Domani, 21 Febbraio, in Iran, dopo una sola settimana di campagna elettorale, 58 milioni di cittadini maggiorenni si recheranno alle urne per le 11esime (dalla Rivoluzione del 1979) elezioni per il rinnovo del Majlis-e Shura-ye Eslami, ossia l’Assemblea consultiva islamica, una sorta camera bassa con 290 eletti dal popolo (5 dei quali sono eletti da minoranze etnico-religiose, zoroastriani, ebrei, cristiani assiri e caldei e cristiani armeni) che rimangono in carica per quattro anni.
Il Majlis è inserito nell’ordinamento dicotomico che, secondo Costituzione, vige nella Repubblica Islamica, di stampo teocratico e presidenziale, dalla rivoluzione del 1979 e che prende le mosse dalla dottrina dì Khomeini: da un lato la volontà del popolo che designa il Parlamento e il Presidente, dall’altro l’obbedienza al Corano e all’Islam che configura una serie di istituzioni come la Guida Suprema e l’ dei Guardiani, che è nominata dalla Guida stessa, ma che comprende anche componenti laiche. A metà strada tra il laico e il religioso, l’Assemblea degli esperti, essendo eletta dal popolo dopo un’attenta selezione dei candidati e che ha il decisivo compito di eleggere la Guida Suprema.
La componente religiosa occupa, in quest’ottica, un ruolo di maggiore rilievo rispetto a quella laica. Un esempio di ciò risiede nel fatto che il Majlis non è una Camera con potere legislativo esclusivo in quanto le leggi, nonostante siano approvate dal Parlamento, non entrano immediatamente in vigore, ma passano sotto il vaglio del Consiglio dei Guardiani, che è chiamato a valutarne l’aderenza alla Costituzione e alla legge islamica.
Inoltre, il Parlamento è sottoposto ad un processo di selezione meticolosa dei suoi membri o candidati tali (l’età deve essere compresa tra i 30 e i 75 anni), che vede penalizzati molti riformisti o oppositori al regime. I criteri ufficiali comprenderebbero il rispetto dei principi dell’Islam, i titoli di studio islamici o la regolarità finanziaria, quindi il non essere responsabili di frodi o appropriazioni indebite. In verità, ad essere valutata è la fedeltà al regime: basti pensare che quest’anno, su 16mila candidati, ben 9mila, molti dei quali riformisti e 90 attualmente in Parlamento, sono stati tagliati fuori. Perciò, la maggior parte dei collegi elettorali non avrà un solo contendente riformista in competizione con i candidati conservatori.
Il sistema elettorale, che è regolato da una legge ordinaria, si configura come un maggioritario con collegi elettorali (200 in 31 province) sia uninominali sia plurinominali, e, in alcuni casi, è possibile un secondo turno. Il seggio viene assegnato una volta conseguita una precisa percentuale di consensi (25%). Qualora in un collegio plurinominale non venisse assegnato un seggio, si procederebbe con un ballottaggio tra i candidati più votati rimasti fuori.
Le previsioni per le elezioni di domani danno i conservatori in grado di capovolgere il risultato del 2016 – quando un blocco di riformisti, centristi e conservatori moderati spuntò il 41% e i conservatori solo il 23% –, e riprendere il controllo del Parlamento. A fare da ago della bilancia, saranno sicuramente le recenti tensioni con gli Stati Uniti (e i loro alleati regionali, Arabia Saudita e Israele), che hanno portato all’uccisione del Generale dei Pasdaran, Qassem Soleimani. Un fatto che ha messo nuova benzina nei serbatoi delle frange più conservatrici e più riluttanti a tornare al tavolo delle trattative con gli americani, dopo la denuncia dell’accordo sul nucleare, in netta contrapposizione con la politica moderata dei riformisti come il Presidente Hassan Rouhani.
Intanto il programma nucleare iraniano prosegue e una vittoria dei conservatori potrebbe causarne un’accelerazione, nonostante Trump ribadisca che con la su amministrazione l’Iran non avrà mai la bomba. Il 5 gennaio scorso Teheran ha fatto sapere che avrebbe arricchito l’uranio «senza restrizioni in base alle sue esigenze tecniche». Un mese fa Ali Asghar Zarean, assistente speciale del capo dell’Organizzazione per l’energia atomica dell’Iran (Aeoi), la principale agenzia governativa iraniana per la gestione dell’energia nucleare e delle installazioni del ciclo del combustibile nucleare nel Paese, ha annunciato che Teheran svelerà al mondo una nuova generazione di centrifughe l’8 aprile 2020. La scorta iraniana di uranio «ha superato i 1.200 kg e verrà rapidamente aggiunta allo stock di uranio arricchito», ha precisato Zarean per poi concludere: «Al momento, se le autorità lo decidessero, l’Aeoi è in grado di arricchire l’uranio con qualsiasi percentuale desiderata».
A determinare decisamente il voto sarà dunque la valutazione della sua azione di governo anche a fronte delle pesanti difficoltà economiche conseguenti alle sanzioni imposte da Washington, nel rispetto della strategia della ‘massima pressione’ per strangolare il regime. Pur non essendo ancora riuscita nell’intento, causando inflazione e disoccupazione, colpisce gli strati socioeconomici più deboli della società e, in particolare, i giovani che costituiscono quasi la metà della popolazione e che, in virtù della sfiducia e della rassegnazione, potrebbero decidere la via dell’astensione. Secondo il Portavoce del Consiglio dei Guardiani, Abbas Ali Kadkhodaei, «la nostra responsabilità è di garantire il corretto svolgimento delle elezioni. Che la gente voti in massa non ci riguarda», ciò nonostante, «in Iran l’affluenza non è mai stata inferiore al 50». Un elemento, quello dell’astensione, che giocherebbe a favore dei conservatori e non dei riformisti. Lo sa bene la Guida Suprema Khamenei che, a tal proposito, ha dichiarato: «Oggi il voto non è solo una responsabilità rivoluzionaria e nazionale, ma è anche un dovere religioso». Le elezioni, ha proseguito, «sono una via per rafforzare la nazione … un Parlamento debole avrà effetti di lungo termine nella battaglia contro i nostri nemici». Il voto, ha concluso il leader religioso e politico della Repubblica islamica, «neutralizzerà le cattive intenzioni degli Stati Uniti … il voto è fonte di prestigio» per il Paese.
All’estrema destra, gli ultraconservatori, considerati vicini ai Pasdaran, desiderano un maggiore intervento statale nella vita sociale e politica iraniana e sostengono fermamente la Guida Suprema. Tra le figure principali, vi sono l’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad e il capo della magistratura Ebrahim Raisi. I conservatori, invece, hanno la loro tradizionale base di potere nel clero e nei mercanti di bazaari: preferiscono una maggiore libertà nell’economia e, soprattutto, appoggiano i tentativi di dialogo con l’Occidente. Tra i più importanti, si deve ricordare il portavoce Ali Larijani e l’ex ministro degli Esteri Ali Akbar Velayati, ora consigliere senior del leader supremo.
Da segnalare, poi, la figura di Mohammad Bagher Ghalibaf, l’ex sindaco di Teheran ed ex comandante della Forza aerospaziale della Guardia rivoluzionaria islamica che guida il Consiglio di coalizione delle forze di rivoluzione islamica, la principale lista parlamentare conservatrice dell’Iran. Ghalibaf è in lizza per diventare speaker del Parlamento, carica da cui potrebbe iniziare la sua corsa alla presidenza per cui si terranno le elezioni nel 2021. Ma, a Teheran, la presenza di Ghalibaf ha messo in difficoltà il clero conservatore e i Guardiani della rivoluzione, indecisi su quale personalità sostenere. A causa delle decisioni del Consiglio che hanno falcidiato le liste riformiste locali, i conservatori potrebbero comunque facilmente conquistare anche Teheran, la capitale, che è un fattore decisivo per le elezioni iraniane, visto che detiene il maggior numero di seggi parlamentari – 30 su 290 – di qualsiasi blocco provinciale. Qui, nel 2016, la coalizione del presidente Rouhani ha vinto tutti e 30 i seggi parlamentari nella capitale. Tra i candidati riformisti che Qalibaf dovrà affrontare vi è Majid Ansari, ex vicepresidente e uno dei candidati più noti a Teheran.
D’altro canto, i riformisti si sfumano con maggiore facilità al loro interno: si parte dai più estremi che idealizzano la sovranità popolare e le riforme strutturali che conferirebbero agli organi eletti un ruolo maggiore nella gestione del Paese. Tra questi si può ricordare l’ex primo ministro Mir Hussein Mousavi e il religioso sciita Mehdi Karroub; e ci sono poi i riformisti più moderati, come Hassan Rouhani, che rappresentano la classe tecnocratica dell’Iran e che tendono a difendere le istituzioni repubblicane, oltre all’impegno al dialogo con l’occidente.
Tuttavia, alla vigilia dell’apertura dei seggi, un’altra preoccupazione scuote la Repubblica Islamica: scuole e università sono rimaste chiuse oggi a Qom, nel nord-ovest dell’Iran, dove ieri ci sono state le prime due vittime per coronavirus (Covid-19). Sul posto sarebbero stati inviati militari, che avrebbero bloccato alcune strade e isolato l’area intorno a un ospedale, mettendo di fatto in quarantena almeno parte della città. Nel corso della giornata, il Ministero della Salute iraniano ha confermato almeno altri tre casi di contagio. Due risultano ricoverati a Qom, circa 150 km a sud-ovest della capitale Teheran, e un terzo ad Arak. Anche in questo caso si tratterebbe di un cittadino originario di Qom, di professione medico. Non è escluso che lo spettro del coronavirus incida sull’astensione, ma è ancora molto difficile prevederlo.
Cosa aspettarsi dalle elezioni di domani? E l’esito potrebbe essere un segnale per le elezioni presidenziali del 2021? Lo abbiamo chiesto a Massimo Campanini, noto ed apprezzato islamista, esperto di Medioriente.
Domani, 58 milioni di cittadini saranno chiamati alle urne per rinnovare il Majlis, l’Assemblea consultiva Islamica dell’Iran. Stando alle ultime proiezioni, i conservatori, grazie anche alla guida di Ghalibaf, dovrebbero riuscire a capovolgere il risultato delle elezioni del 2016 – quando un blocco di riformisti, centristi e conservatori vinse con il 41%, riprendendo il controllo del Parlamento. Lei che ne pensa?
Francamente non ho elementi veramente probanti per inclinare il giudizio da una parte piuttosto che da un’altra, però, indubbiamente, quello che è successo negli ultimi mesi, soprattutto a causa della politica di Trump, ha ringalluzzito, invece che indebolito, i conservatori. È chiaro che la politica statunitense, ed anche quella timida europea, che ha cercato costantemente di mettere all’angolo l’Iran, inasprendo le sanzioni e strangolando, sostanzialmente, l’economia del Paese, che è quindi, per colpa degli interventi esterni, in grande difficoltà, può aver significato un ricompattamento nazionalistico: gli iraniani sono molto nazionalisti, hanno molta coscienza di sé, del loro passato ed anche come musulmani, sciiti, continuano a rivendicare la propria differenza rispetto agli arabi, sotto tutti gli aspetti, culturale compreso. Questo nazionalismo religioso, se viene provocato con una politica erronea come quella condotta finora soprattutto dagli Stati Uniti, esclusivista e non inclusivista nei confronti dell’Iran, è possibile che riesca a sollecitare il nazionalismo iraniano e quindi i più conservatori. L’omicidio, in Gennaio, del Generale dei Pasdaran, Qassem Soleimani, assolutamente ingiustificato dal punto di vista politico, evidentemente va in questa direzione. Tuttavia, se la politica degli Stati Uniti era stata adottata con l’intento di indebolire il regime, non è del tutto assurdo, incomprensibile o illogico che, invece, l’abbia rafforzato, dando nuovo vigore ai conservatori che non soltanto difendono la Repubblica Islamica in quanto tale, ma che difendono l’Iran in quanto tale. Certamente bisogna anche considerare che la società iraniana è molto inquieta, non solo perché le prospettive economiche sono pessime, ma anche perché c’è un sentimento di precarietà, di non riuscire ad arrivare alla fine della settimana, neanche del mese. Un sentimento che non necessariamente, come auspicano gli occidentali, deve tradursi in una ribellione contro il regime, ma potrebbe avere, appunto, un effetto ‘boomerang’, favorendo le forze che stringono le fila del nazionalismo religioso iraniano. Bisogna poi tenere conto del fatto che, già da qualche anno, il sistema politico iraniano aspetta la morte di Ali Khamenei che non arriva mai, ma che effettivamente potrebbe rovesciare le prospettive dato che, a quanto pare, ci sarebbero delle tendenze che vorrebbero rimettere in discussione la stessa figura della Guida Suprema e, quindi, dare una nuova lettura dei fondamenti della Repubblica Islamica. Questo non vuol dire che il regime è allo sbando, ma, potenzialmente, il contrario.
In quest’ottica, le elezioni parlamentari diventano anche un referendum sull’azione politica del Presidente Hassan Rouhani?
Certamente sì, anche perché Rouhani non ha la stessa verve riformista di Khatami ai suoi tempi. Le condizioni sono cambiate. Non è detto però che una vittoria dei conservatori costituisca, implicitamente, un giudizio negativo del riformismo in quanto tale quanto piuttosto della figura di Rouhani che non mi sembra si sia rivelato sufficientemente energico, sufficientemente capace e abile, come era stato ai tempi, con tutti i suoi errori, Khatami.
Rouhani ha criticato i conservatori che “dovrebbero lasciare che ci sia competizione è partecipazione”. Si è fatta più forte la contrapposizione tra riformisti e conservatori che potrebbero essere favoriti in questa tornata elettorale?
Certamente sì, il problema nella Repubblica Islamica è un conflitto sotterraneo che, in occasioni come questa delle elezioni del Majlis, causa degli epifenomeni.
Rouhani ha poi rimarcato che “se il sistema sostituisce le elezioni con le nomine, e le elezioni diventano solo una formalità, sarà il pericolo più grande per la democrazia e la sovranità nazionale“. “Dovremmo ottenere la fiducia del popolo e garantire che non c’è un regime del partito unico come nel comunismo. Oggi invece è come se si andasse al negozio per comprare qualcosa, ma fosse poi permesso di scegliere solo una marca” ha aggiunto il Presidente. Quella di Rouhani è quindi una critica più generale anche al sistema, alla stessa Guida Suprema?
Sì, ma c’è un’ambiguità di fondo: in un sistema istituzionale estremamente complesso, ma particolare come quello iraniano, parlare di monopartitismo e pluripartitismo può essere anche ingannevole nella misura in cui tutti candidati vengono vagliati, nella misura della loro ‘ortodossia’, dal Consiglio dei Guardiani.
In questa tornata elettorale, più di 7mila su 16mila candidati sono stati tagliati fuori dal Consiglio dei Guardiani.
Esatto. Da un certo punto di vista, questa insistenza di Rouhani potrebbe essere spia del fatto che, soprattutto tra i riformisti, ci si aspetta da parte dell’elettorato iraniano un colpo di coda contestatore nei confronti del sistema conservatore. Se poi questo succederà, alla luce di tutti i distinguo, lo vedremo ad urne chiuse.
Ali Khamenei ha avvertito: “la gente deve stare attenta a scegliere i candidati perché alcuni di loro sono diventati schiavi degli americani”. La divaricazione è solo tra riformisti e conservatori o ce n’è una anche tra conservatori e ultraconservatori?
Innanzitutto è chiaro che Khamenei tira l’acqua al suo mulino e chiaramente c’è molta propaganda in quello che dice. Tuttavia, sono d’accordo sul fatto che non ci sia soltanto una divaricazione tra riformisti e conservatori, ma che ci siano anche ali iperconservatrici all’interno del regime: è chiaro che i Pasdaran, o quanto meno talune ali dei Pasdaran, hanno un atteggiamento ultraconservatore che non tutti i conservatori, anche moderati, possono condividere. Questo è un po’ il difetto originario della Repubblica Islamica che, ispirata da Khomeini, è fondamentalmente in contraddizione con i principi religiosi e politici dello sciismo classico. Ed infatti, a suo tempo, Khomeini era stato anche molto contestato da grandi ayatollah come Montazeri, che non erano certo dei progressisti.
E Khamenei da che parte si colloca?
Khamenei si colloca dalla parte degli ultraconservatori. Però riveste una funzione particolare e, oltretutto, non è che sia considerato chissà quale genio religioso, cioè non ha il carisma e l’autorevolezza di Khomeini. Non avendo questa autorevolezza religiosa, deve mantenere una posizione più conservatrice per salvare non solo il sistema, ma anche se stesso. Ultimamente si parla, tra l’altro, di una successione a Khamenei da parte di uno dei suoi figli, quindi si tratta di salvare anche la sua famiglia.
Rouhani ha affermato che “è possibile non poter votare per varie ragioni, tuttavia è molto pericoloso non recarsi alle urne a causa delle poca fiducia. È molto importante per le persone poter scegliere tra diverse opzioni“. In molti hanno segnalato, tra i nodi più problematici di queste elezioni parlamentari, l’astensione. Per quali motivi? E quali fasce dell’elettorato potrebbero essere più tentate dalla non partecipazione? I giovani? I membri delle classi socioeconomiche più deboli?
Sì, sicuramente i giovani che sono la fascia sociale più delusa, che rischia di più. Tuttavia, se queste fasce andassero meno a votare, ci sarebbero maggiori possibilità che vincano i conservatori.
E la classe media?
Tradizionalmente l’alleanza politico-religiosa in Iran è sempre stata tra gli ‘ulema’ e la classe media: prima perché i ‘proletari’ non avevano la coscienza per poter avere questa consapevolezza; ora, magari, anche perché ci sono echi di forte crisi economica, di rischi, se andasse a votare maggiormente la classe, questo sarebbe un ulteriore segnale a favore dei conservatori, rispetto alla storica alleanza tra ‘ulema’ e ‘bazari’ che risale alla rivoluzione costituzionale 1906-1911.
Qualora l’astensione raggiungesse livelli importanti, l’esito, seppur favorevole per i conservatori, non perderebbe legittimità?
Sì, è anche vero, però, che stiamo ragionando su previsioni. Gli elementi realistici sono però quelli: il conflitto interno tra le varie anime della società, la crisi economica, la disillusione dei giovani, la necessità dei conservatori di mantenersi in sella, la debolezza degli ultimi anni dei riformisti. La bassa partecipazione, però, non delegittima i governi democratici, figurarsi i regimi.
Costituirebbe, però, un segnale per le forze politiche?
Sì.
Sull’astensione si è spaccato il fronte riformista: da una parte coloro che vorrebbero andare comunque alle urne, dall’altra coloro che preferirebbero boicottare il voto, così da delegittimarne l’esito. Quale anima pensa prevarrà nell’elettorato riformista?
Io credo che i riformisti, negli ultimi tempi, si siano ritrovati in una situazione precaria. In parte perché le circostanze non li favoriscono: la politica estera degli Stati Uniti, il conflitto con l’Arabia Saudita, l’isolamento internazionale, la crisi economica. In parte perché Rouhani non mi sembra essere un leader sufficientemente carismatico. Tutto questo ha indebolito i riformisti rispetto all’era Khatami. Da questo punto di vista, potrebbe esserci, soprattutto con la diminuzione dei votanti, una vittoria dei conservatori.
Dentro i riformisti, si sta riducendo l’ala dei sostenitori di Rouhani?
Così sembra, ma poi molte di queste cose accadono sotterraneamente. Anche la riduzione di figure note, a causa delle valutazioni del Consiglio dei guardiani o delle decisioni di alcuni di non ricandidarsi, è un segno di debolezza dei riformisti che può favorire i conservatori.
Cosa dovrebbero fare i riformisti per uscire dal vicolo cieco?
Consolidarsi, mettere radici più profonde nella società e trovarsi un altro leader.
E la scarsa presenza delle donne, anche in campagna elettorale?
Le donne, insieme ai giovani, sono evidentemente le categorie più insoddisfatte e, di certo, un regime conservatore non dà alle donne un grande spazio.
La candidatura di un certo numero di giovani sostenitori del regime è una mossa azzeccata?
Sì, anche perché sarebbe un modo per modernizzare il regime.
I Pasdaran si augurano la vittoria dei conservatori?
Sì, anche perché sono la pietra fondamentale del fronte conservatore.
L’esito delle elezioni parlamentari di domani saranno anche un segnale di quello che accadrà alle presidenziali del 2021?
Assolutamente sì perché è chiaro che se il fronte riformista ne esce indebolito, anche le presidenziali vedranno risalire al potere un radicale come Ahmadinejad.
La vittoria dei conservatori in Parlamento potrebbe creare problemi all’azione di governo di Rouhani?
Sì perché uno spostamento della bilancia a favore dei conservatori coinvolgerebbe tutta l’attività politica, compresa la politica estera.
E verrebbe a complicarsi il dialogo tra il governo Rouhani e la Guida Suprema Khamenei?
Certamente.
È possibile che, a fronte di una sconfitta alle parlamentari, di qui a qualche mese Rouhani possa decidere di dimettersi prima della scadenza naturale e andare alle elezioni anticipate, o anche solo decidere per un rimpasto di governo?
È possibile, ma non so se sarebbe un’azione intelligente perché creerebbe un vuoto politico che sarebbe poi usato e occupato dai conservatori. Sarebbe un colpo inferto ai riformisti, però molto di questa situazione dipende da noi occidentali.
Domani è previsto anche il voto per 7 membri dell’Assemblea degli Esperti (composta da 88 membri religiosi) che deve designare la Guida Suprema. Quale sarà l’esito?
Per saperlo bisognerebbe conoscere chi sono gli esperti nel Consiglio e chi sono i nuovi candidati. È vero che il Consiglio elegge la Guida Suprema, ma delle funzioni per lo più onorifiche. L’organismo veramente importante è quello dei Guardiani.
L’incidente dell’aereo ucraino potrebbe influenzare il voto?
È stata un’incompetenza, una superficialità da parte dei militari iraniani che erano responsabili in quel momento. Quindi in teoria potrebbe avere degli effetti, ma non credo significativi.
“I nostri nemici hanno più paura del sostegno pubblico al governo che delle nostre capacità militari” ha dichiarato Khamenei. È così? E per chi votano i ‘nemici’ di Teheran, Stati Uniti che andranno alle elezioni in novembre, Arabia Saudita, Israele che andrà alle elezioni tra un mese? Per l’astensione? Per i riformisti?
In teoria dovrebbero augurarsi una vittoria dei riformisti, però fanno di tutto per indebolirli. E questo vale anche per l’Europa.
Qualora i conservatori dovessero avere la meglio alle elezioni parlamentari, essendo l’accordo nucleare stato denunciato da tempo, è pensabile un’accelerazione del programma della bomba e quindi anche un aumento delle tensioni con gli Stati Uniti e i loro alleati regionali?
Ovviamente sì.
In Iraq, lunedì il neo-Premier Mohammed Tawfiq Allawi si presenterà in Parlamento per ricevere la fiducia. Allawi stato proposto come Primo Ministro da un blocco politico iracheno guidato da Hadi al-Ameri, considerato molto vicino all’Iran. In Libano, il nuovo governo è guidato da Hassan Diab, vicino agli Hezbollah. Dal punto di vista della politica estera regionale, dal voto di domani è giusto non attendersi cambiamenti?
La politica estera regionale dell’Iran negli ultimi tempi è stata omogenea quindi credo che ci sarà una sostanziale continuità.