I due ‘pesi massimi’ del populismo mondiale, Trump e Modi, serrano i ranghi. Ma molto potrebbe dividerli
Tanta trepidazione si è respirata nelle ultime ore in India per quella che è la prima visita ufficiale del Presidente americano Donald Trump. Dopo l’annuncio ufficiale del ministero degli Esteri di Nuova Delhi, è stato lo stesso premier Modi ad anticipare quale sarebbe stata l’accoglienza riservata al prestigioso ospite: “Sono estremamente lieto che il presidente Trump e la first lady visiteranno l’India il 24 e 25 febbraio. L’India riserverà agli stimati ospiti un benvenuto memorabile. Questa visita è speciale e farà molto per cementare ulteriormente l’amicizia India-Usa”, aveva scritto Modi sul suo profilo Twitter.
A fare gli onori di casa, un evento dal titolo ‘Namasté Trump’ ad Ahmedabad, nello Stato del Gujarat, una delle prime tappe del viaggio. Il modello sarebbe stato l’evento ‘Howdy Modi’ (‘Salve Modi’) di cui è stato protagonista il primo ministro indiano, a settembre negli Usa, in Texas, all’Nrg Stadium di Houston. In quell’occasione, i due Presidenti erano stati protagonisti di un vero e proprio show di quaranta minuti di fronte a 50mila spettatori: “Sotto la guida del primo ministro Modi il mondo sta vedendo una repubblica indiana forte e florida. Sono così elettrizzato di essere qui in Texas con uno dei più grandi, devoti e leali amici dell’America, il primo ministro indiano Modi“, aveva dichiarato Trump sottolineando che le relazioni tra Stati Uniti e India sono “più forti che mai“. Il capo del governo di Delhi, dal canto suo, aveva ringraziato, spiegando che l’India ha un “vero amico” alla Casa Bianca.
Per l’arrivo di Trump in India, il sottosegretario agli Esteri indiano, Harsh Vardhan Shringla, aveva annunciato qualche giorno fa che, lungo la strada di 22 chilometri che avrebbe portato il leader della Casa Bianca dall’aeroporto allo stadio di cricket di Motera, il più grande del mondo, con una capienza di 100-120 mila spettatori, sarebbero stati allestiti dei palchi per esibizioni rappresentative delle tradizioni e delle arti degli Stati e dei Territori dell’Unione dell’India. Addirittura una folla di “10 milioni” era stata promessa da Modi.
Il portavoce del ministero degli Esteri di New Delhi, Raveesh Kumar, aveva poi aggiunto che l’evento è organizzato dalla Donald Trump Nagrik Abhinandan Samiti, cui sarebbe spettata ogni decisione sugli inviti. L’opposizione, in particolare il Congresso nazionale indiano (Inc), principale partito di minoranza, aveva chiesto, ma non ottenuto spiegazioni su questa entità di cui non si sapeva niente e il cui nome non compare nei manifesti affissi ad Ahmedabad che presentano l’evento come “un’occasione importantissima” con “due personalità dinamiche”.
Ebbene, l’attesa è stata placata. “L’America ama l’India, l’America rispetta l’India e l’America sarà sempre fedele e leale amica del popolo indiano“, ha proclamato Trump nello stadio, elogiando l’India come un luogo in cui diverse fedi “adorano fianco a fianco in armonia” e non ha fatto menzione della nuova legge che fa temere che il Paese si stia muovendo verso un test di cittadinanza religiosa. Ciò nonostante, ha sottolineato gli sforzi della sua stessa amministrazione per proteggere i suoi confini e reprimere il “terrorismo islamico radicale”.
Al termine dell’evento, il presidente statunitense e la first lady Melania sono volati ad Agra, nell’Uttar Pradesh, per ammirare il Taj Mahal, che Trump ha descritto il famoso monumento come “veramente incredibile”. La visita è stata la prima di Trump al sito Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO, un grande mausoleo di marmo bianco che è stato costruito da Shah Jahan in memoria della sua moglie preferita, Mumtaz Mahal, a partire dal 1632 sulle rive del fiume Yamuna.
Ma la sua associazione con il monumento risale a decenni fa. Nel 1990, Trump aveva aperto il più grande complesso di casinò-hotel al mondo ad Atlantic City nel New Jersey, il Trump Taj Mahal. La pubblicità lo aveva salutato come l’ottava meraviglia del mondo e Trump aveva invitato Michael Jackson al lancio. “È un grande giorno per me”, disse Trump ai giornalisti. A differenza del Taj originale, il Taj di Trump non è stato un successo. Nel giro di un anno, il Trump Taj Mahal presentò istanza di fallimento. Nel 2009, Trump vendette la sua quota nel casinò, anche se la proprietà ha continuato a usare il suo nome. Il Taj non si riprese mai e fu venduto all’Hard Rock International nel 2017 e poi messo in liquidazione, mettendo all’asta tutto l’arredamento.
All’arrivo ad Agra per visitare il Taj Mahal, Trump ha incontrato anche Yogi Adityanath, un monaco indù radicale noto per la sua retorica anti-musulmana. I due si sono stretti la mano e percorso il tappeto rosso. Adityanath è il primo ministro dello stato più grande e popoloso dell’India, Uttar Pradesh, dove si trova appunto Agra. Negli ultimi mesi, il governo di Adityanath ha lanciato una violenta repressione delle proteste contro una nuova legge sulla cittadinanza. Testimoni affermano che la polizia ha picchiato studenti e manifestanti, saccheggiato case e arrestato persone con false accuse. I critici hanno denunciato l’incontro con Trump, che secondo loro potrebbe aiutare a legittimare la politica di divisione di Adityanath, già cinque volte parlamentare, con una dozzina di procedimenti penali pendenti contro di lui, tra cui gravi accuse come tentato omicidio e rivolte. Non è stato condannato per un crimine. Nel 2014, Adityanath ha promesso di ripulire l’India da altre religioni. “Questo è il secolo di Hindutva, non solo in India ma in tutto il mondo”, ha detto.
Anni fa è arrivato persino ad accusare Santa Madre Teresa di Calcutta di far parte di una cospirazione per convertire gli indù al cristianesimo. Nel 2015, dopo che la star di Bollywood Shahrukh Khan, musulmana, ha parlato della “crescente intolleranza” nel paese, Adityanath lo ha paragonato a Hafiz Saeed, uno dei fondatori del gruppo terroristico Lashkar-e-Taiba in Pakistan.
La coppia presidenziale è poi volata a Nuova Delhi dove, nel frattempo, sono scoppiate le violenze tra sostenitori e manifestanti di una nuova legge sulla cittadinanza. Un poliziotto e un civile sono morti e un altro ufficiale è rimasto ferito nella violenza che si è verificata nella parte nord-orientale della capitale. Da dicembre, l’India ha visto proteste su larga scala contro una legge che offre agli immigrati privi di documenti di sei religioni un percorso rapido verso la cittadinanza ma che esclude l’Islam. Giovedì, la Commissione statunitense per la libertà religiosa internazionale ha definito la legge una “significativa svolta al ribasso della libertà religiosa in India”.
Sempre nella capitale, domani, i coniugi Trump riceveranno un’accoglienza d’onore nella residenza presidenziale, Rashtrapati Bhavan. La coppia, poi, renderà omaggio al Mahatma Gandhi al Raj Ghat, il monumento che lo ricorda nel luogo della sua cremazione. Seguiranno gli incontri tra Trump, Modi e le rispettive delegazioni a Hyderabad House, la sede utilizzata dal governo indiano per gli incontri con i dignitari stranieri. I due leader pranzeranno insieme. Nel pomeriggio Trump sarà all’ambasciata Usa per eventi privati, tra i quali una tavola rotonda con rappresentanti dell’industria. In serata Trump tornerà a Rashtrapati Bhavan, ospite di un banchetto offerto dal presidente della Repubblica indiano, Ram Nath Kovind, al termine del quale lascerà l’India.
Per spiegare l’enfasi data all’evento, basterebbe ricordare come si concludeva il recente tweet di Modi circa questo viaggio: “l’India e gli Stati Uniti condividono un impegno comune per la democrazia e il pluralismo. Le nostre nazioni stanno collaborando ampiamente su una vasta gamma di questioni. La solida amicizia tra le nostre nazioni fa ben sperare non solo per i nostri cittadini ma anche per il mondo intero”.
Un tweet che è tutto un programma, ma che non stupisce. Anzi, conferma quella complicità personale di cui Trump e Modi non hanno mai fatto mistero, anche recentemente: il Presidente americano ha manifestato pubblicamente di non vedere l’ora di andare in India, definendo il primo ministro indiano “un amico” e “un grande gentiluomo”. Apprezzamenti a cui si sono poi aggiunte le parole di entusiasmo della First Lady Melania che ha ringraziato il premier indiano per l’imminente “celebrazione degli stretti legami tra Usa e India”.
Un’affinità elettiva, dunque, quella tra i due che si spiega con la vicinanza politico-ideologica che accomuna gli attuali leader dei due Paesi e che risale a ben prima che Trump divenisse Presidente degli Stati Uniti: “adoro gli indù”, aveva proclamato durante la sua campagna presidenziale nel 2016. Per certi versi, l’India rappresenta per il tycoon ciò che dovrebbero essere gli Stati Uniti: un paese che si arrende volentieri alle sue tradizioni di legge e di religione, affidandosi ad un ‘uomo forte’. Il quale, magari, per gli ‘interessi della nazione’ e richiamandosi all’identità, non esita ad interpretare in modo ‘personale’ le leggi, avvantaggiandosi di media compiacenti e di un’élite culturale più ‘disponibile’ e meno avversa. Modi, agli occhi di Trump, potrebbe sembrare un esempio di successo del trumpismo.
Secondo un’indagine realizzata dal Pew Research Center, il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, godrebbe della fiducia del 56 per cento degli indiani. Qualcuno parla, invece, di ‘trumpizzazione’ dell’India, ormai più ‘Trumpland’ che la patria di Gandhi. Una trasformazione che, a partire dagli anni ‘90, ha reso il ‘modello Trump’ a livello di status sociale e imprenditoriale, una volta mal visto nell’Unione, oggi piuttosto popolare: la società è divenuta sempre più competitiva e spaccata al suo interno, con, da un lato, ‘‘vincitori’ soddisfatti e avidi di potere e, dall’altro, ‘perdenti’ tormentati dalla paura, dalla sfiducia e sempre meno tutelati dal potere centrale secondo cui le misure di protezione per i più deboli sono solo un residuo della cultura della sinistra. Il potere diviene una questione etnica.
Causa di questa tendenza, evidentemente, il suprematismo indù, con un forte accento anti musulmano, che da quasi tre decenni è riuscito progressivamente ad affermarsi alla guida del Paese. Facendo leva sulla rabbia e sulla frustrazione contro i più deboli, considerati come appannaggio della ‘sinistra’, il leader del BJP si sta affermando come capo del governo di un Paese sempre più ingiusto, diseguale, meno solidale e, soprattutto, più nazionalista. Il muro, come quello costruito ad Ahmedabad lungo 400 metri e alto poco più di due, in mattoni rossi e cemento, per nascondere alla vista della baraccopoli Sarania Vaas, sembra essere il minimo comun denominatore. Questo spiega la sintonia tra i due leader, fondata sulla condivisione di valori che sono più i loro che non quelli dei Paesi che sono chiamati a servire.
L’assoluta convergenza dei due leader ha finito per riverberarsi sulle già forti relazioni che i due Paesi intrattengono, consolidandole ancor di più. In quest’ottica, va letto quanto reso noto oggi dal Presidente americano: “Sono lieto di annunciare che domani i nostri rappresentanti firmeranno accordi di difesa per un valore di oltre 3 miliardi di dollari, per vendere elicotteri militari e altre attrezzature all’avanguardia allo stato dell’arte alle forze armate indiane“, ha affermato Trump, precisando che “mentre continuiamo a costruire la nostra cooperazione nella difesa, gli Stati Uniti non vedono l’ora di fornire all’India alcune delle attrezzature militari migliori e più temute del pianeta. Produciamo le più grandi armi mai realizzate. Facciamo il meglio e ora abbiamo a che fare con l’India“.
Già la scorsa settimana, il Comitato di gabinetto per la sicurezza (Ccs), presieduto da Modi, aveva dato il via libera a due accordi, uno da 2,4 miliardi di dollari per l’acquisto di 24 elicotteri militari MH-60 Romeo per la Marina militare prodotti dall’azienda statunitense Sikorsky (del gruppo Lockheed Martin) ed equipaggiati con missili Hellfire e uno da 930 milioni di dollari per l’acquisto di sei elicotteri d’attacco Boeing AH-64 Apache. In ballo, anche un ulteriore ordine di otto velivoli multi-missione Poseidon P8I per la Marina indiana e uno scudo missilistico a spettro completo per Nuova Delhi.
Dal 2007 gli acquisti indiani di prodotti statunitensi della difesa hanno raggiunto 17 miliardi di dollari, anche se la Russia resta il primo fornitore dell’India. Il Dipartimento di Stato americano ha accolto la richiesta indiana di un sistema di difesa aerea integrata del costo stimato in 1,87 miliardi di dollari, aprendo la strada a un accordo. Gli Stati Uniti, inoltre, hanno proposto a New Delhi droni armati Guardian per scopi di sorveglianza prodotti da General Atomics, la prima offerta autorizzata al di fuori della NATO: l’India potrebbe comprarne una trentina, per un valore di circa 2,5 miliardi di dollari.
D’altra parte, la relazione bilaterale nella difesa è molto stretta: dal 2016 l’India è ‘major partner’ degli Stati Uniti, una definizione riservata esclusivamente alla più grande democrazia asiatica, e ha sottoscritto due accordi fondamentali: il Communications, Compatibility, Security Agreement (Comcasa), l’accordo per la compatibilità e la sicurezza delle comunicazioni, che implica l’installazione di apparecchiature di comunicazione sulle piattaforme militari acquistate dagli Stati Uniti; il Logistics Exchange Memorandum of Agreement (Lemoa), l’accordo per il sostegno logistico, che permette alle rispettive forze armate l’utilizzo di basi e asset dell’altro paese per riparazioni e forniture e per una maggiore efficienza operativa.
A questo riguardo, non si può tralasciare che nell’Oceano Indiano, a Diego Garcia, un atollo al largo della punta meridionale dell’India, il più grande dell’arcipelago delle isole Chagos, è situata la più importante base aeronavale americana, pensata durante la Guerra Fredda per contrastare la minaccia dell’URSS e difendere gli interessi petroliferi nella regione, ma poi utilizzata anche per le operazioni militari in Afghanistan e, più recentemente, per offrire rifornimento ai velivoli impegnati nei pattugliamenti sul Mar Cinese Meridionale.
Nel 2007, il Pentagono ha investito oltre 32 milioni di dollari per realizzare delle strutture logistiche per i sottomarini d’attacco a propulsione nucleare della Marina. La Diego Garcia è nelle condizioni di supportare in modo autonomo una brigata dei Marine.
In questo avamposto nevralgico, il Pentagono, durante le recenti tensioni in Medio Oriente, ha schierato ben sei bombardieri strategici B-52H Stratofortress. A contribuire a proteggere una forza di reazione ai missili balistici a lungo raggio dell’Iran, lo schieramento di questi aerei e dei B-2 Shelter Systems e le GBU-57A / B, anche note come Massive Ordnance Penetrator (MOP), di 14mila chilogrammi, a guida GPS, capaci di penetrare nel terreno nemico e colpire le strutture corazzate come bunker e tunnel in profondità. Diego Garcia, come se non bastasse, è munita di missili da crociera AGM-86B, armati con testate termonucleari W80-1.
Una relazione ‘militare’ strategica per gli Stati Uniti non solo rispetto alla minaccia iraniana, ma anche rispetto a quella cinese. Washington, così come del resto New Delhi, non vedono di certo di buon occhio l’espansionismo di Pechino nel continente asiatico (si veda lo scontro nel Doklam) e africano, mediante l’iniziativa delle Nuove Vie della Seta, così come nel Mar Cinese Meridionale, tratto di Oceano Pacifico di importanza fondamentale per i commerci mondiali e, allo stesso tempo, per la sicurezza della Cina che cerca di assicurarsela, oltre che con le rivendicazioni territoriali, con la ‘strategia del filo di perle’, investendo in infrastrutture civili come porti, oleodotti, strade, gasdotti all’interno di Paesi alleati. Cinque i maggiori esempi: il porto di Kyaukpyu in Myanmar, realizzato dal consorzio CITIC, di proprietà del governo cinese, e che permette alla Cina di evitare il passaggio attraverso lo stretto di Malacca e attraverso le isole Spratly, risparmiando circa 5.000 km; il porto di Colombo in Sri Lanka; il porto di Chittagong in Bangladesh, enclave all’interno dell’India, e, in quanto tale, colpo mortale a New Delhi; il porto di Gwadar in Pakistan, che rinsalda l’amicizia con Pechino: in questo caso la Cina vorrebbe creare un vero e proprio passaggio dal proprio territorio fino all’Oceano Indiano in modo tale da non dover essere preda di possibili situazioni di instabilità nelle zone del Golfo del Bengala o nello Stretto di Malacca, oltre al fatto che taglierebbe fuori da qualsiasi tipo di dialogo l’India; il porto di Obock in Gibuti nel Corno d’Africa.
In molti si sono chiesti, tuttavia, se la più ampia relazione strategica che Stati Uniti e India hanno coltivato per più di un decennio possa venire sacrificata all’altare delle diatribe commerciali. Tale dossier costituisce uno dei pochi punti di attrito tra i due Paesi.
Della delegazione statunitense giunta in India anche il segretario al Tesoro, Steven Mnuchin, e il segretario al Commercio, Wilbur Ross. Il segretario agli Esteri Harsh Shringla ha dichiarato che la visita del Presidente americano sarà “breve ma intensa”: come annunciato dallo stesso Trump, a differenza di quanto avvenuto con la Cina un mese fa, durante questo viaggio non avrà luogo la firma dell’accordo commerciale bilaterale, ma potrebbero comunque essere fatti dei passi avanti rilevanti nel negoziato, nonostante l’annullamento del viaggio programmato a inizio di questo mese del rappresentante commerciale statunitense Robert Lighthizer avrebbe cancellato il suo viaggio che era stato programmato per l’inizio di questo mese.
L’US-India Business Council (USIBC) ha manifestato la sua delusione: “Una visita presidenziale può essere un catalizzatore dell’azione commerciale, e speravamo che il viaggio avrebbe spinto entrambe le parti a trovare un terreno comune e raggiungere un accordo“, ha detto il presidente dell’USIBC, Nisha Biswal.
Tra i due partner, infatti, permane un attrito a livello commerciale. Dal 5 giugno 2019 gli Stati Uniti hanno rimosso l’India dalla lista dei paesi beneficiari del Sistema delle preferenze generalizzate (Spg), un programma di esenzione dai dazi, sostenendo che il paese asiatico non ha garantito agli Stati Uniti un accesso equo e ragionevole ai suoi mercati, senza contare le contestazioni delle multinazionali americane per la conservazione dei dati. A quello si sono aggiunti i dazi decisi da Trump su acciaio e alluminio. Pochi giorni dopo, il 16 giugno, sono entrate in vigore le tariffe aggiuntive applicate dall’India su 29 prodotti importati dagli Stati Uniti, per un valore complessivo superiore a 200 milioni di dollari. Tra gli articoli soggetti a ulteriori dazi doganali figurano mandorle, nocciole, legumi, frutta, artemie saline, acido borico, reagenti domestici, elementi in acciaio e alluminio che finiscono per danneggiare le vendite di moto Harley Davidson.
Da un recente report del Servizio di ricerca del Congresso (Crs) degli Stati Uniti è emerso che nel 2018 il mercato a stelle e strisce è risultato il secondo del mondo per le esportazioni di merci indiane, dopo quello dell’Unione europea, con percentuali rispettivamente del 16 e del 17,8 per cento, e il terzo del mondo per le importazioni (6,3 per cento), dopo la Cina (14,6 per cento) e l’Ue (10,2 per cento). Secondo il Consiglio per le relazioni estere (Cfr), l’interscambio di beni e servizi tra i due paesi è passato tra il 1999 e il 2018 da 16 a 142 miliardi di dollari. L’India è divenuta l’ottavo partner commerciale degli Stati Uniti, con un volume paragonabile a quelli di Corea del Sud (167 miliardi di dollari) e Francia (129 miliardi). L’anno scorso, tuttavia, gli Stati Uniti hanno registrato un deficit commerciale di 23,2 miliardi di dollari con l’India.
In più occasioni Trump ha parlato della possibilità di un ‘grande accordo’, ma ha detto anche che potrebbe essere concluso dopo le elezioni presidenziali statunitensi.”La mancata conclusione anche di un accordo commerciale limitato manderebbe un segnale negativo all’industria e agli investitori in entrambi i paesi”, ha detto Biswal. Ma forse Trump è convinto del contrario e cioè di poter agitare lo spettro di una trattativa commerciale a fini elettorali, in particolare con l’elettorato degli agricoltori.
I negoziati tra le due parti hanno cercato per settimane di arrivare a un accordo limitato per dare agli Stati Uniti un maggiore accesso ai mercati lattiero-caseari e del pollame indiano nonché di abolire le regole locali di archiviazione dei dati, che, secondo le società americane, aumenteranno i costi per fare affari.
Modi, con un’economia in difficoltà,spera di ripristinare le preferenze esistenti per l’India come paese in via di sviluppo fino al 2019 e di espandere l’accesso ai mercati statunitensi per i suoi prodotti farmaceutici e agricoli, in cambio di un abbassamento dei dazi. La strada, però, a quanto pare è ancora lunga.
Se la Cina, a livello politico-militare, unisce, la Russia potrebbe dividere: infatti un altro nodo spinoso per le relazioni tra Washington e New Delhi riguarda Mosca. In particolare, gli Stati Uniti hanno avvertito l’India di non acquistare sistemi avanzati di difesa missilistica S-400 di fabbricazione russa, esortandola a riconsiderare l’acquisto di quei sistemi d’arma, pena il rischio di sanzioni.
“Non esiste una deroga generale. Il Congresso certamente non lo ha mai progettato né anticipato, né l’amministrazione“, ha detto un funzionario governativo americano facendo intendere che l’India non riceverà un trattamento diverso dalla Turchia. L’imposizione di misure punitive nei confronti di Nuova Delhi sarebbe adottata in linea con il Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act (CAATSA), una legge del 2017 che prende di mira i Paesi che acquistano equipaggiamento militare dalle aziende contenute nella blacklist come quelle russe, iraniane e nordcoreane.
“Anche se non esiste una deroga generale, non esiste nemmeno un’applicazione coperta. E quindi ciò che intendo è che c’è un’analisi caso per caso su dove le sanzioni CAATSA potrebbero essere applicate. Le sanzioni della CAATSA possono anche comprendere in modo approfondito quanto siano profonde le entità e le persone. E quelle opzioni sono sempre lì“, ha aggiunto il funzionario nordamericano.
La storia di questo sistema d’arma risale a quattro anni fa: Mosca e Nuova Delhi avevano firmato un accordo intergovernativo sulla vendita di cinque unità dei sistemi di difesa aerea durante il 17° vertice India-Russia nell’ottobre 2016 nella regione costiera indiana di Goa. Durante una visita in India il 5 ottobre 2018, il presidente russo, Vladimir Putin, ha firmato un contratto con il Primo Ministro indiano, Narendra Modi, per consegnare i cinque set di reggimenti dei sistemi S-400 per un valore di 5,43 miliardi di dollari. Nel febbraio dello scorso anno, Mosca ha dichiarato che l’India avrebbe ricevuto “senza ritardi” i sistemi missilistici avanzati e, più di recente, che gli “impegni contrattuali della Russia saranno rispettati” entro il 2021.
L’India, da parte sua, ha sottolineato che può fare i propri acquisti di armi in modo indipendente, con il suo ministro degli affari esteri che ha sottolineato lo scorso novembre che Nuova Delhi “non sarà influenzata da altri paesi su ciò che facciamo in termini di sicurezza e difesa nazionale”.
Non mancano questioni internazionali più complesse: Trump ha suggerito di essere pronto a mediare tra Pakistan e India sulla questione del Kashmir. Il Primo Ministro del Pakistan, Imran Khan, ha dichiarato l’approvazione dell’idea che il leader americano svolga funzioni di mediazione. Proprio l’anno scorso, India e Pakistan si erano scambiati colpi di artiglieria, arrivando sull’orlo di una guerra, con effetti devastanti sulle rivendicazioni sul Kashmir.
La situazione nella regione si è intensificata dopo che le autorità indiane hanno introdotto nuovi emendamenti costituzionali nell’estate: veniva abolito l’articolo 370 della Costituzione indiana che conferiva uno «status speciale» al Jammu e Kashmir e consentiva al governo centrale di New Delhi di legiferare solo su difesa, esteri e comunicazioni, lasciando il resto al Parlamento locale.
Lo stato di Jammu e Kashmir veniva diviso in due territori alleati: Jammu, Kashmir e Ladakh. Questa decisione è stata preceduta da un significativo dispiegamento militare nello Stato, dall’introduzione di coprifuoco, dalla cessazione dell’accesso a Internet e dalle comunicazioni mobili in tutto lo stato, nonché dagli arresti di leader politici locali.Tuttavia, vi sono seri dubbi sul fatto che Trump sarà in grado di offrire un modello per risolvere il problema del Kashmir in un modo adatto a entrambe le parti: l’obiettivo principale degli Stati Uniti è contenere la Cina che collabora attivamente con il Pakistan nell’ambito delle Vie della Seta. Il cosiddetto CPEC (corridoio economico Cina-Pakistan) dovrebbe collegare la Cina (Xinjiang) e il Pakistan attraverso l’accesso al porto di Gwadar, tuttavia, per questo, l’infrastruttura di trasporto dallo Xinjiang al Pakistan deve passare attraverso il territorio di Gilgit- Baltistan, la parte settentrionale del Kashmir controllata dal Pakistan, che l’India considera parte del suo territorio.
In quest’ottica, gli Stati Uniti non sono tanto interessati alla pace nel Kashmir quanto piuttosto ad aggravare ulteriormente la situazione, fino al punto di sfruttare l’ostilità regionale e il terrorismo nel Gilgit-Baltistan per fermare il progetto cinese. Tutto al contrario, la Cina vorrebbe evitare tale scenario.
Anche l’Afghanistan è un dossier sul tavolo. È in questi giorni iniziata una tregua alle violenze che, secondo molti, potrebbe preannunciare una vera e propria pace. Lo stesso Presidente americano si è detto pronto a firmare un accordo di pace con i Talebani. Ma non è detto che Modi sia concorde. Già nel 2017, Trump aveva affermato che gli Stati Uniti si aspettano che l’India “ci aiuti di più con l’Afghanistan”; nel 2020, ha criticato la leadership indiana per gli sforzi insufficienti per ripristinare il paese. Le dichiarazioni di Trump sono state condannate sia dal partito al potere BJP che dall’opposizione. L’India sta attivamente investendo in progetti economici in Afghanistan (negli ultimi anni ha speso 3 miliardi di dollari per questi obiettivi, anche costruendo un nuovo edificio per il parlamento). In altre parole, Nuova Delhi sta cercando di contenere una crescente influenza cinese nel suo paese vicino. Durante una visita in India a gennaio, il consigliere per la sicurezza nazionale dell’Afghanistan, Hamdullah Mohib, avrebbe discusso di “dispiegare truppe indiane in Afghanistan in un ruolo di mantenimento della pace”.
I termini dell’accordo con i talebani, che ora vengono discussi dai rappresentanti dei talebani e degli Stati Uniti, suggeriscono, se non un completo ritiro, almeno una riduzione delle truppe americane. Gli Stati Uniti in linea di principio cercano di spostare la responsabilità verso i loro alleati, tuttavia, la capacità e il desiderio dell’India di diventare un tale alleato e assumere un ruolo più attivo in Afghanistan è ancora in discussione. In ogni caso, il fatto che storicamente l’India fosse contraria ai negoziati con i talebani potrebbe peggiorare significativamente la sua posizione: se Washington si disinteressa dell’area, il governo di Imran Khan potrebbe far tornare il Pakistan un “alleato affidabile” degli americani. Inoltre, l’accordo di pace per l’Afghanistan di fatto “libererà” migliaia di guerrieri talebani ben addestrati e armati. Islamabad avrebbe gioco facile a passare dal ruolo di “padrino” a quello di nuovo datore di lavoro, spostando i combattenti proprio nella zona del Kashmir. New Delhi lo sa e si prepara per tempo.
Anche la cooperazione tra India e Iran è in dubbio a causa delle azioni aggressive degli Stati Uniti. L’India è interessata all’acquisto di petrolio iraniano, mentre l’Iran dipende dall’India per prodotti come tè e riso. Da un lato, l’India ha trovato il modo di eludere le sanzioni statunitensi: per alcune transazioni, esiste un commercio diretto e uniforme tra la rupia e il rial. D’altro canto, le sanzioni hanno indubbiamente danneggiato l’economia indiana.
Allo stesso tempo, gli Stati Uniti fanno eccezioni per l’India in termini di sanzioni. Le sanzioni statunitensi, ad esempio, non si estendono al porto iraniano di Chabahar, che l’India considera un contrappeso al vicino Gwadar pakistano, dove l’influenza della Cina sta crescendo.
L’India riceve il 65% del suo petrolio dai paesi del Golfo Persico, e qualsiasi aumento delle tensioni nell’area porta a un aumento dei prezzi del petrolio che influisce negativamente sull’economia indiana, già sui carboni ardenti. Dopo l’assassinio di Qassem Soleimani, l’ambasciatore iraniano in India Ali Chegeni ha dichiarato che l’Iran “accoglie con favore tutte le iniziative di tutti i paesi, in particolare l’India come un buon amico per noi, per non consentire l’escalation”.
Teoricamente, un cambiamento di potere in Oman, che in precedenza aveva svolto il ruolo di negoziatore, offre all’India buone possibilità di accreditarsi come mediatore. Tuttavia, soprattutto dopo le recenti elezioni parlamentari nella Repubblica Islamica dove hanno trionfato i conservatori, i margini per un negoziato paiono ridotti ai minimi termini.
Si può ribadire che l’energia continua a svolgere un ruolo importante nel commercio bilaterale indo-americano. Gli Stati Uniti sono alla ricerca di un predominio energetico sulla base dell’innovazione, anche se è diventato un esportatore netto di petrolio greggio e prodotti petroliferi a settembre 2019 e si prevede che lo sarà per tutto il 2020. L’India dovrebbe trovare il modo di trarre il massimo beneficio dalla supremazia energetica degli Stati Uniti, che va oltre le esportazioni di petrolio e gas naturale, fino ad arrivare all’energia pulita.
A questo proposito, gli Stati Uniti dovrebbero intervenire sul gas per identificare modi e mezzi per aiutare l’India a perseguire la sua visione economica basata sul gas, in cui quest’ultimo ha fissato un obiettivo ambizioso di aumentare la quota di gas naturale dall’attuale 6,2% al 15% di 2030. Entrambi i paesi potrebbero rivisitare le aree di cooperazione nella catena del valore del gas naturale, ottimizzando l’attuale Task Force del gas USA-India.
In precedenza, dopo le sanzioni contro l’Iran, gli Stati Uniti hanno esportato petrolio in India che ha sostituito la maggior parte delle importazioni di petrolio iraniano. Ciò ha comportato un aumento delle importazioni di petrolio del 72% nei primi cinque mesi dell’attuale bilancio a 4,5 milioni di tonnellate (MT) da 2,6 tonnellate nel periodo corrispondente, nell’ultimo anno. Gas Authority of India Limited ha accordi ventennali per l’acquisto di 5,8 milioni di tonnellate all’anno (MTPA) di GNL statunitense, suddivise tra l’impianto di Point Point Cove di Dominion Energy e il sito Sabine Pass di Cheniere Energy per 2,3 MTPA e 3,5 MTPA rispettivamente. L’India ha ricevuto la sua prima spedizione di GNL dagli Stati Uniti a marzo 2018.
Questi sviluppi hanno contribuito a ridurre i disavanzi commerciali degli Stati Uniti con l’India, aumentando nel contempo il commercio di energia con la varietà dell’India. Durante la visita del presidente Trump in India, potrebbero essere firmati tre accordi chiave per quanto riguarda le importazioni di petrolio, GNL e energia nucleare. L’India e gli Stati Uniti potrebbero siglare un grosso accordo di fornitura di petrolio greggio, che potrebbe offrire importazioni di petrolio in India con uno sconto fino a 4 dollari barile rispetto ai benchmark globali, con forti sconti e agevolazioni.
Inoltre, per migliorare le importazioni di GNL dell’India dagli Stati Uniti, potrebbe essere siglato un protocollo d’intesa tra la società americana di gas naturale Tellurian Inc. e Petronet LNG Limited (PLL) dell’India per importare 5 tonnellate di GNL lo scorso anno. La visita di Trump vedrà la firma di un accordo da 2,5 miliardi di dollari da parte di queste società per raccogliere la quota del 18% nel terminal GNL Driftwood con sede in Louisiana. Si prevede che il prezzo di consegna del gas sarà compreso tra 6-8 dollari per mmBtu rispetto alle operazioni concluse in precedenza che raggiungono 9-10 dollari per mmBtu, riducendo in tal modo in modo significativo il costo delle importazioni di GNL.
Infine, un altro contratto riguarderebbe Westinghouse e la Nuclear Power Corporation dell’India per la fornitura di sei reattori nucleari. Mentre l’accordo definirà le tempistiche e nominerà il principale costruttore locale per la costruzione dei reattori nella centrale nucleare di Kovvada nell’Andhra Pradesh, affronterà anche le preoccupazioni della legge sulla responsabilità nucleare dell’India.
Il rapporto con Modi risponde anche ad un altro obiettivo di Trump, più interno: farsi strada in una comunità che ha storicamente votato a favore di un candidato democratico. “La decisione di tenere la manifestazione in Gujarat, lo stato di origine del Primo Ministro Modi, potrebbe sembrare rappresentare una buona politica elettorale in appello agli indiani d’America”, ha dichiarato il senatore dello stato della Carolina del Nord Jay Chaudhuri, un leader indiano americano e democratico di stato che si è pronunciato contro Trump. “Tuttavia, un raduno in Texas lo scorso anno e un raduno in Gujarat questo mese non possono mascherare un presidente e le sue politiche che contrastano con l’interesse delle nostre comunità come l’educazione, l’immigrazione e la sicurezza delle armi”. Secondo il Fondo di difesa e istruzione legale americano asiatico, il 91% degli indiani-americani ha votato per Barack Obama nel 2008 e l’84% nel 2012. Un rapporto dell’organizzazione ha anche sottolineato che nel 2016 l’84% degli indiani-americani votava per Hillary Clinton e solo il 14% per Donald Trump. Di fatto, tra quelli che hanno votato per Clinton, l’84% erano indù.
Ma gli indiani-americani rappresentano meno dell’1% della popolazione degli Stati Uniti e il 5,9% della popolazione immigrata totale. Già ad appena 24 giorni prima delle elezioni presidenziali del 2016, Trump ha trascorso una serata in un concerto di beneficenza nel New Jersey, sede di una vasta popolazione di immigrati indiani e americani indiani, e ha rivolto a quasi 10.000 indù ai quali sono stati consegnati cartelli con la scritta “Trump for Indù americani “.
Shalabha Shalli Kumar, magnate degli affari con sede negli Stati Uniti e fondatore della coalizione indù repubblicana, ha donato un milione di dollari alla campagna di Trump. Successivamente, nel 2018, l’organizzazione si è offerta volontaria per raccogliere 25 miliardi di dollari per finanziare il muro USA-Messico di Trump. Ma sono successe molte cose tra il 2016 e il 2018. Immediatamente dopo essere entrato in carica, il presidente ha nominato diversi indiani-americani ai primi posti. C’era Nikki Haley, che è stata nominata ambasciatrice presso le Nazioni Unite (si è dimessa nel 2018); Seema Verma, che divenne amministratore dei Centri per i servizi Medicare e Medicaid; Ajit Pai, nominato presidente della Federal Communications Commission. Questa l’ascesa degli “indù americani” in America. Il movimento, a volte soprannominato “Yankee Hindutva”, descrive come gli indiani esprimano l’induismo all’interno della tradizione americana del multiculturalismo che valuta l’identità culturale come chiave per l’appartenenza sociale.
Il senatore dello stato della Carolina del Nord Jay Chaudhuri ha sostenuto che Trump si sbagliava se pensava che l’apparizione avrebbe avvicinato la comunità al presidente. Il rappresentante Ro Khanna, un critico feroce di Trump, ha ribadito che non avrebbe portato a cambiamenti nella politica degli indiani-americani.
L’approvazione del lavoro di Trump tra gli indiani d’America è stata solo del 28% nel 2018, secondo l’Asian American Voter Survey, un sondaggio di elettori americani asiatici registrati. Circa il 66 percento degli intervistati non ha approvato. Alcuni indiani americani, le cui famiglie sono venute legalmente negli Stati Uniti per studiare o lavorare, sostengono Trump a causa della sua agenda economica – in particolare i tagli delle tasse del 2017 – e non si preoccupano della retorica di Trump sull’immigrazione perché riguarda principalmente l’immigrazione clandestina. I membri più giovani della comunità hanno piuttosto protestato contro il governo Modi per la legge sulla cittadinanza (emendamento) e ribadiscono opinioni simili. “Ci mette in una situazione imbarazzante in cui dobbiamo denunciare le colpe di Modi se denunciamo le colpe di Trump”, afferma Sudhanshu Kaushik, che guida la North American Association of Indian Students.
In conclusione, è interessante notare, ad accompagnare il padre nel viaggio in India, la presenza di Ivanka Trump, insieme al marito Jared Kusner. Il Paese asiatico, per coincidenza, risulta essere anche il più grande mercato estero della Trump Organization, sede della maggior parte delle iniziative Trump al di fuori del Nord America. Tra le cinque proprietà di Trump nel paese ci sono quattro grattacieli di lusso (Trump Tower Mumbai, Trump Towers Pune, Trump Towers Delhi NCR, Trump Tower Kolkata) e una torre per uffici in costruzione, tutti firmati con accordi di licenza.
E così riappare il fantasma del conflitto di interessi: Trump che usa la presidenza per un eventuale profitto. Sia Trump che Ivanka affermano di non essere attualmente coinvolti negli affari immobiliari della famiglia, ma entrambi potrebbero trarre profitto dalle iniziative in India in futuro. Stando alle ultime indiscrezioni, peraltro, due dei partner commerciali di Trump in India hanno sviluppato problemi propri: uno è accusato di gravi frodi, mentre l’altro sta affrontando una crisi finanziaria. Entrambi hanno stretti legami con il partito indiano Bharatiya Janata, al potere, che è guidato da proprio dal Primo Ministro Modi.