“Non è utile evocare il caso LB sia per la scala minore del fenomeno sia perché le autorità cinesi non ripeteranno la scellerata decisione dell’Amministrazione Bush di far fallire rovinosamente LB: è plausibile che il governo di Pechino decida di ricorrere ad una ‘ristrutturazione controllata‘”. Intervista a Paolo Guerrieri, docente alla Paris School of International Affairs di Sciences-Po e alla Business School dell’Università di San Diego in California
Evergrande è la nuova Lehman Brothers (che annunciò il fallimento il 15 settembre 2008) in salsa cinese? ‘Is too big to fail’? Sono queste le domande che in questi giorni si pongono a più riprese osservatori, investitori, creditori, soprattutto in Cina. Il ministero cinese dell’Edilizia abitativa e dello Sviluppo urbano-rurale ha reso noto agli istituti di credito che la società non potrà “effettuare il pagamento degli interessi sui prestiti” in scadenza al 20 settembre. Stando a quanto reso noto dal gruppo, sarebbe prevista l’interruzione dei pagamenti degli interessi sui prestiti a due delle banche creditrici, ma sarebbero in corso trattative per estendere i restanti pagamenti e rinnovare alcuni prestiti.
Sono giorni che il colosso immobiliare cinese è nella tempesta alla Borsa di Hong Kong: martedì, ad esempio, per la compagnia è stata una giornata sulle montagne russe toccando il -8,6%, dopo la diffusione di un file in cui si incolpavano della crisi di liquidità “i continui resoconti negativi dei media” che “hanno colpito la fiducia dei potenziali acquirenti di proprietà” immobiliari. Evergrande ha, quindi, dovuto pescare tra le risorse personali, 3 milioni di dollari del patrimonio della moglie del fondatore, per tenere a bada la protesta di piccoli investitori che da ormai tre giorni assedia il quartier generale a GuangZhou al grido di “ridateci i nostri soldi”. Lunedì i creditori hanno bocciato il piano di rinegoziazione del debito scaduto nel fine settimana e che consisteva in un rimborso con rate quinquennali in contanti.
In un anno le azioni del gruppo sono crollate del 70% in termini di valore borsistico, mentre i profitti, ultimo bilancio alla mano, sono diminuiti del 29%. Poche settimane fa, dopo il mancato pagamento degli interessi su un bond (in quel momento Evergrande aveva già accumulato 240 miliardi di yuan – 37,28 miliardi di dollari – di debito in scadenza entro un anno, di gran lunga superiore alle disponibilità liquide di 86,8 miliardi di yuan,13,48 miliardi di dollari), il suo rating è stato declassato a CC (livelli molto alti di rischi del credito) da Fitch e a CA (obbligazioni estremamente speculative e molto vicine al default) da Moody’s. Ancor prima S&P aveva tagliato i suoi rating di due notch a B- da B+. Il debito accumulato ha superato la soglia due trilioni di yuan (305 miliardi di dollari), con flussi di cassa “finiti sotto enorme pressione” e sono oltre 800 i complessi residenziali mai completati.
In realtà, Evergrande è l’emblema degli ultimi decenni di storia della Repubblica Popolare Cinese: la sua storia inizia con Xu Jiayin, orfano di madre all’età di un anno e con un’infanzia estremamente umile nel pieno della Rivoluzione Culturale. La svolta arriva nel 1992 a Shenzhen, la fiorente capitale del Guangdong, dove Deng Xiaoping annuncia importanti riforme economiche. Sulla scia di questo rilancio, Xu tenta l’azzardo e fonda, nel 1996, Hengda Group(che avrebbe preso il nome Evergrande) sul cui boom influisce l’espansione delle aree urbane e la crescita della classe media cinese.
Il gruppo, arrivato a costruire più di 600mila appartamenti all’anno, si quota a Hong Kong nel 2009, mettendo insieme nove miliardi di dollari nell’Ipo. Numeri grandiosi che la rendono la più grande impresa immobiliare privata cinese e che la portano a diversificare i suoi investimenti: dal turismo ai veicoli elettrici, dai media agli alimenti passando per il calcio. In quest’ultimo settore, Evergrande acquisisce il Guangzhou F.C. (che ben presto diventa noto come Guangzhou Evergrande) e inizia ad ingaggiare giocatori ed allenatori internazionali e italiani come Marcello Lippi e Fabio Cannavaro. Il Guangzhou si laurea vincitore di ben otto campionati cinesi in nove anni e di due Champions League asiatiche. Nell’ottobre 2017 Xu conquista il titolo di ‘uomo più ricco d’Asia’ con un patrimonio di 45,3 miliardi di dollari, un patrimonio oggi precipitato a circa 9 miliardi mentre Evergrande Real Estate possiede più di 1.300 progetti in oltre 280 città in tutto la Cina.
Proprio in questa fase, inizia il declino del gigante cinese: i tempi rapidi di costruzione, unito al grande debito via via accumulato, ne mettono in crisi la liquidità al punto tale da spingere, nel 2020, il management a lanciare dei forti sconti (30%) di vendita di appartamenti. A fronte di una situazione così preoccupante, il governo di Pechino ha quindi deciso di attenzionare il debito.
Dopo un embrionale piano di salvataggio, il crollo delle ultime settimane sembra aver iniziato a contagiare anche altri sviluppatori quali Guangzhou R&F Properties Co e Xinyuan Real Estate Co. Fantasia Group, altro grande sviluppatore immobiliare poco più piccolo di Evergrande, in un comunicato alla Borsa di Hong Kong ha annunciato di aver acquistato 6 milioni di dollari dei propri bond che maturano a dicembre, causando la diminuzione drastica del prezzo a 78 centesimi di dollaro a obbligazione. Non manca anche Baoneng Investment Group Co.Ltd., una società privata di servizi finanziari di Shenzhen, noto per il fallito tentativo di acquisizione ostile nel 2015 del real estate developer China Vanke Co. Ltd, sembra attraversare una fase burrascosa con 200 miliardi di yuan (31 miliardi di dollari) di debito, nonostante si sia aggiudicata un investimento strategico di 12 miliardi di yuan dal governo di Guangzhou.
A detta degli analisti di Goldman Sachs, “ulteriori interruzioni delle operazioni di sviluppo immobiliare della società (Evergrande) possano essere molto negative per il sentiment tra gli acquirenti e gli investitori di proprietà nazionali e potenzialmente propagarsi al settore immobiliare in generale”, che non trovando finanziatori, non può pagare i fornitori o completare progetti.
Secondo Fitch Ratings, gli effetti negativi a cascata si avrebbero anche in altri settori, affermando che 572 miliardi di yuan (circa 89 miliardi di dollari) dei prestiti di Evergrande sono detenuti da 128 banche e oltre 121 istituti non bancari (fra gli investitori della società anche colossi occidentali del calibro di Allianz e BlackRock), ma le prime potrebbero anche avere un’esposizione indiretta verso i fornitori della società, a cui sono dovuti 667 miliardi di yuan per beni e servizi (circa 104 miliardi di dollari).
Senza dimenticare che i tassi di interesse sulle obbligazioni cinesi ad alto rendimento emesse all’estero sono improvvisamente saliti al 13,3%. Nel secondo quadrimestre, il debito pubblico cinese è salito di altri 2.3 trilioni a quota 55, e per il 40% è debito non finanziario, quello degli enti locali e dello Stato centrale.
In un recente editoriale pubblicato sul ‘Financial Times’, il finanziere George Soros ha ipotizzato che la crisi di Evergrande (che interessa 3,8 milioni di lavoratori, considerando anche l’indotto) possa innescare un crollo di tutto il settore immobiliare cinese, rendendola, di fatto, la nuova ‘Lehman Brothers’ asiatica. Secondo Soros, il Presidente Xi Jinping non conosce il mercato ed è abituato, a suo dire, «a utilizzare le società cinesi come strumenti di uno stato monopartitico». Motivo per cui il finanziere di origini ungheresi ha messo in guardia il fondo BlackRock dall’investire in Cina.
Cosa farà il governo di Pechino? Potrebbe decidere di procedere con lo ‘spezzatino’ come accaduto a Anbang, gigante delle assicurazioni (con un debito che ammontava a 100 miliardi di dollari e già per la prima metà del 2018 erano state previste dai commissari governativi, vendite di beni per 16 miliardi), smembrato due anni fa (è stato, per esempio, venduto lo storico hotel Waldorf Astoria di New York, venduto a un prezzo di 2 miliardi di dollari, così come è stata diminuita la partecipazione nel capitale della catena alberghiera Hilton, di cui il Anbang era azionista di maggioranza)? Oppure potrebbe decidere di lasciarla fallire? Al momento, il Presidente Xi Jinping sembra invece irremovibile sull’eventualità un salvataggio (deciso per la bad bank Huarong) tanto che la Banca centrale cinese tre settimane fa ha invitato a prestare denaro alle PMI, quelle più a rischio, non di certo ai colossi privati pieni di debiti. Cosa accadrà? Siamo alla vigilia di una nuova crisi finanziaria, con epicentro in Cina questa volta? Lo abbiamo chiesto a Paolo Guerrieri, docente alla Paris School of International Affairs, Sciences-Po (Parigi) e alla Business School dell’Università di San Diego in California, autore di un recente libro edito da ‘Il Mulino’ ed intitolato ‘Partita a tre’, ma già Senatore della Repubblica nella XVII legislatura, membro della Commissione Bilancio e della Commissione delle Politiche europee dal 2013 al 2018 oltre che ex consulente presso numerose istituzioni e organizzazioni internazionali.
Il principale colosso del settore immobiliare cinese, Evergrande, Evergrande affonda alla Borsa di Hong Kong (-8,61%). Recentemente, si era già visto declassare il suo rating a CC (livelli molto alti di rischi del credito) da Fitch e a CA (obbligazioni estremamente speculative e molto vicine al default) da Moody’s. Si parla di oltre 300 miliardi di debiti complessivi e circa 800 complessi mai terminati. Come e perché si è arrivati a questo punto?
Evergrande ha rappresentato per oltre venti anni uno dei grandi motori del boom immobiliare cinese. E’ stata fondata a metà degli anni Novanta e ha registrato una straordinaria crescita durante la fase di accelerata urbanizzazione di molte aree della Cina. Il suo modello di business era abbastanza semplice e imperniato su massicci pagamenti anticipati da parte degli acquirenti degli immobili e altrettanto massiccia emissione di pagherò commerciali per i pagamenti ai fornitori. Il successo era anche dovuto ai buoni legami politici del suo fondatore il miliardario Hui Ka Yan che a metà dello scorso decennio era considerato l’uomo più ricco dell’Asia. Il facile accesso al credito aveva poi garantito al gruppo di indebitarsi fortemente ed espandersi in molti altri settori, dalle auto elettriche alle squadre di calcio, con operazioni in diversi casi spericolate ma che gli investitori hanno continuato per anni a finanziare generosamente. Questa corsa che è parsa a lungo inarrestabile si è fermata sostanzialmente per due ordini di motivi: da un lato, i limiti all’indebitamento posti dal governo a partire dallo scorso anno nel settore immobiliare per imporre una maggiore disciplina e, dall’altro, la minore domanda di nuovi appartamenti. Ambedue effetti del nuovo corso dell’economia e della politica economia cinese imposta dal Presidente Xi all’insegna del maggiore controllo politico sull’economia reale e della lotta alle disuguaglianze. Evergrande è entrato così in una sorta di circolo vizioso in cui la mancanza di liquidità per portare avanti e completare i progetti in essere si è sposata con il calo delle vendite facendo crollare le entrate. E la carenza di liquidità era tanto più grave perché bisognava far fronte anche alla riduzione dei debiti del gruppo. L’eccesso di indebitamento accumulato negli anni – un enorme ammontare pari a circa 300 miliardi di dollari – ha rapidamente così travolto in quest’ultimo anno il gruppo e siamo arrivati a oggi quando molti ritengono il fallimento del gruppo immobiliare pressoché inevitabile. Anche se molto dipenderà da ciò che deciderà e farà il governo.
La storia di Evergrande intreccia l’evoluzione economica della Repubblica Popolare, i cui elementi salienti sono stati, tra gli altri, la crescita della classe media e la progressiva urbanizzazione. Temi che riprende in modo approfondito anche nel suo ultimo libro, ‘Partita a tre’ edito dal Mulino. Il possibile default di Evergrande cosa ci dice della parabola di crescita cinese, passata e futura?
Per oltre due decenni fino alla grande crisi finanziaria occidentale del 2008-2009 la straordinaria crescita della Cina ha avuto un carattere prettamente quantitativo in quanto determinata dall’aumento degli input (capitale e lavoro) più che dal progresso tecnologico. Il settore immobiliare ha sempre rappresentato una leva assai importante utilizzata per sostenere e spingere l’economia in questa fase. A partire dallo scorso decennio il Partito ha deciso di modificare i motori della crescita privilegiando l’innovazione e l’espansione internazionale. In questa prospettiva si è deciso di ridimensionare il ruolo e mettere ordine al comparto immobiliare, imponendo, ad esempio, al settore bancario di ridurre la sua esposizione verso il settore e cercando di calmierare il mercato degli affitti nei grandi centri urbani. Più recentemente, il governo di Pechino rispetto all’obiettivo di un’elevata crescita per anni stella polare della politica economica cinese ha stabilito come priorità quella di mettere le briglie ad un capitalismo e a capitalisti privati divenuti troppo potenti anche per rispondere a finalità di carattere sociale quale la lotta alle forti disuguaglianze esistenti nel paese. Qualunque giudizio si ossa dare sul nuovo corso – e ci tornerò – una conseguenza importante è che l’economia cinese non crescerà più ai ritmi di una volta e non sarà più il motore della ripresa globale come avvenuto spesso nel passato decennio. La ripresa globale dovrà poggiarsi su nuovi motori, di natura endogena alle grandi macroaree. Staremo a vedere.
E cosa ci dice Evergrande del ‘capitalismo’ cinese? Secondo alcuni osservatori – anche considerando le campagne contro aziende private come Tencent e Alibaba – il Presidente Xi Jinping starebbe mettendo fine ad un certo tipo di capitalismo, operando un cambio di rotta rispetto, per esempio, al modello di Deng Xiao Ping.
Nello scorso decennio l’economia cinese ha raggiunto traguardi importanti, che rappresentano, se messi tutti insieme, indubbi successi, domestici e internazionali, da parte del governo di Pechino. Ma di qui a spingersi a prevedere, come fanno molti, un rapido incontrastato dominio cinese nel mondo appare sotto molti aspetti, e almeno per ora, una proiezione prematura. Sono molte, in realtà, e tutte rilevanti le sfide che la Cina dovrà fronteggiare a medio termine per salvaguardare e accrescere la prosperità economica finora raggiunta. E il loro esito è tutt’altro che scontato. Più di recente, il giro di vite imposto dal Presidente Xi al settore privato e a molti grandi gruppi e imprenditori privati, soprattutto nel campo digitale, ha indubbiamente lo scopo di riaffermare il potere del Partito sull’andamento dell’economia ma è anche un tentativo di rispondere alle oggettive difficoltà nell’affrontare le nuove sfide a cui ho prima accennato. Innanzi tutto, quella di una crescita imperniata sul rilancio della domanda interna e della produttività. Al riguardo, saranno necessari profondi cambiamenti strutturali: il settore dei servizi dovrà aumentare la quota di occupati rispetto all’industria e la crescita delle esportazioni dovrà rallentare rispetto a quella del reddito. Allo stesso tempo, la riqualificazione della struttura produttiva verso l’alta tecnologia sarà fondamentale per assecondare entrambe le tendenze e la centralizzazione del potere in corso sulle imprese e l’economia non la renderà più facile. È un insieme di passaggi complessi da realizzare, che saranno resi più difficili dal calo demografico che interesserà a breve la Cina. Bisogna poi considerate l’ostilità crescente che Pechino dovrà affrontare in molti paesi in seguito alle aperte violazioni dei diritti umani e alle aggressive scelte di politica estera effettuate anche di recente. In altre parole, la Cina ha ancora molto lavoro da fare, considerando i problemi e le potenziali debolezze che continuano a caratterizzarla a livello domestico, e la svolta autoritaria impressa dal Presidente Xi non agevolerà questo lavoro da fare. Anzi. Come sappiamo Xi ha lanciato la cosiddetta nuova era della “prosperità comune” che evoca la drammatica fase maoista. Essa è legata – per tornare a Evergrande – al nuovo modo di guardare al settore immobiliare, più in chiave di benessere per i cittadini che di settore motore della crescita. “La casa serve per viverci, non per specularci» ha ripetuto molte volte Xi Jinping. Di qui le misure intese a stabilizzare il mercato immobiliare, ridurre i suoi costi, cercando di evitare allo stesso tempo che la caduta di giganti come Evergrande possa avere drammatiche conseguenze sul sistema finanziario. Ma è una impresa tutt’altro che facile e i rischi di incidenti di percorso anche gravi sono tutt’altro che scongiurati.
Nella dichiarazione alla Borsa di Hong Kong, Evergrande ha denunciato una forte pressione di liquidità ed ha accusato “i continui resoconti negativi dei media” che “hanno smorzato la fiducia dei potenziali investitori”. Sempre lunedì, Evergrande ha affermato che le speculazioni sul suo potenziale fallimento e ristrutturazione erano “totalmente false”. Come si spiegano queste dichiarazioni?
Sono affermazioni che non trovano alcun riscontro nella dura realtà dei numeri e della contabilità dei debiti enormi del Gruppo. Le difficoltà gravi in cui si trova sono dovute ai fattori di cui abbiamo prima parlato. Tanto più che la nomina da parte della stessa Evergrande di Houlihan Lokey e Admiralty Harbour Capital come consulenti finanziari congiunti, è l’indicazione più chiara che il gruppo sta esaminando opzioni di un’ampia e vasta ristrutturazione dei suoi debiti. E quando si tentano operazioni di questo genere è quasi inevitabile che si verifichino ritardi nel pagamento degli interessi o l’annullamento del pagamento di interessi fino alla opzione drastica di pesanti tagli dei debiti esistenti.
In un editoriale sul ‘Financial Times’, il finanziere americano George Soros ha paventato l’ipotesi che il default di Evergrande possa innescare il crollo di tutto il settore immobile. Insomma, che Evergrande possa dare avvio ad una sorta di ‘Lehman Brothers’ cinese. È d’accordo, quindi, che ci potrebbe essere l’inizio di una crisi sistemica a catena? Perché?
George Soros ha parlato di un rischio sistemico per il settore immobiliare cinese, nonché in generale per l’economia di Pechino, un po’ sulla scorta di quanto accaduto negli Usa con il caso Lehman Brothers che aveva innescato la crisi finanziaria del 2008. Come sappiamo si sono verificati aumenti dei rendimenti di molte emissioni obbligazionarie immobiliari come segnale che i problemi di Evergrande stanno avendo un vasto impatto negativo sulle condizioni dell’intero settore immobiliare, in aggiunta ai problemi prima ricordati di cui soffre il settore. E va ricordato che circa la metà dell’emissione di obbligazioni offshore della Cina proviene dal settore immobiliare. Se aggiungiamo le grandi dimensioni del suo bilancio, Evergrande può essere certamente considerata come fa Soros un rischio sistemico per il sistema finanziario cinese. Ma io non credo che le autorità la lasceranno fallire bruscamente. Si cercherà comunque di portare a termine una ristrutturazione controllata. Anche se le ripercussioni nel settore immobiliare saranno pesanti e in larga misura inevitabili.
La scorsa settimana, le obbligazioni di Guangzhou R&F sono calate alla borsa di Shanghai al 60 per cento rispetto al loro valore nominale e Fantasia Group, altro grande sviluppatore immobiliare, in un comunicato alla Borsa di Hong Kong ha annunciato di aver acquistato 6 milioni di dollari dei propri stessi bond che maturano a dicembre e sono crollati a 78 centesimi di dollaro. Esiste un rischio ‘contagio’ sia nel settore che nell’intera economia cinese e, quindi, poi, mondiale?
Credo proprio di sì. Evergrande è il secondo più grande gruppo immobiliare della Cina e ha interessi in centinaia di città, avendo costruito vasti complessi di appartamenti sorti un po’ ovunque in Cina negli ultimi 25 anni. Ha debiti verso un vasto ed eterogeneo insieme di creditori in tutta la Cina e fuori. Il che significa che un brusco default potrebbe innescare un effetto a catena per il settore immobiliare del paese. Sono così in molti a temere che se Evergrande dovesse fallire, svariati gruppi cinesi rivali indebitati come Fantasia potrebbero seguire rapidamente la stessa sorte. E queste preoccupazioni sono aumentate negli ultimi giorni come dimostrano gli aumenti dei costi dell’indebitamento di molti di questi gruppi. Il timore che Evergrande non possa onorare i propri debiti sta avendo in effetti conseguenze sui rendimenti dei bond di diversi giganti immobiliari cinesi.
È calzante il paragone tra il caso dell’americana Lehman Brothers e Evergrande? E definirebbe Evergrande, come a suo tempo fu per LB, un ‘cigno nero’?
Come detto il mercato immobiliare è esploso in Cina negli ultimi due decenni. Le vendite totali di immobili sono arrivate a rappresentare oltre il 10% dell’intera produzione economica del paese. Allo stesso tempo tra i creditori di Evergrande figurano grandi gruppi internazionali inclusi nomi quali Allianz, Ashmore and BlackRock. Un fallimento disordinato di Evergrande avrebbe dunque un impatto significativo sui mercati finanziari internazionali e rappresenterebbe un serio rischio per l’intera economia cinese. Va poi ricordato che anche nel 2008 l’inizio della crisi finanziaria globale era partito dal mercato immobiliare. Ma non credo sia utile evocare il caso LB sia per la scala minore del fenomeno di cui stiamo parlando sia perché le autorità cinesi non ritengo ripeteranno la scellerata decisione dell’Amministrazione Bush di far fallire rovinosamente LB.
Tra i ‘creditori’ di Evergrande, ci sono quasi 130 istituti bancari. È, secondo Lei, il sistema bancario a rischiare di più e, se sì, cosa rischia il sistema bancario cinese che, va ricordato, detiene 50 trilioni di yuan di prestiti al settore immobiliare (28% sei totali) e, di questi, 35,7 trilioni di yuan di prestiti alle famiglie?
Non c’è dubbio che il settore immobiliare per le sue già ricordate dimensioni potrebbe determinare in caso di tracollo serie conseguenze per il sistema bancario cinese. Come lei ha ricordato gli istituti di credito hanno elargito enormi prestiti al settore, e in particolare alle famiglie che hanno investito nell’immobiliare. E’ vero che le banche cinesi nell’aggregato presentano un insieme di difese nel complesso solide nei confronti di eventuali perdite sui loro prestiti, ma dietro la media si cela una ampia varietà di situazioni con un vasto segmento di banche molto fragili e vulnerabili. Ritengo pertanto – come molti – che nel caso si dovessero produrre diffusi fallimenti bancari innescati dal crollo dei principali gruppi immobiliari cinesi tutto ciò potrebbe avere ripercussioni di ampia portata anche per l’intera economia cinese.
Ci sono state proteste all’entrata della sede centrale di Evergrande. Ci sono rischi per la stabilità sociale, tra investitori delusi e lavoratori in bilico?
I media statali hanno riferito che centinaia di persone hanno protestato presso la sede centrale di Evergrande a Shenzhen e hanno incontrato i dirigenti del gruppo dopo la sospensione dei pagamenti su alcuni dei suoi prodotti di gestione patrimoniale. Si sa anche che la polizia è stata schierata per mantenere l’ordine e già martedì pomeriggio aveva sgomberato l’edificio dai manifestanti. Ci sono state anche segnalazioni dalla Cina di dipendenti che protestavano fuori dagli uffici dell’azienda per il mancato pagamento degli stipendi. Evergrande è davvero un grande gruppo e afferma di impiegare circa 200.000 persone e di generare indirettamente 3,8 milioni di posti di lavoro in Cina. Di conseguenza, le proteste e dimostrazioni potrebbero aumentare di fronte al peggioramento delle condizioni del gruppo. Anche se per ora la situazione è ancora pienamente sotto controllo.
‘Spezzatino’ come avvenuto nel caso di Anbang, oppure salvataggio di Stato come avvenuto per Huarong o addirittura vendita (per esempio, al gigante dell’elettronica Xiaomi). Quali sono gli strumenti di cui il governo cinese dispone per intervenire? Per quale soluzione, secondo Lei, opterà il governo cinese e perché? A differenza di quanto deciso per Huarong, il Presidente cinese, Xi Jinping, sembra irremovibile nel non voler ricorrere all’aiuto di Stato per Evergrande. Perché? Per dare un taglio alla ‘speculazione immobiliare’ e, nella cornice della sua idea di ‘prosperità comune’, sgonfiare questa bolla in favore di un maggiore accesso al bene immobiliare a chi è rimasto indietro, soprattutto giovani?
Una ristrutturazione controllata del gruppo da parte del governo di Pechino a me sembra l’ipotesi più plausibile. Una ristrutturazione che privilegerà gli acquirenti di case e molti dei fornitori mentre potrebbe non lasciare molto agli altri creditori, in particolare a quelli esteri. Le centinaia di progetti lasciati a metà da Evergrande – circa 770 in 220 città – potranno essere assunti e completati da altri gruppi immobiliari cinesi. Per quanto riguarda il salvataggio di stato di Huarong a cui lei accennava non vedo molte analogie. Huarong com’è noto è il più grande gestore di crediti inesigibili del Paese, partecipato dal ministero delle Finanze e si è trovato in una situazione in cui le perdite avevano cancellato la maggior parte del capitale. Evergrande è invece completamente privata e difficilmente potrà usufruire del “sostegno straordinario” offerto a Huarong dal Ministero delle Finanze.
Cosa ne sarà, secondo Lei, del Presidente miliardario di Evergrande, Hui Ka Yan?
Non lo so ma va incontro a un periodo di serie difficoltà. Come è apparso chiaro negli ultimi mesi il Presidente Xi sembra determinato a prendere di mira alcuni dei più importanti miliardari cinesi nel suo tentativo di creare una società più equa, come ha scoperto a sue spese il più potente di tutti ovvero il fondatore di Alibaba Jack Ma.
La rinegoziazione del debito attivata dalle autorità di regolamentazione cinese potrebbe bastare ad Evergrande per risollevarsi e pagare i 7,2 miliardi di bond in scadenza nel 2022?
Non credo sia sufficiente, come ho già detto l’ipotesi più attendibile mi sembra una ristrutturazione controllata del gruppo. Anche se i passi da fare saranno tutt’altro che facili e scontati. E per ora si sono sentite molte voci ma nessun piano credibile è stato presentato.
Gli Stati Uniti, di cui la Cina detiene buona parte del debito pubblico, dovrebbe allarmarsi? E Biden cosa dovrebbe fare?
Per ora c’è solo da seguire con attenzione la vicenda. Date le grandi dimensioni del suo bilancio, Evergrande è un rischio sistemico per il sistema finanziario cinese per cui da parte americana si ritiene che le autorità cinesi non potranno permettersi di lasciarla semplicemente fallire. Un altro discorso vale per le perdite degli investitori americani che deriveranno dalla ristrutturazione di Evergrande. Al riguardo, la decisione di Blackstone è un primo segnale.
Perché il fondo USA Blackstone si è ritirato dall’acquisto del gruppo immobiliare Soho China? Solo perché il mese scorso l’Antitrust cinese ha vietato la partecipazione di fondi di private equity agli investimenti nell’immobiliare residenziale?Molti altri investitori potrebbero seguire l’esempio di Blackstone?
La decisione del fondo americano Blackstone, che ha scelto di annullare una operazione da 3 miliardi di dollari per l’acquisto del gruppo immobiliare Soho China, è semplicemente la conferma delle cattive acque in cui versa il settore immobiliare residenziale cinese e del fatto che non sia proprio il momento questo per degli operatori esteri di investire massicciamente in questo comparto. Certo anche la decisione dell’Antitrust cinese – che lei ha ricordato – ha avuto il suo peso negativo.
Nel suo libro, ‘Partita a tre’ edito dal Mulino, Lei passa in rassegna le sfide imminenti anche per le economie europea ed americana. In un mondo globalizzato, Stati Uniti ed Europa hanno strumenti per fronteggiare uno shock e possono, quindi, sentirsi al sicuro? La lezione del 2007-2008 è stata imparata?
E’ una domanda davvero impegnativa e servirebbe molto tempo per rispondere. Direi in estrema sintesi che oggi a preoccupare di più non è la sfera finanziaria ma è lo scontro tra Stati Uniti e Cina. E’ divenuto ormai una contesa per la leadership globale nei prossimi decenni, soprattutto per ciò che attiene alla competizione tecnologica che è anche una sfida per la supremazia militare. L’Amministrazione Biden ha finora proseguito nella linea dura verso Pechino, peraltro sostenuta da entrambi gli schieramenti politici americani. Non vi è dubbio che negli scenari post-Covid il rischio di una degenerazione dello scontro tra Usa e Cina – in direzione di un decoupling economico-tecnologico – rappresenti la più seria minaccia a una stabile evoluzione dell’economia mondiale e alla possibilità di cooperazione internazionale. Come riuscire ad evitare questa degenerazione è la maggiore priorità e una sfida chiave per tutti, a partire dall’Europa che avrebbe tutto da perdere da una ‘nuova guerra fredda’. Decisivo a questo riguardo – come ho scritto nel mio libro – il ruolo di una rinnovata alleanza tra Europa e Stati Uniti.