Non è stata soddisfacente agli occhi della popolazione neanche la lotta alla crisi climatica del Premier Trudeau. Nell’estate scorsa, la costa occidentale del Canada è stata devastata da una serie di incendi insolitamente intensi. La città di Lytton, nella Columbia Britannica, è stata praticamente rasa al suolo e gli incendi hanno ucciso 570 persone nella provincia, diventando l’evento meteorologico più mortale nella storia del Canada.
Sebbene sia entrato nella campagna promettendo di ridurre gli obiettivi di emissioni di carbonio del Canada tra il 40 e il 45 percento, un obiettivo leggermente più ambizioso ma al di sotto dei suoi concorrenti più di sinistra come il New Democratici e Verdi, i critici, tra la popolazione e dall’opposizione conservatrice e del Nuovo partito democratico (NPD) di Jagmeet Singh, hanno accolto negativamente la notizia che il Canada sia l’unico Paese del G7 in cui le emissioni di gas serra sono aumentate negli ultimi sei anni così come sono stati molto duri per l’acquisto di un oleodotto per mantenere il petrolio che scorre fuori dalle sabbie dell’Alberta.
“Speriamo che continuino sulla strada della riconciliazione con noi e scelgano di eleggere politici che rispettino i diritti dei popoli indigeni e il lavoro svolto in partnership”, ha dichiarato Natan Obed, presidente dell’organizzazione nazionale che rappresenta gli Inuit. Anche se questa comunità non rientra nelle First Nations, i diritti alle comunità delle Prime Nazioni, cioè le popolazioni indigene, sono stati motivo di sconcerto.
Diversamente da quanto promesso, Trudeau non è riuscito a garantire la fornitura di acqua potabile a tutti i gruppi: su 105 ordini di portare acqua pulita alle comunità indigene, 52 sono rimasti inapplicati. “Penso che a Trudeau possa interessare” della situazione in cui vivono gli indigeni, ha sottolineato Singh che nel suo programma ha inserito la proposta di creare un ufficio di polizia e giustizia per affrontare la sproporzionata presenza degli indigeni nelle carceri, venendo incontro alle loro richieste.
“Penso che gli importi, ma la realtà è che ha spesso fatto molte cose per lo spettacolo e non le ha supportate con azioni reali”, ha rimarcato O’Toole. Del resto, negli ultimi mesi, il rinvenimento di decine di cadaveri di giovani indigeni uccisi il secolo scorso in scuole e ospizi, in un processo di assimilazione forzata, hanno messo in difficoltà la politica di riconciliazione del Premier liberale: i discendenti hanno chiesto giustizia e risarcimenti, ma l’impegno di Trudeau è arrivato con poca solerzia. “Non puoi metterti in ginocchio un giorno, se porti in tribunale i bambini indigeni il giorno dopo”, ha sentenziato Singh.
D’altro canto, l’imbarazzo di Trudeau non era mancato per lo scandalo di una vecchia foto di gioventù in cui appariva ad una festa con una ‘black face‘, che gli hanno attirato l’accusa di razzismo oltre a scalfire la sua figura di leader progressista, aperto alle istanze delle minoranze. Lo scorso anno, invece, un ente di beneficienza molto vicino alla sua famiglia si è aggiudicato un contratto senza alcuna offerta per gestire un piano di assistenza finanziaria necessario per gli studenti vista l’emergenza Covid-19. Pochi giorni dopo sono arrivate le scuse per questo ‘WE Charity Scandal’ e, successivamente, l’ente si è ritirato dal programma, che è stato poi cancellato. La vacanza con la famiglia sull’isola di Aga Khan e le accuse di molestie sessuali da parte di una giornalista sono altri esempi di circostanze spiacevoli a cui il primo ministro ha dovuto render conto.
L’ultima ‘batosta’ è arrivata con l’AUKUS, l’intesa militare sull’Indo-Pacifico in chiave ‘anti-cinese’ – siglata da Australia, Regno Unito e Stati Uniti – che ha fatto molto discutere soprattutto per i sottomarini nucleari promessi a Canberra. Pur essendo membro dell’alleanza Five Eyes, il Canada non era stato informato, mettendo in difficoltà Trudeau, desideroso di migliorare i rapporti con gli USA sotto la Presidenza Biden dopo la burrascosa era Trump. Dov’è finito il ‘Canada is back’ – quello propugnato da Trudeau nel 2015 – in politica estera, chiedono i detrattori. “Questo è un altro esempio di come Trudeau non sia preso seriamente dai nostri amici e alleati nel mondo. Il Canada sta diventando irrilevante sotto di lui”, non ha perso occasione O’Toole, alle cui parole hanno fatto eco quelle dell’altro candidato, Singh, che ha incolpato il primo ministro di pensare più alla campagna elettorale che ai suoi doveri istituzionali. Facile per l’opposizione provare sfruttare anche questo dossier internazionale viste le tensioni in corso tra Canada e Cina legate all’arresto da parte canadese (con richiesta di estradizione statunitense relativa ad accuse di frode) di Meng Wanzhou, la direttrice finanziaria della società cinese Huawei, mentre il Dragone detiene i canadesi Michael Spavor e Michael Kovrig, considerati vittime della ‘diplomazia degli ostaggi’. Ottawa, d’altro canto, vorrebbe mantenere basso lo scontro con Pechino, intenzione che sembra non essere condivisa con Washington.
“I canadesi non hanno dato a Mr Trudeau quella maggioranza che lui voleva” è stato il commento (per certi versi, soddisfatto) di Erin O’Toole, il candidato primo ministro del Partito Conservatore, ma, l’esito di questo voto, due anni prima della scadenza, mette, probabilmente per necessità e assenza di alternative, il Premier, a riparo anche dalle minacce interne al suo partito.
Può dire lo stesso O’Toole? Neanche i Conservatori hanno potuto cantar vittoria: hanno raggiunto quota 121 e hanno perso un’altra opportunità per governare il Paese nonostante i sondaggi lo avessero dato in grado di ottenere la guida di un governo di minoranza. Secondo l’agenzia di stampa ‘Reuters’, O’Toole avrebbe chiamato il leader liberale e l’avrebbe provocatoriamente sfidato a mettere l’unità del Canada al primo posto: “Gli ho detto che se pensa di poter minacciare i canadesi con un’altra elezione tra 18 mesi il partito conservatore sarà pronto”, avrebbe rivelato ai sostenitori del suo partito nella sua città natale di Oshawa, a est di Toronto.
Ma la causa del flop conservatore, si è criticato dall’interno, di «andamento ondivago» su alcuni temi, tra cui la carbon tax, prima rifiutata e poi accettata nel suo programma elettorale, quella che molti hanno bollato come una crisi di identità che il partito sembra aver vissuto nel bel mezzo della campagna elettorale: il leader ha cercato di allargare il sostegno degli elettori (anche progressisti) spostandosi al centro dalla tradizionale formazione conservatrice sociale e fiscale. Oltre a tentare di intercettare i voti dei no-vax rifiutando l’obbligo vaccinale, i conservatori di O’Toole si sono presentati al voto con un programma pieno di sorprese per l’elettorato tradizionale: maggiore spesa pubblica oltre che rispetto degli obiettivi prefissati dall’Accordo di Parigi, riducendo le emissioni del 30% rispetto a quindici anni fa entro il 2030 e proponendo la trasformazione ad emissioni zero il 30% dei veicoli leggeri venduti da qui a dieci anni: “Abbiamo un piano per rimettere in piedi il Paese dopo diciotto mesi difficili in questa crisi”. Si è detto, addirittura, disponibile – rinnegando la sua posizione contraria iniziale – ad appoggiare il divieto di contrabbando delle armi d’assalto e a sostenere da “alleato”, la comunità LGBTQ+.
Non certo musica per le orecchie degli elettori più conservatori tanto che questa tendenza potrebbe mettere in discussione la sua leadership. “Il nostro sostegno è cresciuto, è cresciuto in tutto il paese, ma chiaramente c’è più lavoro da fare per guadagnarci la fiducia dei canadesi” – ha detto O’Toole ai sostenitori, suggerendo che aveva intenzione di mantenere la guida del partito – “Io e la mia famiglia siamo fermamente impegnati a continuare questo viaggio per il Canada”. Tra i conservatori più intransigenti, potrebbe diffondersi l’intenzione di optare per qualcuno che rappresenti di più i valori fondamentali del Partito Conservatore. O’Toole potrebbe, a quel punto, avere difficoltà ad ottenere il sostegno della potente vecchia guardia che, invece, potrebbe sostenere Rona Ambrose, ex leader ad interim del Partito Conservatore.
Nonostante i recenti incendi richiamino l’attenzione sulla questione climatica, anche per il Partito dei Verdi questa tornata elettorale è stata una debacle. Il Partito dei Verdi ha sofferto di una crisi interna del partito trapelata all’opinione pubblica da quando la nuova leader, Annamie Paul, è stata eletta un anno fa. Le divisioni esistevano già prima che lei vincesse la leadership, ma le fratture si sono ben presto allargate. Quello che li aspetta è una profonda revisione della leadership e del programma, nel tentativo di preservare l’unità: non è detto che Annamie Paul, che non è riuscita a vincere un seggio in queste elezioni, possa rimanere salda alla guida del partito.
Per il Nuovo Partito Democratico guidato dal sikh Jagmeet Singh, il consenso è stato simile ai risultati del 2019, nonostante avesse più esperienza nella gestione di una campagna elettorale e più soldi per finanziarla. Grazie a turbanti colorati e video che lo ritraevano ballare pubblicato su Tik Tok, Singh sperava di convincere l’elettorato più giovane, vedendosi aumentare il consenso. Ciò non è avvenuto e i suoi seggi (25) non sono aumentati che di un’unità rispetto alle scorse elezioni. Va detto che NDP veniva da una legislatura in cui aveva sostenuto il governo uscente e tale situazione, nel bene o nel male, può avere sempre dei riflessi elettorali. Lo stesso schema, peraltro, non avendo i liberali ottenuto la maggioranza, si dovrà probabilmente ripetere in questa legislatura, conferendo all’NDP una grande capacità di influenzare l’agenda del governo in senso più marcatamente progressista, pena un’altra elezione, che nessuno in Canada vuole: tra le proposte più apprezzate dagli elettori canadesi di sinistra e, all’estero, da leader quali Bernie Sanders o Alexandria Ocasio-Cortez, l’NDP ha proposto un salario minimo di 20 dollari e dieci giorni di congedo per tutti i lavoratori federali; nella lotta al cambiamento climatico, Singh ha posto come obiettivo quello di tagliare il 50% delle emissioni entro il 2030, creando, al contempo, un milione di posti di lavoro.
Anche per il Partito Popolare del Canada (PPC), la tornata elettorale è stata una doccia fredda: nonostante abbia aumentato il suo consenso popolare di diversi punti percentuali, il suo leader Maxime Bernier non è riuscito a vincere il suo seggio a Beauce (Quebec): sul suo conto hanno pesato le prese di posizione contrarie ai vaccini anti-Covid-19, che non hanno trovato molto seguito in una popolazione di oltre il 75% di cittadini vaccinati.
Martin Pelletier, senior portfolio manager di Trivest Wealth Counsel, ha definito le elezioni canadesi un “non-evento”, perché la situazione è sostanzialmente la stessa di prima e i mercati non reagiranno in maniera forte. Anzi. “Ci rimettiamo al lavoro con un chiaro mandato per far superare al Canada questa pandemia e siamo pronti a farlo”, ha rilanciato Trudeau ai sostenitori riuniti alla sede del partito, nell’albergo Queen Elizabeth di Montreal. “Quello che abbiamo visto è che milioni di canadesi hanno scelto un piano progressista. Alcuni hanno parlato di divisione, ma non è quello che io avverto. Non è quello che ho visto nelle ultime settimane in tutto il Paese” ha evidenziato il premier. Rivolgendosi ai canadesi, ha assicurato di essere pronto a servirli, con tutta la sua squadra di governo, “il nostro piu’ grande onore”.
Karl Schamotta, chief market strategist di Cambridge Global Payments, sostiene che la vittoria dei Liberali “mantenga lo status quo” e garantisca il proseguimento dei piani di spesa fiscale “che hanno sostenuto l’economia per lo scorso anno e mezzo”. Più scettico Pelletier, il piano di Trudeau per aumentare le tasse sui profitti delle banche, “andrà a esacerbare la crisi del costo della vita, perché in questo paese le banche operano all’interno di una struttura di oligopolio e di conseguenza hanno la capacità di passare la suddetta tassa direttamente al consumatore”.
Non bisogna dimenticare, però, che anche quello che si formerà adesso sarà un governo di minoranza. Con tutti i vantaggi e gli svantaggi del caso. Il partito di governo non domina l’assemblea parlamentare così come le commissioni e questo lo costringe a consultarsi di più, a trovare compromessi, aumentando, di fatto, il peso del Parlamento che può esercitarè meglio la sua funzione di controllo. Quello che Trudeau voleva evitare, avendo in mente gli esempi degli esecutivi dal 2004 al 2011, quando Paul Martin guidò un governo di minoranza liberale e Stephen Harper ne ha presieduti di minoranza conservatrice. Le polemiche e i giochi di palazzo, che causarono la caduta del governo conservatore per una mozione di sfiducia nel 2011, portarono alla sfiducia dei canadesi che si fecero convincere dalla campagna di Harper per un “governo di maggioranza conservatore forte, stabile”.
Un governo di minoranza costringe ad alleanze spesso non omogenee o forse solo dal punto di vista dei temi, ma non delle modalità. Questo spinge i partiti a cercare sempre di distinguersi, a puntare sulla comunicazione in una campagna elettorale permanente. Se i partiti di opposizione (che sosterranno, direttamente o indirettamente, il governo) cercheranno di influenzare massicciamente l’attività di governo, i liberali potrebbero far leva sulla ‘fiducia’. Nessuno dei partiti, in fondo, vuole una nuova elezione, i liberali in primis: l’esempio del Partito conservatore progressista nel 1993 è chiaro.
La paura di nuove elezioni potrebbe aiutare la tenuta del governo, ma potrebbe anche spingerlo ad aumentare la spesa pubblica, come già accaduto durante gli ultimi due anni. La necessità di trovare un accordo potrebbe, però, può anche dare vita a decisioni positive, come accadde negli anni ‘60 fece con Lester B. Pearson che guidò due governi di minoranza con il sostegno del New Democratic Party: in quegli anni, si posero le basi per il welfare canadese, come il National Medicare o il Canada Pension Program.
Come dichiarato dal capo del personale dell’ex Primo Ministro, Paul Martin, anch’egli liberale, “se dopo un’elezione arrivi al governo, è una vittoria. Se sei una minoranza, resti una minoranza, ma sei ancora al governo”. E questo, specialmente in un momento di ricostruzione e di ripensamento del Paese, è una responsabilità doppia.