Nella ‘nuova vita’ del summit, secondo la proposta del Presidente USA, “iniziano a pesare di più le caratteristiche politiche che quelle legate al sistema economico”. Un passo in avanti positivo altrimenti il forum “era condannato ad una crescente irrilevanza rispetto al G20“. L’intervista ad Alberto Martinelli, Professore Emerito di Scienza politica e Sociologia dell’Università degli Studi di Milano oltre che Presidente della Fondazione AEM-Gruppo a2a
Le relazioni transatlantiche ricominciano da Carbis Bay, piccolo borgo della Cornovaglia sul Mare d’Irlanda, dove si stanno per aprire il G7, il summit delle sette più importanti economie mondiali cioè Regno Unito, Italia, Germania, Giappone, Francia, Canada, Stati Uniti e Unione Europea.
In queste ore, il Presidente americano Joe Biden, atterrato ieri per la prima visita in Europa, ha incontrato il Premier britannico, Boris Johnson – che presiede, di turno, il G7 – e con il quale ha sottoscritto una nuova ‘Carta Atlantica’, una versione aggiornata dell’accordo del 1941 tra Winston Churchill e Franklin D. Roosevelt, il documento che contribuì a gettare le basi per le Nazioni Unite e la NATO, ma che oggi vuole rilanciare la relazione tra le due sponde dell’Atlantico.
Intanto, da domani fino al 13, Biden sarà impegnato nel G7 con l’intento di rilanciare il legame transatlantico perché ‘America is back’, dopo quattro anni di ‘America First’ di presidenza Trump. Il che, inevitabilmente, si accompagnerà al rafforzamento del multilateralismo.
“Le democrazie sono unite per affrontare le sfide del futuro” e questo G7 “dimostrerà a Cina e Russia che Stati Uniti e Europa sono più uniti che mai dai loro valori comuni”, ha dichiarato Biden appena sceso dall’Air Force One che lo ha condotto al suo primo viaggio da presidente nel vecchio continente. L’idea del Presidente statunitense, che avrà modo di avere anche incontri bilaterali con gli altri leader, è quella di creare un fronte comune, una sorta di ‘Lega delle democrazie’ composta da Paesi che condividono gli stessi valori. L’obiettivo? Fronteggiare la minaccia sistemica costituita dalla Cina (e dalla Russia) che propagandano il declino inesorabile dell’Occidente.
Sarà molto interessante vedere la reazione europea alla linea Biden: secondo l’annuale indagine riguardante il ‘Transatlantic Trends’, condotta in 11 Paesi da German Marshall Funde Bertelsmann Foundation e pubblicata dall’European Council on Foreign Relations (ECFR), solo un cittadino europeo su 5 vedrebbe Washington come un alleato capace di condividere i valori fondanti dell’Unione europea. Gli europei, quindi, vedono negli Stati Uniti un alleato per necessità strategica piuttosto che un partner con il quale condividere valori ed interessi. Ad influire in misura maggioritaria sul giudizio degli intervistati sarebbe stata la politica adottata negli ultimi anni dagli USA.
L’Italia è il Paese in cui la percezione dell’America come principale leader globale è più bassa pari al 51%, contro il 55% dei tedeschi e il 56% dei francesi. Valori in linea con il 2020 e in calo di dieci punti sul 2019. Numeri positivi in Gran Bretagna col 58%, in Svezia col 63%, in Polonia col 62%, e in Spagna col 85%. Se cala il peso degli StatiUniti, sale quello della Cina al 20% complessivamente (ma al 32% in Italia), mentre resta basso quello dell’UE al 14% (il 12% in Italia). La Russia non supera il 4%. Tranne che in Italia, Polonia e Turchia, la percezione della Cina è, però, più negativa che positiva.
Partenza in salita, ma forse neanche troppo, dunque, per Biden che intende dare concretezza al fatto che insieme si è più forti il modello democratico è più resiliente rispetto ai regimi autocratici. L’invito rivolto ad Australia, Corea del Sud, India, Sudafrica risponde a questa logica oltre a dimostrare in modo plastico il cambio di priorità sempre più evidente nell’agenda statunitense.
Se passasse la proposta, il G7 vivrebbe una nuova primavera. Nato negli anni ‘70 dalla volontà dei grandi Paesi industrializzati di confrontarsi su grandi temi e risolvere eventuali contrasti, il pretesto fu il crollo del sistema monetario di Bretton Woods ‘71 e la crisi energetica del ‘73.
Ad idearlo fu il Segretario del Tesoro statunitense, George Schultz, che decise di invitare negli Stati Uniti i Ministri delle Finanze dei tre Paesi più industrializzati, ossia Francia, Germania dell’Ovest e Regno Unito. Era il ‘Library Group‘, che prendeva il nome dalla biblioteca della Casa Bianca a Washington dove i leader si incontrarono. L’anno successivo l’incontro venne ripetuto, ma quella volta, anche con la presenza del Giappone.
Fu nel 1975 che si tenne la prima riunione ‘ufficiale’ del gruppo, allorché il Presidente francese Valéry Giscard d’Estaing decise di invitare anche l’Italia a Rambouillet, dando forma al gruppo dei ‘Grandi’, il G6. Da quell’anno in poi il summit assunse una cadenza annuale, maalcuni elementi caratterizzanti il gruppo ancora oggi, cioè l’informalità, la trattazione di temi di attualità internazionale, la sottoscrizione di una dichiarazione congiunta erano già tutti presenti.
Ne 1976, Il Presidente americano Gerald R. Ford, organizzò un secondo incontro a Portorico, al quale partecipò per la prima volta il Canada. Di qui il nome di ‘Gruppo dei Sette’ o G7 che nel1994, al vertice di Napoli, divenne il P8 (dove ‘P’ significava per ‘politici’), formato dalle potenze del G7 e dalla Russia. Nel 1997, a Denver, Mosca partecipò anche ai lavori ufficiali del G7 che, poi, diventò G7+1, e poi G8 a Birmingham. Così sarebbe rimasto fino al 2014, quando è ritornato ad essere il G7, in seguito all’espulsione della Russia per aver dichiarato l’annessione della Crimea.
Dal 1977 partecipa anche l’Unione Europea, ma pur avendo i suoi Sherpa e potendo contribuire alla decisione dei temi, non figura tra i membri ufficiali.
Privo di un segretariato permanente, il G7 non può̀ essere considerato un’organizzazione internazionale. Le dichiarazioni non hanno carattere vincolante. Le presidenze ruotano, ma il G7 presenta una struttura flessibile al cui vertice si trovano i cosiddetti ‘Sherpa’, cioè 6 rappresentanti di ciascun leader che ne fanno le veci per l’agenda di lavoro e sono responsabili della preparazione del summit e dei negoziati in vista della redazione del Comunicato finale dei leader.
A partire dagli anni ’90 iniziò ad ampliarsi l’agenda dei Capi di Stato e di Governo e si iniziò a trattare trattare anche grandi temi globali. Contemporaneamente iniziarono anche le prime riunioni Ministeriali tematiche, mafino ai primi anni 2000, se si poteva raggiungere un accordo su un aspetto della gestione dell’economia globale – avviare uno stimolo fiscale, completare un negoziato commerciale globale, ristrutturare il debito dei paesi in via di sviluppo o aumentare gli aiuti internazionali – era tipicamente deciso al G7. Dalla metà degli anni 2000 l’influenza del G7 ha cominciato a diminuire. Spinto principalmente dalla sua quota in calo dell’attività economica mondiale a causa della rapida crescita in Cina e in altre economie emergenti, il G7 ha anche dovuto affrontare una crescente diversità di attori globali con la crescita della società civile internazionale e delle società multinazionali.
Il cambiamento di status è stato riconosciuto in risposta alla crisi finanziaria globale del 2008-9. Mentre i ministri delle finanze del G7 e i governatori delle banche centrali hanno svolto un ruolo fondamentale nella preparazione del terreno, sono state le principali economie del G20 a fornire la risposta alla crisi. Ma se il G20 guadagnava il centro della scena, c’erano dubbi sul fatto che il G7 – o il G8 come era allora con la partecipazione della Russia – avesse un futuro. Molti pensavano, o almeno speravano, che il G20 sarebbe stato in grado di continuare la sua unità di intenti.
Ora, con la proposta di Biden, il G7 ha la possibilità di evolversi, a patto che i Paesi riaffermino i loro valori condivisi, chiariscano ciò che questo forum può e ciò che non può fare, aumentino il coordinamento nella governance.
Si parlerà di Covid-19 e di vaccini. Biden ha annunciato 500 milioni di dosi per il mondo entro il 2022 e, alla vigilia del vertice , è circolata una bozza del comunicato finale in cui i partecipanti chiederanno all’OMS una nuova indagine sulle origini del coronavirus. Ci sarà poi modo di parlare anche di ambiente, commercio internazionale e, soprattutto, della global minimum tax.
In cosa consiste la nuova vita del G7 con Joe Biden? Sarà più efficiente nell’incidere sui temi in agenda? Lo abbiamo chiesto ad Alberto Martinelli, Professore Emerito di Scienza politica e Sociologia dell’Università degli Studi di Milano oltre che Presidente della Fondazione AEM-Gruppo a2a.
Joe Biden arriva a questo G7 con la ferma intenzione di mettere la parola fine all’era Trump e, in un certo senso, rilanciare anche la sua leadership interna come capace di rilanciare il ruolo dell’America, profondamente divisa. Si può dire che il summit in Cornovaglia celebra ritorno del multilateralismo nell’agenda internazionale?
Sì, ma partiamo da un dato noto che è bene ricordare: il G7 di oggi è molto meno importante di quanto non fosse pochi decenni fa poiché le economie che esso rappresenta contano più o meno un terzo dell’economia globale mentre quando è nato contavano per i due terzi. Questo rapporto si è ora invertito, ma ciò nonostante continua a rappresentare i grandi Paesi e le grandi economie. Quindi, preso atto del fatto che la sua importanza era già diminuita dopo la crisi finanziaria del 2008 quando alcuni tentativi di governance globale della crisi vennero fatti all’interno del G20 (sia nel summit di Washington che in quello di Londra), seppur non più rappresentativo, oggi, delle economie più importanti del mondo perché sono fuori Paesi come Cina e India, questo forum continua ad avere una sua rilevanza, soprattutto con la nuova Presidenza Biden. Quest’ultimo, infatti, intende rafforzare le alleanze e la cooperazione tra i Paesi liberal-democratici in opposizione ai Paesi autoritari. Nel nuovo G7, sembrano dunque iniziare a pesare di più le caratteristiche politiche che quelle legate al sistema economico. Tra l’altro, la nuova Presidenza Biden dimostra che le liberaldemocrazie di tipo occidentale sono capaci di auto-correzione e non è una cosa da poco in quanto dopo quattro anni di Trump, Biden è ritornato a molte delle impostazioni di Obama, e sicuramente, per quanto riguarda ai rapporti internazionali, ad un approccio multilaterale, anche se accompagnato da quella che è la competizione egemonica con la Cina.
In questo senso, il G7 diviene una sorta di ‘Lega delle democrazie’ per dire che l’Occidente non è in declino come sostiene la propaganda del fronte dei regimi autocratici di cui la Cina, insieme alla Russia, è punta di lancia?
Certo. C’è sicuramente anche un aspetto strumentale, di contrapposizione ideologica, però non c’è dubbio che, con questa competizione globale, si è avuto spesso in passato, ma anche oggi la sensazione che i Paesi di democrazia liberale non colgano appieno il potenziale competitivo che nasce dal fatto di avere dei regimi pluralisti, competitivi, che consentono il ricambio della leadership e rispettano lo stato di diritto. Questo è lo strumento competitivo più importante della scienza, della tecnologia o della forza militare.
La partecipazione, come Nazioni ospiti, di India, Australia, Corea del Sud è un chiaro segnale della volontà di rimarcare il carattere ‘democratico’ del forum, ma anche di chiarire le priorità, cioè il quadrante dell’Indo-Pacifico rispetto a quello europeo.
Sì, credo risponda proprio al desiderio di dare concretezza a questa idea di una maggiore collaborazione tra Paesi che hanno sistemi politici democratici e segnare una linea di demarcazione con i regimi autocratici. Sebbene con i loro difetti, anche questi Paesi hanno queste caratteristiche. Se ci pensiamo, non è stato invitato il Brasile perché ha un Presidente populista che non rientra in questo fronte.
In altre parole, la resilienza dei sistemi democratici. Ma, facendo ricorso a questa discriminante, si può dire che, di fatto, il G7 vive una nuova primavera, rinnovandosi in senso migliorativo?
Io penso proprio di sì perché altrimenti era condannato ad una crescente irrilevanza se solo legato al coordinamento di politica economica, ancora importante, ma che non si può fare senza coinvolgere le altre economie più sviluppate che presentano anche regimi autocratici.
Eppure, come sappiamo, Donald Trump aveva rimesso sul tavolo la proposta di far rientrare la Russia nel G7, che sarebbe ritornato ad essere G8. A questo punto, con Biden, sembra una possibilità remota, non pensa?
Il problema è che questo tentativo di Trump avveniva in un quadro di assoluta mancanza di chiarezza. Quali erano i presupposti, i criteri? Io ritengo che le potenze occidentali debbano coinvolgere la Russia in tutta una serie di rapporti di collaborazione, però non posso non rimarcare le differenze che ancora esistono perché a Mosca c’è ancora un regime politico di democrazia autoritaria. Non è la Cina, ma non è neanche la democrazia liberale occidentale.
Trump, all’insegna dell’ ‘America First’, aveva creato delle fratture all’interno del G7. Con Biden quelle lacerazioni vengono rimarginate e questo forum riacquista unità?
Io penso di sì perché, da un lato, Biden ha dimostrato di porre fine alla politica di Trump, contraria all’Unione Europea la quale, dall’altro lato, deve dimostrare di saper cogliere questa opportunità di nuova collaborazione rivendicando una propria posizione autonoma, cioè alleata, ma autonoma. L’UE deve quindi ribadire la propria sovranità in quanto Unione nel rapporto con gli Stati Uniti: deve cioè concordare con Washington politiche, non subire le decisioni del partner politicamente e militarmente più forte.
Ma in Europa ci sono sfumature diverse rispetto alla posizione da adottare nei confronti dell’alleato americano, sebbene – stando ad una recente ricerca condotta nel Vecchio Continente – sembri ormai acclarato un affievolimento della capacità di influenza statunitense sulle opinioni pubbliche europee, che sempre di meno pensano di condividere gli stessi valori degli Stati Uniti, specialmente dopo l’era Trump. Se così stanno le cose, per Biden che ha dichiarato di voler dimostrare, già da questo G7, a Russia e Cina che USA ed Europa sono più uniti che mai grazie proprio grazie ad una condivisione di valori, la strada sarà in salita? Quale sarà l’atteggiamento europeo? I leader europei saranno più ottimisti e filo-americani delle loro opinioni pubbliche?
Ogni leader europeo deve fare i conti con le proprie opinioni pubbliche in termini di consenso. Però definirei ragionevole l’apertura di credito nei confronti di questo mutato atteggiamento dell’Amministrazione americana verificandolo, poi, nei fatti. In questo senso, c’è bisogno, anche da parte europea, di una disponibilità ad assumersi una parte maggiore dei costi dell’alleanza militare, ma chiedendo, al contempo, maggiore co-responsabilità e potere di co-decisione. Ed è legittimo che l’Unione Europea manifesti delle posizioni che non devono necessariamente coincidere con quelle americane: ad esempio, nel rapporto con la Russia può ridurre le tensioni così come con la Cina può evitare che ci sia un inasprimento del conflitto. Però questo G7 deve essere un’occasione per rilanciare un’alleanza tra partner di pari dignità, consapevoli della propria sovranità, ma anche dell’interesse a lavorare insieme proprio per queste affinità politico-istituzionali, cioè per il fatto di essere grandi democrazie che, a differenza dei regimi politici di altri Paesi, prendono più sul serio i principi e le pratiche dello stato di diritto.
Tuttavia, se Stati Uniti ed Europa hanno agende ed interessi (anche economici) diversi, i Paesi europei, alcuni più di altri, potrebbero voler essere più cauti ad esacerbare la competizione con Cina e Russia. Questo potrebbe indebolire fin dall’inizio questo ‘Fronte delle democrazie’?
Penso che bisogna vedere le varie aree di politica, da quella commerciale a quella estera. In generale, quello che si può dire è che l’Unione Europea debba avere come obiettivo principale quello di avere un attore che contribuisce alla pace, al rapporto pacifico tra nazioni: essendo non coinvolta nella competizione come gli Stati Uniti, ha interesse che non si esasperi il conflitto e che questo si mantenga entro confini accettabili. Se ciò non avvenisse, l’UE sarebbe costretta a prendere posizione e, a questo punto, fare una scelta di campo. Ecco perché l’Unione Europea deve mantenersi su una posizione autonoma, di collaborazione, ma tenendo ben presente le differenze che esistono sul piano dei valori. Se ci sono delle pratiche contrarie a questi principi, non lo si può tacere, ma bisogna affermarlo chiaramente, senza, però, dimenticare di rispettare quegli stessi principi a casa propria.
Entrambe le sponde dell’Atlantico, però, nutrono forti preoccupazioni riguardo alla minaccia tecnologica costituita dalla Cina e, in parte, anche dalla Russia. Di questo il G7 non potrà non parlare?
Penso che ne parlerà e credo anche che l’UE debba affermare la propria sovranità tecnologica, sviluppando la cooperazione interna, oltre a quella con gli Stati Uniti.
E di Turchia, si parlerà?
Questo è probabile. Per l’Unione Europea, il rapporto con la Turchia è ancor più centrale che per gli Stati Uniti quindi farebbe bene a porre la questione sul tavolo. Non dimentichiamo che, anche nei confronti del governo turco, una posizione ferma sui valori democratici è importante, come, del resto, ha dichiarato, senza mezzi termini, anche il nostro Premier, Mario Draghi.
Quello che cambia, tra Trump e Biden, sono anche i toni: il nuovo Presidente americano vuole trattare da pari a pari con gli alleati europei.
Sì, a differenza di Trump che preferiva trattare a livello bilaterale perché ci guadagnava di più. Come, del resto, fa la Russia perché sa che l’UE in blocco è un soggetto politico di maggiore peso.
Sul fronte della lotta al Covid-19, Biden ha annunciato un piano vaccinale da 500 milioni di dosi tale per vaccinare tutto il mondo entro il 2022. Poche settimane fa, il Presidente americano aveva reso noto il suo sostegno alla sospensione dei brevetti, ma ancora il piano di distribuzione COVAX va a rilento e sotto-finanziato. Il G7 che inizia domani segnerà una svolta nell’equa distribuzione dei vaccini a livello globale?
Anche qui c’è una preoccupazione geostrategica perché la Cina ha dimostrato di sapere usare molto bene questa solidarietà verso gli altri Paesi come strumento di competizione politica. Biden ha avuto il merito di porre il problema ed è interessante che, su questo piano, gli innovatori sono stati gli Stati Uniti, ma è stata la Germania, insieme ad altri Paesi europei, a frenare sulla questione dei brevetti. La questione verrà sicuramente discussa: si potrebbero trovare delle soluzioni come, per esempio, che un brevetto particolare viene sospeso dopo il raggiungimento di un certo livello di profitti che abbia ampiamente retribuito le spese nella ricerca. Nel frattempo, c’è bisogno di un altro strumento, eventualmente complementare o comunque alternativo, per fornire i vaccini ai Paesi che non sono in grado di produrli direttamente. La Cina dà il brevetto per produrre il suo Sinovac e l’Occidente cosa fa? Data la difficoltà di trovare un accordo sulla sospensione dei brevetti, va perseguita rapidamente l’alternativa suggerita da Biden di distribuire direttamente i vaccini ai Paesi meno sviluppati.
In queste ore, i Paesi del G7 richiederanno una nuova indagine dell’OMS sull’origine del Covid-19. Gli Stati Uniti stanno già indagando. Anche Ursula Von der Leyen parla della necessità di sapere come è nata la pandemia. Cosa si deciderà, al riguardo, al forum?
Io penso che ci saranno delle resistenze europee per non esacerbare la contrapposizione con la Cina. È anche vero che studiosi che prima dubitavano della fondatezza dell’ipotesi del ‘laboratorio’, ora sembrano aver cambiato idea.
E cosa si deciderà sul clima in Cornovaglia? La questione climatica è al primo posto dell’agenda di Joe Biden che, ad aprile, ha organizzato addirittura un summit a proposito, segnando un cambio di rotta dal predecessore Trump che, nel 2019, al G7 di Biarritz, taceva di fronte all’Amazzonia in fiamme.
Questo è in assoluto uno dei maggiori cambiamenti dell’Amministrazione Biden rispetto a Trump. Gli Stati Uniti sono di nuovo fortemente impegnati su questo fronte: sono rientrati negli Accordi di Parigi così come, con l’impegno di John Kerry, stanno ponendo rimedio a tutta una serie di scelte fatte. Questa è uno dei campi di maggiore collaborazione con l’Unione Europea, che è un po’ più all’avanguardia nella lotta al cambiamento climatico e spero che gli Stati Uniti collaborino pienamente su questo così come spero che faccia passi avanti l’accordo sulla ‘global minimum tax’ sulle multinazionali che è stato un buon inizio per l’Amministrazione Biden.
È un buon inizio anche nell’ottica delle relazioni tra USA e Europa?
È un buon inizio perché può aiutare, all’interno dell’UE, a rimettere un po’ d’ordine al disordine fiscale che fa sì che ci sia una competizione tra i diversi Paesi europei. Non andare al di sotto del 15% è già un buon inizio.
Sul post-pandemia, sul come rilanciare l’economia globale, considerando anche i Paesi più fragili, questo G7 darà un’indicazione?
Se guardiamo i due piani, il Next Generation EU e il grande piano di Biden, vediamo che gli obiettivi sono simili: viene dato grande spazio al digitale, alla transizione green. Ritengo che al G7 si possa intensificare questa collaborazione.
Sull’Iran, sull’accordo iraniano, gli Stati Uniti e l’Europa ora si ritrovano dalla stessa parte?
Anche su questo dossier, l’Europa potrebbe facilitare il dialogo. Mi auguro che ci sia la possibilità del dialogo, evitando escalation.
Ci sarà tempo per parlare di Libia al G7 in Cornovaglia?
Penso di sì e credo si parlerà anche di Mediterraneo, dove Russia e Turchia sono sempre più attive.
In conclusione, si sente ottimista circa i risultati che di questo G7?
Diciamo che il G7 sembrava andare verso un declino inesorabile e irrilevanza. Questa proposta di Biden è interessante per una possibile riconfigurazione su un principio di affinità politico-culturale e non di potere economico. Se badiamo a quest’ultimo, il riferimento è il G20. Però l’Europa dovrebbe parlare con una voce sola.
Qual è il valore aggiunto della Presidenza Johnson per questo G7?
Sarà interessante vedere come si muoverà Johnson. Biden potrebbe convincere Johnson ad avere una posizione meno dura sulla questione irlandese: un dossier che sta molto a cuore a Biden non solo per le sue origini familiari, ma anche perché gli Stati Uniti si impegnarono molto per gli ‘Accordi del Venerdì Santo’.
E l’Italia con Draghi sarà protagonista al G7 in Cornovaglia?
Credo che con Draghi sia rappresentata in modo autorevole e potrebbe essere protagonista perché l’autorevolezza gli è riconosciuta dagli altri partner.