In molti si oppongono, ma il popolo curdo è pronto a decidere il suo destino

 

Manca poco al referendum per l’ indipendenza della regione autonoma del Kurdistan in Iraq. Un momento atteso da decenni dal popolo curdo e proprio per questo cruciale, ma, allo stesso tempo, estremamente divisivo. Tutti i principali attori internazionali e regionali si sono espressi sul 25 Settembre. Il referendum, che pure ha valore consultivo, si svolgerà nonostante la Corte suprema di Baghdad abbia deciso per la sospensione della consultazione in attesa di pronunciarsi sulla sua costituzionalità.

Poiché «nessuna alternativa è stata offerta al posto del referendum e a garanzia dell’indipendenza» il Presidente curdo, Massud Barzani, ha reso noto che le trattative col governo iracheno continueranno anche dopo il referendum, e che la dichiarazione di indipendenza potrebbe essere dichiarata tra due anni. Nessun rinvio, dunque.

Non facile è stata la corsa referendaria. Prima della sentenza della Corte suprema irachena, il Parlamento di Baghdad aveva votato per dichiarare ufficialmente nullo e illegittimo il referendum. Ancor prima, la stessa Assemblea si era espressa a favore della destituzione del governatore della provincia di KirkukNajmuddin Karim, con l’ accusa di mancato rispetto delle norme costituzionali. Proprio Kirkuk, il 29 agosto, aveva votato a favore della partecipazione al referendum.

Falah Mustafa, Ministro degli Esteri del governo del Kurdistan, aveva risposto alla sentenza della Corte affermando che «non abbiamo la sensazione che esista un sistema giudiziario in questo paese che funzioni per proteggere la legge, l’ordine e anche i diritti».

Per comprendere meglio i termini della questione abbiamo chiesto ad Andrea Dessì, ricercatore presso l’ Istituto Affari Internazionali(IAI) di Roma, programma Mediterraneo e Medioriente.

«Tutte le principali potenze globali» – ricorda Dessì – « hanno espresso preoccupazione e un certo sconforto riguardo l’annuncio del referendum per l’indipendenza curda del 25 settembre. Come gli Stati Uniti, si sono espressi in maniera simile anche l’Ue, la Germania, la Francia, UK, Onu, Turchia, Iran e anche la Russia, sebbene su quest’ultimo ci sono una serie di ambiguità che sembrano indicare che la Russia non vuole preventivamente alienare i curdi iracheni, preferendo per ora una posizione di che non implichi potenziali rischi economici e politici per gli interessi Russi nel Kurdistan iracheno. L’unico governo che si è espresso chiaramente a favore del referendum per l’indipendenza è stato Israele e il Primo Ministro Netanyahu»

Ma a temere, oltre all’ Iraq e alla Turchia, le conseguenze della tornata referendaria anche gli Stati Uniti, l’ Europa, in particolare il Regno Unitoe le Nazioni Unite. I dubbi rimanderebbero alle possibili tensioni che si scatenerebbero non solo con Baghdad, ma anche con i Paesi vicini e che possa dare il via a richieste di secessione consecutive anche da parte di altre aree. Sebbene in occasioni distinte, i vari rappresentanti americani, il Capo del Comando Centrale americano CENTCOM, il Generale Joseph Votel, e l’inviato della Casa Bianca per la coalizione globale anti-Isis Brett McGurk si sono espressi in maniera similare a riguardo dell’ imminente chiamata alle urne del popolo curdo definendola “significativamente destabilizzante” all’indomani della liberazione di Mosul dall’Is, mettendo, dunque a repentaglio i successi finora ottenuti e il precario equilibrio iracheno.

«Per quanto riguarda l’obiezione USA» – precisa Dessì – « i rischi principali riguardano lo spettro di un’ulteriore destabilizzazione dell’Iraq, cosa che gioverebbe all’Iran, ma anche i vari gruppi terroristici ancora presenti nella zona. Altro rischio significativo è il potenziale disgregamento dell’Iraq in due o anche tre stati, aspetto che potrebbe avere ripercussioni molto problematiche per tutta la regione. In fine vi è l’aspetto della Turchia, alleato – sebbene problematico – NATO e principale paese obbiettore all’referendum. Gli USA non voglio alimentare le tensioni con la Turchia e la Turchia non vuole correre il rischio che un esito positivo del referendum porti a simili richieste di indipendenza da parte della minorità curda in Turchia, o anche in Siria. Stando alle dichiarazioni recenti della Turchia, Bagdad e Iran, gli USA vogliono scongiurare l’eventualità di ulteriori conflitti sul terreno iracheno, per consentire alla coalizione anti-ISIS di continuare il proprio lavoro e evitare che le forze di sicurezza irachene debbano spostare la propria attenzione verso nord».  

Interpellato sul timore esposto da Washington circa possibili effetti negativi nella guerra all’ IS, Dessì non esita ad affermare che «la lotta allo Stato Islamico rimane il principale obbiettivo USA nel Medioriente sotto l’amministrazione Trump, seguito dalla necessità di isolare l’iran. In entrambi i casi il referendum curdo rischia di complicare questi due obbiettivi. È principalmente per questo che gli USA, come altri paesi europei, chiedono di posticipare il referendum per consentire prima la stabilizzazione dell’Iraq.  Il timore è senz’altro fondato».

Dal canto suo, la Turchia, sebbene Erdogan abbia ripetuto che «non siamo contro i curdi, siamo contro l’organizzazione terroristica, i curdi sono nostri amici», ha iniziato a prepararsi seriamente, magari a violente ritorsioni: ad inizio settimana, secondo quanto riportato dall’ufficio stampa delle forze armate turche, ha intrapreso delle manovre militari non annunciate vicino al confine con l’Iraq, nei pressi della città di Silopi, vicino al valico di Habur, confinante con la regione curda irachena, impegnando piu’ di 100 tra carri armati M-60, lanciarazzi e obici a media gittata.

A preoccupare, sicuramente, sono le possibili reazioni di Ankara e di Baghdad. A questo riguardo, Dessì sostiene che «i rapporti tra Baghdad e Ankara si sono ora riavvicinati proprio per scongiurare il referendum. Se il voto va avanti, i rapporti bilaterali tra Ankara e Erbil subiranno contraccolpo significativo, ed è lecito pensare che la Turchia si adoperi per stringere rapporti migliori con Baghdad e Iran in modo da aumentare la pressione sul governo della regione autonoma curda in Iraq. Bisogna comunque precisare che il referendum è consultativo e non strettamente vincolante. Va comunque detto che per il presidente Barzani, anche lui sotto considerabile pressione dalle altre sponde politiche del Kurdistan, sarà difficile fare un passo indietro dopo un eventuale voto a favore per l’indipendenza. La decisione di annunciare il referendum, deriva perlopiù dai problemi politici interni al Kurdistan iracheno, che per il reale interesse ad annunciare unilateralmente l’indipendenza del Kurdistan».

Il primo ministro Binali Yildirim ha inoltre avvertito che «a ogni minaccia, dall’interno o dall’esterno, risponderemo con rappresaglie immediate». «La Turchia non accetterà un fatto compiuto nel nord dell’Iraq» mentre il Vice Primo Ministro turco Bekir Bozdag a proposito del referendum per l’indipendenza del Kurdistan iracheno dal governo di Baghdad. «La Turchia non permetterà un fatto compiuto nel nord Iraq. Il mondo è contrario, noi siamo contrari (al referendum, ndr). Arabi e turkmeni l’hanno respinto e anche i curdi nella regione sono contrari», aveva aggiunto Bozdag in una cerimonia per l’inizio dell’anno accademico alla Bozok University a Yozgat.

«E’ una strada pericolosa e non è quella giusta. Barzani sta giocando con il fuoco. Questo fuoco prima brucerà Barzani e poi gli altri. La cosa giusta è rinunciare a giocare con il fuoco, seguire il buon senso e cancellare il referendum» aveva affermato Bozdag. «Pensiamo che questo approccio ignori la Repubblica della Turchia, che è stata dalla loro parte e li considera stretti alleati» aveva incalzato Erdogan.

«Va preso in considerazione»- conclude Dessì- «che un eventuale Kurdistan indipendente sarebbe completamente circondato da paesi e governi ostili, non uno scenario promettente per un nuovo stato, indipendentemente dalle risorse petrolifere di cui dispone. Sia la Turchia che in l’Iran hanno reso noto che non sono da escludere reazioni anche militari se il referendum porti effettivamente alla creazione di uno stato indipendente». E questa ipotesi sembra non scalfire il proposito di Barzani. La domanda è, allora, se il popolo curdo riuscirà, nonostante tutto, a realizzare il suo progetto.